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Categoria: favole

La volpe e la cicogna 🦊

Chi la fa l’aspetti… e i proverbi non mentono mai!

Le favole di Esopo hanno sempre una morale da insegnarci, questa favola ad esempio spiega che se si fa uno scherzo a qualcuno, bisogna essere pronti anche a riceverne.

Questa fiaba può essere utile se si ha a che fare con un bimbo a cui piace fare gli scherzi ma che poi si arrabbia molto quando è il suo turno di riceverne uno…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della volpe e la cicogna!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la volpe e la cicogna raccontata da Silvia!

La volpe e la cicogna 🦊 favola completa


C’erano una volta una Volpe e una Cicogna, che avevano fatto amicizia. La Volpe allora pensò di invitare a pranzo la nuova amica.
Ma quando dovette decidere cosa preparare, la Volpe pensò bene di fare un piccolo scherzetto alla signora Cicogna.

Preparò un succulento brodino di verdure, e lo servì su un un bel piatto di porcellana, con i bordi molto bassi e invitò la Cicogna ad assaggiarlo.

La cicogna, sentito il profumino del brodo, si sedette a tavola e cercò di bere il brodino ancora fumante.
Ma con il suo lungo e appuntito becco la Cicogna non riusciva a bere dal piatto basso che la volpe le aveva preparato.

La Volpe, che si stava divertendo un sacco alle spalle della cicogna, la invitava a bere e faceva finta di non capire coma mai non le piacesse.

La cicogna aveva ben capito lo scherzo della Volpe ma decise di far buon viso a cattivo gioco.
– Scusami signora Volpe, ma oggi non mi sento molto bene, penso tornerò a casa a riposare – disse la cicogna congedandosi dalla volpe.

Qualche giorno dopo fu la cicogna a invitare la Volpe a pranzo.

La cicogna aveva preparato un magnifico piatto a base di pesce ma lo aveva messo in un vaso trasparente dal collo lungo e stretto, dove il suo becco riusciva ad entrare alla perfezione.

Ma il muso della volpe invece era troppo grosso per arrivare fino in fondo, e più la volpe cercava di infilarcelo, più si arrabbiava.

L’odorino invitante del pesce che non avrebbe potuto mangiare, la stava facendo uscire di testa, finché ad un certo punto, stufa di essere presa in giro, sbottò:
– Mi hai ingannata Cicogna mia! Hai messo il cibo in questo vaso dal collo lungo e stretto di proposito per non farmi mangiare! Io me ne vado!

La cicogna guardò la volpe con aria soddisfatta e le rispose:
– Chi la fa, l’aspetti!
E continuò a mangiarsi beata il suo bel pranzetto a base di pesce.

Morale della favola: se prendi in giro qualcuno ricordati che poi prenderanno in giro anche te!

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Lo zucchero filato 🍭


Chi troppo vuole nulla stringe, dice il proverbio

Se potessi esprimere un desiderio chiederei… dello zucchero filato! Ma non ditelo ad Alfio…

Alfio, baciato dalla fortuna di incontrare una fata che gli regalerà tre desideri, capirà presto come la vera felicità sia fatta di piccoli gesti fatti col cuore.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la fiaba dello zucchero filato raccontata da Silvia!

Lo zucchero filato 🍭 storia completa


C’era una volta Alfio, un bimbo curioso e un po’ monello, che un giorno stava gironzolando per il boschetto dietro casa.
Era alla ricerca di nuovi sassolini per la sua collezione, quando ad un tratto sentì una vocina che chiedeva aiuto.
Alfio drizzò le orecchie ma non riusciva a capire da dove provenisse quella vocina.

– Devi guardare più in basso! E stai attento a non calpestarmi! – disse la vocina
Alfio, che fino a quel momento stava cercando tra gli arbusti e sui rami degli alberi, abbassò lo sguardo, e quello che vide lo colse di sorpresa.
C’era una piccola fata che aveva un piede bloccato sotto un ramoscello. Per lei era come fosse un tronco, e non riusciva più a volare.

Alfio si chinò per vedere meglio, non aveva mai visto una fata prima di allora, ne aveva sentito parlare solo nelle fiabe.
– Aiutami bimbo, e ti sarò riconoscente – disse la fata.
Senza pensarci Alfio prese il ramoscello e lo scostò, lasciando così finalmente libera la fata.
– Grazie mille bimbo mio, per sdebitarmi ti farò un dono. La persona a cui vuoi bene potrà esprimere tre desideri e vederli realizzati.
– Grazie mille signora fata!
La fata sorrise e sparì volando via nel bosco.

Alfio, tutto contento, corse verso casa, dove incontrò Serena, la sua inseparabile amica che abitava lì vicino.
– Serena, Serena! Non sai cosa mi è capitato!
Serena lo guardò stupita e chiese:
– E cosa ti è capitato Alfio?
– Ero nel boschetto qua dietro e ho incontrato una fata con un piede bloccato da un ramoscello. Io l’ho liberata ed in cambio lei ha promesso che realizzerà tre desideri di una persona a cui voglio bene!

– Ma è bellissimo! – esclamò Serena – chissà cosa desidererà quella persona… se fossi io adesso vorrei un sacco di zucchero filato!
E come per magia Serena si ritrovò in mano uno stecco con una montagna di zucchero filato sopra.
Alfio, come anche Serena, rimase sbalordito.

– Ma no Serena! Hai sprecato uno dei desideri per dello zucchero filato! Potevi almeno chiedere una cassa di cioccolato!
E arrabbiato come non mai Alfio cercò di strappare lo zucchero filato di mano a Serena, ma per la foga inciampò e si ritrovò per terra con tutto lo zucchero filato tra i capelli.

– Ecco così impari a fare il monello, adesso hai tutto lo zucchero filato appiccicato ai capelli e non si può più mangiare! Ti meriteresti solo zucchero filato al posto dei capelli per punizione!
E come per magia i capelli di Alfio si trasformarono tutti in zucchero filato!
Serena, sempre più stupita e meravigliate, non perse l’occasione: prese una ciocca di zucchero filato e se lo mangiò.

– Ahi! – gridò Alfio – Mi strappi i capelli!
– Ti ho solo strappato dello zucchero filato… ed è pure buono! – si mise a ridere Serena.
– Noo che vergogna! Non posso rimanere così, chissà come mi sgriderà la mamma!
Serena intanto cercava di avvicinarsi per prendere un altro po’ di zucchero filato, ma Alfio scappava.

– Ti prego Serena fammi tornare i capelli come prima!
– Ma così sprechiamo l’ultimo desiderio!
– Ti prego Serena… – Alfio stava per mettersi a piangere.
– E va bene, però mi prometti che dopo mi compri dello zucchero filato!?
Alfio fece di si con la testa.

– Allora, vorrei che ti tornassero i capelli come prima!
E come per magia ad Alfio tornarono tutti i capelli.
Alfio capì che aveva sbagliato a comportarsi così con Serena. Lei desiderava del semplice zucchero filato, e quello le bastava per essere felice.
Così corse in casa a prendere i soldini e poi, mano nella mano, andarono al mercato a prendere lo zucchero filato.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Il principe ranocchio 🐸

Il principe ranocchio ha aiutato la principessina, ma lei non lo ringrazia nemmeno…

Il principe ranocchio è una fiaba della tradizione europea, arrivata fino a noi nella famosa versione dei fratelli Grimm.

Per ritornare un principe in carne ed ossa, il ranocchio dovrà dovrà riuscire a farsi dare un bacio dalla principessina, che non sembra per nulla affascinata dal verde anfibio…

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del principe ranocchio!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il principe ranocchio raccontata da William!

🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve del principe ranocchio!

Il principe ranocchio 🐸 racconto completo


C’era una volta un re che aveva tre figlie, tutte bellissime, ma la più giovane era la più bella e dolce di tutte.

La principessina passava le sue giornate vicino alla pozza d’acqua fresca che si trovava all’interno delle mura del castello.

Il suo passatempo preferito era giocare con una palla dorata: la lanciava in aria e la riprendeva, e pareva non si stancasse mai di questo divertimento.

Un giorno però la palla le scivolò di mano e finì proprio in mezzo alla pozza d’acqua lì vicino.

La principessina, non riuscendo a recuperarla, cominciò a piangere disperata perché era molto affezionata a quella palla.

Ad un tratto però sentì una voce:
– Come mai piangi, principessina mia?

La principessina si guardò intorno, per vedere da dove provenisse quella voce, ma vide solo la testa di un grosso ranocchio che spuntava dall’acqua.

– Sei tu che mi hai parlato? – chiese la principessina.
Il ranocchio annuì e le disse:
– Se vuoi posso aiutarti a recuperare la tua palla d’oro. Tu in cambio cosa mi dai?
– Tutto quello che vuoi, anche la mia corona d’oro, basta che me la riporti! – rispose la principessina.

– Del tuo oro non me ne faccio nulla, voglio piuttosto essere tuo amico, passare le giornate con te, mangiare alla tua tavola e dormire nella tua stanzetta – propose il ranocchio.
– Va bene! – esclamò la principessina, che però fra sé e sé pensava “che cosa passa per la testa a quel ranocchio? essere mio amico? Starà scherzando!”

Il ranocchio, con un tuffo, raggiunse la palla d’oro e la riportò alla principessina.
La principessina, piena di gioia, prese la palla fra le mani e corse via senza nemmeno ringraziare.

Il ranocchio le gridò:
– Aspettami! Se corri così veloce non riesco a starti dietro! – ma la principessina era ormai talmente lontana che nemmeno lo sentiva più.

Il giorno dopo, mentre la principessina era a tavola col re, la regina e le sue sorelle, si sentì battere forte al portone del palazzo, e una voce disse:
– Principessina, sono il ranocchio che ti ha recuperato la palla d’oro dalla pozza d’acqua, ora devi mantenere la tua promessa!

Il re guardò la figlioletta e le chiese di cosa si trattasse. La principessina raccontò quindi tutta la vicenda del giorno precedente, e alla fine il re sentenziò:
– Le promesse vanno mantenute figlia mia, fate entrare il ranocchio!

Così il ranocchio fu fatto sedere di fianco alla principessina, che lo guardava con disgusto.
– Avvicinami il tuo piattino d’oro, così che io possa mangiare assieme a te – disse il ranocchio, che mangiò tutto con buon appetito.
La principessina, arrabbiata, invece non mangiò nulla.

Dopo il pasto il ranocchio disse che era molto stanco e avrebbe gradito dormire nella stanzetta della principessina.

La principessina all’idea di dover dormire a fianco di un ranocchio freddo e viscido scoppiò a piangere disperata, ma il re la riprese:
– Non si deve disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno!

Con due dita la principessina prese il ranocchio e lo portò in camera, ma quando furono in stanza il ranocchio disse:
– Sono molto stanco e ho deciso di dormire insieme a te. Se non lo farai, lo dirò a tuo padre.

La principessina, al colmo della collera, lo prese per le zampine e lo scagliò con forza contro la parete.
– Adesso tacerai, brutto ranocchio! – urlò.

Il ranocchio cadde a terra privo di sensi. Solo allora la principessina si rese conto di quello che aveva fatto; corse dal ranocchio, lo prese in braccio e lo strinse forte a sè.

– Oh no ranocchio mio, scusami tanto, non volevo… se potessi fare qualcosa per salvarti la vita…

La bocca del ranocchio sussurrò qualcosa, che però la principessina non riuscì ad udire, così accostò meglio l’orecchio alla sua bocca e alla fine riuscì a sentire le parole del ranocchio:
– … un bacio… solo un bacio… – diceva con un filo di voce.

La principessina, spinta dal rimorso di aver fatto del male ad una povera creatura, sconfisse il disgusto per il freddo e viscido rospo, chiuse gli occhi e gli diede un bacio.

Un istante dopo, nella stanza ci fu un caldo bagliore e, quando la principessina riaprì gli occhi, davanti a lei c’era un bel ragazzo che si sfregava un grosso bernoccolo sulla testa.

– E tu chi sei?! – esclamò la principessina.
– Sono il ranocchio, ma il mio vero nome è principe Enrico! Sono stato vittima di un incantesimo di una strega e solo il bacio di una principessa avrebbe potuto spezzarlo… grazie!

La principessina, ancora attonita per lo stupore, gli sorrise e corse a medicargli la ferita.

I due ragazzi iniziarono così una bella amicizia, che nel tempo si tramutò in amore. E un bel giorno si sposarono, proprio di fronte alla pozza d’acqua dove tanto tempo prima si erano incontrati.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La fata del lago ⭐

Le fate sono creature magiche che hanno il potere di rendere felici le persone.

La nostra fata allieta le giornate della valle con il canto della sua voce.

Ma un giorno il canto della fata sparisce! Tutto diventa più difficile, e tutte le persone della valle iniziano a sentirsi sempre più tristi…

Ma la nostra fata saprà far ritornare il sorriso ed il buonumore a tutti.

Questa fiaba è tratta da un racconto popolare originario della Val d’Aosta, buon divertimento!

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare La fata del lago raccontata da Silvia!

La fata del lago ⭐ storia completa


C’era una volta un lago dove, nascosta dentro una grotta, viveva una splendida fata.
Nessuno degli abitanti della valle però l’aveva mai vista, perché era abilissima a nascondersi e se necessario a trasformarsi in qualche animaletto per sfuggire dalle persone.
Tutti però l’avevano sentita cantare, la sua voce era così bella e armoniosa che, anche le più dure giornate di lavoro, sembravano più leggere ascoltandola.

Un giorno due piccoli pastorelli che stavano controllando le loro pecore, sentirono la voce della fata cantare. Era così vicina che i due si nascosero dietro un albero per paura di essere visti, ed infatti dopo un attimo comparve nel prato la bellissima fata dai capelli color blu come il mare.
Il più piccolo dei due esclamò:
– E’ la fata del lago!

Il più grande non fece in tempo a tappargli la bocca che la fata si girò verso di loro, sorpresa.
La fata, a questo punto fuggì via veloce e si rifugiò dentro al bosco.
I due pastorelli cercarono invano di rincorrerla, ma lei fu troppo veloce e dopo poco non riescirono più a vederla, era sparita.
I due tornarono a casa di corsa, volevano raccontare a tutti dell’incontro con la fata, ma appena entrarono in casa sentirono il papà che diceva alla mamma:

– Oggi ad un certo punto la fata del lago ha smesso di cantare… non l’abbiamo più sentita, arrivare a fine giornata senza il suo canto è proprio dura…
I due pastorelli si guardarono i faccia, forse la fata aveva smesso di cantare proprio per colpa loro, pensarono entrambi, e se ne stettero zitti zitti.

E infatti da quel giorno la fata non cantò più, e tutti gli abitanti della valle si sentivano sempre più tristi e stanchi dal duro lavoro.
Il canto della fata mancava a tutti.
I due pastorelli pensarono di averla combinata proprio grossa, e decisero di rimediare.

Si misero a cercare la grotta della fata per tutto il lago, finché un giorno mentre ne stavano esplorando una, sentirono dei singhiozzi di pianto provenire dal fondo.
– Signora fata del lago? – disse il più grandicello dei due pastorelli.
– Non avvicinatevi! Cosa volete da me?! – rispose piangendo la fata.
– Volevamo solo scusarci per l’altra volta, non era nostra intenzione farle prendere paura…

– Non ho preso paura… è solo che voi mi avete vista!
– Ci scusi se l’abbiamo vista, eravamo solo curiosi e…
– Ma perché non vuole essere vista? Lei è così bella! – interruppe il pastorello più piccolo.
– Non è vero! – rispose la fata, piangendo ancora di più – sono orribile!
I due pastorelli si guardarono in faccia meravigliati.

– No, no signora fata, lei è proprio bella! – continuò il più piccolo.
– Come fai a dire che sono bella con questi orribili capelli blu! Tutte le altre fate hanno i capelli color dell’oro, io invece ho i capelli color del mare… – e scoppiò in un altro pianto.
I due pastorelli rimasero ammutoliti per quella strana spiegazione. Per loro due la fata era la donna più bella che avessero mai visto.

– Mi creda signora fata che per noi lei è bellissima… e poi la sua voce lo è ancora di più, da quando non la sentiamo più cantare, tutti gli abitanti della valle sono più tristi…
La fata pian piano smise di piangere.
– Davvero senza il mio canto tutti gli abitanti della valle sono più tristi?
I due pastorelli annuirono con forza.

La fata stette un attimo in silenzio.
– E davvero nonostante i miei capelli color del mare voi pensate che io sia bella?
I due pastorelli annuirono con ancor più forza.
La fata li guardò negli occhi, non mentivano.
– Se promettete di non dire a nessuno dove sta la mia grotta, tornerò a cantare per tutti gli abitanti della valle.
– Promettiamo! – dissero in coro i due pastorelli.

La fata sorrise, e i due pastorelli pieni di felicità e orgoglio per aver risolto la questione, si misero a saltare e gridare di gioia.
I due salutarono la fata e corsero subito verso casa, e già dopo pochi passi, sentirono alle loro spalle la meravigliosa voce della fata riprendere a cantare.

Tutti gli abitanti della valle, sentendo di nuovo il canto della fata, si fermarono ad ascoltare incantati. Di colpo erano di nuovo tutti felici, e quella sera stessa fecero una gran festa in onore della fata, con canti balli e un gran banchetto.
E i due pastorelli erano i bimbi più felici di tutti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

L’ombra del cammello 🐫

L’ombra è mia e la gestisco io! 😝

L’ombra del cammello è un racconto breve e divertente per bambini, e mostra come sia inutile litigare per qualcosa che in realtà non ci appartiene.

Ascolta come questo piccolo cammello riesce a lasciare di stucco i due signori che discutevano animatamente, proprio per la sua piccola ombra!

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🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare L’ombra del cammello raccontata da Silvia!

L’ombra del cammello 🐫 storia completa


C’era una volta un piccolo cammello che viveva tranquillo ai piedi delle piramidi d’Egitto.
Siccome era più piccolo degli altri cammelli suoi compari, il suo padrone di solito lo usava per far fare dei giri sulle dune ai bambini che venivano a visitare le piramidi.

Il piccolo cammello era tutto contento perché così non si affaticava come i suoi amici, che a volte dovevano portare in groppa degli omaccioni grandi e grossi, ma soprattutto si riempiva di gioia il cuore dalle risa e delle esclamazioni di meraviglia dei bimbi.

Un giorno però arrivarono così tante persone in visita alle piramidi, che tutti i cammelli furono noleggiati, e a disposizione rimase solo il piccolo cammello.
Un ometto minuto e piccolino, che voleva a tutti i costi essere portato alle piramidi, si avvicinò al cammelliere, padrone del piccolo cammello, e gli disse:
– Sono una persona molto leggera, sicuramente il suo cammello, anche se adatto ai bambini, potrà portarmi fino alle piramidi.

Il cammelliere guardò l’ometto, e pensò che per una volta, una bella gita fino alle piramidi, il suo piccolo cammello avrebbe potuto anche farla.
– E va bene, salga pure – disse il padrone del piccolo cammello.

Così l’ometto salì in groppa al piccolo cammello, che non fu per niente felice di dover portare quel signore, e fino alle piramidi per giunta!
Ma insieme al suo padrone si incamminò lentamente.

Era una giornata veramente calda e afosa, il sole picchiava come non mai, e a metà del cammino il piccolo cammello stava già dando segni di cedimento.
Il suo padrone se ne era accorto, e propose una piccola pausa all’ometto, per permettere al cammello di bere e riprendersi un poco dal cammino.

L’ometto si convinse e scese dal piccolo cammello e si mise ad aspettare.
Il padrone del cammello, invece che aspettare in piedi sotto il sole cocente, si sedette per terra sotto l’ombra del suo piccolo cammello.
L’ometto quando vide il cammelliere sedersi all’ombra subito lo volle copiare, ma il cammello era piccolino, e di ombra ce n’era soltanto per una persona, e neanche così tanta…

L’ometto e il cammelliere si misero subito a discutere.
– Io ho preso il cammello per farmi portare fino alle piramidi e quindi ho diritto a usare la sua ombra! – disse l’ometto.
– Tu hai noleggiato solo il trasporto sulla groppa del mio piccolo cammello, non la sua ombra! – rispose il cammelliere.

E iniziarono quindi a litigare su chi dovesse riposare sotto quella piccola ombra.
Ma il piccolo cammello, che ormai si sentiva riposato ed era stufo di stare a sentire quei due che litigavano, diede un bello sbuffo e si mise a trottare verso casa.

Il piccolo cammello lasciò così quei due di stucco e a bocca aperta, mentre si portava via l’ombra per cui stavano così animatamente litigando.

⚜ Fine della fiaba ⚜

La mensola vuota 🤖

Come mai la mensola dei giocattoli è vuota!?

Marco appena vede la mensola dei suoi giocattoli improvvisamente vuota, si preoccupa, ma poi capisce che, con i suoi giocattoli, può far felice chi è meno fortunato di lui.

Questa deliziosa fiaba ce l’ha inviata la piccola Miriam di 6 anni, che l’ha scritta ispirandosi a come Silvia racconta le storie nei suoi video ❤️

La mensola vuota


Cosa fa Marco Appena vede la mensola vuota?

Vediamo cosa succede in questa storia.
Ciao sono Miriam e oggi vi racconto questa storia la mensola vuota.

Marco era un bambino che aveva sempre la mensola piena di giocattoli. Un giorno mentre andava a scuola e studiava e studiava e studiava appena entrato nella sua stanza ha visto la mensola vuota e disse:
– Vediamo cosa dice mia mamma, perché c’è questa mensola vuota?

la mamma disse:
– Perché tu hai troppi giocattoli così li ho messi tutti uno scatolone e li do’ ai poveri.

Marco si decise che i giocattoli non li voleva mettere tutti là dentro in quello scatolone, soprattutto quelli preferiti. No no e no non voleva assolutamente.

Così la mamma disse:
– I giocattoli che non ti piacciono più come quelli per neonati li dai ai poveri.
Così Marco ha deciso di darli ai poveri.

– Questo per te amico povero, e questo amico per te.
Così ha fatto Marco fino a quando ha avuto una moglie e la moglie ha avuto il figlio.

Vi è piaciuta questa fiaba? Allora iscrivetevi al sito di Silvia e William ciaoooo

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia la piccola Miriam per aver condiviso con tutti noi questa fiaba, semplice ma molto profonda nel significato.

La grande diga 🌊

Il pianeta è ammalato, gli animali del mondo riusciranno a salvarlo?

In questa fiaba breve a sfondo ecologico, tutti gli animali riuniti prendono in mano le sorti del nostro pianeta, e decidono di trovare una “cura” ai danni prodotti dalla troppa plastica che ormai rischia di avvelenare tutti noi.

La grande diga 🌊 storia completa


Un giorno i rappresentanti di tutti gli animali del mondo decisero di riunirsi in una assemblea generale: il pianeta si era ammalato, e la malattia si chiamava “plastica”.
Naturalmente la causa della tragedia era la cattiva condotta dell’uomo, storicamente poco attento al rispetto della natura.
A sollevare la questione erano stati i pesci, poi gli uccelli marini, poi gli orsi polari, le foche, e in poco tempo tutte le specie capirono che dovevano lottare insieme per la sopravvivenza.

Un capodoglio che aveva ingerito grosse quantità di plastica, prima di morire, arenato in spiaggia, aveva sussurrato ad un gabbiano: “salvate il mondo”.
L’uccello, con il cuore spezzato, volò per giorni per diffondere il messaggio del povero cetaceo.
Tutti gli animali capirono che era tempo di unire le forze, e dai poli all’equatore ci fu un movimento epocale, alla ricerca di una misura straordinaria.

La plastica era ovunque, in frammenti, in agglomerati, in grosse isole galleggianti, e avanzava, minacciosa, letale.
Molte creature trovarono la morte in mezzo alla plastica: alcune mentre la combattevano, altre, ignare, mangiandola, altre ancora intrappolate nei sacchetti: era la fine.
Ci fu un grande scompiglio tra gli animali più astuti e intelligenti: i delfini cercarono di insegnare alle altre creature acquatiche a riconoscere il pericolo, gli albatros organizzarono squadre di soccorso e sulla terra, i lupi e le volpi, ormai alleati, pianificarono strategie difensive.

Ma non era sufficiente allearsi e combattere: bisognava estirpare il male.
Tutti i rappresentanti, durante l’assemblea generale, avevano proposto una soluzione.
Gli animali di grossa taglia avevano pensato di trasportare la plastica in un’isola deserta, ma anche quella era una soluzione temporanea, perché le maree avrebbero sparpagliato di nuovo l’immondizia in ogni luogo.
I pesci, rischiando la vita, volevano seppellire la plastica negli abissi, ma anche dal fondo sarebbe emersa, tornado a galla minacciosa.

Gli uccelli volevano impiegare la plastica per fare un enorme nido, ma il pericolo era evidente: i piccoli, una volta schiuse le uova, avrebbero mangiato i frammenti, e avrebbero fatto la stessa fine delle altre vittime.
Le povere tartarughe, con il guscio deformato dalle trappole di plastica, avevano proposto di formare una barriera tra la spiaggia e il mare, ma le onde, con il tempo, avrebbero distrutto tutto.
Le scimmie, ormai esperte nel riutilizzo dei rifiuti, avevano proposto di costruire delle città in plastica, ma anche in quel caso, molti animali potevano rimanere soffocati o intrappolati nelle strutture: del resto gli animali non sono esperti in opere ingegneristiche.

In realtà, come osservò un orso bruno attempato, un animale esperto in ingegneria poteva essere coinvolto: il castoro.
I castori non sono animali famosi per la loro astuzia, per cui non si erano pronunciati durante l’assemblea.
Timidi, simpatici e impacciati, i castori avevano già combattuto una guerra infinita contro il bracconaggio: infatti la loro pelliccia è molto pregiata.

Tuttavia i castori non si erano mai lasciati abbattere, e continuavano senza sosta a costruire dighe principalmente per due motivi: per proteggere le loro tane costruite sull’acqua e per difendersi dai predatori, grazie ai fossati che si formano dalla stagnazione dell’acqua intorno alle strutture.
Gli animali presenti in assemblea proposero di costruire le dighe in plastica non solo per formare una protezione efficiente per le tane che ospitano i castori, ma anche per impiegare tutto quel materiale sparso in ogni angolo della terra.

Il più anziano dei castori, convocato urgentemente in assemblea, abbozzò un progetto: formare una specie di stagno grazie a bottiglie e sacchetti di plastica, poi costruire una rete di canali molto fitta per conservare il cibo da consumare nel periodo invernale e infine articolare le vie di fuga e le varie tane.
Per realizzare un progetto così laborioso i castori avrebbero dovuto contare su tutti gli animali: gli elefanti per trasportare tutto il materiale, i pellicani e i cormorani per raccogliere i sacchetti, tutti i roditori per modellare la plastica cercando di non ingerirla, e tanti altri esemplari per coordinare i lavori in tutto il pianeta.

L’assemblea durò per giorni, fino a quando il re, il leone, che fino a quel momento era stato in silenzio, seduto sul trono, malinconico per quanto stava accadendo al regno animale, posò la sua corona e indossò un elmetto da operaio.
Ci fu un grande stupore per quell’insolito gesto, ma poi il leone sorrise, e con il cuore pieno di fiducia pose la sua grossa zampa sulla spalla del vecchio castoro e disse: “che tutti gli animali possano salvare il mondo, e che la diga sia l’opera più importante della storia”.

Passarono di lì alcuni uomini, minacciosi, con un fucile in mano: avevano visto tutti quegli animali e volevano portare a casa dei trofei.
Uno di loro, però, fece un passo indietro vedendo un leone con l’elmetto da operaio in compagnia di un vecchio castoro, e cercò di capire.

Per un uomo non è facile cogliere tanto amore in un solo gesto, riconoscere l’umiltà di un re che ripone la sua fiducia in un goffo roditore con la coda larga e piatta, notare che gli attriti tra creature diverse possono essere messe da parte per qualcosa di tanto importante come la sopravvivenza.

I suoi compagni alzarono il fucile, e allora il leone si mise davanti al castoro, per fare scudo con il suo corpo.
Solo allora gli uomini si fermarono, pronti ad ammirare tanto coraggio.
Faceva caldo, tanto caldo.
Prima di andare via, tirarono fuori dell’acqua dagli zaini, e una volta dissetati, consegnarono le bottiglie di plastica ai castori.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Rossana Costantino per aver condiviso con tutti noi questa bella fiaba a sfondo ecologico.

La volpe e l’uva 🦊🍇

La volpe vuole l’uva appesa in alto sul tralcio di vite, ma anche saltando più in alto che può non ci arriva…

La volpe e l’uva è una famosissima favola di Esopo, che ci dà un insegnamento molto importante: non bisogna disprezzare qualcosa solo perché non lo si può ottenere, come fanno spesso le persone che non ammettono la possibilità di fallire.

Capita a tutti di fallire in qualcosa, ma non per questo bisogna svalutare o disprezzare quello che prima era l’oggetto del desiderio. Piuttosto sarebbe meglio accettare con molta umiltà la sconfitta e impegnarsi meglio per la prossima sfida che la vita ci porrà davanti.

Questa favola breve scritta in origine da Esopo è arrivata a noi grazie anche a Fedro e a mille versioni successive, questa è la versione di fabulinis.

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🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della volpe e l’uva!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la volpe e l’uva raccontata da Silvia!

La volpe e l’uva 🦊🍇 storia completa


C’era una volta una volpe che vagava tranquilla per il bosco. Aveva appena bevuto ad un ruscello e si stava avventurando in cerca di cibo verso i campi coltivati, appena fuori dal paesello vicino.

Era già mattina inoltrata, e la fame iniziava a farsi sentire con sonori brontolii provenienti dal pancino.
Ad un certo punto, dopo aver camminato per un po’, vide una bella vigna piena di bellissimi grappoli d’uva.

La volpe controllò che non ci fossero pericoli in vista e si avvicinò furtiva ad uno dei grappoli, quello che le sembrava più vicino.
Non c’era nessuno nelle vicinanze. Era il momento perfetto per fare un bel salto e prendersi il grappolo d’uva!

La volpe quindi prese la rincorsa e… hop! Fece un balzo cercando di afferrare coi denti il grappolo, ma niente: non ci arrivò.
La volpe allora prese un po’ più di rincorsa e hop! Fece un altro balzo, ma anche questo non era abbastanza alto per riuscire ad arrivare al grappolo d’uva.
La volpe allora provò a prendere una rincorsa ancora più lunga e hop! Niente, non arrivò a prendere il grappolo d’uva.
Intanto il suo pancino brontolava sempre più dalla fame.

La volpe provò e riprovò. Le mancava sempre un soffio per prendere il grappolo d’uva ma non c’era verso, non riusciva ad arrivarci.
Stremata dalla fatica e dalla fame, la povera volpe guardò se nella vigna c’erano altri grappoli, magari più bassi, da poter prendere. Ma niente, erano tutti più in alto di quel grappolo che lei aveva cercato con tutte le sue forze di acciuffare.

La volpe diede un ultimo lungo sguardo al bel grappolo d’uva che tanto aveva sognato di mangiare, e per non ammettere di non essere riuscita nella sua impresa, si disse:
– Meglio così, tanto di sicuro quel grappolo era ancora acerbo e mangiarlo mi avrebbe solo fatto venire mal di pancia! – anche se sapeva benissimo che non era vero.

Così, sconsolata e ancora più affamata, ritornò con la coda tra le gambe nel suo boschetto. Si mise a caccia di qualcos’altro da mangiare, cercando questa volta di adocchiare qualcosa che avrebbe sicuramente preso.

Morale della favola: è facile e tipico di chi è arrogante disprezzare ciò che non si può avere. Meglio impegnarsi con molta umiltà per ottenerlo o trovare un’altra soluzione.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il bambino che parlava con la Luna 🌙

Non si è mai veramente soli, basta alzare lo sguardo e usare la fantasia

Questo racconto notturno perfetto come fiaba della buonanotte, parla di un bimbo che guarda la luna fuori dalla finestra e inizia ad osservarla e parlare insieme a lei raccontandole una favola.

fabulinis ringrazia Armando e Paola (la maestra Paola) Goldin per aver condiviso con noi questo racconto, che speriamo vi piaccia tanto quanto è piaciuto a noi!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba del bambino che parlava con la luna:

Il bambino che parlava con la Luna 🌙 storia completa


In una città qualunque, in un palazzo qualunque, viveva un bambino che si sentiva solo perché non aveva fratelli e nel suo palazzo non vi erano bambini che lui conoscesse con cui giocare.
Così, una sera in cui si sentiva più solo del solito si mise a guardare fuori dalla finestra della sua camera e tutto ad un tratto fu attratto da una luce: quella della luna! Una falce di luna!

Incuriosito cominciò a fissarla e la luna gli tenne compagnia con la sua aura argentata.
Ad un certo punto un bruco fece capolino sulla luna e, strisciando, si acciambellò su se stesso formando un occhio (sembrava che la luna avesse un occhio solo) e tutto ciò fece sorridere il bambino.

Il giorno dopo e nei giorni successivi il bambino si mise sempre a guardare la luna dalla finestra e, a mano a mano che lei cresceva, sembrava quasi che venisse fuori un viso perché, ad un certo punto, invece che un bruco, se ne presentarono due che appallottolati diventarono due occhi e, poco dopo arrivò un terzo bruco che si mise per lungo formando una specie di sorriso nella luna e questo confortava il bambino che iniziava a sentirsi meno solo e, per ringraziare la grande luna, una sera decise di raccontarle una storia.

“Questa è la storia del treno dei desideri” iniziò il piccolo. “È un treno che fa un lungo viaggio e ogni paese che lui attraversa ha un nome speciale: felicita’, amicizia, amore, rispetto, condivisione, gioia…
Ad ogni stazione si può esaudire un desiderio.
Il capotreno quando il treno si ferma, consegna ai viaggiatori una busta contenente un desiderio, così, alla fine del viaggio, anziché essere triste sei felice perché ricco di desideri esauditi!”
“Sarebbe bello” disse il bambino sospirando “ che esistesse davvero un treno del genere”.

La luna , a quel punto, chiese al bambino quale fosse il suo più grande desiderio “Non essere mai più solo” rispose il piccolo e lei lo invitò a guardarsi intorno e… lui vide le luci delle camere da letto degli altri palazzi tutte accese e tanti bambini e bambine che lo salutavano .

Anche la luna ringraziò il bambino: “mi sentivo tanto sola anche io, non avevo le stelle vicino ed ero sempre triste; poi sei arrivato tu e mi hai fatto tornare il sorriso!”
Infatti i tre bruchi altro non erano che il risultato della fantasia del bambino! Lui aveva desiderato di poter parlare con la luna e il capotreno lo aveva sentito provvedendo ad esaurire i suoi desideri

La sera dopo la luna sorrideva:anche lei era felice perché il cielo era pieno di stelle e da allora non si sentì mai più sola e il bambino trovò tantissimi amici lungo il suo cammino e, diventato grande, diventò il capotreno più gentile al mondo.

⚜ Fine della fiaba ⚜
Ringraziamo Armando e Paola (la maestra Paola) Goldin per aver condiviso con noi questa tenera fiaba.


L’Uovo di gallina di Pasqua 🐔

A volte nelle uova di Pasqua c’è una sorpresa inaspettata!

Bastano dei piccoli e semplici gesti di condivisione per far felici i bambini, magari solo un po’ più sfortunati degli altri.

L’Uovo di gallina di Pasqua 🐔

C’era un uovo che era stato lasciato dalla gallina in una zona appartata del fienile. Lo aveva lasciato lì di proposito perché era straordinariamente grande, diverso dagli altri.
E sapeva che, come tutte le cose diverse doveva essere isolato, non far parte del gruppo.

Questo è quello che pensava la gallina. Non era poi successo così anche alla sua amica anatra? Non aveva uno degli anatroccoli, il più brutto, che aveva lasciato di proposito mamma e fratelli perchè lo insultavano sempre? Era troppo grosso e diverso. Proprio come il suo uovo!

E l’odiosa e dispettosa gatta, non aveva messo da parte un piccolo gattino perchè il suo istinto lo credeva malato?
E la coniglietta, che dopo aver partorito è stata con loro solo due minuti per allattarli. Eh sì, lei dice che lo ha fatto per proteggere i piccoli, così la tana resta segreta.  Ma a chi la vuole dare a bere?
E l’odiosa aquila, che ogni tanto arriva dalle montagne sorvolando sopra le loro teste facendole scappare tutte. A volte però riusciva ad afferrare al volo qualche animale e lo portava via con gli artigli: si dice che lasci che i figli si azzuffino tra di loro senza intervenire. Poverini!

Insomma, avrebbe potuto raccontarne tante altre di storie che aveva visto in prima persona in cascina, quindi anche lei doveva fare qualcosa.
E lo fece, aveva contribuito mettendo da parte il suo uovo diverso. Ma era in fin dei conti una buona mamma, quindi lo depose nella paglia, al morbido, in una zona più fresca, in alto, in modo che altri animali non se ne cibassero.
Di più non poteva fare, affidava tutto al destino. Il suo compito era finito.

Sta di fatto che quel giorno fosse Pasqua e, nel pomeriggio, tutti i bimbi del vicinato chiesero al padrone della cascina se potevano fare una festa nel fienile, portando tutte le uova ricevute in dono e giocando con le varie sorprese contenute. L’uomo acconsentì, ben sapendo che gli avrebbero lasciato tutte le carte e la paglia sparpagliata qua e là. Figuriamoci se non avessero giocato a buttarsela addosso. Ma In fin dei conti era Pasqua!

Al pomeriggio ecco che un frotta di bimbi arrivarono, chi con uno chi con due o più uova. Sarebbe stata una grande festa!
Il figlio del contadino non potette partecipare perché era povero, non aveva ricevuto nemmeno un uovo. Che figura avrebbe fatto ad entrare? Da mendicante, e lui non voleva questo. Stette in disparte a sbirciare e vide tirar fuori dalle uova tanti giochi. Ma lui avrebbe preferito prima mangiarsi un uovo di cioccolata intero, poi i giochi.

I ragazzi, una volta finito con le uova fecero quello che il padrone aveva pensato: giocare con la paglia. Ma mentre fecero questo chi trovarono? Il nostro grande uovo di gallina! Meravigliati dalla grossezza lo esaminarono tutti e a uno di loro, il più giudizioso, venne in mente che il figlio del contadino non era con loro, e sapevano che era molto orgoglioso per accettare di condividere con lui le uova di cioccolato ma…

In cerchio, perché lui non vedesse (lo avevano intravisto che sbirciava), presero dolcemente l’uovo di gallina, lo pulirono bene, e, con i pezzetti di cioccolato avanzati fecero un mosaico attorno al guscio: diventò così un bellissimo uovo di cioccolato variopinto. Cioccolato nero fondente, al latte, bianco, alla nocciola. Lo avvolsero nella carta più bella che avevano e lo chiamarono. Entrato gli diedero il suo uovo, visto che la gallina era sua. Non poteva così rifiutarlo!

Lo apri delicatamente, e, meraviglia, anche lui aveva il suo Uovo di Pasqua, molto particolare e dentro c’era un pulcino.
Che bellissimo regalo. Ma la sorpresa maggiore fu capire che aveva tanti amici e non lo immaginava.

Adesso anche lui e il suo pulcino potevano unirsi con loro a giocare.
Che bella Pasqua!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Copyright del Testo © Lulù Barabino

Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

www.tiraccontounastoriablog.com

Il funghetto vanitoso 🍄

Essere troppo vanitosi può portare molto presto alla solitudine, così Funghetto ha deciso di cambiare…

C’è un bosco incantato dove vive un Funghetto molto vanitoso, ma nessuno dei suoi amici ormai lo sopporta più… per fortuna Funghetto si accorge che la sua vanità non lo rende migliore, anzi…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba del funghetto vanitoso:

Il Funghetto vanitoso 🍄 storia completa


C’era laggiù, lontano nel bosco di Biù un Funghetto piccino e grazioso, col gambo bianco, il cappello marrone un po’ spiovente e la punta più chiara come se fosse stato intinto nel latte.
Funghetto però non era molto contento, poiché era talmente piccino da non essere mai notato dalle Fatine della Rugiada.

Anche lui avrebbe voluto avere il cappello adornato di perline luccicanti, come gli altri suoi compagni, loro erano più alti o avevano cappelli più grandi e colorati, e le fatine accorrevano leste leste a fare le loro meraviglie.

Un giorno Funghetto brontolò cosi tanto ma cosi tanto che la regina delle fate andò da lui e gli chiese cosa c’era che lo rendeva cosi scontento.
Funghetto le raccontò tutto, alla fine la regina tacque e rimase in silenzio.
Poi chiese a Funghetto se sarebbe stato disposto a cambiare per riuscire ad essere notato dalle Fatine della rugiada, subito questo rispose che si, era prontissimo!

E balibbalò, tira un po’ qui, alza un po’ lì, in una nuvola di brillante polvere magica il piccolo funghetto era divenuto un bel fungo alto, dal cappello rosso sgargiante, puntinato di macchioline bianche, lucido come le mele al sole!
Funghetto era talmente contento che non vedeva l’ora fosse il mattino seguente per avere le sue goccioline di rugiada.

Al sorgere del sole infatti, quando le fatine giunsero videro subito quel magnifico fungo rosso e accorsero, adornandolo con una miriade di piccole gocce risplendenti, dorate alla luce dell’aurora.

Funghetto si vedeva talmente bello che si pavoneggiava con tutti, mostrando a chiunque passasse di lì quanto fosse brillante il Suo colore, quanto fosse candido il gambo, oppure quanto perfette e lisce le lamelle sotto al cappello.
S’era gonfiato talmente tanto che… si era gonfiato veramente!

Era diventato Cicciotto e ingombrante.
Insomma tutti quelli che passavano di lì non ne poterono più, così cominciarono a cambiare strada: le sue amiche formichine che tutti i giorni in fila indiana gli passavano accanto si spostarono, anche le coccinelle, che si posavano sugli steli d’erba vicino per scambiare due chiacchiere non tornarono più, e cosi tutti gli altri.

Funghetto era rimasto solo.
Nessuno parlava più con lui perché aveva dimenticato quando un tempo chiacchierava con loro solo per il piacere di farlo, scambiandosi gentilezze e chiedendo anche solo semplicemente come andava la giornata.

Funghetto si disse che la sua vita di prima, in fondo in fondo non era poi così male, aveva avuto così tanti amici… che ora senza di loro si sentiva terribilmente solo.

Ma si vergognava a chiamare la regina e chiederle aiuto una seconda volta, quindi stette zitto in silenzio, cercando di farsi più piccolo e invisibile possibile, anche se sapeva che c’era ben poco da fare: ormai era talmente paffuto e gonfio che era impossibile non notarlo.
– Ah! Quanto mi manca essere un piccolo funghetto, dal cappelluccio spiovente e dalla punta color latte… – pensò.

Un giorno passò di li un’ape e si soffermò accanto a Funghetto per pulirsi le antenne.
Funghetto avrebbe voluto fare quattro chiacchiere ma non ne aveva più il coraggio, sicché l’ape visto che non parlava gli chiese perché fosse così silenzioso:
– Sei forse timido?

L’altro non rispose, ma quella era un’ape curiosa come se ne vedono in giro di solito e quindi non si arrese: come poteva lui, un bel fungo rigoglioso essere tanto modesto.

– Sei forse troppo bello per rispondere?
Alla fine Funghetto capitolò e spiegò a gran singhiozzi il perché fosse così taciturno … e non certo perché era troppo bello!
E ad ogni singhiozzo si faceva sempre più grassoccio, sempre giù tondo…
– Hic! Hic!

A quelle parole, vedendo il funghetto singhiozzare e rattristarsi come non mai, l’ape venne circondata da una nuvola di mille colori.
Quando la nube si dissipò ecco che al posto dell’ape c’era la bellissima Regina delle fate.

Funghetto rimase sbalordito, non si era proprio reso conto che era sempre stata lei fin dall‘inizio.
Si fece coraggio e con la sua vocina chiese scusa alla regina; le disse che non pensava gli sarebbe mancato così tanto essere quel piccolo funghetto marrone dal gambo bianco, e che forse, la rugiada come ornamento era davvero cosa di poco conio.

La regina rispose che lo aveva accontentato solo per mostrargli quanto fosse preso dal rendersi bello davanti a tutti, a tal punto che si era scordato degli amici.
Non avevano bisogno di vederlo impreziosito da alcun gioiello, per loro lui era bello e interessante al medesimo modo, forse anche di più!

– Le mie amiche formichine e le mie amiche coccinelle! – sospirò il Funghetto.
La Regina delle fate si intenerì, capì che Funghetto aveva imparato la lezione e quindi…
Balibbalo’, tira un po’ qui, tira un po’ lì, ecco che funghetto ritornò come prima!

Non esistono parole per descrivere quanto fosse felice, aveva ancora il suo corto gambo bianco e la punta del cappellino color latte.
Promise che mai e poi mai avrebbe più voluto essere ciò che non era.

Tutti i suoi amici ritornarono, risero e scherzarono ancora insieme, circondandolo di abbracci e affetto, e poté quasi toccare il cielo da tanto era felice.

Ma aspettate un po’… a toccare il cielo dalla felicità… Funghetto, più alto di un pollice si ritroverà.
Ogni Fatina Rugiada orbene lo vedrà e di goccine luccicanti Funghetto si rivestita.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Isabella Sanfilippo per aver condiviso qui con noi la sua bella fiaba.

La bacca dell’eternità 🌱

Perchè passare del tempo a litigare quando ci si può aiutare tutti quanti a vicenda?

L’insegnamento che ci vuole dare La bacca dell’eternità, scritta dal piccolo Marco, è molto chiaro: perdere tempo a litigare è assolutamente inutile, molto meglio parlarsi, fare pace e aiutarsi a vicenda.

Noi di fabulinis ringraziamo Marco e la sua mamma Luciana che hanno voluto condividere questa bellissima fiaba.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della bacca dell’eternità:

La bacca dell’eternità 🌱 storia completa


Tanto tempo fa, nella parte più fitta dei boschi dell’appennino Tosco-Emiliano, vivevano maghi, streghe, folletti e troll.
Questi purtroppo, vivevano sempre in lotta perché ognuno di loro voleva per sé l’unica bacca della grande quercia, che avrebbe dato la vita eterna a chiunque l’avesse mangiata in una notte di luna piena.

I maghi, che erano bravi e amavano la natura e tutti gli esseri viventi, erano aiutati dagli elfi e dai folletti.
Mentre le streghe, cattive, egoiste e che pensavano solo a sé stesse, erano aiutate dai trolls che le amavano perdutamente.

In una notte di luna piena, durante una delle battaglie che si svolgevano a colpi di bacchette magiche, spade, pugni e tranelli, scoppiò un terribile temporale, come non se ne vedeva da molto tempo.
Tuoni, fulmini, lampi e grandine, non si capiva più niente, il vento spazzava via ogni cosa, sembrava che la natura si fosse definitivamente stancata di quelle inutili battaglie.
Poi, un fulmine colpì la grande quercia, che prese fuoco e bruciò insieme alla sua bacca della vita eterna.

Tutti, maghi, streghe, folletti e troll si fermarono, finalmente capirono che non esisteva la vita eterna, ma che tutto ha una fine.
Da allora vissero in pace, aiutandosi a vicenda.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore il piccolo Marco, che ha scritto la fiaba, e la sua mamma Luciana per averla condivisa con noi.

Lola e Margherita 🌼


Lola è triste ma la sua nuova amica Margherita sa come fare per farla tornare felice!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Lola e Margherita 🌼


C’era un sole meraviglioso e caldo quella mattina, si sentivano voci di bambini e mamme allegre. Margherita uscì nel bosco.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Non era una una normale margherita con i petali bianchi, i suoi petali erano tutti colorati ed erano magici. La sua mamma le aveva infatti appena confidato che dai suoi petali Margherita poteva sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. Margherita non vedeva l’ora di provare!

C’era tranquillità nell’aria, una tranquillità che contagiò anche Margherita fino a che, però, vide una bimba un po’ triste che camminava. Aveva una bella maglia verde, pantaloni rosa, uno zaino tutto colorato e un paio d’occhiali verdi proprio come la sua maglietta. Margherita continuando ad osservarla pensò, tra sé e sé, che magari quella bambina così carina era un po’ triste perchè non aveva molta voglia di andare a scuola. Così decise che avrebbe aspettato prima di parlare con lei.

Passarono un po’ di giorni ed ecco che si ritrovò la stessa bimba davanti agli occhi ed era ancora triste.
Margherita pensò alle parole che le aveva detto la sua mamma e decise di far uscire la polverina magica. Incrociò subito lo sguardo della bimba. Lei incuriosita cercò di capire da dove venissero tutti quei puntini luminosi. Si guardò intorno e vide questo fiore bellissimo, tutto colorato, un po’ come i suoi vestiti. Decise di avvicinarsi per toccarlo e così “MAGIA!” il fiore iniziò a parlare.”Buongiorno bambina io mi chiamo Margherita e tu?”

“Ciao io sono Lola” rispose la bambina che non credeva ai suoi occhi
“Si lo so i fiori non parlano! Posso farti una domanda? Perchè la mattina vai a scuola sempre triste?”
“Odio i miei occhiali! Le altre bambine sono così belle senza!” Margherita si avvicinò a Lola e l’abbracciò forte, poi disse “Secondo me i tuoi occhiali sono molto belli! Me li presti?”

Lola era un po’ preoccupata, la mamma le diceva sempre che non erano un giocattolo.
“Dai prestameli solo per un pochino , voglio vedere come ci si vede!” disse Margherita.
A quel punto la bambina glieli porse e Margherita se li infilò. In quello stesso istante Lola iniziò a sentirsi strana: tutto ciò che la circondava era diventato appannato, i colori erano sbiaditi e, nonostante fosse tanto vicino a lei, non riusciva a vedere bene neanche Margherita.
La piccola scoppiò a piangere.

“Non posso stare senza i miei occhiali, non riuscirei nemmeno a giocare, a correre, restituiscimeli subito per favore” implorò Lola singhiozzando.
Margherita le restituì gli occhiali e cercò di spiegarle che c’erano dei bambini, proprio come lei, che avevano bisogno di quelle due piccole lenti per vedere meglio. “Non devi sentirti diversa o più brutta! Sei bellissima comunque!”

Lola asciugò le lacrime e riprese i suoi occhiali, se li mise e tutto tornò chiaro, bello com’era sempre. “Ora possiamo anche giocare: riesco a vedere anche te!” Tutte e due scoppiarono in una grande risata e trascorsero insieme tutto il pomeriggio, giocando e divertendosi.

Lola, da quel giorno capì, grazie a Margherita, che i suoi occhiali non la rendevano diversa, anzi! Grazie a loro, lei riusciva a fare tutto quello che facevano le altre bambine! Finalmente non era più triste!
La nostra Margherita era contentissima di aver aiutato Lola grazie alla sua magia e si incamminò in cerca di qualche altro bambino da rendere felice.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

Matteo e il fratellino dispettoso 😜

E’ nato un nuovo fratellino, e Matteo è un po’ triste…

Questo breve racconto è un valido aiuto per i genitori quando arriva un nuovo bimbo in famiglia e il fratellino più grande ha delle difficoltà con quello più piccolo.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Matteo e il fratellino dispettoso 😜


Era un giorno di festa e nel bosco pioveva. Margherita si sentiva un po’ triste perché era sicura che nessun bambino sarebbe passato di lì.
Margherita era un fiore, proprio una margherita, ma era speciale: non aveva i soliti petali bianchi, i suoi erano tutti colorati, ma soprattutto erano magici. Grazie a loro, Margherita poteva sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. Ma se non ne incontrava nessuno, non poteva farlo, ed era per questo che la pioggia di quel giorno la rattristava.

Ad un tratto però smise di piovere e, come per magia, spuntò un grande e bellissimo arcobaleno.
Dopo poco iniziò a vedere i primi bambini arrivare felici con le biciclette, con il pallone in mano, pronti al divertimento!
Da lontano sentì un bambino piangere, ma non riusciva a capire dove fosse. Curiosando in giro si accorse che il pianto veniva da un bimbo piccolissimo dentro un passeggino. Pensò che questa volta sarebbe stato faticoso ridonargli il sorriso: piangeva disperato!

Si soffermò anche sul bambino un po’ più grande che gli era accanto e vide che anche lui era molto triste. Allora decise di sprigionare la polverina magica e cercare di capire cosa poteva renderli così desolati. In fondo era una giornata bellissima!

Il bambino grande fissava, incantato, lo spettacolo di colori creato da Margherita e rimase senza parole quando si sentì chiamare “Bambino sono qui, abbassa la testa.”
“Ciao mi chiamo Margherita e tu, credo di aver capito, Matteo vero?” “Sì”
“Vuoi giocare un po’ con me?”
Il bimbo, con la faccia un po’ triste ma ora anche meravigliata, le spiegò che non poteva perché il suo fratellino piccolo stava piangendo e lui con la sua famiglia sarebbero dovuti tornare a casa. Margherita prese coraggio e chiese a Matteo il motivo della sua tristezza.

“Il mio fratellino piccolo piange sempre e la mamma deve stare sempre con lui, così non possiamo stare mai insieme”.
“E che vorresti fare?” chiese Margherita curiosa della risposta.
“Venderlo” rispose serio Matteo. Il fiore scoppiò in una grande risata e spiegò a Matteo che i bambini non potevano essere venduti…
“Ma ti prometto che ti aiuterò a volergli bene” disse fiduciosa Margherita.

Matteo si mise a raccontare delle cose strane che faceva il suo fratellino: le pernacchie nella minestra quando non voleva più mangiare, oppure il bagnetto e l’acqua che finiva ovunque perché a Valerio non piaceva proprio lavarsi e poi di quella volta in cui la mamma gli stava cambiando il pannolino e lui le aveva fatto la pipì addosso. Margherita si accorse subito che mentre Matteo raccontava queste storie bizzarre rideva e allora gli disse “Io lo trovo divertente tutto questo, tu no?”

Matteo disse “Lui è un bambino simpatico mi fa ridere, ma la mamma, il papà e anche la nonna che prima giocavano sempre con me ora… ecco ora se la mamma mi sta raccontando una fiaba e Valerio inizia a piangere lei deve scappare da lui ed io rimango solo”. Margherita colpita da quelle parole suggerì a Matteo di chiudere gli occhi per un solo istante e di provare a pensare a come sarebbe stato se non ci fosse stato il suo fratellino. E poi di pensare a tutte le cose che potevano fare insieme quando Valerio sarebbe diventato un po’ più grande.

“Potrebbe essere bello giocare insieme a lui e fare castelli di sabbia al mare. Lui mi fa divertire molto. Io gli voglio bene. Però nessuno ha più tempo per me.” Disse Matteo un po’ preoccupato.
Margherita guardò il bimbo e gli disse: “La prossima volta che succede che Valerio piange e la mamma corre da lui ricordati di ciò che ti ho detto: voi da grandi sarete due fratelli fantastici e vi divertirete tantissimo. Poi mentre Valerio dorme tu cerca di stare con la mamma, o di giocare con papà, vedrai anche loro saranno felicissimi. La mamma e il papà hanno tempo per tutti e due bisogna solo organizzarsi, sono sicura che anche tu manchi a loro”

Così il bimbo prese i suoi giochi e corse verso casa felice, in fin dei conti aveva ragione Margherita: Valerio sarebbe diventato un fantastico compagno di marachelle.
Margherita guardò Matteo allontanarsi: era molto contenta di aver reso felice un altro bambino e non vedeva l’ora di aiutarne tanti altri!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

Robertina e il suo disordine 😵

Ai bambini piace ritrovare le cose a cui sono tanto affezionati, ma se c’è tanto disordine e non si riesce a trovarle, come si fa?

Robertina è una bimba molto disordinata, ma Margherita che è un piccolo fiore le farà ritrovare l’allegria, aiutandola un po’ anche a crescere.

Questo racconto può dare una mano alle mamme e i papà che devono lottare quotidianamente con il disordine che i loro cuccioli lasciano costantemente in giro per casa.

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba di Robertina:

Robertina e il suo disordine 😵 storia completa


“Tutte le mattine la stessa storia, Robertina: la tua cameretta è sempre in disordine, oggetti sparsi in ogni posto, vestiti buttati sulla sedia, per non parlare poi dei tuoi giocattoli. Se quando torni non metti tutto in ordine puoi dimenticarti il tuo pomeriggio con Clara.” Questa era la storia che tutte le mattine la bimba, un po’ disordinata, ascoltava. Ogni volta pensava che la sua mamma aveva davvero ragione perché la sua camera era un disastro, ma mettere in ordine era veramente noioso per lei.

Quella mattina Margherita era un po’ assonnata.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Non era una una normale margherita con i petali bianchi, i suoi petali erano tutti colorati ed erano magici: potevano sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi.

Quella notte l’aveva passata a cercare di cambiare i colori della sua polverina magica, ma non era convinta del risultato. “Devo assolutamente provarla” pensò e proprio in quel momento notò Robertina che stava camminando tutta pensierosa. Appena la bimba fu sufficientemente vicina sprigionò la polverina e come sempre il risultato fu quello desiderato.
La bimba notò subito la nuvola di brillantini e a differenza di tanti altri bambini che all’inizio rimanevano sempre un po’ impauriti, ci si buttò dentro esclamando: “Che meraviglia, non avevo mai visto una cosa del genere”.
Margherita rimase in disparte a godersi lo spettacolo poi esclamò: “Ciao bambina io sono Margherita tu come ti chiami?”

“Sei tu che hai fatto questa nuvola di brillantini?”.”Sì, ti piace??”
“Tantissimo!! Io mi chiamo Robertina!”. Il fiore ringraziò e poi chiese subito a Robertina come mai fosse pensierosa. La bimba si mise seduta e raccontò tutta la storia del suo disordine in camera, del fatto che la mamma si arrabbiava, e che da giorni in quel disordine non riusciva a trovare la sua bacchetta magica.

Allora Margherita disse: “Beh cosa aspetti a mettere in ordine tutte le tue cose? Sono sicura che una volta messo in ordine che verrà fuori anche la tua bacchetta magica.”
“Hai ragione, ma è così noioso mettere in ordine!” disse la bambina.

“Mia mamma dice sempre che la musica aiuta quando devi fare qualcosa che non ti va! Chiedi alla tua mamma se ti accende la radio e poi fammi sapere se funziona!”
Robertina allora si avviò verso casa.

Una volta arrivata fece come aveva detto Margherita! Iniziò a mettere subito in ordine magliette, scarpe, giochi, peluche, con tanta musica a farle compagnia, ma della sua bacchetta magica nemmeno l’ombra. La mamma entrata in camera rimase a bocca aperta: “Tesoro cosa ti è successo? Hai sistemato tutto!”.
Robertina raccontò alla mamma che aveva messo in ordine per trovare la sua bacchetta magica da portare a casa di Clara il giorno dopo, ma non la trovava.

“Ti aiuto io a cercarla. Sei stata davvero brava a sistemare!!” e così tutte e due si misero alla ricerca, ma niente. Robertina si stava arrendendo quando sentì la mamma urlare dalla cucina: “Piccola: l’ho trovata, era nella lavastoviglie!!!!!!!!!!!!!”.
“Oh mamma grazie!!! Sono così felice..” e poi aggiunse “…ma secondo te come è arrivata nella lavastoviglie?”
“Potere del tuo disordine” rispose la mamma sorridendo e abbracciando felice Robertina. Anche lei era tornata a sorridere.

Il giorno dopo Robertina andò, insieme alla sua bacchetta magica, a giocare dalla sua amica Clara.
Fu un pomeriggio indimenticabile per le due bambine e anche per Margherita che le guardava da lontano: aveva il cuore pieno di gioia per aver aiutato Robertina e non vedeva l’ora di ridonare il sorriso anche a qualche altro bambino.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso la sua fiaba.

Riccardino impara a condividere 🎁

Condividere le cose tra bambini spesso è difficile, ma questo racconto li aiuterà.

In questa fiaba troviamo un bello spunto per aiutare i bambini a imparare a condividere i giocattoli e quindi le esperienze con gli amici.

Tutti i genitori sanno che prima o poi il piccolo imparerà a farlo, ma se lo (e ci) aiutiamo con un piccolo racconto, forse diventa un po’ più facile affrontare questo argomento, a volte così delicato.

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Riccardino impara a condividere 🎁


Quella mattina splendeva un sole fantastico e Margherita decise di fare una passeggiata in tranquillità: a quell’ora tutti i bambini erano a scuola.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Era sì una margherita ma i suoi petali erano tutti colorati e, soprattutto, erano magici. Potevano infatti sprigionare una polvere speciale che attirava l’attenzione dei bambini che incontrava. A quel punto lei, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. E Margherita era sempre entusiasta di ridare il sorriso a un bimbo!

Il nostro fiore iniziò a camminare e notò subito che dagli alberi cominciavano a cadere le foglie, l’autunno era alle porte.
In lontananza sentì le voci di un bimbo e di una mamma che sembravano discutere.
“Riccardo, devi imparare a condividere i tuoi giocattoli con gli amici altrimenti nessuno vorrà giocare più con te”.
Margherita guardò la scena da lontano, ma riuscì a vedere benissimo la faccia di quel bimbo che a dire la verità era proprio triste e pensieroso.

Il mattino seguente Margherita guardò attentamente tutti i bimbi che passavano fino a che notò il bimbo del giorno prima che camminava con un orsetto di peluche. Così si avvicinò piano piano e sprigionò la polverina magica dai suoi petali colorati, ma, a differenza di tutte le altre volte, questo bimbo si spaventò: “Ma che cos’è questa cosa??” e camminò più velocemente per allontanarsi dalla polverina. Margherita non poteva credere ai suoi occhi, in genere i bambini si facevano conquistare, questa volta no!

Il mattino seguente Riccardino ripassò di li sempre un po’ triste.
“Devo farmi venire in mente un’idea!” pensò Margherita e così più il bambino andava verso la sua direzione più lei si afflosciava. Ad un certo punto il bimbo si piegò verso il fiore e disse “Che strano! Le margherite hanno i petali bianchi, perché questa è così colorata??”. Proprio in quell’istante Margherita parlò: “Ciao”
Il bimbo indietreggiò spaventato: “I fiori non parlano, devi essere un mostro!”

“Ma quale mostro, vieni qui e parliamo un po’”. Il bimbo si lasciò convincere e si sedette vicino al fiore, che gli chiese subito il motivo della sua tristezza. Riccardo prese coraggio e raccontò allo strano fiore che lui quella mattina a scuola avrebbe voluto giocare con i suoi compagni, ma loro volevano il suo peluche. Lui ci teneva troppo e non voleva prestarlo a nessuno.

“Qualche giorno fa è stato il mio compleanno e i miei genitori mi hanno regalato questo morbido orsetto di stoffa! A me piace portarlo a scuola, ma non voglio prestarlo a nessuno! Ho paura che si possa rompere… e così finisce sempre che gioco da solo.”
“Ma a te piace più giocare con i tuoi amici o solo?”
“Con loro ma non voglio prestare a nessuno il mio gioco” rispose Riccardino.

Margherita allora disse: “Mmmmm… Provo a darti un piccolo consiglio: domani porta a scuola il tuo orsacchiotto, quando i bimbi si avvicineranno per giocare chiedendoti il peluche tu glielo darai dicendo però di fare attenzione a non romperlo”. Riccardo, un po’ incerto, guardò il bel fiore e promise di fare come gli aveva consigliato.

La mattina seguente Riccardo, come sempre, prese il suo orsacchiotto e andò a scuola. Arrivò, lo tirò fuori dallo zaino e subito il suo migliore amico Lorenzo si avvicinò dicendo: “Ehi Riccardo facciamo a scambio di giochi?”

Riccardo ricordando la promessa fatta a Margherita rispose: “Sì, ma per favore fai attenzione a non romperlo perché ci tengo molto”.
Lorenzo trattò molto bene l’orsacchiotto di Riccardo, il quale capì di aver fatto bene a seguire il consiglio di Margherita.

Fu così che Lorenzo e Riccardo finirono per passare tutta la mattinata a giocare insieme. Margherita li guardava da lontano, felicissima di aver aiutato un altro bambino.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

I musicanti di Brema 🐎🐕🐈🐓

I musicanti di Brema voglio entrare a far parte della banda cittadina, ma sul loro cammino incontreranno una banda di briganti!

I musicanti di Brema è una fiaba raccolta in origine dai fratelli Grimm, famosa per l’allegra combriccola (un asino, un cane, un gatto ed un gallo) che vogliono andare fino a Brema per scappare al loro triste destino di animali senza più valore agli occhi dei loro padroni.

Ma anche se vecchi ed acciaccati, con l’ingegno e l’astuzia, riusciranno a mettere nel sacco anche i briganti!

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare dei musicanti di Brema!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare i musicanti di Brema raccontata da William!

🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve dei musicanti di Brema!

I musicanti di Brema 🐎🐕🐈🐓 racconto completo


C’era una volta un vecchio asino che ormai faceva fatica ad alzarsi, camminare e trasportare i sacchi di farina che il suo padrone gli caricava sulla schiena ogni giorno.

– Ormai sei diventato inutile! – disse l’uomo – Domani ti porterò al macello!

Il povero asino pensò tra sè e sè: “che razza di ingrato, dopo tutto il lavoro che ho fatto per te…”
Così gli venne un’idea: non appena il padrone si allontanò, scappò via dalla stalla e si incamminò verso la vicina città di Brema, in cerca di fortuna.

Mentre camminava l’asino pensava a cosa avrebbe fatto una volta arrivato a Brema, e decise che sarebbe entrato a far parte della banda cittadina.
Lungo la strada l’asino incontrò un cane accucciato, che si lamentava borbottando.

– Cos’hai da lamentarti, cane? – chiese l’asino.
– Son vecchio e malandato, così non riesco più ad andare a caccia col mio padrone. Ha pure cercato di accopparmi ma io sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con me a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il cane, trovando l’idea interessante, decise di seguirlo.

Proseguendo per la strada, i due incontrarono un gatto sdraiato per terra, che si lamentava borbottando.

– Cos’hai da lamentarti, gatto? – chiese l’asino.
– Son vecchio e malandato, poi oggi ho graffiato il sofà della mia padrona, e lei ha cercato di tirarmi il collo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il gatto, trovando l’idea interessante, decise di seguirli.

Poco dopo si trovarono tutti nei pressi di una fattoria, dove incontrarono un gallo che, appollaiato sopra la staccionata, si lamentava cantando a squarciagola.

– Cos’hai da lamentarti, gallo? – chiese l’asino.

– Son vecchio e malandato, poi domani arriveranno ospiti e la mia padrona ha deciso di cucinarmi in brodo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il gallo, trovando l’idea interessante, decise di seguirli.

Ma Brema era lontana e iniziava a fare buio. La compagnia era ormai stanca e affamata e voleva fermarsi a dormire sotto gli alberi del bosco.

L’asino, scrutando in mezzo agli alberi, vide una casetta con una luce accesa e propose di andare a vedere. Tutti lo seguirono.

Avvicinandosi piano, sbirciarono da una delle finestre, e videro che dentro c’era una banda di briganti seduti attorno ad una tavola riccamente imbandita.
Vedendo tutto quel cibo, ai quattro gli si strinse lo stomaco dalla fame.
– Quanto vorrei anch’io poter mangiare tutto quel ben di Dio… – disse il cane.
– Quella tavola imbandita farebbe proprio al caso nostro – continuò il gatto.
– Già, ma come facciamo a prendere quel cibo? – continuò il gallo.
– Forse mi è venuta un’idea… – concluse l’asino, che si mise a spiegare sottovoce il suo piano.

Dopo che furono tutti d’accordo, l’asino puntò le zampe anteriori sul davanzale della finestra, sul suo dorso salì il cane, sulla groppa del cane salì il gatto e sulla schiena del gatto salì il gallo.

Al segnale dell’asino iniziarono tutti a far rumore a più non posso: l’asino ragliava, il cane abbaiava, il gatto miagolava e il gallo cantava a squarciagola.

L’asino diede un colpo al vetro della finestra, che si frantumò, e con un balzo entrarono in casa.

I briganti, terrorizzati da quel frastuono infernale, credettero che fosse entrato in casa uno spettro maligno e se la diedero a gambe, scappando di corsa nel bosco.

Finalmente l’asino, il cane, il gatto e il gallo avevano di che mangiare a sazietà. Dopo che ebbero riempito per bene le loro pance, decisero che era giunta l’ora di dormire.

Spensero la luce. L’asino si sistemò fuori casa vicino al letamaio, il cane dietro la porta sul retro, il gatto nella calda cenere del camino e il gallo sulla trave più alta del tetto.

Intanto i briganti, nascosti nel bosco, vedendo che nella casa era tutto buio, decisero di tornare a riprendersi il loro bottino nascosto in un baule. Il più fifone tra loro fu estratto a sorte per andare a controllare se nella casa fosse tutto tranquillo.

Il brigante fifone entrò senza far rumore, e volendo accendere una lampada accostò un fiammifero vicino ai carboni ardenti del camino.

Ma quelli che credeva essere carboni ardenti, erano in realtà gli occhi del gatto, sfavillanti al buio!

Il gatto, profondamente infastidito, gli saltò addosso graffiandogli tutta la faccia.

Il brigante si spaventò a morte e cercò di fuggire dalla porta sul retro, dove inciampò nel cane che prontamente lo morse ad una gamba.

Sempre più terrorizzato, cercò allora di attraversare il cortile passando per il letamaio dove, svegliato dal trambusto, lo stava aspettando l’asino, che gli sferrò un bel calcio nel sedere.

Il gallo, svegliato di soprassalto, gridò a squarciagola “chicchirichì!”. Il brigante, sgomento, scappò via di corsa nel bosco e tornò a raccontare ai suoi compari:

– Nella casa c’è un’orribile strega che mi ha graffiato tutta la faccia! E poi sulla porta c’è un uomo col coltello che mi ha ferito alla gamba! E nel cortile c’è un mostro che mi ha colpito con un bastone di legno! E in cima al tetto c’era un giudice che diceva “portatemi quel brigante!”.

Tutti i briganti si guardarono in faccia atterriti, e si dissero che non valeva la pena rischiare la vita per il bottino nascosto nella casa. E così fuggirono via e non si fecero mai più vivi.

Intanto i quattro musicanti di Brema, contenti di aver finalmente trovato un posto tutto per loro, non vollero più andare a Brema a far parte della banda, ma restarono per tutta la vita in quella comoda casetta.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Carlo impara a non arrabbiarsi 😡

Come mai Carlo si arrabbia sempre!?

Carlo si arrabbia per tutto, per la colazione troppo calda fatta dalla mamma, per gli amici che secondo lui non sanno giocare a pallone, per i sassi che gli entrano nelle scarpe ecc. ecc. senza mai godersi la vita per quella che è.

Ma ci penserà un fiore a fargli cambiare punto di vista…

Carlo impara a non arrabbiarsi 😡


C’era un tempo, al posto dei grandi edifici e delle strade trafficate, una bella e tranquilla campagna adornata da tanti fiori selvatici che ne profumavano l’aria; qui abitava Carlo, un ragazzino che, nonostante avesse per sé tanti docili animali, amici con cui giocare e la fortuna di vivere in quell’incantevole paesaggio bucolico, non riusciva mai ad arrivare a sera senza che qualcuno l’avesse fatto arrabbiare.

Sorse alto il sole in una mattina dal cielo limpido, e baciò tutti i terreni del paesino e infine un raggio, attraverso la finestra, carezzò il volto di Carlo, che piano aprì gli occhi.

Carlo, ancora un po’ intontito, si alzò e si diresse in cucina, dove la sua mamma gli servì la colazione.

“Questo latte scotta, non posso mica berlo!”, esclamò Carlo infastidito.
“Potresti soffiarci un po’ su. O più semplicemente, aspettare che si raffreddi”, gli rispose pacatamente la mamma, che ai capricci di Carlo ormai era abituata.

Ma Carlo non ne volle sapere nulla di aspettare, poiché fermamente convinto che la mamma avrebbe dovuto essere meno sbadata e preparare il latte come piace a lui. Così, con la sua lingua troppo lunga e ora anche bruciata, andò a prepararsi per uscire a giocare.

Durante la sua passeggiata, un cane che giocava in un laghetto, si scosse l’acqua da dosso e schizzò accidentalmente Carlo.

“Che cane stupido!”, ancora una volta, il ragazzino s’innervosì.

Queste cose accadevano proprio sempre a lui che non aveva nessuna colpa, e non ci volle molto prima che la prossima seccatura lo raggiungesse: una volta arrivato dai suoi amici iniziò a giocare con loro a calcio, ma Luca, con un tiro sbagliato, fece finire la palla accidentalmente in testa a Carlo.

“Hai idea di quanto mi sarei potuto far male se l’avessi tirata più forte?”
“Mi dispiace, non l’ho fatto apposta!” Provava a giustificarsi mortificato Luca.
“Se hai una mira così pessima, forse non dovresti proprio giocare col pallone!” Continuava Carlo, infuriato.

Luca provò a farsi perdonare, ma Carlo ormai non ne poteva più, non riusciva mai a trascorrere tranquillamente la sua giornata.

Anche nelle ore successive continuava a sembrargli che tutto gli si ritorcesse contro; durante il tragitto di ritorno un sassolino gli entrò nella scarpa, il vento gli spettinò i capelli, e stava perfino inciampando su un gradino.

“Stupido sasso, stupido vento e stupido gradino!” Carlo ancora non capiva cosa avesse fatto di male per meritarsele tutte.

Carlo tornò a casa spazientito, e inoltre non gradì nemmeno il pranzo: la mamma si ostinava a preparare le verdure, ma lui non le voleva proprio assaggiare.

Carlo riposò, e una volta alzatosi la rabbia per la sua sventurata mattinata era ormai sbollita, ed era deciso, una volta per tutte, ad arrivare al letto col sorriso. Dunque Carlo mise in atto una serie di precauzioni: disse alla mamma cosa avrebbe voluto mangiare a cena, indossò un impermeabile per non bagnarsi o sporcare i propri abiti, un casco per prevenire le pallonate maldestre di Luca e scarpe ben chiuse per evitare che qualche sassolino vi s’intrufolasse all’interno. In più, camminava guardando con la massima attenzione dove metteva i piedi, per evitare di inciampare.

Una volta arrivato dai suoi amici, tutti risero di come Carlo si fosse conciato, ma appena videro che ciò lo stava facendo infuriare per l’ennesima volta, decisero di assecondarlo per evitare inutili litigi.

Carlo, ben protetto, iniziò a giocare con gli altri bambini, ma dopo un po’ dovette fermarsi: faceva troppo caldo per l’impermeabile, il casco era ingombrante e scomodo, le scarpe gli stavano strette e, nel timore d’inciampare, non correva.

Ormai annoiato, Carlo andò via.

Calava uno spettacolare tramonto, ma Carlo non lo notò perché percorreva la strada verso casa a testa bassa e sconsolato, nulla riusciva a distrarlo dal pensare a tutto ciò che lo infastidiva, nemmeno quel bel quadro che i colori della natura stavano dipingendo sulle strade che percorreva.

La spina di una rosa graffiò la caviglia di Carlo, lì dove il suo impermeabile non arrivava.

“Stupida rosa!” Disse Carlo, con tono rassegnato, in quanto aveva constatato accettato di essere un bambino sfortunato.
“Stupida io?” Parlò con voce dolce la rosa. “Potrò non avere occhi e orecchie come le tue ma ci sento, e soprattutto, vedo più di te”

Carlo rimase stupido, ma incuriosito e anche un po’ scettico, si voltò e chiese alla rosa:

“Tu non hai occhi, come potresti vederci meglio di me?” chiese con aria di sfida.
“Sono più saggia di te.” Rispose fieramente la regina dei fiori.
“Io resto qui a testa alta, e accolgo tutto ciò che il cielo mi offre. Lascio che il sole mi scaldi e che la pioggia mi bagni, così ho imparato ad apprezzare il loro ciclico alternarsi e a giovare di entrambi, crescendo forte e bella” continuò la rosa.
“Ma io non ho bisogno ne di bagnarmi ne della luce del sole, non sono un fiore!” Disse un po’ deluso Carlo.
“Certo, ma ti sforzi tanto nel creare tua pace, non sarebbe più facile accettare che gli eventi indesiderate, che tu lo voglia o meno, a volte accadono? E se ti concentri solo su questi aspetti, non ammirerai mai ciò che invece di bello ti viene offerto, hai mai pensato a quanto sei fortunato per la tua mamma, i tuoi amici e l’incanto che ti circonda?

Carlo rimase in silenzio. Guardò il cielo, la rosa, e rimase a pensare.
“Dinanzi a ciò che ti ferisce, la pazienza e l’ottimismo sono disarmanti, e i tuoi problemi così non potranno farti alcun male se non farti crescere più forte, senza che tu abbia bisogno di ripararti tanto” disse per l’ultima volta la rosa, addormentandosi al primo accenno di luna.
Carlo percorse la strada di casa guardando ammaliato ciò che aveva intorno, salì di freneticamente i gradini e baciò la mamma, mangiò con gusto e infine andò a dormire col sorriso, nel suo letto che gli parve per la prima volta il più comodo del mondo.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Laura per aver condiviso con tutti noi questa fiaba, afficace per tutti quei bambini che molto spesso si arrabbiano per un non nulla.

Pollicino 👦⚪⚪⚪

Pollicino è tanto piccolo quanto furbo, e riuscirà a salvarsi dall’orco cattivo insieme a tutti i suoi fratelli!

Pollicino è una famosa fiaba di Charles Perrault, tradotta in italiano anche da Carlo Collodi, che narra la brutta avventura di sette fratelli abbandonati nel bosco e catturati da un orco cattivo.

Ma grazie all’astuzia di Pollicino e anche all’aiuto dei magici stivali delle sette leghe, tutto finirà per il meglio e i bimbi potranno far ritorno a casa dalla loro mamma. 😊

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Pollicino!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Pollicino raccontata da William!

🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve di Pollicino!

Pollicino 👦⚪⚪⚪ racconto completo


C’era una volta, tanto tempo fa, un casotto isolato e vicino alla Foresta Nera, dove vivevano un povero boscaiolo, sua moglie e i loro sette figli, tutti maschi.

Era stato un anno di carestia e ultimamente il boscaiolo non riusciva a guadagnare abbastanza da portare cibo a sufficienza per sfamare tutta la famiglia.

Il boscaiolo era un uomo rude e molto irascibile. Una sera, capendo che il giorno successivo non avrebbe avuto di che sfamare se stesso e di conseguenza tutta la famiglia, prese la moglie e le disse:

– Non abbiamo in casa più cibo nemmeno per arrivare a sera. Ho deciso che domani porteremo nel bosco i bambini e li abbandoneremo, così almeno noi due ce la caveremo.

La moglie inorridita per quella dura e crudele sentenza si mise a piangere disperata, cercò di convincere il marito a non abbandonare i loro figli, ma l’uomo fu irremovibile.

I due non si accorsero però che, sotto al tavolo della misera cucina, stava rannicchiato Pollicino, il più piccolo dei loro figli che era talmente minuscolo da potersi nascondere ovunque senza essere scoperto. Pollicino sentendo discutere animatamente i genitori volle scoprire di cosa stavano parlando.

Nel sentire quelle terribili parole, Pollicino che era tanto piccolo quanto intelligente, capì che doveva fare qualcosa per salvare se stesso e i suoi fratelli.

Corse fuori di casa fino al vicino ruscello e iniziò a prendere tanti piccoli sassolini bianchi fino a riempire il tascapane che portava sempre con sé, poi tornò a casa e si mise a dormire nel suo lettino.

Il mattino seguente il boscaiolo e la moglie, presero tutti i loro bambini e li portarono nel bosco con la scusa di farsi aiutare a raccogliere della legna.

I bambini, che non immaginavano le reali intenzioni dei genitori, partirono entusiasti. Tutti tranne Pollicino, che si mise in coda al gruppo.

Pollicino, senza farsi vedere, ogni tanto lasciava cadere sul sentiero uno dei piccoli sassolini bianchi raccolti sul greto del fiume, certo che l’avrebbero aiutato a ritrovare la strada di casa una volta abbandonati nel bosco.

Dopo una lunga camminata fin dentro il cuore della Foresta Nera, il boscaiolo e la moglie dissero ai bambini di fermarsi a raccogliere tutte le frasche e rametti che potevano, mentre loro sarebbero andati a raccogliere legna lì vicino.

– Non muovetevi da qui – disse con voce ferma il loro padre – noi torneremo presto a prendervi.

E così il boscaiolo e la moglie sparirono tra gli alberi della foresta.
I bambini che non sospettavano nulla iniziarono felici a fare il loro dovere, finchè non arrivò quasi sera, e i loro genitori non si erano ancora fatti vivi…

Tutti i fratellini a poco a poco iniziarono ad avere paura, poi alcuni di loro iniziarono a piangere, finché non intervenne Pollicino:

– Fratelli miei, non preoccupatevi, io so come riportarvi tutti a casa, seguitemi! – e con sicurezza iniziò a camminare spedito nel bosco seguendo la traccia dei sassolini lasciati a terra.

Prima che il buio impedisse loro di vedere il sentiero, furono di nuovo a casa.

La madre, non appena li vide, corse ad abbracciarli tutti, piena di gioia. Il padre invece sbuffò e inventò la scusa che si erano persi pure loro nella foresta, e non erano più riusciti a ritrovarli.

Ma dopo aver aspettato che tutti i bambini fossero a letto a dormire, il boscaiolo riprese la moglie e le disse nuovamente:

– Non possiamo assolutamente permetterci di mantenere tutti quei bambini, domani li porteremo in un’altro punto della foresta, più lontano ancora, e li abbandoneremo!

La donna spense tutta la gioia che aveva provato nel riabbracciare i suoi piccoli e, chinando il capo, cercò di nascondere le lacrime che scendevano sul suo viso.

Pollicino, che aveva sospettato una nuova decisione del genere da parte del padre, era rimasto sveglio e si era messo ad origliare dall’altra parte della stanza.

Sentendo quelle parole, decise di ritornare al fiume a riempire il tascapane di sassolini, ma purtroppo trovò la porta di casa sprangata e non poté uscire. L’unica cosa che trovò fu un piccolo pezzo di pane raffermo, con quello poteva fare piccole briciole per segnare il sentiero.

Il mattino seguente, con un’altra scusa i genitori presero i loro figli e li portarono ancora più in fondo nella Foresta Nera, in un punto in cui anche la luce faceva fatica a passare tra le fronde degli alberi. E li abbandonarono di nuovo.

Come il giorno precedente, i bambini in un primo momento rimasero sereni, ma non ci misero molto a comprendere che erano stati di nuovo lasciati soli.

Pollicino, sicuro di sé, li radunò tutti e li tranquillizzò dicendo che li avrebbe ricondotti a casa, e si mise a cercare le bricioline che aveva lasciato sul sentiero.

Ma non riuscì a trovarle perché gli uccellini si erano mangiati tutte le bricioline di pane!

Impauriti e disperati i sette fratelli iniziarono a vagare per la foresta.
Stava arrivando la sera, quando a Pollicino venne un’idea. Si arrampicò fino in cima ad un albero per vedere meglio la direzione da prendere.

Con sorpresa, vide che poco distante c’era una casa con le luci accese e il comignolo fumante.
– Ho trovato una casa fratelli! Andiamo a chiedere ospitalità per la notte! – esclamò Pollicino.
E così si incamminarono.

Giunti alla casa, Pollicino bussò. Poco dopo aprì la porta un’orchessa che guardandoli con meraviglia chiese:
– Cosa ci fate qui bambini?!

– Ci siamo persi nel bosco, abbiamo freddo e fame e non sappiamo dove passare la notte… – rispose Pollicino.
– Ma questa è la casa di un orco ghiotto di bambini, se vi trova vi mangia! – disse preoccupata l’orchessa.

– Moriremo comunque di stenti qui nel bosco se lei non ci aiuta… a questo punto meglio essere mangiati da un orco… – concluse Pollicino.

L’orchessa, impietosita dagli sguardi spauriti dei bambini disse:
– …e va bene, entrate, svelti, vi darò da mangiare e vi nasconderò – e così fece.

Poco dopo l’orco rientrò a casa annusando l’aria con soddisfazione:
– Senti senti che bell’odorino di bambini paffuti e grassottelli che c’è nell’aria… moglie, volevi farmi una sorpresa? – e si precipitò subito ad aprire la porta del ripostiglio dove erano nascosti tutti i fratellini.

L’orchessa tentennante rispose:
– … sì caro mio, ma li mangerai domani, per stasera ti ho già preparato un’abbondante cena…
L’orco sorrise beffardo e si mise a cenare.

L’orchessa prese Pollicino e i suoi fratelli e li accompagnò a dormire.

Nella camera erano presenti due enormi letti, in uno stavano dormendo le sette figlie degli orchi, nell’altro avrebbero dormito i sette fratelli.

Le piccole figlie degli orchi erano amate dal loro padre come fossero principesse, tanto che ognuna di loro aveva in testa una graziosa coroncina intrecciata. Pollicino notò la cosa e la tenne a mente.

Dopo averli messi tutti a letto l’orchessa chiuse la porta della stanza. Pollicino aveva un brutto presentimento e chiese ai suoi fratelli di scambiare i loro berretti con le coroncine delle piccole orchette.

Le preoccupazioni di Pollicino erano ben fondate perchè, quando ormai stavano tutti dormendo, sentì aprirsi piano la porta della stanza. Era l’orco che nel buio era venuto a prenderli!

L’orco ben sapeva che le sue bimbe portavano una coroncina in testa, quindi nel buio si mise a tastare le testoline dei sette fratelli, e sentendo le coroncine si spostò spedito verso l’altro letto, aprì un sacco e credendo di prendere i bambini, vi gettò dentro invece tutte le sue figlie. Poi uscì dalla stanza.

Pollicino svegliò i suoi fratelli.
– Svelti! Svelti! E’ il momento di scappare!
I bimbi fuggirono via dalla finestra, per fortuna c’era la luna piena ad illuminare il sentiero nella foresta.

Non passò molto tempo che l’orco, aprendo il sacco, si accorse di aver preso per sbaglio le sue bambine. Infuriato come non mai si infilò i magici stivali delle sette leghe e partì all’inseguimento di Pollicino e i suoi fratelli.

Gli stivali delle sette leghe consentivano di fare decine di metri per ogni passo fatto, e in breve l’orco si era avvicinato moltissimo a Pollicino e i suoi fratelli senza però raggiungerli.

Purtroppo gli stivali erano tanto portentosi quanto stancanti e l’orco, dopo aver corso per alcuni minuti, si fermò stremato a riposare appoggiato al tronco di un albero, e siccome era notte fonda, si addormentò.

Pollicino, sentendo russare sonoramente l’orco, decise di rubargli gli enormi stivali e indossarli. Siccome erano stivali magici si adattarono subito ai piccoli piedi di Pollicino.
– Fratelli ho avuto un’idea, aspettatemi qui! – disse, e poi si precipitò a casa dell’orchessa.

– Signora orchessa, è successa una disgrazia! – gridò Pollicino – suo marito l’orco è stato rapito dai banditi, e se non avranno tutto il vostro oro, lo uccideranno!
L’orchessa senza farselo ripetere due volte prese tutto quello che aveva in casa e lo consegnò a Pollicino, che corse di nuovo dai suoi fratelli.

– Con tutto quest’oro e con questi stivali non avremo più preoccupazioni fratelli miei! – disse entusiasta Pollicino. Tutti i suoi fratelli gli fecero festa.

Ripresero il cammino verso casa, dove arrivarono alle prime luci dell’alba.

Entrando Pollicino trovò la loro madre che piangeva disperata.
– Mamma, siamo tornati! – esclamò.
La madre si voltò e corse ad abbracciarli tutti quanti, riempiendoli di baci.

Pollicino chiese dov’era il loro padre e la madre raccontò loro che avevano litigato furiosamente a causa del loro abbandono, così lui aveva deciso di andarsene via per sempre, in cerca di fortuna da qualche altra parte.

I bambini mostrarono alla madre tutto l’oro sottratto agli orchi e Pollicino, il giorno stesso, si presentò dal re, ottenendo un incarico come messaggero privato grazie agli stivali delle sette leghe.

La madre era incredula che le loro sorti potessero essere cambiate così tanto in così poco tempo, ma era felice di poter essere riunita ai suoi bambini, e la loro famiglia visse per sempre felice e contenta.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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I tre porcellini 🐷🐷🐷

Per salvarsi dal lupo cattivo non bisogna essere pigri, ma bisogna impegnarsi e fare le cose fatte per bene, e questo i tre porcellini lo impareranno sicuramente!

I 3 porcellini è una fiaba classica che si racconta ai bambini per una ragione molto valida, non solo insegna a stare attenti al lupo cattivo, ma anche a fare le cose per bene e senza fretta.

L’unica casetta che infatti resiste alla furia del lupo è quella costruita con calma e con solidi e resistenti mattoni!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare dei tre porcellini!

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🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve dei tre porcellini!

I tre porcellini 🐷🐷🐷 storia completa


C’erano una volta tre porcellini, Timmy, Tommy e Gimmy che abitavano tutti ancora nella casa della mamma.

Un giorno la mamma disse loro – siete ormai grandicelli ragazzi miei, penso sia ora che prendiate ognuno di voi la vostra strada e costruiate ognuno la propria casetta!

I tre porcellini, seppur a malincuore, sapevano che era la cosa giusta da fare, erano diventati finalmente grandi e così si fecero forza e prepararono ognuno il proprio bagaglio.

Timmy fece un fagotto con tutti i suoi dolci e il flauto che amava tanto suonare.
Tommy riempì di giocattoli una borsa assieme al suo caro violino.
Gimmy invece preparò la sua cassetta degli attrezzi con tutto ciò che gli sarebbe servito per costruire una solida casetta.

Così si prepararono, salutarono la mamma che augurò loro buona fortuna, e si incamminarono allegri e felici per il sentiero.
– Fate attenzione al lupo cattivo! – si raccomandò tanto la mamma mentre li salutava con una lacrimuccia agli occhi.

I tre porcellini sorrisero, la salutarono ancora e proseguirono nel loro cammino.
Ma dalla collina, nascosto tra i cespugli, qualcuno stava osservando la scena, qualcuno a cui piacevano tanto i porcellini, soprattutto con contorno di patate arrosto… era il Lupo Cattivo!

Dopo un po’ che i tre porcellini camminavano allegramente Gimmy disse:
– Io mi fermerò qui per costruire la mia casetta, qui vicino c’è un ruscello e questi begli alberi mi faranno ombra nei mesi caldi.
– Va bene – risposero gli altri due – noi continuiamo a camminare!
Gimmy li salutò e cominciò a costruire la sua casetta.

Poco dopo Anche Tommy decise di fermarsi – io costruirò la mia casetta qui, dove ci sono tutti questi rami di legno già pronti per essere tagliati, così costruirò la mia casetta di legno!
– Va bene fratellino mio, io proseguo sul sentiero, a presto!

Timmy quindì salutò Tommy e continuò a camminare, finché non vide un bel covone di paglia dorata essiccata al sole.
– Potrei costruire la mia casetta con quella paglia, ci metterei pochissimo così poi potrei subito andare a giocare! – disse, e così fece.

In quattro e quattr’otto, con qualche rametto qua e là, la casetta di paglia era pronta, così potè subito uscire in giardino e mettersi a suonare il suo amato flauto.

Anche Tommy ormai aveva ultimato la sua casetta. Non era molto robusta perché per fare presto e poter andare a divertirsi nei prati, aveva deciso di inchiodare le assi di legna in fretta e furia, giusto per arrivare al tetto e ripararsi dalla pioggia in caso di intemperie.
Non appena finì, prese il violino e cominciò a suonare.

L’ultimo a finire il suo lavoro fu Gimmy, che lavorò fino a sera per costruirsi la sua robusta casetta di mattoni con una bella porta in legno e una grossa serratura.
Ci fece perfino un bel caminetto, per non patire il freddo nelle lunghe giornate invernali.
Solo allora si godette il meritato riposo.

Il giorno seguente, il Lupo Cattivo, che aveva spiato i tre porcellini per tutto il giorno precedente, si presentò alla casetta di paglia di Timmy e disse con la sua vociona:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?

Ma Timmy, che si ricordava bene delle parole della mamma guardò fuori dalla finestra e disse:
– Non sono mica matto! Tu sei il Lupo Cattivo! – e chiuse anche la finestra pensando così di essere al sicuro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e preso un gran respiro si mise a soffiare così forte sulla casetta di Timmy, che la paglia volò via, e della casetta non rimase nulla…
Timmy corse via più forte che poteva e raggiunse Tommy nella sua casetta di legno.

– Il Lupo Cattivo con un gran soffio ha fatto volar via la mia casetta!
– Non ti preoccupare – rispose Tommy – puoi rimanere nella mia casetta di legno.

Ma poco dopo il Lupo bussò anche lì:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
I due capirono subito che si trattava del Lupo Cattivo e risposero in coro:
– Non siamo mica matti! Tu sei il Lupo Cattivo!

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare così forte che anche la casetta di Tommy, con le assi di legno inchiodate in tutta velocità, volò via…

Timmy e Tommy corsero via a perdifiato e andarono da Gimmy, che li accolse subito.
– Tranquilli fratellini miei, questa è una solida casa di mattoni, e il Lupo non riuscirà a spazzarla via.

Infatti poco dopo arrivò il Lupo Cattivo.
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
– Non siamo mica matti! – risposero i tre in coro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare forte, ma così forte che… non successe nulla.
La casetta di mattoni era ancora lì.

Il lupo allora provò e riprovò, ma niente, neanche uno scricchiolio.
– Entrerò dal camino! – disse, e con un balzo era già sul tetto.
Gimmy capì cosa aveva in mente di fare il Lupo e quindi preparò un gran pentolone di acqua bollente sul fuoco del camino, così quando il Lupo Cattivo si calò giù dal camino finì dritto in pentola!

Il Lupo gridò dal dolore e scappò via su per la canna fumaria del camino con la coda tutta scottata!

Da quel giorno nessuno dei 3 porcellini vide mai più il Lupo Cattivo. Anche Timmy e Tommy decisero di rimboccarsi le maniche e costruire ognuno una bella casa di mattoni proprio accanto a quella di Gimmy, così tutti i giorni potevano suonare e ballare:

“Siam tre piccoli porcellini
siamo tre fratellini.
Mai nessuno ci dividerà
tra-lalla-la-là”

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Cappuccetto Rosso 🐺

Cappuccetto Rosso, per salvarsi dal Lupo Cattivo, avrebbe dovuto ascoltare meglio i consigli della mamma…

Cappuccetto Rosso per raggiungere più in fretta la nonna prende la scorciatoia per il bosco, e ben presto si ritrova in mezzo ai guai…

Cappuccetto Rosso è la fiaba che mette in guardia dall’ascoltare e credere alle parole dei “lupi cattivi” che in realtà vogliono solo farci del male.

Spesso i bambini, nella loro purezza, sottovalutano i consigli di mamma e papà nello stare in guardia dagli sconosciuti, con questa fiaba potrete insegnarglielo in modo gentile e sereno.

Siccome non ci piace fare male agli animali, nella nostra di fabulinis il lupo cattivo non fa una brutta fine 😉

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Cappuccetto Rosso!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Cappuccetto Rosso raccontata da Silvia!

Cappuccetto Rosso 🐺 racconto completo


C’era una volta una bimba tanto carina. Tutti le volevano bene, specialmente la nonna che la coccolava e passava sempre un sacco di tempo con lei.
Un giorno la nonna le regalò una mantellina di velluto rosso e, siccome i suoi regali erano importantissimi, non voleva mai toglierla.
In paese iniziarono quindi a chiamarla Cappuccetto Rosso.

La nonna però si ammalò, e un giorno la mamma di Cappuccetto Rosso disse alla bimba:
– La nonna è debole e malata. Portale questa focaccia e questa tisana alle erbe, così si rimetterà in forze. Salutala per me, e mi raccomando: segui la strada che attraversa i campi di grano e non entrare nel bosco, altrimenti rischi di finire nei guai.
– Sì, mamma, farò come mi dici – promise la bimba alla mamma, dandole un bacio.

Ma la nonna abitava in una casetta a una mezz’ora buona di cammino dal villaggio, e Cappuccetto rosso sapeva che prendendo la scorciatoia dentro il bosco sarebbe arrivata prima.
“Cosa potrà mai succedermi? Ho fatto tante volte quel sentiero in compagnia del papà” pensò la bimba.
Cappuccetto Rosso, quindi, prese la scorciatoia. Camminava con passo spedito e, man mano che andava avanti, il bosco diventava sempre più fitto e buio.

Finché ad un certo punto, proprio in mezzo alla strada, incontrò un lupo che sembrava quasi la stesse aspettando.
Cappuccetto Rosso non ebbe paura: non sapeva che quella era una bestia tanto cattiva.
– Buon giorno bimba – disse il lupo.
– Buon giorno a te – rispose Cappuccetto Rosso
– Dove vai così di fretta?
– Vado dalla nonna che è malata.
– E che cos’hai nel cestino? – continuò il lupo.
– Una tisana e una focaccia, la aiuteranno a guarire –
– Ma che brava bimba! Ma dimmi, dove abita la tua nonna? –
– Vicino al mulino, dove ci sono gli alberi di noccioli – disse Cappuccetto Rosso.

Il lupo pensò: “Questa bimba è proprio ingenua…” – Se vuoi ti faccio compagnia fino dalla nonna, qui nel bosco si possono fare dei brutti incontri sai?
Cappuccetto Rosso annuì e sorrise felice.
Il lupo iniziò a camminarle a fianco ma sembrava pensieroso, finché all’improvviso sorrise tra sé e sé. Aveva escogitato un diabolico piano.

Aspettò di arrivare appena fuori dal bosco e le disse:
– Ecco bimba mia, da qui in avanti puoi continuare da sola, spero di rivederti presto!
– Grazie mille signor lupo, a presto! – rispose Cappuccetto Rosso.
– Ma guarda quanti bei fiori ci sono laggiù! – disse il lupo – non sarebbe bello raccoglierne un mazzo per la nonna?
Cappuccetto Rosso guardò i fiori: erano stupendi e corse a raccoglierne un bel mazzetto per la nonna.

Il lupo approfittò del momento di distrazione di Cappuccetto Rosso e corse dritto alla casa della nonna.
– Chi è? – chiese la nonna quando sentì bussare alla porta.
– Cappuccetto Rosso, nonna. Aprimi! – disse il lupo con la vocina più dolce che poteva.
– Devi solo spostare il chiavistello – rispose la nonna, – io sono troppo debole per alzarmi.
Il lupo spostò il chiavistello ed entrò, andò dritto verso il letto della nonna e… gnam! se la mangiò in un sol boccone.
Poi indossò i suoi vestiti e la sua cuffia e si nascose sotto le coperte ad attendere.

Cappuccetto Rosso, dopo aver raccolto un bel mazzolino di fiori, corse dalla nonna.
Stranamente trovò la porta spalancata e, entrando piano piano nella stanza, ebbe una sensazione così cupa che pensò: “c’è un silenzio strano qui oggi, mi vien quasi voglia di andare via… davvero strano, di solito sto così volentieri con la nonna…”
Si avvicinò al letto e spostò la coperta: la nonna aveva la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.

– Nonna, che orecchie grandi che hai! – disse la bimba
– Per sentirti meglio, bambina mia! – rispose il lupo
– E che occhi grossi che hai!
– Per vederti meglio, bambina mia!
– Nonna, ma anche le tue mani sono così grandi! – disse Cappuccetto, sempre più spaventata.
– Per afferrarti meglio! – iniziò a ghignare il lupo.
– Ma, nonna, e che bocca spaventosa che hai! – gridò Cappuccetto Rosso.
– Per divorarti meglio! – E dicendo queste parole, il lupo balzò dal letto e… gnam! Mangiò la povera Cappuccetto Rosso in un sol boccone.
Poi, con la pancia bella piena, il lupo si rimise a letto, si addormentò e incominciò a russare sonoramente.

Solo che la nonna e Cappuccetto Rosso, dentro la pancia del lupo, stavano veramente strette.
Cappuccetto Rosso allora iniziò a fare il solletico dentro la pancia del lupo, e subito anche la nonna cominciò a farlo.
Il sonno del lupo iniziò a essere molto disturbato, si girava di qua e di là dal fastidio, finché non si svegliò di soprassalto.
Iniziò a tossire così forte che anche le mura della casa tremavano, finché fece due colpi talmente forti che dalla bocca gli uscirono fuori sia Cappuccetto Rosso che la Nonna!

Caso vuole che proprio il quel momento passasse di lì il cacciatore, il quale, sentito tutto quel trambusto, non poté fare a meno di affacciarsi alla finestra a guardare tutta la scena.
Il lupo, che si teneva la pancia con le mani per il dolore provocatogli dai forti colpi di tosse, quando vide il cacciatore affacciarsi alla finestra, gridò di paura e corse veloce fuori dalla casa della nonna.

Il cacciatore non fece in tempo ad imbracciare il fucile che il lupo era ormai già lontano. Ma andava bene così, lo avrebbe acciuffato un altro giorno. L’importante era che Cappuccetto Rosso e la nonna stessero bene.
Le due, un po’ frastornate per l’accaduto, stavano comunque bene e ringraziarono il cacciatore per aver fatto scappare il lupo.

Poi Cappuccetto Rosso guardò la nonna, e si scusò dicendole:
– Scusami nonnina, è tutta colpa mia se il lupo è entrato in casa tua e ha cercato di mangiarci… sono stata una sciocca ad inoltrarmi nel bosco da sola, e a fidarmi di un lupo cattivo. Prometto che non lo farò mai più!

La nonna, visto che Cappuccetto rosso aveva compreso bene i suoi sbagli, la abbracciò forte forte, la baciò in fronte e le disse di ascoltare sempre quello che diceva la mamma, che era solo per il suo bene.
Così Cappuccetto Rosso tornò a casa, ma per la strada che attraversava i campi di grano, mica attraverso il sentiero del bosco!

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La cicala e la formica 🐜

La cicala balla e canta mentre la formica fa provviste per l’inverno che sta per arrivare… chi delle due arriverà meglio preparata all’arrivo del freddo?

La cicala e la formica è una favola famosissima, scritta da Esopo secoli fa e arrivata fino a noi grazie a Jean de La Fontaine.

La morale della favola ci insegna che, se si vuole arrivare preparati ad affrontare i momenti difficili, è necessario impegnarsi e lavorare sodo!

Questa è la versione di fabulinis, ma ci piace citare anche Gianni Rodari che ha una diversa “visione” della morale della favola:

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!

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La cicala e la formica 🐜 racconto completo


C’era una volta un’estate calda calda, e una cicala a cui non piaceva né sudare né far fatica. L’unica cosa che le piaceva fare era cantare tutto il giorno.

Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala, passava avanti e indietro una formica, tutta indaffarata a portare sulla sua schiena un sacco di cose: pezzetti di cibo, sassolini, legnetti ecc.
La cicala, vedendo quanto era sudata la formica, iniziò a prenderla in giro:
– Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone – e, così dicendo, iniziò a cantare.

– Grazie mille per l’invito, signora cicala, ma io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà – e, così dicendo, continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata.
– Ma l’estate è ancora lunga – continuò la cicala – e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per mettere via le provviste!

La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala.
– Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a riposare – e la cicala riprese a cantare un’altra canzone.

Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci, ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio.
La cicala vagava per i campi e i prati arrabattandosi come poteva, recuperando qua e là qualcosa da mangiare e riparandosi dal freddo dove capitava.

Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata. La cicala aveva tanta fame e tanto freddo, così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate, dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio e un odorino di cibo molto invitante.

– Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?
– Buonasera signora formica – rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso. – Ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte.

La formica guardò la cicala con compassione.
– Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima estate mi aiuterai a far provviste.

La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto.

Morale: chi non fa nulla, non ottiene niente, è per questo che bisogna impegnarsi.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Hänsel e Gretel 👦👧🏡

Hänsel e Gretel, con l’astuzia e un pizzico di furbizia, vincono anche contro la strega cattiva!

Hänsel e Gretel è una fiaba dei fratelli Grimm molto famosa per la “Casetta di Marzapane” che serve alla strega cattiva per attirare i bambini che si sono persi nel bosco e cercare poi di mangiarseli, ma questa volta sarà la strega a fare una brutta fine…

Nella fiaba originale un ruolo molto importante lo gioca la “cattiva matrigna” dei due bambini. Nella nostra versione di fabulinis abbiamo preferito omettere lo stereotipo tipico della matrigna cattiva.

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🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Hänsel e Gretel raccontata da William!

🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve di Hänsel e Gretel!

Hänsel e Gretel 👦👧🏡 Racconto completo


C’era una volta, ai margini della foresta della Turingia, una piccola casetta dove vivevano due fratellini, Hänsel e Gretel.

Il loro papà faceva il taglialegna e la loro mamma, oltre ad occuparsi di tutte le faccende domestiche, spesso lo aiutava nel lavoro.
Era stato un anno difficile, poche persone avevano avuto bisogno del lavoro del taglialegna, e nelle ultime settimane il cibo sulla loro tavola scarseggiava.

Spesso la sera, Hänsel e Gretel dalla loro cameretta, sentivano il loro povero papà piangere per la paura di non riuscire a guadagnare abbastanza da poter sfamare la sua famiglia.

Hänsel e Gretel si rannicchiavano sotto le coperte, tristi e con gli occhi lucidi.
– Dobbiamo fare qualcosa – mormorò Hänsel.
– Ma cosa possiamo fare noi due piccoli bambini? – rispose Gretel.
Dopo un lungo silenzio di riflessione, Hänsel propose:
– Possiamo andare nel bosco insieme al papà e aiutarlo nel raccogliere la legna.
– E’ una bella idea – rispose entusiasta Gretel.

Così il mattino seguente i due bambini si presentarono pronti per accompagnare nel bosco il loro papà, che li guardò orgoglioso per aver due bambini così volenterosi.
Si incamminarono quindi per il bosco, fino ad arrivare ad una grande catasta di legna. Il papà si fermò e con la sua ascia riprese il lavoro che aveva interrotto il giorno precedente.

Disse ai suoi ragazzi di raccogliere i rami più piccoli e ammucchiarli in un punto lì vicino.
I due piccoli iniziarono subito a correre di qua e di là raccogliendo tutti i rami che trovavano per terra. Il papà taglialegna, con la coda dell’occhio, li guardava felice e allo stesso tempo divertito.

Hänsel e Gretel svolgevano il loro compito in maniera molto diligente, finchè ad un certo punto Hänsel gridò:
– Guardate, una lepre!
Gretel e il loro papà si girarono verso di lui, era proprio una bella lepre che si era fermata sulle due zampe a guardarli incuriosita.
– Posso rincorrerla papà? – chiese Hänsel.
– Anche io! – aggiunse Gretel
Il loro papà li guardò, sorrise e disse:
– Va bene, ma non allontanatevi troppo! – “chissà mai che non la acchiappino così stasera mangiamo un bel leprotto arrosto” pensò rimettendosi al lavoro.

I due scattarono subito verso la lepre che immediatamente si mise a correre a zig zag tra gli alberi. Anche Hänsel e Gretel erano veloci ma ben presto la lepre svanì dalla loro vista.
I due bambini, senza rendersene conto, per qualche tempo credettero pure di starle dietro, cercando di indovinare la strada che aveva percorso, poi di colpo Gretel si fermò.
– Dove siamo Hänsel? – disse con la voce ansimante per la corsa.

Hänsel si fermò anche lui, spaesato, si guardava intorno cercando di ritrovare la direzione da dove erano venuti, ma non riusciva a riconoscere niente intorno a sè, nessun albero, nessun arbusto.
– Siamo… siamo… – Hänsel cercava di dire qualcosa di rassicurante alla sua piccola sorellina mentre con lo sguardo perlustrava i dintorni, quando finalmente gli parve di riconoscere uno scorcio familiare – andiamo di là – disse con convinzione.

I due camminarono tra la fitta vegetazione fino ad un tronco abbattuto a terra, lo scavalcarono e si ritrovarono su un piccolo sentiero battuto. I loro cuori si riempirono di sollievo, certi che quel sentiero li avrebbe riportati a casa.

Camminavano spediti, l’uno accanto all’altra, pensando alla lepre sfuggita e alle risate che si sarebbe fatto il papà quando li avrebbe rivisti tornare a mani vuote, finché non arrivarono ad un bivio.

Si guardarono in faccia incerti, poi decisero per il sentiero di destra. Accelerarono il passo e si presero per mano. La giornata stava volgendo al termine, e la grande foresta silenziosa diventava sempre più buia.

Nell’aria iniziava a spargersi uno strano odore dolciastro e senza accorgersene finirono per seguirlo d’istinto.
Gretel iniziava ad avere paura – ci siamo persi… – mormorava al fratello, ma quando ormai stavano entrambi perdendo la speranza di riuscire a ritornare a casa, intravidero un grande slargo nella foresta.

Al centro di questo slargo c’era una buffa casetta azzurra, dal tetto rosa confetto e la porta e le finestre cicciotte come salsicce.
Hänsel e Gretel si avvicinarono di corsa e quando erano ormai praticamente sulla soglia della porta, si accorsero che l’intera casa era fatta di dolcissimo marzapane!

Presi dai morsi della fame, i due staccarono un piccolo pezzetto dal muro e iniziarono a mangiarlo, piano, con timore. Quando furono certi che il marzapane era vero ed era anche buonissimo, ne presero manciate sempre più grosse.
Ne mangiarono fino a riempirsi le pance e stavano per afferrarne un altro pezzetto quando la porta di cioccolato della casa si aprì.

Una vecchietta con gli occhi socchiusi, probabilmente miope, disse con voce forte e minacciosa:
– Chi siete, cosa volete?!
Hänsel e Gretel spaventati fecero un balzo all’indietro e si abbracciarono forte.
– Ci scusi tanto signora, siamo solo due poveri bambini che si sono persi nella foresta, e spinti dalla fame abbiamo dato qualche morso alla sua casa di marzapane… ci perdoni… – disse Hänsel.

La vecchietta sentendo queste parole cambiò subito espressione, e la sua voce si fece molto dolce – Oh poveri miei bambini, vi siete persi! Potevate bussare, vi avrei offerto una calda zuppa fumante… ma venite, venite vi prego, non vorrete passare la notte qua fuori al freddo… questa sera potrete dormire da me.

I due bambini, immensamente grati per la cortesia della vecchina, entrarono. La casa era piccola ma accogliente e riccamente decorata, piena di suppellettili d’oro e d’argento, e molti altri ornamenti avevano addirittura pietre preziose incastonate.
Si accorsero subito che la vecchietta non ci vedeva molto bene, perchè per trovare e dare loro un pezzo di pane e del latte andava cercando a tastoni per tutta la cucina.

Dopo la cena li accompagnò in una piccola stanzetta con due lettini, dove Hänsel e Gretel si coricarono e la vecchina diede loro la buonanotte. I due bambini, dopo quella lunga e stancante giornata, caddero in un sonno profondo.

Al mattino seguente Hänsel si svegliò, si stiracchiò un poco ma si accorse subito che non riusciva a muoversi bene. Poi, aperti meglio gli occhi, capì che qualcosa non andava: era rinchiuso dentro ad una grossa gabbia appesa sopra la cucina. Subito prese a gridare.
– Gretel! Gretel!

Un istante dopo comparve la vecchietta che spintonava Gretel fin sotto la gabbia di suo fratello.
– Tieni! Dai da mangiare a tuo fratello che deve diventare bello grassottello, così poi potrò farmi un bell’arrosto gustoso! – rise malignamente le vecchia, che uscì dalla stanza.

Gretel si avvicinò alla gabbia di Hänsel e gli passò un piatto con un bel pollo arrosto ancora fumante.
– La vecchietta è in realtà una strega cattiva… – mormorò Gretel – mi ha detto che vuole farti ingrassare per poi mangiarti… – continuò la piccola scoppiando a piangere.
– Non piangere sorellina mia, vedrai che riusciremo a cavarcela in qualche modo – cercò di rincuorarla Hänsel, prendendole e stringendole la mano attraverso le sbarre della gabbia. Poi osservò il pollo e gli venne un’idea…

La vecchia strega passava tutto il giorno a preparare deliziose pietanze da far mangiare ad Hänsel, mentre usava Gretel come sguattera per tenere in ordine la casa.
Ogni sera poi andava sotto la gabbia appesa di Hänsel e gli ordinava di porgerle il dito così da poterlo tastare e sentire se fosse ingrassato abbastanza da infilarlo nel forno e farci un bell’arrosto.

Ma Hänsel sapendo che la vecchia strega era quasi cieca, invece di porgere il suo dito, le porgeva un osso di pollo. La strega tastava l’osso e si rendeva conto che il bambino non era ingrassato per niente.
– Com’è possibile che non ingrassi mai con tutte le leccornie che ti cucino?! Vabbè, vedremo domani… – e se ne andava via sbuffando.

Continuò così quasi per un mese intero, finchè una sera, dopo aver tastato ancora il finto dito di Hänsel, la strega andò su tutte le furie:
– Non è possibile che non ingrassi mai bambino! Ora sono stufa! Ho deciso che ti mangerò lo stesso! – urlò.
E così riempì il forno di legna e lo accese mentre Gretel osservava la scena impietrita e terrorizzata.
– Tu! – gridò la strega rivolta a Gretel – infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo!

Gretel intuì al volo che se solo si fosse avvicinata al forno la strega avrebbe buttato dentro anche lei.
– Non ho capito cosa devo fare… – disse con un filo di voce Gretel.
– Infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo! – tuonò la strega.
– Ma io non so come si fa! – rispose Gretel.

La strega, in un impeto d’ira e al colmo della rabbia, la prese per il vestito, la strattonò fin davanti al forno e le disse:
– Guarda come si fa, incapace! – aprì lo sportello del forno infilandoci la testa.
Gretel come un fulmine diede un forte spintone alla strega, che barcollò e cadde dentro al forno, dopodichè chiuse con forza lo sportello.

Per la strega ormai non c’era più niente da fare.

Gretel corse da suo fratello e lo liberò dalla gabbia.
– Sei stata fantastica Gretel! – i due si abbracciarono forte.
Fecero un fagotto con del cibo e tutto l’oro e l’argento e le pietre preziose che riuscirono a portare via, dopo di che ripresero il sentiero per la foresta.

Camminarono per ore, senza sapere dove andassero realmente, quando all’improvviso sopra le loro teste comparve uno stormo d’anatre disposte a “V” come ad indicare una direzione.
– Guarda Hänsel! – gridò sorpresa Gretel.
– Sembra un segno, forse dovremmo seguirle! – rispose Hänsel.

E così fecero. Camminarono spediti fino ad arrivare ad un fiume.
– Questo fiume lo riconosco! – disse Hänsel.
– E’ vero, è il fiume che passa vicino casa nostra! – esclamò Gretel.

I due iniziarono a correre fino a raggiungere il sentiero che portava dritto a casa loro, dove sulla soglia della porta li stavano già aspettando la mamma e il papà che non avevano mai smesso di pregare per il loro ritorno.

Si abbracciarono tutti felici e pieni di gioia, i due bimbi raccontarono la loro terribile avventura, ma grazie a tutto l’oro e l’argento che avevano sottratto alla strega cattiva, non avrebbero mai più sofferto la fame.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Note su Hänsel e Gretel

In questa versione di Hänsel e Gretel realizzata da fabulinis, molti di voi avranno notato che è stato completamente omesso il passaggio iniziale in cui Hänsel e Gretel, dopo essere stati abbandonati nella foresta dai genitori, ritrovano la strada di casa grazie ai sassolini lasciati lungo il sentiero da Hänsel.

Questa parte di storia è praticamente identica all’incipit di un’altra famosissima fiaba: “Pollicino” (leggi la nostra versione della fiaba di Pollicino 👈)

Ma mentre Pollicino viene ricordata soprattutto proprio per l’astuzia dei “sassolini” lasciati a segnare il sentiero per tornare a casa, Hänsel e Gretel viene ricordata maggiormente per la “Casetta di Marzapane” della strega cattiva.

Non volendo scrivere due fiabe con l’inizio identico, abbiamo deciso di differenziarle leggermente mantenendone però inalterato lo svolgimento globale.

Speriamo che questa nostra versione vi sia piaciuta!

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Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻

Cosa succede se una bimba un po’ monella entra in casa di una famiglia di orsi?

Riccioli d’oro è una bimba un po’ birbante che, senza permesso, entra nella casa della famiglia dei tre orsi.

Poveri i tre orsi che si ritroveranno tutta la casa sottosopra…!

Come se la caverà Riccioli d’oro?

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Riccioli d’Oro e i tre Orsi!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Riccioli d’Oro e i tre Orsi raccontata da William!

🌟 Favola breve 🤏

Giornata stancante? Vai di fretta? Abbiamo preparato anche la versione breve di Riccioli d’Oro e i tre Orsi!

Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻 racconto completo


C’era una volta, nel folto di un grande bosco, la casetta della famiglia degli orsi.
Dentro ci vivevano il papà orso, mamma orsa e il piccolo orsetto, che quel giorno erano tutti intenti a fare qualcosa:
Papà orso stava leggendo il giornale, mamma orsa stava preparando la zuppa per il pranzo e il piccolo orsetto stava giocando.

Ad un certo punto la mamma orsa esclamò:
‒ E’ pronta la zuppa!
Tutti si sedettero a tavola e presero la loro scodella, ma non appena l’assaggiarono si accorsero subito che era ancora troppo bollente per essere mangiata.

‒ Mentre aspettiamo che la zuppa si raffreddi, faremo una bella passeggiata nel bosco ‒ disse papà orso.
‒ Bella idea! ‒ rispose mamma orsa.
‒ Siiiii! ‒ esclamò il piccolo orsetto tutto felice.
Così i tre orsi uscirono di casa dimenticandosi di chiudere a chiave la porta.

Poco dopo, arrivò davanti la loro casa una bambina il cui nome era Riccioli d’Oro, per via dei suoi capelli ricci e dorati.
Riccioli d’oro bussò alla porta:
‒ C’è nessuno? ‒ disse, ma non ebbe risposta e, vedendo che la porta era aperta, decise di entrare a curiosare un po’.
Sentì subito un profumo delizioso di zuppa calda nell’aria e vide sul tavolo le tre scodelle. Siccome sentì arrivare un certo languorino allo stomaco, decise di assaggiare la zuppa.

Prese un cucchiaio di zuppa dalla scodella più grande ma si accorse subito che era troppo bollente per i suoi gusti, così assaggiò quella nella scodella media, che invece era troppo fredda! Infine prese la scodella più piccolina e, siccome la zuppa era perfetta, la mangiò tutta.

Poi Riccioli d’Oro, sentendo la pancia piena, decise di riposarsi un pochino su una delle poltrone del salotto. Cercò di salire su quella più grande, ma per lei era troppo alta. Così provò quella media, che però era troppo scomoda. Alla fine si sistemò sulla poltroncina piccolina, che era comodissima, ma Riccioli d’Oro iniziò a dondolarsi avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro… finchè la poltroncina non si ruppe in mille pezzi!

Stanca e infastidita per la poltroncina che si era rotta proprio nel momento in cui si stava divertendo di più, Riccioli d’Oro decise di salire a riposarsi al piano di sopra, dove si trovava la camera da letto dei tre orsi.

Si sdraiò sul letto più grande, che però era troppo alto! Provò allora il letto medio, ma era troppo largo! Alla fine si sdraiò sul lettino piccolino, che era perfetto per lei, e si addormentò.

I tre orsi finalmente tornarono dalla loro passeggiata e con sorpresa trovarono la porta di casa aperta.
Entrati, il papà orso esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
E mamma orsa a sua volta esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
Mentre il piccolo orsetto, con voce triste disse:
‒ Chi ha mangiato tutta la mia zuppa…?!

Poi papà orso si voltò verso il soggiorno e, notando tutti i cuscini della sua poltrona messi in disordine, disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Anche mamma orsa disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Il povero orsetto invece, guardando la sua poltroncina rotta in mille pezzi, disse tristemente:
‒ Chi ha rotto la mia poltroncina…?!

I tre orsi decisero di andare al piano di sopra, da dove sentivano arrivare un sonoro russare…
Papà orso, vedendo il suo letto tutto sottosopra, esclamò:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
E mamma orsa disse anche lei:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
Mentre il piccolo orsetto, tutto arrabbiato disse:
‒ Chi sta dormendo nel mio lettino!?

Mamma e papà orsi si girarono a guardare meravigliati la bimba che beatamente dormiva dentro il lettino del loro bambino ed esclamarono tutti all’unisono:
‒ E tu chi sei?!
Solo allora quella monella di Riccioli d’Oro si svegliò di soprassalto, guardando terrorizzata i tre orsi che le stavano attorno e, senza aspettare un attimo di più, prese a correre giù per le scale come un fulmine, infilò la porta di casa e corse via nel bosco senza mai farsi più rivedere.

I tre orsi si guardarono in faccia attoniti e senza parole, grattandosi la testa per l’accaduto.

Presto papà orso sistemò la poltroncina del piccolo orsetto, mentre la mamma prese un po’ della sua zuppa e quella del papà per metterla nella ciotolina del loro cucciolo, così finalmente mangiarono tutti la zuppa felici e contenti!

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il macinino magico 🌊

Perchè il mare è salato?

Il macinino magico è un racconto che si perde nella notte dei tempi e che cerca di dare una spiegazione fantastica al perchè il mare sia così tanto salato…

Noi di fabulinis abbiamo rielaborato un po’ la storia, così da spiegare con un pizzico di fantasia ai tuoi bimbi perché il mare è salato.

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del Macinino magico!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il macinino magico raccontata da Silvia!

Il macinino magico 🌊 storia completa


C’erano una volta due fratelli, Enrico che era ricco ma antipatico, e Nicola che era simpatico, ma senza nemmeno un soldo bucato.
Una sera Nicola, aprendo la dispensa della cucina e vedendola ancora vuota, decise di andare dal fratello per chiedergli qualcosa da mangiare.

– Sempre qui a chiedere qualcosa tu…” – disse sbuffando Enrico – tieni, ti do questo bel pezzo di carne, ma che sia l’ultima volta che vieni qui a chiedere qualcosa, la prossima volta sarà meglio che tu vada al diavolo!

Nicola, prese la carne e si avviò verso casa tutto preoccupato, stava facendo buio, e tutto preso dai suoi pensieri non si accorse di aver sbagliato strada.
– Mi sa che questa volta ho fatto proprio arrabbiare Enrico… la prossima volta che non avrò nulla da mangiare farò meglio ad andare direttamente dal diavolo a chiedere qualcosa.

Caso vuole che proprio nei paraggi c’era un vecchietto con la barba lunga e bianca, che mentre si stava riposando dallo spaccar la legna, aveva ascoltato le parole di Nicola.
– Ho sentito le tue parole ragazzo mio, se vuoi ti posso aiutare e vedrai che non sarà necessario andare dal diavolo – disse il vecchietto.

– Veramente tu mi puoi aiutare? – rispose Nicola, e il vecchietto annuì.
– Dammi quel pezzo di carne e io in cambio ti darò un macinino magico.
– E cosa ci faccio con un macinino magico? – disse Nicola dubbioso.

Il vecchietto sorrise, entrò nella sua casetta e tornò con il mano il macinino.
– Guarda, puoi chiedergli tutto quello che vuoi.

Il vecchietto poggiò il macinino a terra e disse – macina della legna! – batté due volte le mani e il macinino iniziò a sputar fuori pezzi di legna a tutt’andare.
– Smetti di macinare! – batté di nuovo le mani e il macinino si fermò.
– Allora lo vuoi? – chiese il vecchietto a Nicola.

Nicola senza farselo dire due volte diede il pezzo di carne al vecchietto e prese in mano il macinino, ma quando rialzò lo sguardo per ringraziarlo, il vecchietto e la sua casetta non c’erano più.
Nicola corse a casa dalla moglie, che vedendolo rincasare col macinino in mano e senza nulla da mangiare lo rimproverò subito.
– Aspetta cara! – disse Nicola – guarda!

Nicola poggiò sulla tavola il macinino e disse battendo le mani.
– Macina una tavola imbandita piena di cibo! – e il macinino partì ad apparecchiare la tavola con ogni ben di dio.

Quando ebbe finito Nicola batté di nuovo le mani e il macinino si fermò.
Sua moglie era sbalordita, e da quella sera non ebbero più fame, anzi iniziarono ad invitare tutti i loro amici a cena preparando delle feste sempre più grandi e meravigliose.

Enrico, il fratello di Nicola, non riusciva a spiegarsi il motivo di tutta quella improvvisa fortuna. Così durante una delle cene di Nicola, Enrico si nascose in cucina per capire come mai Nicola aveva vietato a tutti di entrarci, e lì vide il macinino in azione.

Non appena Nicola uscì dalla cucina, Enrico prese il macinino e scappò via. Ma Enrico era talmente ricco che di quel macinino non sapeva bene che farsene, lo aveva rubato al fratello solo per fargli un dispetto e perché era invidioso del fatto che era diventato quasi più ricco di lui.

Così, per non farsi scoprire come il ladro che aveva rubato il macinino al fratello, Enrico decise di sbarazzarsene.
– Andrò al porto e lo darò a qualche capitano che se porti via con sé per i sette mari, così Nicola non lo troverà mai più e non saprà a chi dare la colpa.

Così Enrico andò al porto e chiamò vicino a sé il capitano di una nave.
Gli spiegò che con quel macinino avrebbe potuto macinare tutto quello che voleva.
– Macina anche il sale? – chiese il capitano.
– Si si, tutto quello che vi serve – rispose Enrico — funziona così…

Enrico batté le mani e disse macina del sale, il macinino cominciò e il capitano vedendo quel prodigio non capì più nulla, strappò dalle mani di Enrico il macinino e scappò via.

Il macinino continuava a produrre sale, e in men che non si dica il capitano riuscì a riempire la sua barca.
– Così non sarò più costretto a navigare per i mari più pericolosi in cerca del sale! – disse il capitano.

Ma il capitano non aveva aspettato di sapere come fermare il macinino, che continuava imperterrito a produrre sale.
Finché ogni angolo della nave fu piena, tanto che il capitano si ritrovava su una montagna di sale.
Il capitano disperato e preoccupato per la nave che stava per affondare, decise a malincuore di buttare il macinino nel mare.

Il macinino andò a posarsi sul fondo, ed è ancora lì che macina sale senza fermarsi mai.
Ecco perché il mare è salato.

<⚜ Fine della fiaba ⚜

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Canto di Natale 🕯 di Charles Dickens

Lo Spritito del Natale vive in ognuno di noi, basta saperlo ascoltare.

Canto di Natale di Charles Dickens è uno dei racconti di Natale tra i più famosi e commoventi, incentrato sulla conversione dell’arcigno Ebeneezer Scrooge da vecchio avaro ed egoista a uomo generoso e altruista pronto ad aiutare il prossimo. Ci penserano lo spirito del suo ex socio in affari e tre bei fantasmi a riportarlo sulla retta via.

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del Canto di Natale!

Canto di Natale 🕯 racconto completo


Indice dei capitoli

  1. Primo canto: il fantasma di Marley
  2. Secondo canto: il fantasma del Natale passato
  3. Terzo canto: il fantasma del Natale presente
  4. Quarto canto: il fantasma del Natale futuro
  5. Quinto canto: lo spirito del Natale

Canto di Natale 🕯 PRIMO CANTO:
Il fantasma di Marley


Sette anni erano passati da quando Jacob Marley era morto, eppure il suo socio in affari Ebeneezer Scrooge non era per nulla cambiato. L’unica cosa a cui teneva per davvero erano i soldi.

Anche nel giorno della vigilia di Natale, il vecchio e avaro Scrooge se ne stava seduto nell’ufficio della “Scrooge & Marley”, una ditta di cambi e prestiti, tutto preso dai suoi affari.

Era una giornata nebbiosa e cupa, fuori faceva molto freddo e nell’ufficio di Scrooge non faceva molto più caldo rispetto all’esterno.
Scrooge teneva sempre un occhio sul suo commesso, Bob Cratchit, che era intento a copiare delle lettere, riscaldato da un unico pezzo di carbone che ardeva nella stufa. La cassetta del carbone era nell’ufficio di Scrooge, e lui non avrebbe dato al commesso un altro pezzo per tutto il resto della giornata.

– Buon Natale, zio! Un allegro Natale! Dio vi benedica! – gridò una voce allegra.
Era la voce di Fred, nipote di Scrooge, piombato nell’ufficio così all’improvviso che lo zio non lo aveva sentito arrivare.
– Bah! – disse Scrooge – sciocchezze!
– Come, zio, Natale sarebbe una sciocchezza?! – esclamò Fred.
– Al diavolo il Natale con tutta l’allegria! – ribatté Scrooge – Cos’altro è il Natale se non un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un’ora più ricchi?!

– Ma perchè siete così amaro, ricco come siete? – continuò il nipote.
– E che ragione hai tu di esser così felice, povero come sei?! – lo zittì Scrooge.
– Ma zio, il Natale… – lo pregò Fred.
– Nipote! – lo rimbeccò Scrooge – Tu festeggia il Natale come vuoi tu, che io lo festeggio come voglio io! – sentenziò Scrooge.
Fred non si perse d’animo e per rallegrare lo zio lo invitò a cena il giorno di Natale, come aveva fatto per tutti i Natali precedenti.
Ma Scrooge rispose di no a tutte le suppliche di suo nipote e infine lo salutò facendogli capire che la conversazione era finita. Così Fred se ne andò, scambiandosi gli auguri con Bob Cratchit.

Poco dopo, entrarono nell’ufficio due distinti signori per raccogliere denaro da dare ai poveri che non avevano un posto dove andare in quel freddo inverno.
Scrooge li accolse in malo modo, non diede loro nemmeno un soldo bucato e anzi, chiese sarcasticamente ai due gentiluomini di lasciare l’ufficio. I due, capito che non avrebbero ricavato nulla, se ne andarono.

Quando fu il momento di chiudere l’ufficio, Scrooge si rivolse al suo impiegato, Bob Cratchit:
– Vuoi tutto il giorno libero domani, vero?
– Se per lei va bene, signore – rispose l’impiegato.
– Non va bene e non è giusto – disse Scrooge – dopotutto, devo pagarti la giornata anche se non lavori. Ma se così deve essere, vedi di iniziare a lavorare molto presto la mattina seguente…
Cratchit promise che l’avrebbe fatto e i due tornarono ognuno a casa propria.

Scrooge viveva tutto solo in una casa vecchia e decrepita. Quella sera il cortile sembrava più buio e scuro del solito e, quando Scrooge cercò di aprire la porta, ebbe l’impressione di vedere nel battiporta dell’ingresso il viso del suo vecchio socio in affari Marley, morto sette anni prima.

La cosa lo scosse per un attimo, ma Scrooge non si lasciava spaventare facilmente e, strizzati gli occhi, si accertò che il battiporta fosse tornato quello di sempre. Ripresosi da quella singolare visione, aprì ed entrò chiudendo a chiave la porta, cosa che di solito non faceva.
Ancora sgomento per l’accaduto, Scrooge fece il giro delle stanze per controllare che tutto fosse a posto.

Non trovò nulla di diverso dal normale, perciò si infilò la camicia da notte e le pantofole e si mise seduto comodo davanti al fuoco del camino a sorseggiare una tisana.
Improvvisamente, proprio quando stava iniziando a rilassarsi, Scrooge udì un rumore cupo, come se qualcuno stesse trascinando delle pesanti catene.

Il rumore saliva per le scale di casa e si faceva sempre più vicino, fino a sembrare appena dietro la porta della stanza, dove cessò di colpo. Scrooge si voltò. Uno spettro stava attraversando la porta e, per la paura, il suo viso diventò bianco tanto quanto lo spettro.
– Ma io ti conosco! Sei il fantasma di Marley! – esclamò Scrooge.
Era proprio lo spettro del suo vecchio socio in affari.

– Cosa vuoi da me? – continuò Scrooge con tono di freddo distacco.
– Sono Marley, e sono venuto per darti un avvertimento… le vedi queste pesanti catene che mi cingono il corpo? Me le sono fabbricate io in vita grazie alla mia avarizia e taccagneria. Non ho mai pensato ad altro se non al mio tornaconto, e questo è il peso che debbo pagare per la mia misera vita egoista.

Scrooge tremava mentre il fantasma continuava a parlare.
– Ora sono qui per avvertirti: tu hai ancora una possibilità, Ebenezer. Questa notte, già dal primo rintocco delle campane, tre spiriti verranno a farti visita. Se non vuoi fare la mia stessa fine, seguili e ascoltali.
Non appena ebbe detto queste parole, il fantasma di Marley scomparve, e la notte tornò tranquilla.

Scrooge andò subito a letto, e forse per la stanchezza della giornata e le troppe emozioni appena vissute, cadde subito in un sonno profondo.

… continua nel SECONDO CANTO

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Il rapimento di Babbo Natale 🎅😈

E se Babbo natale non può consegnare i regali, cosa succede?

I diavoletti hanno deciso di rapire Babbo Natale per far arrabbiare tutti i bambini del mondo, ma il loro astuto piano non andrà come previsto…

Ispirata al racconto di Frank Baum, già autore de “Il mago di Oz” (che potete leggere anche nella nostra versione di fabulinis) questa fiaba vi terrà compagnia in attesa della magica notte di Natale.

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del rapimento di Babbo Natale!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il rapimento di babbo natale raccontata da William!

Il rapimento di Babbo Natale 🎅😈 – racconto completo


Babbo Natale viveva nella Valle Ridente insieme ai suoi cari amici folletti e fate che, dentro alla sua grande casa sempre sommersa dalla neve, fabbricavano i giocattoli da regalare ai bambini.

In tutta la Valle Ridente di Babbo Natale la felicità regnava sovrana.

Tutta questa felicità fa pensare che il caro buon vecchio Babbo Natale, così gentile e
affettuoso, non abbia nemici. E invece non è così!

Rintanati nelle cinque grotte delle montagne intorno alla Valle Ridente, vivono cinque piccoli Diavoletti, a cui Babbo Natale non piaceva per niente.

Ciascun Diavoletto viveva in una grotta tutta sua, e ognuno di loro aveva una caratteristica ben precisa; c’era il Diavoletto dell’Egoismo, il Diavoletto dell’Invidia, il Diavoletto dell’Odio, il Diavoletto dell’Inganno e infine il Diavoletto del Pentimento.

Questi Diavoletti delle caverne, pensando di avere un buon motivo per non amare il caro Babbo Natale, un giorno si riunirono per discutere la questione.

‒ Sono davvero arrabbiato! ‒ disse il Diavoletto dell’Egoismo ‒ Babbo Natale distribuisce così tanti bei regali di Natale a tutti i bambini, che diventano felici e generosi e non ascoltano più i miei consigli egoisti.

‒ Sto avendo lo stesso problema ‒ rispose il Diavoletto dell’Invidia ‒ I più piccoli sono così contenti di Babbo Natale, che in effetti riesco a convincerne pochi a diventare invidiosi.

‒ E questo mi fa infuriare! ‒ dichiarò il Diavoletto dell’Odio ‒ Perché se un bambino non prova egoismo o invidia, non può diventare odioso…‒

‒ E non pensa a ingannare il prossimo… ‒ aggiunse il Diavoletto dell’Inganno.

‒ Se è per quello ‒ disse il Diavoletto del Pentimento ‒ se nessun bambino ha bisogno di voi, figuratevi di me…

‒ E tutto a causa di Babbo Natale! ‒ esclamò il Diavoletto dell’Invidia ‒ Sta semplicemente rovinando il nostro lavoro. Bisogna fare qualcosa subito!

Approvarono tutti queste ultime parole e decisero di cercare di turbare le belle convinzioni di Babbo Natale con le loro cattiverie, per farlo diventare molto meno buono…

Così il giorno dopo, mentre Babbo Natale era impegnato al lavoro, circondato dai suoi piccoli assistenti, il Diavoletto dell’Egoismo gli spuntò vicino ad un orecchio e gli disse:

‒ Questi giocattoli sono meravigliosi! Perché non li tieni per te? È un peccato darli a quei ragazzi che li rompono e li distruggono così in fretta.

‒ E’ una cosa senza senso! ‒ disse Babbo Natale ‒ se riesco a renderli felici anche per un solo giorno all’anno, sono contento.

Il Diavoletto capì che non sarebbe riuscito a far cambiare idea a Babbo Natale e tornò dagli altri dicendo:

‒ Ho fallito, perché Babbo Natale non è affatto egoista.

Il giorno seguente il Diavoletto dell’Invidia fece visita a Babbo Natale e gli disse nell’orecchio:
‒ I negozi di giocattoli sono pieni di giocattoli belli quanto quelli che stai facendo tu. Li vendono per denaro, mentre tu non ottieni nulla per il tuo enorme lavoro.

Ma Babbo Natale si rifiutò di essere invidioso dei negozi di giocattoli.

‒ Il mio lavoro è fatto di amore e gentilezza, mi vergognerei di ricevere denaro per i miei piccoli doni. E poi io faccio i regali una volta sola l’anno, ma durante tutto l’anno i bambini devono divertirsi in qualche modo. I negozi di giocattoli sono in grado di portare molta felicità ai miei piccoli amici. Mi piacciono i negozi di giocattoli e sono felice di vederli prosperare.

Il Diavoletto dell’Invidia andò via sconsolato. Così il giorno dopo il Diavoletto dell’Odio entrò nell’affollata officina e disse all’orecchio di Babbo Natale:

‒ Nel mondo ci sono molte persone che non credono in Babbo Natale! Dovresti odiarle da tanto sono cattive!

‒ Ma io non li odio! ‒ esclamò positivamente Babbo Natale ‒ Queste persone non mi fanno nessun male, semplicemente rendono infelici se stesse e i loro figli. Preferirei di gran lunga aiutarle in qualche modo piuttosto che ferirle.

I Diavoletti capirono che, cercando di instillare sentimenti cattivi in Babbo Natale, non avrebbero ottenuto nulla. Così abbandonarono le parole dolci e decisero di usare la forza.

Era risaputo che Babbo Natale, finchè si trovava nella Valle Ridente, era ben protetto dalle fate e dagli elfi. Ma alla vigilia di Natale guidava le sue renne nel grande mondo, portando una slitta carica di regali per i bambini. Era questo il momento migliore per colpirlo. Così i Diavoletti prepararono i loro piani e aspettarono l’arrivo della vigilia di Natale.

La luna splendeva grande e bianca nel cielo, e la neve giaceva fresca e scintillante sul terreno, mentre Babbo Natale si allontanava a tutta velocità dalla Valle Ridente per andare nel grande mondo.

Assieme a lui erano partiti quattro fedeli aiutanti elfi, che stavano seduti sotto il sedile di guida, felici ed emozionati.

Babbo Natale rideva, fischiava e cantava per la gioia. Perché in tutta la sua vita allegra questo era il giorno dell’anno in cui era più felice, il giorno in cui con amore donava i tesori della sua bottega ai bambini.

Improvvisamente, però, accadde una cosa strana: una fune schizzò al chiaro di luna, un grosso cappio si posò sulle braccia e sul corpo di Babbo Natale e si strinse, legandolo stretto. Prima che potesse resistere o anche solo gridare, fu strattonato via dal sedile della slitta e ruzzolò con la testa in avanti in un cumulo di neve.

Le renne che trainavano la slitta non si accorsero di nulla e continuarono il loro viaggio, allontanandosi velocemente. Neppure gli elfi si accorsero di nulla, da sotto il sedile non potevano vedere cosa fosse successo.

I Diavoletti tirarono fuori Babbo Natale dal cumulo di neve e lo legarono per bene, per portarlo nelle loro grotte nascoste sulla montagna

‒ Ah, ah, ah! ‒ risero i Diavoletti con gioia crudele ‒ Cosa faranno adesso i bambini? Come piangeranno e si arrabbieranno quando scopriranno che non ci sono giocattoli sotto i loro alberi di Natale! Vedrai come esploderà in loro l’egoismo, l’invidia, l’odio e l’inganno!

Intanto i piccoli elfi sistemati sotto il sedile di guida iniziarono a sentire la mancanza della voce allegra di Babbo Natale, e siccome lui cantava o fischiava sempre durante tutti i suoi viaggi, il silenzio faceva intendere che qualcosa non andava.

Sporsero la testa da sotto il sedile e videro che Babbo Natale era sparito, nessuno stava guidando il volo delle renne.
Il più vicino alle briglie le prese in mano e gridò alle renne di fermarsi.

‒ Che cosa facciamo adesso? ‒ chiese uno di loro.

‒ Dobbiamo tornare subito indietro e trovare Babbo Natale ‒ disse il secondo con molta determinazione.

‒ No, no! ‒ esclamò il terzo ‒ Se ci fermiamo a cercarlo o torniamo indietro, non ci sarà tempo per portare i giocattoli ai bambini prima dell’alba, e questo addolorerebbe Babbo Natale più di ogni altra cosa.

‒ Hai ragione, dobbiamo prima compiere la nostra missione, poi cercheremo Babbo Natale! ‒ concluse l’ultimo.

Così presero le redini della slitta e ripartirono a tutta velocità per consegnare i regali a tutti i bambini del mondo.

Ma gli elfi non conoscevano bene i bambini quanto Babbo Natale. Quindi non c’è da meravigliarsi che abbiano commesso alcuni piccoli errori.

Ad una bambina che voleva una bambola consegnarono un un tamburo. Mentre un bambino che voleva degli stivali di gomma nuovi per giocare all’aperto, ricevette una scatola da cucito piena di fili colorati e aghi.

Se avessero fatto molti di questi errori, i Diavoletti avrebbero realizzato il loro malvagio scopo e reso infelici i bambini. Ma i piccoli amici di Babbo Natale si impegnarono moltissimo, cercando di concentrarsi su quello che Babbo Natale in persona avrebbe fatto, e commisero meno errori di quanto ci si potesse aspettare in circostanze così insolite.

Lavorando il più rapidamente possibile, riuscirono a distribuire tutti i regali e a tornare nella Valle Ridente. Dopo aver messo le renne e la slitta nella stalla, il piccolo popolo degli elfi e delle fate cominciò a chiedersi come avrebbe potuto salvare Babbo Natale. Tutti si resero conto che la prima cosa da fare era scoprire cosa gli fosse successo e dove si trovasse.

Tutte le fate cominciarono a sorvolare la Valle Ridente e i suoi confini, finché una di loro non notò un andirivieni strano tra le caverne dei piccoli Diavoletti. Si intrufolò in una grotta senza farsi vedere e scoprì… Babbo Natale legato come un salame! Subito tornò indietro a riferire quanto aveva visto.

Babbo Natale per tutta la notte appena trascorsa non era stato per niente allegro. Sebbene avesse fiducia nel buon cuore dei suoi piccoli amici bambini, non poteva non essere preoccupato per la delusione che una notte di Natale senza regali avrebbe portato loro.

I Diavoletti, che lo sorvegliavano a turno uno dopo l’altro, non mancavano di prenderlo in giro, e all’alba del giorno di Natale, il Diavoletto dell’Inganno gli disse:

‒ I bambini si stanno svegliando Babbo Natale! E non stanno trovando regali sotto l’albero! Vedrai come verranno a cercarci tutti i bambini arrabbiati!

Ma Babbo Natale lo guardò senza dire nulla. Vedendo che Babbo Natale non avrebbe risposto ai suoi scherni il Diavoletto dell’Inganno se ne andò e chiamò il Diavoletto del Pentimento a prendere il suo posto.

Quest’ultimo Diavoletto non era così sgradevole come gli altri. A volte era gentile, e la sua voce aveva un tono dolce e cortese.

‒ Buongiorno Babbo Natale ‒ disse ‒ ormai è mattina e la notte di Natale è andata. Non potrai più far visita ai bambini per tutto un intero anno.

‒ Vero ‒ rispose Babbo Natale quasi allegramente ‒ La vigilia di Natale è passata, e per la prima volta in molti secoli non ho portato i regali ai bambini.

‒ I piccoli saranno molto delusi ‒ mormorò il Diavoletto del Pentimento, quasi con rammarico ‒ È probabile che il loro dolore renda i bambini egoisti, arrabbiati, invidiosi e pieni di odio, e verranno a cercare noi Diavoletti. Poi forse qualcuno verrà anche da me, ma sai sono poche le persone che si pentono per davvero…

‒ Ma tu non ti penti mai? ‒ chiese Babbo Natale, curioso.

‒ Oh, sì, a volte capita ‒ rispose il Diavoletto ‒ Anche adesso mi pento di aver contribuito alla tua cattura. Naturalmente è troppo tardi per rimediare al male che ti abbiamo fatto; ma il pentimento, sai, può venire solo dopo un pensiero o un’azione cattiva, perché all’inizio non c’è niente di cui pentirsi.

‒ Ho capito ‒ disse Babbo Natale ‒ se non si fa del male, nessuno viene mai a cercarti per parlare con te. Sei sempre tanto solo…

‒ Vero… ‒ rispose il Diavoletto pensieroso ‒ tu però sei qui con me e mi stai parlando senza odio o rancore perchè non hai fatto alcun male… è la prima volta che succede… per dimostrarti che mi pento sinceramente ti permetterò di scappare.

Questo discorso sorprese molto Babbo Natale, finché non rifletté che era proprio quello che ci si poteva aspettare dal Diavoletto del Pentimento. Il tipo si diede subito da fare per sciogliere i nodi che legavano Babbo Natale quindi gli fece strada attraverso un lungo tunnel finché entrambi emersero dalla Grotta del Pentimento.

‒ Spero che mi perdonerai ‒ disse il Diavoletto ‒ Non sono un cattivo ragazzo e credo che pentirsi ogni tanto faccia molto bene alle persone.

Babbo Natale annusò l’aria fresca con gratitudine.
‒ Non porto rancore ‒ disse con voce gentile ‒ e sono sicuro che il mondo sarebbe un posto molto triste senza di te. Quindi buon Natale a te!”

Con queste parole uscì per salutare il luminoso mattino, e un attimo dopo stava fischiettando verso la sua casa nella Valle Ridente.

A camminargli incontro sulla neve c’era una colonna di elfi circondati dalle fate, partiti per salvare Babbo Natale dalle grinfie dei Diavoletti.

Non appena lo videro gli corsero incontro e iniziarono a ballare e danzare di gioia

‒ È inutile dare la caccia ai Diavoletti ‒ disse Babbo Natale ‒ Saranno pure fastidiosi, ma hanno anche loro un compito in questo mondo, e non si possono togliere di mezzo…

Gli elfi raccontarono a Babbo Natale di come avevano distribuito i giocattoli. Raccontarono anche dei piccoli errori che erano stati commessi.

Babbo Natale si mise a ridere sonoramente, poi li abbracciò tutti ringraziandoli per il grande lavoro fatto, ordinando prontamente di andare a sostituire o aggiungere regali là dove ce ne fosse stato bisogno. Così che anche quei pochi bimbi delusi dal regalo sbagliato, diventarono felici.

Per quanto riguarda i Diavoletti delle Caverne, si riempirono di rabbia e dispiacere quando scoprirono che la loro astuta cattura di Babbo Natale non era servita a nulla per colpa degli elfi.

In effetti, nessuno in quel giorno di Natale sembrava essere diventato egoista, invidioso o pieno di odio.

Fu così che i Diavoletti delle caverne non tentarono mai più di interferire con la consegna dei regali di Babbo Natale, ma si limitarono a brontolare mentre guardavano i bambini di tutto il mondo diventare molto felici nel giorno di Natale.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

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Un ciuccio per Babbo Natale 🎅

Come faccio a togliere il ciuccio al mio bambino? Questa domanda tormenta tante mamme e papà, ma questa storia di Natale potrà venirvi in aiuto.

Per molti bambini, infatti, il ciuccio è un oggetto molto prezioso ed amato. Eppure per crescere bisogna lasciarlo andare…

Ma una bella storia con un po’ di magia può far superare al piccolo (e a te…) questa fase delicata: c’è chi lo regala a una fatina o chi lo regala ai delfini al mare.

Noi di fabulinis ti proponiamo questa bella fiaba in cui il ciuccio viene donato a Babbo Natale. L’ha scritta Gabriella Arcobello, psicopedagogista esperta di fiabe, e siamo sicuri che ti aiuterà in questo momento così delicato!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di un ciuccio per Babbo Natale!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare un ciuccio per Babbo Natale raccontata da Silvia!

Un ciuccio per Babbo Natale 🎅 storia completa


Mancavano solo due giorni al Natale e nella casa di Leo era davvero tutto pronto: il presepe preparato nel camino e pieno di lucine; l’albero con le sue decorazioni scintillanti; il vischio verde, un po’ fatato…
Leo aveva quasi cinque anni e non vedeva l’ora che arrivasse il giorno di Natale.
L’attesa era stata lunga ma eccitante.

In quei giorni, alla scuola materna, spesso sognava ad occhi aperti l’arrivo di Babbo Natale con la sua slitta volante, tirata dalle amiche renne e stracolma di doni e pacchettini.
Con l’aiuto della mamma gli aveva scritto una letterina, chiedendogli un robot, una macchinina, un puzzle e un peluche.
Anche nel paese di Babbo Natale era ormai quasi tutto pronto.

Babbo Natale con i suoi folletti aveva lavorato tanto e a lungo per preparare e confezionare tutti i doni per tutti i bambini della terra. Ora stava facendo le ultime conte, perché guai a dimenticarsi di qualcosa e soprattutto di qualcuno.
Il pianto di un folletto piccolo piccolo però disturbava i suoi calcoli…
Conta e riconta, era costretto tutte le volte a rifare la somma. E questo era un bel problema.

Non la conta, ma quel tenero folletto di pochi mesi che piangeva così tanto: piangeva quando doveva addormentarsi; piangeva quando si svegliava; piangeva quando aveva freddo e piangeva quando aveva caldo; piangeva quando qualcuno gli si avvicinava e piangeva quando qualcuno se ne andava; piangeva, piangeva, piangeva!

Babbo Natale decise che era ora di fare qualcosa per aiutare il suo folletto più piccolo, che si chiamava Tendy.
Aveva sentito dire da qualche parte che, sul pianeta Terra, le mamme offrivano ai bambini un ciuccio per consolarli e per calmarli.
Doveva assolutamente chiedere aiuto a una mamma del pianeta Terra. E fu così che scelse proprio la mamma di Leo.

Questa gli spiegò che il ciuccio, per i bambini piccoli, è un oggetto morbido che li consola, li distrae e li aiuta ad addormentarsi.
Babbo Natale le disse: «Ora comprendo! Ne vorrei uno anch’io per regalare un po’ di serenità al mio folletto Tendy».
Pensa e ripensa, alla mamma venne un’idea:
– Stai tranquillo Babbo Natale. Chiederò a Leo, il mio bambino, e forse lui potrà aiutarti.

Il giorno dopo la mamma disse a Leo:
– Sai, Babbo Natale stanotte arriverà con i doni. Nel suo paese c’è un folletto piccolo piccolo che ha bisogno di un ciuccio. Che ne dici di offrirgli il tuo? Babbo Natale sarà contento e ti sarà grato per averlo aiutato!
Leo la guardò un po’ perplesso e molto indeciso, perché lui era davvero affezionato al suo ciuccio.

Ma alla fine accettò. La sera, prima di andare a letto, impacchettarono il ciuccio con una bella carta rossa e un fiocco dorato. Lo misero sotto l’ albero, insieme al latte per le renne e a qualche delizioso biscotto per Babbo Natale.
La mattina seguente il pacchettino che aveva preparato era sparito, insieme con il latte e i biscotti.

Leo trovò sotto l’ albero tutti i doni che aveva chiesto; anzi, c’era un pacchetto in più, proprio per lui.
Lo scarto per ultimo e dentro Vi trovò un grande lecca-lecca rosso a forma di cuore, al sapore di fragola.
C’era anche un bigliettino che diceva:
– Grazie Leo! Donando il tuo ciuccio hai fatto una cosa molto generosa. Tu hai un cuore grande grande. Per ringraziarti, io ti nomino mio FOLLETTO SPECIALE del pianeta Terra.
Firmato: Babbo Natale.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia la psicopedagogista Gabriella Arcobello per aver condiviso con noi questa fiaba molto educativa.

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

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Sara alla ricerca di Babbo Natale 🎁

La piccola Sara vuole scoprire dove vive Babbo Natale, anche perchè a furia di non vederlo mai per davvero sta iniziando a credere che non esiste! Ma per fortuna alla fine ascolterà il suo cuore…

Nel periodo di Natale è sempre bello raccontare delle favole che parlano di sogni e di desideri che si realizzano.

Quello di Sara alla ricerca di Babbo Natale lo abbiamo scrito noi di fabulinis per insegnare ai bamibini che ad ascoltare il proprio cuore non si sbaglia mai.

Sara lo ha fatto ed ha ricevuto una bellissima sorpresa!

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Sara alla ricerca di Babbo Natale!

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Sara alla ricerca di Babbo Natale 🎁 storia completa


C’era una volta una bimba che non era per niente convinta dell’esistenza di Babbo Natale.
Sara, questo era il suo nome, aveva sempre chiesto di essere portata a vedere la casa di Babbo Natale, ma nessuno era mai riuscito ad accontentarla.

La sera della Vigilia di Natale, mamma e papà le avevano messo il pigiamino e portata in cameretta per darle il bacio della buona notte.
Quando fu tutta sola, Sara iniziò a parlare al suo caro orsacchiotto.

– Io non capisco perché nessuno mi riesce a dire dove abita Babbo Natale… io vorrei tanto incontrarlo di persona!
L’orsacchiotto la fissava con i suoi grandi occhioni neri, ma non poteva darle una risposta.
– Nessuno sa dove sia Babbo Natale, e nessuno l’ha mai visto… secondo me non esiste…
In quel momento nella stanza si sentì come il suono di un campanellino.
– Ne sei proprio sicura? – disse una vocina leggera che non si sapeva da dove arrivasse.
Sarà si guardò intorno per capire chi avesse parlato, poi guardò il suo orsacchiotto, che la guardava col solito sorriso.

– Sei sicura che Babbo Natale non esista? – continuò la vocina.
– Bè no, non ne sono sicura, è che vorrei tanto vederlo, ma nessuno mi sa dire dove sia…
– E cosa ti dice il tuo cuore…?
Sara esitò un attimo.
– Che esiste…
– Allora infilati le pantofole, forse questa sera il tuo desiderio verrà esaudito…

Sara balzò giù dal letto e infilò le pantofole, che però non erano proprio le sue, erano pantofole magiche! Ma Sara non ci fece nemmeno caso.
Una volta infilate le pantofole, la finestra della cameretta si aprì, e come per magia i suoi piedini si staccarono dal pavimento e Sara uscì dalla stanza volando leggera come un soffio di vento.

Sara era tutta circondata da piccole scintille, e continuò a salire sempre più in alto, finché le luci delle case del paese diventarono piccole piccole.
Sara iniziò a sorvolare prati innevati, foreste e pianure, finché ad un certo punto arrivò ad una vallata tutta piena di abeti addobbati con luci e festoni. In mezzo c’era una piccola casetta, tutta illuminata.

Piano piano Sara cominciò a scendere verso la casetta, fino a posarsi proprio di fronte alla porta.
Sara era ancora tutta emozionata per il volo appena fatto e per i meravigliosi paesaggi visti, ed era rimasta davanti alla porta con la bocca aperta.
Dalla casetta tutta illuminata si sentivano provenire dei bellissimi canti di Natale.

Sara alzò la manina per bussare, ma la porta si aprì ancor prima di averla toccata. Davanti a lei c’era un elfo vestito di verde, tutto sorridente.
– Ciao! – esclamò l’elfo – benvenuta nella casa di Babbo Natale!
Sara, sempre più meravigliata e piena di gioia, entrò.

Si ritrovò in un enorme e fiabesco salone, dove c’era l’albero di Natale più grande che avesse mai visto.
Nella sala cantavano e saltellavano un sacco di elfi, tutti indaffarati per i preparativi della Vigilia di Natale, e tutt’intorno all’albero era un tripudio di regali, dolci, festoni e colori.
Sara era talmente sbalordita da tutta quella meraviglia che continuava a guardarsi intorno ancora a bocca aperta.

Finché, da una porta laterale, entrò un grande omone, tutto vestito di rosso e bianco. Era Babbo Natale!
Sara non credeva ai propri occhi, era lui, era veramente lui! Finalmente ogni dubbio era svanito.
Babbo Natale le andò incontro per salutarla.
– Ciao piccolina, come ti chiami? – le chiese con la sua vociona bella e calda.
– Io mi chiamo Sara.. Ma tu… ma tu.. sei Babbo Natale!? – chiese esitante Sara.
– Certo, mia piccola Sara! – e ridendo per la domanda, Babbo Natale fece un “Oh oh oh” che rimbombò per tutto il salone.

La bocca di Sara si spalancò dalla gioia come mai si era spalancata prima.
– Ma allora esisti!
Babbo Natale annuì con un gran sorriso, e accarezzandole i capelli, le rispose:
– Mi spiace solo di non poterti dedicare molto tempo mia piccola Sara. Purtroppo stasera è la Vigilia di Natale, e io e i miei amici Elfi siamo molto indaffarati a preparare tutti i regali da consegnare ai bambini, vedi? – e indicò con la mano il grande salone e tutti i doni posti intorno all’albero.

Sara si voltò a guardare gli elfi che correvano come matti in ogni dove a prendere e spostare i pacchi regalo.
“Con tutto quello che ha da fare, Babbo Natale è riuscito a trovare un momento tutto per me e salutarmi”.
Sara era commossa da tanta gentilezza.
– Scusami piccola Sara, ma ora devo proprio andare – disse Babbo Natale sorridendole.
Sara lo guardò, ed in un impeto di coraggio gli chiese:
– Posso venire con te sulla tua slitta? Sono piccolina, mi metto in un angolino e prometto di non disturbare…!

Babbo Natale guardò il suo aiutante elfo, che sorrise.
– Va bene, vieni con me! – la prese per mano e la portò fuori sul retro della casa, dove c’era la grande slitta di Babbo Natale.

Era la più grande slitta che avesse mai visto, strapiena di regali, con le renne scalpitanti pronte a partire.
Babbo Natale prese Sara e la fece sedere accanto a lui.
– Tieniti forte al mio braccio! – le disse facendole l’occhiolino. Partirono veloci veloci sulla neve finché, come per magia, la slitta cominciò a volare sopra gli alberi della vallata, e poi sempre più su!

A Sara sembrava di vivere in un sogno. Sotto di lei il mondo era piccolo piccolo, e la slitta andava così veloce che in un attimo furono sopra una città.
Babbo Natale si fermava sopra i tetti, spariva giù per i camini a consegnare i regali e, in un batter di ciglia, era di nuovo accanto a lei.

E continuarono così di città in città, fino ad arrivare al paesello dove viveva Sara.
Babbo Natale accostò la slitta alla finestra ancora aperta della cameretta di Sara, la accompagnò dentro e le rimboccò le coperte.
Sara sentì gli occhietti chiudersi dalla stanchezza: quante emozioni aveva vissuto in così poco tempo…
– Buon Natale mia piccola Sara, e sogni d’oro.

Mentre Sara chiudeva gli occhi, Babbo Natale le fece un’altra carezza, e prima di ripartire con la sua grande slitta a consegnare tutti i regali, andò dove c’era l’albero di Natale di Sara…

Così arrivò il mattino di Natale. Non appena sveglia, Sara infilò le pantofole, prese il suo orsacchiotto e corse in salone, dove c’era l’albero di Natale.
E il suo regalo era proprio lì sotto, una bellissima scatola rossa con un fiocco d’oro sopra.

Papà e mamma la presero in braccio e le augurarono buon Natale.
Lei li abbracciò entrambi tutta felice e raccontò loro la meravigliosa avventura della notte appena trascorsa. I suoi genitori erano un po’ confusi, non si erano accorti di niente e stentavano ad immaginare la loro bambina in compagnia di Babbo Natale a consegnare i regali… Ma non importava.

Per Sara quello era stato il Natale più bello della sua vita, già non vedeva l’ora che arrivasse quello successivo!
Perché ora sapeva che Babbo Natale esiste veramente, le era bastato ascoltare il suo cuore.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

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Il secondo lavoro di Babbo Natale

Il secondo lavoro di Babbo Natale

Nevina e Solleone ❄ 🌞

Riuscirà Nevina, figlia di re Gennaio a raggiungere e vedere il mare? Per lei che non è mai uscita dal paese dei ghiacci potrebbe essere una pericolosa avventura, ma per fortuna un nuovo amico l’aiuterà.

La storia di “Nevina e Solleone” spiega come grazie agli amici possiamo realizzare i nostri desideri, aiutandoci a vicenda. Per scrivere questo racconto noi di fabulinis ci siamo ispirati ad una fiaba di Guido Gozzano, speriamo tanto che vi piaccia!

Illustrazione di copertina di Chiara Castellarin

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Nevina e Solleone ❄ 🌞 storia completa


La Principessa Nevina viveva da sola con suo padre Gennaio, il fabbrica neve.

Re Gennaio preparava la neve che Nevina raccoglieva nelle sue tasche e poi spargeva sulle terre fredde del ghiaccio.
Nevina era una bambina bravissima, ma tanto triste. Quando padre Gennaio dormiva e non produceva più la neve, Nevina fissava la fredda notte stellata sognando le terre calde del mare che non aveva mai potuto vedere.

Ma un giorno prese coraggio e, senza farsi vedere, partì, lasciando le terre dei ghiacci.

Giunse a valle. Lì l’aria era più calda e Nevina iniziava a sentirsi affannata, ma continuò a camminare per i prati pieni di fiori e alberi. Non si accorgeva che dalle sue tasche usciva ancora la neve, e alle sue spalle si formavano nuvoloni grigi e un vento di aria gelida.

Cammina cammina, arrivò sul ciglio di una collina dove fu abbagliata dai riflessi di una sterminata distesa azzurra: era il mare!
All’improvviso le corse incontro un bimbo, il suo nome era Solleone. Le disse che doveva fermarsi, perché quello non era il suo regno e non poteva andare oltre perché stava portando neve e gelo per tutte le sue terre.

Ma a Nevina si formarono delle grosse lacrime agli angoli degli occhi, voleva toccare solo per una volta le cose che non aveva mai potuto vedere. Solleone si commosse e, invece di bloccarle la strada, si offrì di farle vedere tutto il suo regno. Tenendosi per mano, i due bambini cominciarono a scendere verso la spiaggia.

Fu così che Nevina riuscì finalmente a toccare il mare!

Ma le tasche di Nevina erano ormai senza più un fiocco di neve, e lei si sentiva così stanca che cadde sulla sabbia sfinita.
Solleone capì che doveva riportarla al più presto nelle sue terre del ghiaccio e della neve. Se la caricò sulle spalle e iniziò a correre.
Mano a mano che si avvicinavano alle terre fredde Nevina si sentiva meglio, ma Solleone cominciava a fare sempre più fatica, finché, pieno di brividi, non si fermò e la posò a terra.

Nevina gli prese le mani e lo ringraziò per quella giornata così bella che le aveva regalato, però capì che Solleone non poteva resistere ancora molto con tutto quel freddo e lo pregò di ritornare di corsa verso il mare.

Ma, prima di lasciarsi, si promisero che ogni anno, per un intero giorno, si sarebbero incontrati di nuovo per tornare a tenersi per mano.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il pupazzo di neve

Il pupazzo di neve

Stella di Neve ❄

E se un pupazzo di neve diventasse una bambina? Sarebbe un regalo bellissimo, soprattutto per la sua mamma e il suo papà che desideravano tanto avere un figlio.

“Stella di neve” è una rielaborazione della leggenda russa che ha per protagonista Sneguročka, la fanciulla di neve, che nel periodo natalizio porta i doni assieme al Nonno Gelo (il nostro Babbo Natale). Viene citata anche nel cartone animato Masha e Orso nell’episodio intitolato “Buon Natale”.

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Stella di Neve!

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Stella di neve ❄ storia completa


C’era una volta un vecchietto ed una vecchina che abitavano in una casetta isolata, in cima ad una collina.
Non avevano avuto figli, e perciò, per passare in tranquillità gli ultimi anni della loro vita, avevano scelto di isolarsi dal resto del mondo.

Passarono molti anni in cui i due, felici, non avevano avuto più contatti con nessuno, finché, in un freddo giorno d’inverno, con la neve alta fino alle ginocchia, andarono a cercare legna nel bosco vicino.
Il buon vecchietto sapeva che nei paraggi c’era anche un piccolo lago, e voleva vedere se era ghiacciato per il freddo.
Una volta arrivati sulle sponde del laghetto, videro che effettivamente era completamente ghiacciato, e ci si poteva camminare sopra!

Ma la vera sorpresa fu quella di vedere un piccolo gruppo di bambini che si divertiva a pattinare, o semplicemente a scivolare il più a lungo possibile senza cadere sbattendo il muso.
Altri bambini, invece, stavano sulla riva facendo pupazzi di neve. I due rimasero lungo a guardare la scena: avrebbero sempre voluto avere dei bambini e vederli giocare in quel modo!

La vecchina guardò suo marito sorridendogli e gli disse:
– Caro, perché non facciamo anche noi un pupazzo di neve come quei bambini?
Il vecchino rispose di sì con un cenno del capo, e subito si misero ad accumulare la neve.

Piano piano quello che doveva essere un semplice pupazzo di neve diventava una figura sempre più elaborate, finché, dopo quasi un’ora di lavoro, il pupazzo somigliava molto ad una bambina con cappellino, sciarpa e guanti.
Era la bambina che avevano sempre sognato di avere ma che non era mai arrivata…

I due vecchi guardavano la loro creazione con le lacrime agli occhi. Quanto avrebbero voluto che fosse reale!
Ma non si erano accorti che, sul ramo di un pino, li stava osservando una fata. Commossa da quella scena emozionante, la fata decise di avverare il loro sogno. Dalle sue mani partì una scintilla che volò leggera leggera fino sulla punta del naso della bimba fatta di neve.

I due vecchini videro quella minuscola stella posarsi sul nasino di neve, e… Meraviglia! Davanti ai loro occhi la bimba di neve, piano piano, stava prendendo colore!
Ma ancora più sbalorditi furono quando la bimba di neve, che ormai era una bimba in carne ed ossa, aprì gli occhi e sorrise loro.

I due vecchini scoppiarono a piangere dalla gioia, l’abbracciarono e la coprirono di baci. Decisero di chiamarla Stella.
Stella era una bimba piena di vita, correva, saltava ed era sempre sorridente. Ma, soprattutto, Stella cresceva in fretta, in un solo anno era quasi diventata una ragazzina, e ai due vecchini non sembrava vero di veder crescere la loro bimba.

A Stella, però, non piaceva l’estate. Si sentiva fiacca e svogliata e non voleva mai uscire di casa; si sentiva meglio e più felice solo quando arrivavano i grandi temporali che rinfrescavano l’aria.

Giunse quindi un altro inverno e poi un’altra estate. I tre vivevano felici e contenti ma, abitando lontani dal paese, Stella passava le sue giornate sempre da sola. Vedendola anche un poco triste, visto che era estate, la convinsero ad andare alla grande festa che si teneva giù in paese, dove alla sera avrebbero acceso anche un grande falò.
Stella non voleva andare, ma dopo le insistenti preghiere della vecchina, si mise il vestitino più bello e prese la strada che portava al paese.

– Ciao mia cara Stella, divertiti stasera!
Stella le sorrise e incominciò a camminare.

Quel giorno il sole era particolarmente forte e l’aria molto calda, Stella doveva riposarsi spesso all’ombra dei grandi alberi, beveva molto e poi ripartiva.
Giunse in paese, che aveva visto solo un paio di volte in occasione delle feste invernali, quando con la vecchina andava a comprare il cibo.

Il paese era tutto addobbato a festa, e le persone ballavano ad ogni angolo delle strade, molti giovani danzavano a gruppi i balli popolari. Stella si avvicinò a loro, e dopo qualche timido sorriso tra lei ed altre ragazze del gruppo, fu trascinata nelle danze.
Stella ballava e ballava, senza mai fermarsi, finché poco a poco giunse la sera.
L’aria era diventata di colpo fresca e Stella nonostante fosse da ore che ballava, si sentiva ancora piena di energie, e continuava a ballare.

Fu il momento di accendere l’enorme falò per concludere in bellezza la festa del paese; era talmente grande che tutte in cerchio, prendendosi per mano, servivano quasi cento persone per circondarlo.
Stella e le altre ragazze presero a danzare tutta la notte intorno al falò che aveva fiamme alte fino al cielo.

Il falò però era caldo, troppo caldo per Stella, che iniziava a sudare e sentirsi male. Lei non voleva smettere di ballare, ma ad un certo punto, guardandosi le mani, si accorse che erano diventate quasi trasparenti!
Si guardò i piedi ed anche loro erano trasparenti! Si toccò il viso e sentì come se stesse toccando dell’acqua gelatinosa…

Stella si rese conto che si stava lentamente sciogliendo, di quel passo si sarebbe sicuramente trasformata in una pozzanghera!
Raccolse tutte le sue forze e corse fuori dal paese e il più lontano possibile da quel falò, voleva tornare a casa ma era buio e si sarebbe sicuramente persa.
Cercò quindi del refrigerio in riva al fiume immergendosi quasi completamente. Il fiume era freddo, ma per Stella il freddo significava la vita.

Fu in quel momento che capì che non poteva più rimanere in quel paese dove le estati erano così calde e afose. Doveva andare più a nord, verso le terre dei ghiacci, solo lì avrebbe potuto vivere serena ed essere veramente felice.

Poco dopo, sul fiume, comparve un tremulo bagliore. Era la barca di un pescatore che risaliva la corrente.
– Scusi signor pescatore, dove sta andando? – chiese Stella.
– Sto andando verso nord, verso il regno roccioso. Ma tu, che ci fai qui in riva al fiume e a quest’ora della notte?!
– Cerco un po’ di refrigerio… visto che va verso nord posso chiederle un passaggio?

Il pescatore sembrava un po’ confuso, ma le disse che non c’era nessun problema, che l’avrebbe portata fino al regno delle rocce, poi lui sarebbe tornato indietro.
A Stella andava benissimo, saltò sulla barchetta e si sedette rannicchiata sulla panchetta davanti, pensando ai due vecchini, mamma e papà, che non vedendola arrivare avrebbero avuto un grande dispiacere.

Ma Stella sentiva che stava per intraprendere una grossa avventura, l’avventura della sua vita.
Dalla riva del fiume una piccola scia luminosa fluttuò fino a lei, era una piccola fata, che le si posò sulla spalla.

– Ciao, io sono la fata Thea, tu non lo sai ma io ti conosco fin da quando eri piccina…
– Ciao fata Thea, piacere di conoscerti… – Stella e Thea si sorrisero, e capirono che erano destinate ad un lungo e meraviglioso viaggio assieme.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

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Fiocco di neve

Fiocco di neve

L’arrivo dei Magi 🎁

Sicuri che valga veramente la pena litigare con una persona e rischiare di perderla anche se le si vuole veramente bene…?

“L’arrivo dei Magi” è una fiaba creata da noi di fabulinis ispirandoci al racconto di O. Henry “Il dono dei Magi”.

E’ ambientata nel periodo dell’epifania e della festa della Befana.

Spiega ai bambini come la generosità venga sempre premiata, ed é un racconto con un po’ di nostalgica magia da raccontare ai nostri bambini durante tutto il periodo delle feste natalizie.

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L’arrivo dei Magi 🎁


Era il giorno prima dell’arrivo dei Magi, i grandi saggi che venivano da oriente a portare i doni ai bambini, e in paese si stavano facendo i preparativi per le feste.
In questo piccolo paesino vivevano due fratellini, Delia e Gioele, che si volevano tanto bene e stavano sempre insieme.
Ma anche loro, come tutti i fratellini, ogni tanto bisticciavano, e a volte si facevano dei dispetti veramente tremendi.

E quel giorno Delia e Gioele litigarono furiosamente. I due si azzuffarono talmente tanto che quando la mamma li divise, li sgridò così sonoramente che Delia e Gioele piansero tantissimo.
– Se non fate subito la pace i Magi penseranno che siete due bambini cattivi, e saranno veramente dispiaciuti! – disse loro la mamma.
Ma Delia e Gioele non volevano ascoltarla. Ognuno di loro pensava di aver ragione e non avrebbe mai chiesto scusa all’altro.
Così la mamma li mise in castigo, a riflettere sul loro comportamento.

Delia stringeva forte la sua bambola, era il suo giocattolo preferito e non la lasciava mai.
Gioele stringeva forte il suo inseparabile trenino di legno, che trascinava col cordino per tutta la casa.
Dopo un po’ la mamma tornò e chiese:
– Avete riflettuto bene sulla vostra condotta?
– Sì… – risposero i due con un tono non molto convinto.
– Fate la pace?
– Sì… – sempre con lo stesso tono.
– Allora datevi un bell’abbraccio e fate pace.
Delia e Gioele si avvicinarono lentamente, si diedero un abbraccio velocissimo e poi si allontanarono sempre col broncio.

La mamma, che aveva notato questo finto abbraccio di pace, li riprese:
– Bimbi miei, ricordatevi che i Magi sanno leggere nel vostro cuore, e se le vostre scuse non sono sincere loro lo sapranno, e ne saranno veramente dispiaciuti!
Delia e Gioele furono molto colpiti da queste parole.
I Magi venivano una volta sola l’anno, e per i bambini avevano sempre dei bei regali, ma sapevano anche che ai bambini monelli portavano solo del carbone…

I due si guardarono di nuovo negli occhi, ma l’orgoglio ferito bruciava ancora troppo, e corsero via nelle rispettive camerette.
Le parole della mamma continuavano a ronzare nelle loro teste. In fin dei conti Delia e Gioele si volevano veramente un gran bene, e iniziavano a sentirsi veramente dispiaciuti per come si erano comportati.
Delia teneva in mano un disegno che Gioele le aveva fatto e a cui era tanto affezionata. Più lo guardava e più si sentiva in colpa per quello che era successo.

Decise che doveva andare a scusarsi. Lasciò andare il disegno, che scivolò per terra, e in punta di piedi andò verso la cameretta di Gioele.
Gioele stava per fare la stessa cosa, ma mentre infilava una delle ciabatte inciampò e cadde per terra. Guardando furioso la ciabatta disse:
– Cattiva!
Ma Delia era lì sulla porta e, sentendo quelle parole, credette che Gioele fosse ancora arrabbiato con lei. Perciò corse via.

– Gioele è davvero arrabbiato con me, devo farmi perdonare ad ogni costo! – si disse la bimba con le lacrime agli occhi, mentre stringeva a sé la sua amata bambola.
Gioele sentì correre, capì che era Delia, e quando uscì in corridoio vide la sua cameretta vuota col disegno per terra.
– Delia non avrebbe mai buttato a terra il mio disegno se non fosse veramente arrabbiata con me… devo assolutamente farmi perdonare! – si disse Gioele, mentre tirando il suo trenino di legno correva a vedere dove fosse andata Delia. Ma di lei in casa non c’era più nessuna traccia…

Delia era uscita. Per le vie del paese c’erano tante bancarelle, piene di cose bellissime: dolci, vestiti, leccornie e chi più ne ha più ne metta.
– Per farmi perdonare da Gioele potrei fargli un super regalo… – pensò Delia.
Cammina cammina, Delia arrivò alla bancarella di un rigattiere, che tra le altre cose aveva un sacco di giocattoli usati ma ancora tenuti bene.

Delia si avvicinò e tra tutte le cose notò una piccola stazioncina ferroviaria in legno, che sarebbe stata benissimo col trenino di Gioele.
Delia guardò il rigattiere e indicò la stazioncina di legno.
– Sono venti soldini piccola mia – disse il rigattiere.
Ma Delia venti soldini non li aveva… l’unica cosa che aveva era la sua amata bambola, e la porse al rigattiere.
L’uomo fu molto colpito da quel gesto.

– Vuoi fare a cambio con la stazioncina?
Delia fece di sì con la testa.
Il rigattiere prese la bambola e diede la stazioncina alla bimba, che dando un ultimo sguardo alla sua amata bambola, corse via.
Il rigattiere, ancora stupito per quel gesto, guardò la bambola, e poi la mise sotto il suo banchetto, in modo che non si potesse vedere.

Anche Gioele era uscito in cerca di un regalo da fare a Delia per farsi perdonare, e anche lui capitò alla bancarella del rigattiere.
Vide tra tutti i giocattoli una bella culla per le bambole. Lì dentro Delia avrebbe potuto mettere la sua e giocare tutta felice.
Gioele guardò il rigattiere e indicò la culla.
– Sono venti soldini piccolo mio – disse il rigattiere.

Ma Gioele venti soldini non li aveva… l’unica cosa che aveva era il suo trenino, e lo porse al rigattiere.
– Vuoi fare a cambio con la culla?
Gioele fece di sì con la testa.
Il rigattiere prese il trenino e diede la culla al bimbo, che dando un ultimo sguardo al suo amato giocattolo, corse via urtando una signora che passava.

– Gioele! Attento a dove corri! – lo sgridò la signora, ma Gioele ormai era lontano per sentirla.
– Conosce quel bambino signora? – chiese il rigattiere.
– Si, è il figlio di una mia cara amica…
Il rigattiere annuì, e ripose il trenino sotto il suo banchetto, proprio accanto alla bambola di Delia.

Quando Gioele tornò a casa c’era Delia ad aspettarlo, aveva le mani dietro la schiena e sembrava molto emozionata.
Gioele non vedeva l’ora di fare pace con la sorellina ed era così emozionato che inciampò e cadde a terra insieme alla culla.
Delia gli corse incontro – ti sei fatto male?
– No no… tutto a posto – e prendendo la culla da terra gliela porse – tieni Delia, questa è per la tua bambola… scusami tanto per prima… mi perdoni?

Delia guardò la culla dove avrebbe potuto mettere la sua bambola, poi prese la stazioncina e la porse a Gioele.
– Perdonami tu fratellino, anche a me dispiace tanto per prima… ma dov’è il tuo trenino?
Gioele, mentre rimirava la stazioncina in legno, le disse:
– L’ho scambiato per la culla… ma dov’è la tua bambola?
Delia indicò la stazioncina e Gioele capì.

I due si abbracciarono forte forte piangendo di gioia e si promisero che non avrebbero mai più litigato, non ricordavano nemmeno il motivo…
Avevano sacrificato entrambi la cosa più preziosa che avevano per far felice l’altro, e i Magi sarebbero stati fieri di loro.

Delia e Gioele andarono a nanna felici, stringendo forte forte i loro nuovi giocattoli, e fecero sogni bellissimi.
Al mattino la mamma li svegliò di buon’ora – Delia, Gioele, sveglia che è pronta la colazione!
I due corsero in cucina dove li aspettava la mamma che subito chiese loro:
– Ma come mai questa notte avete lasciato la bambola e il trenino fuori dalla porta di casa a prendere il freddo?
Delia e Gioele si guardarono stupiti, i Magi erano passati per davvero a dare i regali, e che regali! Avevano riportato i loro amati giocattoli!
Per Delia e Gioele fu uno dei giorni più felici della loro vita, e da quel momento non smisero mai più di volersi bene.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Giacomino il piccolo elfo 🧝

Come si sente un elfo alla sua prima consegna dei regali di Natale?

Beatrice di 10 anni ha scritto questa dolce fiaba in cui parla dell’elfo Giacomino e delle sue emozioni nella prima notte in giro con Babbo Natale a consegnare regali

Giacomino il piccolo elfo 🧝


Tutti gli elfi e le fatine di Babbo Natale erano allegri e ubbidienti e non disubbidivano mai alle sue indicazioni.
Gli elfi erano di gran lunga più golosi delle loro amiche fate, ogni volta che si sedevano a tavola, divoravano tutto il cibo così in fretta, da non lasciare il tempo a Babbo Natale neanche di sedersi, a contrario delle fatine, che erano così educate da aspettare tutti prima di iniziare a mangiare.

Quando si trattava di costruire giocattoli, gli elfi erano precisi e ordinati nel loro lavoro, ad eccezione di uno, si chiamava Giacomino ed era il più piccolo.

La Vigilia di Natale, Babbo Natale, elencò i nomi degli elfi che lo avrebbero aiutato a consegnare tutti i doni a tutti i bambini, indovinate un po’?

Giacomino fu chiamato, era la prima volta per lui e non sapeva come comportarsi, cosa fare e dove andare, Babbo Natale gli disse che sarebbe andato insieme a lui a consegnare i doni, giusto per imparare.

Quella sera, Giacomino era super terrorizzato, aveva paura di fare qualcosa di sbagliato e di rallentare Babbo Natale, il quale in quel periodo, era un po’ stanco per l’enorme quantità di letterine con troppi desideri da parte dei bambini.

Dopo aver salutato i loro amici rimasti al Polo Nord, gli elfi partirono e furono impegnati tutta la notte, mentre Giacomino andò dalla nonna per farsi rassicurare. Appena giunto da lei, si vergognò a dire che aveva paura, poiché lo guardava orgogliosa e quindi, proprio non se la sentiva.

Arrivò il momento in cui Giacomino, con Babbo Natale, salì sulla loro slitta magica e gli altri elfi sulle loro.
Incominciarono dal Canada, Babbo Natale mostrò a Giacomino come infilare i pacchetti nei camini e come scendere giù senza farsi sentire e vedere.

Dopo toccò all’Alaska, Babbo Natale disse a Giacomino di infilare i pacchi nei caminetti e a entrare nelle case senza farsi scoprire, Giacomino si divertì nel farlo e nel riuscirci.

Andarono in tutti i Continenti insieme agli altri elfi e portarono i regali in tutto il mondo.

Quando tornarono al Polo Nord, la mamma, la nonna e gli amici di Giacomino lo applaudirono per aver consegnato i regali la prima volta e Babbo Natale gli disse che aveva sentito tutto quello che diceva nella sua mente, che non doveva agitarsi così tanto e che doveva avere più fiducia in sé stesso.

Giacomino annuì e gli chiese come facesse a sapere quello che stava pensando, allora Babbo Natale gli disse… beh… che lui era
Babbo Natale!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto sulla notte di Natale.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

Lo scoiattolo Coda mozza 🐿️

Un racconto di Natale per imparare a essere più felici, anche quando ci manca qualcosa…

Capita nella vita di perdere qualcosa, e il nostro piccolo scoiattolo è tanto triste perché ha perso un pezzo di coda in un incidente… ma grazie a tutti gli amici che gli sono rimasti vicino, ritroverà il sorriso.

Lo scoiattolo Coda mozza 🐿️


C’era una volta uno scoiattolo molto triste perché, a differenza di tutti gli altri, compresi i suoi fratelli, aveva una coda cortissima, come se fosse stata mozzata a metà. Per questo era sempre deriso dagli altri animali del bosco e aveva pochi amici in quanto si isolava spesso, in seguito al suo problema.

Un giorno andò dalla sua mamma e gli chiese:
«Mamma, io voglio essere come tutti. Perché la mia coda non cresce più? Non mi piace e tutti mi prendono in giro per questo.»
«Figlio mio…» disse la mamma «lo sai che la tua bellissima coda alcuni mesi fa è rimasta incastrata tra i rami dell’albero da cui saltavi ogni giorno. Devi rassegnarti, hai un bellissimo pelo morbido e lucente, due stupendi occhi, delle forti zampette, sei molto agile e simpatico. Devi vedere quello che possiedi non quello che non hai.»

Il piccolo scoiattolo si rassegnò: la sua mamma proprio non lo capiva. Nessuno riusciva a comprendere il malessere che aveva dentro. I suoi numerosi fratelli erano orgogliosi della loro coda mentre lui si vergognava di farla vedere.

Si stava avvicinando il Natale e tutti gli animali del bosco avevano parlato con i loro amici gnomi perché comunicassero a Babbo Natale il regalo desiderato ma coda mozza, come lo soprannominavano tutti, non aveva richieste da fare. Nulla gli interessava.

Lo gnomo incaricato di portare tutte le richieste di doni si accorse che quest’anno, per la prima volta, il suo amico scoiattolo non era andato da lui come sempre aveva fatto.

Ma le voci nel bosco girano veloci e la storia di coda mozza la conoscevano tutti. Come poteva fare? La cosa più ovvia era parlarne con Babbo Natale che sicuramente avrebbe trovato una soluzione.

Era giunta la notte del Santo Natale e tutti gli animali andarono nelle loro tane appena si fece buio, in attesa di vedere il regalo richiesto alle prime luci dell’alba.

Il mattino dopo, il giorno di Natale, il bosco si animò velocemente. Tutti gli animali, grandi e piccoli, trovarono i loro doni: castagne, noci, bucce di banane, funghi, semi ma anche cappelli, bastoni, scope, ecc. Le richieste inviate erano varie.

Tutti si radunarono per fare festa ma coda mozza non uscì dal suo nido nell’albero. Era troppo triste per festeggiare. Fino a quando un pacchettino dal fiocco rosso attirò il suo sguardo. Cosa poteva contenere? Lui non aveva chiesto nulla. La curiosità prevalse per cui scartò il pacco e… sorpresa. Conteneva una coda! Ogni animale aveva donato alcuni dei suoi peli perché Babbo Natale potesse costruirgliene una.

Era troppo bello ed eccitante. Inserì l’elastico della nuova coda nel suo moncone e voilà, finalmente si sentiva di nuovo uno scoiattolo, e addirittura super dotato.

Saltò da un albero all’altro, saltellando in mezzo a tutti i suoi amici. Cosa poteva desiderare di più? Sentiva il calore della loro amicizia.

Era di nuovo, finalmente, felice!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

www.tiraccontounastoriablog.com

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Freddy, il pupazzo di neve ☃️

I momenti belli della vita non scompaiono, ma si portano con gioia nel cuore per sempre.❤️

A volte anche i pupazzi di neve parlano! e ci ricordano che se anche si dovessero sciogliere per il sole, basterà un’altra nevicata per ritrovare la magia di farne un altro!

Freddy, il pupazzo di neve ☃️


Candidi fiocchi iniziavano a scendere sul paesino di Arcobaldo. I bambini non attendevano altro, tanta neve per poter finalmente giocarci.
Caterina e Lorenzo avevano passato tutto il pomeriggio al parco, dopo l’abbondante nevicata, per costruire con cura il loro pupazzo di neve: due tappi di bottiglia per gli occhi, una carota per il naso, un pezzo di stoffa rosso per la bocca.
Sulla testa un vecchio cappello nero e una sciarpa scolorita al collo, al corpo cicciotto avevano applicato una fila di bottoni marroni e una fibbia di metallo per cintura.

«Che carino questo pupazzo, siamo stati bravi, vero sorellina?» esclamò felice Lorenzo.
«Bellissimo, pare quasi vero, gli manca solamente… la parola!» disse Caterina.
«La parola… chi dice che i pupazzi di neve non parlino, eh?» fece una voce roca.

I bimbi sul momento pensarono ad uno scherzo degli amici. Si guardarono intorno, ma non videro nessuno.
«Ehi, piccoli! Dico a voi!» tuonò nuovamente la voce roca.
Caterina e Lorenzo si girarono entrambi in direzione del pupazzo di neve e videro che la sua bocca si era spostata lievemente dalla posizione originale.

«Si, si, sono proprio io che vi parlo! L’amico di neve che avete appena costruito» fece il pupazzo.
«Ma i pupazzi di neve non parlano… o almeno…» mormorò Lorenzo.
«Io sono speciale, mi chiamo Freddy! Sono veramente felice di fare la vostra conoscenza, mi avete modellato davvero bene» disse il pupazzo.

Iniziò a farsi buio.
«Ciao Freddy, domani torneremo a trovarti!» fecero i due fratelli.
«Va bene, ma dovete farmi una promessa. Spero di rivedervi presto, ma se questo non dovesse accadere, non rattristatevi: ritornerò con la prossima nevicata e voi mi ricostruirete più grande e più bello!».

Caterina e Lorenzo scossero la testa, il giorno dopo si sarebbero ritrovati tutti e tre nello stesso punto, nello stesso parco.
Il mattino seguente i bambini si alzarono presto, fecero colazione, si infilarono il cappotto e uscirono. La giornata era fredda ma soleggiata. Corsero dal loro pupazzo di neve… ma una brutta sorpresa li attendeva: Freddy non c’era più. Il sole lo aveva sciolto quasi completamente.

«Che tristezza, il nostro amico è sparito!» disse Lorenzo con le lacrime agli occhi.
Caterina si ricordò allora della promessa fatta a Freddy.
«Dai, Lorenzo, non piangere! Il nostro amico ritornerà, vedrai, ritornerà!».

Alzando lo sguardo al cielo, la bimba vide alcune nuvole scure avanzare nascondendo il sole. Sorrise.
«Ora andiamo fratellino! Mamma e papà ci stanno aspettando per il pranzo! Vediamo chi arriva primo!».
Iniziarono a correre veloci, lungo la stradina che portava alla loro casa.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, per far capire con delicatezza ai piccoli che i momenti belli della vita non scompaiono, ma si portano con gioia nel cuore per sempre.

www.ritabimbatti.it

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Il pupazzo di neve

Il pupazzo di neve

Il Samsung e l’iPhone 📱

C’è una cosa meravigliosa che fa sorridere tutti i bambini, e L’astronave Ruggine lo scoprirà!

Ma è proprio vero che sulla terra ci sono solo guerre? L’astronave Ruggine non ne è proprio del tutto convinta, si ricorda che c’era anche qualcosa’altro di molto bello su quel lontano pianeta… scopriamolo insieme!

Il Samsung e l’iPhone 📱


Un telefono Samsung aveva come padrone la famiglia Rossi.

Un giorno cadde a terra e si ruppe e dovette lasciare la sua famiglia.

Andò nel giardino del loro vicino e incontrò un suo amico che si chiamava Iphone, ma appena lo vide cominciò a prenderlo in giro – sei vecchio e rotto che nessuno ti vorrà più AHAHAHAH.

Da allora, chiunque incontrava continuava a prenderlo in giro.

Si fece sera, e camminando e camminando arrivò fino alla tangenziale del suo paese dove finalmente incontrò un suo amico. ERA IL TELEFONO HUAWEI! Che gli disse: ciao, come va? Tutto ok?

Finalmente qualcuno che gli parlava senza prenderlo in giro: sono caduto e mi sono rotto, per favore mi aiuti?.
– Si – rispose, e insieme si incamminarono verso il centro assistenza.

Passarono i giorni e il Samsung finalmente guarì.

Una mattina, mentre passeggiava ai giardini pubblici, incontrò Iphone che gli disse:
– Ti trovo bene, come hai fatto? Chi ti Ha aiutato a tornare in forma?

E Samsung rispose:
– Ho incontrato il mio amico Huawei che mi ha a accompagnato in un centro assistenza e sono tornato come nuovo, forse non lo sai che nella vita è meglio aiutare gli altri invece che prenderli in giro?
MORALE: come dice Samsung, è meglio aiutare gli altri invece di prenderli in giro.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Flavio De Fazio per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il Lupo Sestante 🐺

L’amore vero non conosce limiti

Questo intenso racconto scritto sia in italiano che spagnolo racconta di come sia più importante ciò che sta dentro di noi piuttosto che l’aspetto esteriore.

Il lupo Sestante 🐺


C’era una volta, un lupo dagli occhi viola di nome Sestante.
Perduta una zampa, lui non si era mai perso d’animo, e pure se storpio e malfermo, obbligato a mangiare semi e bere tanta acqua, non aveva mai smesso di cantare la sua poesia alla luna, anche se con tono più basso, come la sua condizione gli imponeva, ugualmente orgoglioso di riempire coi suoi versi il creato.

“Però con quella zampa!” “Fa voltastomaco!” “Poverino!” giungevano di quando in quando, voci al suo orecchio “Non si può curare?”
“No! Ma si può continuare a vivere e a cantare!” asseriva lui per tutta risposta, levando in alto il muso, sorridente, un passo dietro gli altri.

“Acquazzone/dondola fra i rami/una piuma” cantava il lupo i suoi haiku, libero.
“In inverno i semi scarseggiano” “E se non ce la dovesse fare a trovarne sulla nuda pietra e dovesse cercarne altrove?” “Non sente la mancanza dell’altura?” “Non gli manca salire fin sullo sperone della montagna?”

E, Sestante per tutta risposta cantava, facendo risplendere il creato con la sua voce.
“Alla festa della primavera mi sembra, non sia mai stato invitato?!”.
E il lupo si destreggiava in gorgheggi ancora più brillanti.

“Come potrebbe mai riuscire ad arrivarci?” “Sestante?!” “Dovrebbe fermarsi troppo di frequente, dissetarsi in continuazione!” “Come farebbe ad affrontare un viaggio così lungo?” “Zoppo, brutto!”
“Ma se sei bellissimo!” sospirava Fersina, lupa dagli occhi d’ambra, per cui Sestante era perfetto: forte, coraggioso, l’unico in grado di guardarla facendola sentire amata, invincibile; lui, il suo gigante buono, con la massa del suo corpo a custodirla.
“Ma la mia zampa? Mi vedi bene?” guaiva lui “Pure se sono così brutto?”

E lei, tirandole giocosamente l’orecchio con le zanne, dinanzi alle sue paure sorrideva con dolcezza, scodinzolando. Facendogli dimenticare le malelingue.
“Sestante!” ululava lei, cuore nel cuore “Permettimi di partecipare alla tua Vita, di esserti al fianco. ‘Partecipazione’ è una parola importante, la più bella, dal latino tardo participatio-onis, indica il prendere parte, far parte. Ed è ciò che voglio. Sempre! Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia! Se tu sei Felice io sono Felice!”

“Eh, l’Amore!” balbettava commossa la lontra Penelope, seguita dall’usignolo Ovidio a zampettare tra le foglie “Animae duae, animus unus. Due vite, un’anima sola”.

“Oh, Fersina! Mia piccola strega! Cucciola!” la guardava lui innamorato.
“Dimmi?!” rideva lei conoscendo già la risposta, accostandosi con tenerezza.
“Che meraviglia! L’Amore universale è la magia di due anime che si carezzano, a dispetto dell’età, del sesso” sorrideva la tartaruga Pausania, avanzando retrocedendo in un tumulto di emozioni incontrollabli, col suo passo, lentamente, molto lentamente.

“Che incanto!” trillò l’albatros Amleto. “Amor Vincit Omnia. L’Amore Vince Tutto!” frullò le sue lunghe ali bianche la cicogna Adelaide.
“Fersina. Il cuore è il suo angolo di orientamento e non può sbagliare” balzò la lepre Castore “Orientamento: parola che deriva da “oriente”, dal latino oriens, voce del verbo “orirri” sorgere, volgere ad oriente, alla luce che permette di scegliere. E la lupa volge i suoi occhi alla luce: la luce dell’Amore, di ciò che è essenziale vedere”.

“Amor gignit amorem. L’Amore genera amore” saltò fra i rami dello stupendo abete rosso di risonanza stradivari, lo scoiattolo Avisio, librandosi fra gli innumerevoli picea abies “Amare significa avere cura”
“Ses- tan-te!” sussurrò la lupa.
“Fer-si-na!” mormorò il lupo.

“Il destino è quel filo rosso, quell’incontro voluto dalle anime, prima ancora che i corpi possano incontrarsi!” gonfiò il petto il suricato Cagliostro “Esso si allunga, si intreccia, ma non si spezza mai. I legami voluti dal destino sono indissolubili”.
“Ciò che è destinato a te troverà sempre il modo di raggiungerti!” fissò il merlo Javier il luccicore di Vega sopra le loro teste. “L’Amore non conosce restrizioni!” seguì l’allodola Ipazia.

“La tua zampa, Sestante, è il tuo sangue. E non si può cambiare!” soffiò la lupa “Ed io lo amo così com’è!” guaì “Senti come mi batte forte il cuore?”
“Fersina, il colore della tua voce quando pronunci, sussurri, scaldi (e talvolta anche sbraiti) il mio nome, dipinge i miei giorni di Gioia!” guaì il lupo “Il ricamo prezioso dei tuoi silenzi: è l’amore!” disse senza abbassare lo sguardo.

“L’Amor l’è tut. E’ qualcuno con cui correre (anche con una zampa rossa). Chest’è!” vibrò il cervo Ascanio “Nella buona come nella cattiva sorte, in salute ed in malattia!”.
E Sestante cantava allora ancora più forte, fino al cielo lassù: melodia d’amore d’impareggiabile bellezza “Sogno/s’apre di rugiada/una rosa”. Cuore nel cuore della sua Fersina, radioso.

El lobo Sestante 🐺


Érase una vez, un lobo de ojos  morados llamado Sestante.
A pesar de que había perdido una pata, el nunca perdió el ánimo, y además, aunque era deformado y enfermo, obligado a comer semillas y tomar mucha agua, nunca había dejado de cantar su poesìa a la luna, aunque lo hacía desde tonos bajas, tal como su condición lo obligaba, pero igualmente orgulloso de llenar con sus bellas notas la creación.

“¿Pero adónde va con esa pata?” “¡Da asco!” “¡Pobrecito!” les alcanzaban, de vez en cuando, las voces de otros aves a su oído “¿Pero no se puede curar?” “¿Nunca?”.
“¡No! ¡Pero puedes seguir viviendo y cantando!” devolvía él como respuesta, levantando hocico, sonriente, a un paso detrás de los otros.
“Chubascón/se balancea entre las ramas/una pluma” el lobo cantò sus haikus, libre.

“En el invierno las semillas son escasas” “¿Y si no las encuentras sobre las rocas desnudas, y tienes buscar en otras?” “¿Y en el terreno elevado nunca subes?” “¿No le echas de menos?” “¿No extraña subir al estribo de la montaña?”.
Y, por respuesta, Sestante cantaba, haciendo resplandecer la creación con su voz.
“¡¿A la fiesta de la primavera, me parece, nunca fue invitado?!”.

Y el lobo asintía con la cabeza, e se las apañaba con las palabras para cambiar discurso.
“¿Cómo podría alguna vez ser capaz de llegar?” “¿Sestante?” “¡Debería detenerse con demasiada frecuencia! ¡Entonces apaga tu sed todo el tiempo!” “¿Y luego cómo se enfrentan a un viaje tan largo?” “¡Cojear!¡El es tan feo!”.

“¡Pero si eres hermoso!” suspiraba Fersina, loba con ojos color ámbar. Para ella, Sestante era perfecto: fuerte, valiente, lo único capaz de mirarla haciéndola sentir amada, invencible; él, un gigante bueno con la masa de su cuerpo para protegerla.
“Pero, ¿y mi pata, me ves bien?” murmuraba èl “¿Incluso si soy tan fea?”.
Y ella, jugando, tirándo de su oreja con sus colmillos, viendo sus miedos sonriò dulcemente, meneando la cola.
Haciéndolo olvidar los chismes.

“¡Sestante!” aullaba ella, corazón en corazón “Permíteme participar en tu Vida, estar a tu lado. “Participación” es una palabra tan importante, la más hermosa, del latín tardío participatio-onis, indica participar, ser parte. Y eso es lo quiero. ¡Siempre! Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia: si tú si Feliz, yo soy Feliz!”.
“¡El amor!” tartamudeó de emoción la nutria Penelope, seguida por el ruiseñor Ovidio correteando entre las hojas “Animae duae, animus unus. Dos vidas, un alma”.

“¡Oh, Fersina! ¡Mi pequeña bruja! ¡Cachorrita!” la mirada èl, enamorado.
“¡¿Dígame?!” ella se rió, ya sabiendo la respuesta, acercándose con ternura.
“¡Maravilloso! El amor es universal, es la magia de dos almas que se acarician, sin importar de la edad, el sexo” la tortuga de Pausania sonreía, mientras avanzaba, retrocediendo en un tumulto de emociones incontrolables, con su paso lento, muy lento.

“¡Me encanta!” trinó el albatros Hamlet “¡Amor Vincit Omnia! ¡El amor lo gana todo!” la cigüeña Adelaide agitó sus largas alas blancas.
“Fersina. El corazón es su ángulo de orientación y no puede equivocarse” brotò la liebre Castore. “Orientación: palabra que deriva de “este”, del latín oriens, voz del verbo “orirri” surgir, girar hacia el este. Y la loba vuelve los ojos hacia la luz: la luz del Amor, de lo que es esencial ver”.

“Amor gignit amorem. ¡El amor genera amor!” la ardilla Avisio saltó entre las ramas del precioso abeto rojo de resonancia stradivarius, flotando entre las innumerables picea abies “Amar significa cuidar”.
“¡Ses-tan-te!” susurró la loba.
“¡Fer-si-na!” murmuró el lobo.

“El destino es ese hilo rojo, ese encuentro deseado por las almas, incluso antes de que los cuerpos puedan encontrarse” el suricato Cagliostro hinchó su pecho “Se estira, se entrelaza, pero nunca se rompe. Los lazos queridos por el destino son indestructibles”.
“¡Lo que está destinado a ti siempre encontrará la manera de llegar a ti!” el mirlo Javier miró fijamente el brillo de Vega sobre sus cabezas. “¡El amor no conoce restricciones!” siguiò la alondra Ipazia.

“Tu pata roja, Sestante, es tu sangre. ¡Y no puedes cambiar!” sopló la loba “¡Y lo amo como es!” grito “¿Sientes cómo mi corazón derrota rápido?” suspirò “¡Mi amor!”.
“Fersina, el color de tu voz cuando pronuncias, susurras, calientas (ya veces incluso gritas) mi nombre, ¡pinta mis días de Alegría!” gritó el lobo “¡El precioso bordado de tus silencios: es l’amor!” dijo, sin bajar la mirada.

“L’amor es todo. Es alguien con quien correr (incluso con una pata roja). ¡Cofre!” vibraba el ciervo Ascanio “¡En la buena suerte como en la mala suerte, en la salud y en la enfermedad!”
Sestante cantaba aún más fuerte, hacia el cielo: melodía de amor de incomparable belleza. “Sueño/se abre de rocìo/una rosa” corazón en el corazón de sus Fersina, radiantes.

Traducción del Cuento al español por Fabio Pierri

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Monica Fiorentino per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto pieno d’amore in italiano e spagnolo.

Ruggine l’astronave e il pianeta terra 🚀

C’è una cosa meravigliosa che fa sorridere tutti i bambini, e L’astronave Ruggine lo scoprirà!

Ma è proprio vero che sulla terra ci sono solo guerre? L’astronave Ruggine non ne è proprio del tutto convinta, si ricorda che c’era anche qualcosa’altro di molto bello su quel lontano pianeta… scopriamolo insieme!

Ruggine l’astronave e il pianeta terra 🚀


Da dove vengono le astronavi?
In un posto sopra le nuvole e oltre il cielo…c’è il pianeta delle astronavi: ci vivono quelle più coraggiose di tutte le galassie che vanno a visitare pianeti conosciuti e a scoprire quelli nuovi.

Ogni sera, l’astronave più saggia di tutte, la numero 001 chiede: “chi è che stasera va sulla terra?”
Le astronavi tutte in coro, senza pensarci gridano: “Sulla terra c’è la guerra!”
Nessuna vuole mai andarci.
Finché una notte..

“Aspettate! Vado io sulla terra!”
“Ma chi è che parla?” si chiedono tutti…
Viene avanti un’astronave tutta ammaccata e arrugginita…
Ma è Ruggine! l’astronave più anziana che c’è.

“Ci sono stata tanti anni fa. Sono sicura che non ci sia solo la guerra c’è un’altra cosa…solo che non mi ricordo cosa sia.”
Le astronavi si guardano tra loro un po’ sollevate ed un pò in pensiero, così si riuniscono nel cerchio galattico per parlarne. Dopo un po’ di tempo annunciano il verdetto: “Bene Ruggine, andrai tu sulla terra”!

1..
2..
3..
Ruggine parte e durante il viaggio, dopo due tempeste di asteroidi, perde un’antenna.
Infine, riesce ad arrivare sul pianeta che non piace a nessuno. Diventa invisibile ed inizia a visitare la terra in lungo e in largo.
In molti paesi Ruggine trova la guerra e dove non c’è, i terrestri non vanno molto d’accordo.

“Forse questo pianeta ha perso la cosa bella che aveva” – pensa tra se’- si ricorda allora degli esseri più antichi che vivono sulla terra e decide di andare a trovarli.
Gli alberi.

Arriva nel bosco più grande del pianeta e sceglie di rendersi visibile per poter dialogare con loro.
“Cari amici boscosi io sono ruggine un’astronave che viene dal pianeta delle navicelle esploratrici, sono qui perchè voglio sapere quale è la cosa più bella che c’è… potete aiutarmi?”
Un vento forte fa oscillare i rami degli alberi…

“Ma certo che ti aiutiamo strano oggetto che viene dal cielo! La cosa più bella che c’è su questo pianeta è la luce del sole che ci nutre e ci riscalda!” Risponde una acero alto e robusto.
Proprio in quel momento sta ronzando incuriosita un‘ape, che ha sentito tutto quanto…“No non è vero! Vieni con me strano essere volante…ti porto dalle mie amiche.”

Allora Ruggine va insieme all’ape in un prato pieno di fiori dove vivono migliaia di api.
“Care amiche api, sono Ruggine una navicella che viene da lontano, sono qui per sapere cos’ha di bello il vostro pianeta?”
Tutte le api regine si riuniscono in un cerchio di polline: “Cara Ruggine, sicuramente la cosa più bella e buona che ci sia… e’ il miele, così dolce e profumato!”

In quel momento, un cane tutto nero con lo sguardo giocherellone che sta inseguendo una farfalla, nel sentire le parole delle api si ferma. “Ma no, che state dicendo… la cosa più bella sono i grattini dietro le orecchie! Quelli che mi fa sempre la mia Umana!”
Allora Ruggine incuriosita, segue il cane per andare a conoscere i grattini dietro le orecchie. Cosa saranno?

Poco lontano ad est, su di una collina, vede un piccolo essere umano femmina che fa le capriole avanti e indietro.
Il cane tutto nero va dalla sua padrona e si fa fare le coccole: soprattutto i grattini dietro le orecchie.
Ruggine che ha visto tutto da lontano, si avvicina cercando di non spaventare la bambina ma è pur sempre un’astronave e i suoi motori a propulsione fanno rumore.

La bambina ha un po’ paura, fa due passi indietro, ma il cane nero la spinge con il muso verso lo strano aggeggio, così prendendo coraggio, tuttodiunfiato la piccola umana si presenta: “Ciao io mi chiamo Sonia sono una bambina, chi sei tu? Che cosa ci fai qui?”

“Ruggine” io mi chiamo ruggine… sono tanto contenta di conoscerti. Sono una navicella esploratrice, vengo dallo spazio lontano e vivo in un pianeta pieno di astronavi come me… sono venuta qui per dimostrare alle altre amiche mie, che qui sulla terra non c’è solo la guerra, c’è una cosa davvero bella ma non mi ricordo cosa è, mi puoi aiutare?”

“Le pernacchie sulla pancia!” -urla Sonia-
“La mia mamma, il mio papà e la mia nonna mi fanno sempre le pernacchie sulla pancia e se sono triste, inizio a ridere e mi torna il buon umore!”

Da quel giorno le due creature così diverse si incontrano sulla collina tutti i giorni e diventano grandi amiche finchè un giorno Ruggine decide di tornare sul suo pianeta. La sua missione è compiuta.
Ruggine parte perdendo un po’ di olio galattico che tradotto in termini spaziali significa che sta piangendo.
Arrivata sul suo pianeta inizia a raccontare alle compagne la sua avventura.

Le astronavi ascoltano con molta attenzione ma alla fine non sembrano averci capito molto e così 001 rompe il silenzio: “quindi perchè dovremmo andare sulla terra?”
Ruggine sorride nel modo in cui lo fanno le astronavi, poi sussurra in segreto alle amiche stelle di mettersi in cielo per formare una parola…

Tutte leggono la parola:
A-M-O-R-E.
“In effetti… non ci sarebbero le pernacchie, i grattini, il miele e neppure gli alberi senza quella parola lì”. Dice 001 sapendo che da quel giorno molte di loro si sarebbero offerte per andare sul pianeta dove esiste la cosa più bella e rara che c’è.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Valeria Maraldi per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.


La vita Ateniese

Come vivevano i bimbi nell’antica Grecia?

Beatrice di 10 anni ci descrive la vita di Iris, una bambina ateniese della Grecia antica.

La vita Ateniese


Ciao a tutti, il mio nome è Iris e come avrete già capito dal titolo, sono una bambina Ateniese.

Vivo ad Atene con mia madre, che mentre cucina squisite pietanze come zuppe di orzo, legumi e olio, ci sforna anche buonissime focacce aromatizzate con miele e sesamo e beve del vino con mio papà, poi bada a me e a mia sorella Eleni, la quale adora cucire e filare stoffe di tutti i tipi e aiutare la serva Agape (che è la sua migliore amica) a modellare i vasi con l’argilla e decorarli con ricamini di vita quotidiana fatti da loro.

Nella nostra città, i bambini vengono accolti dal padre a cinque giorni dalla nascita.

Mio padre di mestiere fa l’“amanuense”, cioè colui che trascrive testi o documenti di autori, copiando i manoscritti a servizio di privati o per la vendita al pubblico (prima dell’invenzione e diffusione della stampa era l’unico modo per pubblicarli). Il suo maestro privato, quand’era piccolo, gli insegnò a leggere e scrivere e da allora gli è sempre piaciuta molto sia la letteratura che la filosofia.

Ma ora parliamo un po’ di me. La mia passione l’ho ereditata da mio nonno, al quale piaceva molto navigare per i mari. Io vado a pesca con una barca che mio padre ha costruito per il mio compleanno, avvenuto pochi giorni fa. La mia barca viene chiamata “Galea o Galera”, una nave da commercio che sicuramente mi sarà molto utile quando dovrò andare nell’Agorà delle varie città, a vendere i vasi che Agape ed Eleni hanno preparato.

Dimenticavo! Se non lo sapete, l’Agorà è la piazza principale di ogni poleis (città indipendente) della Grecia, un vero centro di commercio dove si discute anche dei problemi della poleis e si trova a nord-ovest dell’Acropoli, ovvero la parte più alta della città.
Io non vado a scuola, le femmine non possono, però siamo comunque in grado di imparare a leggere e scrivere in casa, nostro padre può insegnarci, in più impariamo anche a filare, tessere, cucire, cucinare e pulire la casa.

Noi bambini e bambine Ateniesi, ci divertiamo a giocare con giocattoli che costruiamo (ad esempio bambole in legno, trottole, cavalli in terracotta, yo-yo o barchette di legno) o giochi che inventiamo, tra cui:

• l’AKINE TINDA, un gioco dove occorre stare immobili sopportando le spinte degli avversari, e resistendo senza muoversi
• il GIROTONDO, un gioco dove cantiamo delle canzoni e ci teniamo tutti per mano e alla fine delle cantate ci buttiamo tutti a terra
• il COCCIO, noi bambini ci separiamo in due gruppi, divisi da una linea tracciata sul terreno: una squadra si posiziona dalla parte dove sorge il Sole e l’altra dalla parte opposta. Uno di noi lancia una conchiglia o un coccio tinto di nero da una parte e di bianco dall’altra, gridando: “Giorno o notte”. Se la conchiglia cade dalla parte bianca, l’altra squadra insegue gli avversari che devono cercare di non farsi prendere. Chi viene preso, è deriso dai suoi compagni.
• PARI O DISPARI, si nascondono nella mano un certo numero di noci, sassi o mandorle ed il compagno deve indovinare se il numero è pari o dispari.

Come tante popolazioni, anche noi Ateniesi abbiamo molte danze, che balliamo in situazioni particolari, sono tutte in onore del dio Apollo, del Sole, della giovinezza, della bellezza e dell’arte. Tra le più famose troviamo: l’Emmèleia, danza usata nella tragedia, il Peana, danza magica eseguita dal coro, e infine la danza Ipochermatica, un abbinamento perfetto per la vivacità del ritmo.

La nostra scala sociale è divisa in tre categorie:

• gli Eupàtridi sono i nobili di nascita ed infatti il termine significa uomini ben nati. Essi sono grossi proprietari terrieri.
• i Geòmori sono i piccoli proprietari terrieri ed i lavoratori della terra.
• i Demiurgi sono piccoli artigiani e operai

I Geòmori e i Demiurgi sono esclusi da ogni carica pubblica, però fanno parte dell’Ecclesia, cioè una riunione di aristocratici politici.

Le abitazioni private dei Greci sono semplici, senza decorazioni. Normalmente hanno un solo piano o al massimo due, nel caso delle abitazioni delle famiglie più ricche. Al loro interno le case hanno un cortile, su cui si affacciano tutte le stanze. Nella casa, ci sono tante stanze, tra cui quella degli uomini, e quella delle donne, chiamata gineceo. Nelle case dei ricchi o degli aristocratici, il gineceo si trova al piano superiore e lì le donne tessono, filano.

I letti con i materassi si trovavano solo nelle case dei ricchi; le persone comuni dormono per terra, su sacchi riempiti di foglie secche o paglia. Per riscaldarsi c’è un braciere, mentre l’illuminazione è costituita da torce. Le nostre abitazioni sono fatte di mattoni.

Penso di avervi raccontato abbastanza cose su di me e credo che vi siate fatti un’idea di chi siamo io, la mia famiglia, noi Ateniesi e di come sia il posto in cui abito, ora però devo andare a letto e la mia giornata finisce qui…

Un’ultima cosa, io vivo in una famiglia di benestanti, quindi come sarà il mio letto?
Se siete stati attenti al mio racconto, lo avrete già capito, buona notte.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato ad Atene nella Grecia antica.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Tala e la festa della primavera alla Tschalvrina 🧚‍♀️

Ritornare nelle terre natali è sempre una festa!

La primavera sta arrivando e Tala ha nostalgia dei Boschi della Tschalvrina dove si sta preparando una grande festa.

Tala e la festa della primavera alla Tschalvrina


Fra poco arriverà la Primavera e Tala è impaziente di tornare nei Boschi della Tschalvrina e incontrare tutti i suoi Amici.
Una sera, mentre contemplava la Luna e le confidava la sua profonda nostalgia per il Bosco della Tschalvrina e dei suoi Abitanti, la Fanciulla vide al bagliore argentato della Luna la sagoma della sua fedele amica Lupa Naira.

Piena di gioia aprì la finestra e balzo` sulla sua schiena e, senza indugio, si lasciò trasportare verso le sue amate Montagne.
Nel frattempo la Luna aveva incaricato le sue fidate Fatine, Alleni e Aponia, di provvedere ai preparativi per una grande festa di benvenuto alla Primavera nei boschi della Tschalvrina.

Le due Fatine chiamarono a raccolta tutte le Tschalvrine, le creature del Bosco, e tutti gli Abitanti dei dintorni.
Giunsero alla dimora delle Tschalvrina il Saggio del Bettaforca, il Pastore Manuel, il Custode del villaggio dell’Alpenzug e tutti gli Abitanti della valle, portando doni di ogni genere: il latte delle caprette, le uova, squisite marmellate, biscotti, frutti dai colori intensi e dal profumo inebriante.

Mentre tutti si davano un gran da fare, il Signore delle Montagne richiamò tutti i Lupi e li invitò a radunarsi nei dintorni della Tschalvrina e di accogliere Tala con un meraviglioso coro di benvenuto.

Intanto anche gli Abitanti dei Boschi della Tschalvrina stavano preparando una sorpresa per la Fanciulla. Infatti ad attenderla non vi erano solo i suoi Amici, ma anche i suoi compagni di giochi a quattro zampe, la meravigliosa Tschalvrina’s Band.

Essa è composta dalla Bassottina Sati, dall’Asinello Pinfi, da Duke e da Lella, due vivaci e affettuosi cani dal pelo nero come la pece.
Tutto era ormai pronto e tutti erano ansiosi di rivedere Tala dopo lungo tempo.

Quando cominciò ad albeggiare, Naira e Tala giunsero al cospetto del Signore delle Montagne, che con grande gioia si illumino` di una luce radiosa e manifestò loro la sua benevolenza e la sua gioia.

Tala lo ringraziò e insieme a Naira si avviarono verso la Tschalvrina, ove già a distanza si udiva l’ululato melodioso dei suoi amati Lupi e le voci di tutti i suoi amici: le Tschalvrine, la Fata Nuna, le Fatine e tutti gli abitanti.

Alla Tschalvrina era tornata la gioia: tutti ridevano, cantavano, danzavano e si cibavano con tutte le delizie a loro disposizione. Anche i Lupi furono premiati con del buon cibo.

Per concludere i festeggiamenti, la Tschalvrina’s Band allieto` tutti i presenti con un’esibizione canora memorabile, ma allo stesso tempo alquanto inconsueta e molto divertente.

Fra i “ bau, bau” di Duke e Lella e il ragliare ritmato di Pinfi, la Bassottina Sati diede il suo meglio improvvisando una danza sfrenata, intervallata da balzi e scodinzolii velocissimi.

Le sue orecchie accompagnavano le sue acrobazie e più lei si lanciava in evoluzioni straordinarie, più incoraggiava a unirsi ai suoi giochi anche Duke e Lella. Invece l’Asinello Pinfi preferì soddisfare il suo appettito e cercarsi un angolo tranquillo, dove gustare tutto quelle delizie cosi invitanti.

Tala era felicissima di essere tornata fra le sue Montagne e fra i suoi Amici e, ascoltando il suo cuore volse lo sguardo verso il Signore delle Montagne e si accorse, che Lui e la Luna la stavano osservando con dolcezza. Lei si sentì il cuore pieno di gioia e di pace, ma soprattutto rassicurata, perché era sotto la loro protezione.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Klara Greschen per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto di fate, boschi e magia delle montagne.

Il buon falegname

Donare quel poco che si ha, porta sempre a grandi ricompense!

Beatrice di 10 anni ha scritto questo bel racconto natalizio in cui si parla di generosità e buon cuore, anche se si ha poco da dare.

Il buon falegname


C’era una volta un anziano falegname molto solo, abitava in un paesino di montagna, vicino ad una grande foresta dove andava ogni mattina all’alba.

Il falegname non incontrava mai nessuno con cui poteva scambiare, anche solo uno sguardo, le uniche volte in cui aveva contatti con le persone, era quando andava a comprare del vino o del pane.

La sua casetta, si trovava in un piccolo prato in montagna, da cui si poteva vedere il paese.
La casa del vecchietto, profumava di legna, aveva tende di puro lino, c’era un tappetino di lana vicino a un caminetto al centro del salotto. Vedere le sue fiamme scoppiettare, la legna bruciare e le sfumature dal rosso all’arancione, erano l’unica cosa che dava calore al cuore dell’anziano signore.

Era la settimana prima di Natale, tutte le famiglie si stavano già preparando alla festa tanto attesa, solo il falegname sarebbe rimasto tutto solo nella magica notte.

Una sera, un uomo con la barba bianca più della neve, si presentò alla porta del falegname, era vestito con un abito un po’strappato e rattoppato, aveva degli stivali sporchi di fango e con sé, c’erano due cagnoloni di nome Stella e Fulmine.

Il falegname lo guardò un attimo, pensando cosa ci facesse una persona davanti alla sua porta, erano passati anni da quando qualcuno andava a casa sua.


Il signore gli chiese se avesse del latte e dei biscotti, il falegname rispose che aveva solo il latte, ma non i biscotti, allora l’uomo gli disse che la sera dopo si sarebbe ripresentato alla sua porta e gli avrebbe richiesto le stesse cose e che se lui avesse detto che non ce le aveva, non si sarebbe mai più presentato.

Il falegname non capiva, nessuno lo andava a trovare da anni e solo per dei biscotti e del latte si era presentato un uomo alla sua porta.

Quella notte, dopo che il falegname si fu addormentato, magicamente, nella sua casa apparve un albero addobbato con oro e argento. La mattina seguente, il falegname si stupì nel vedere l’albero tutto agghindato e sopra il camino, vide del latte e dei biscotti.

Quella sera, si ripresentò il signore povero, bussò alla porta e il falegname gli aprì, l’uomo gli chiese se avesse del latte e dei biscotti, allora il falegname gli diede ciò che aveva chiesto.

Gli chiese se volesse entrare dentro la sua casa, l’uomo entrò, si tolse le scarpe e vedendo che erano rotte, il falegname provò ad aggiustargliele come poteva, per i vestiti strappati non c’era molto da fare, quindi gli regalò una coperta di lana che usava d’inverno quando doveva andare a tagliare la legna.

L’uomo lo ringraziò e gli disse che era una brava persona.
Uscì dalla casa e rientrò con due renne, giubbotto e cappello rossi e un pacco regalo.

Il falegname, stupito, accettò il dono e gli chiese perché avesse finto di essere povero, l’uomo rispose di averlo fatto per sapere se fosse una persona generosa, che dava il poco che aveva a una persona che ne aveva più bisogno, o se fosse una persona avara che pensava solo a sé stessa.

Allora il falegname, gli domandò chi fosse veramente, l’uomo rispose di essere Babbo Natale…

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto di Natale.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

Un mondo a metà 🧱

Cosa succede se con la curiosità si oltrepassa il muro di una zona a noi sconosciuta?

Una fiaba tutta in rima per scoprire che in fondo i muri servono solo a dividere i cuori delle persone ❤

Un mondo a metà 🧱


Da qualche parte nella scura e stellata immensità,
c’era una volta un pianeta diviso a metà.
Di qua, vivevano gli Sciortini,
piccoli, scattanti e tutti peperini.
Di là, stavano i Talleroni,
altissimi, flemmatici e con degli enormi piedoni.

Li separava un muro alto quasi fino al cielo,
che nessuno aveva mai sormontato, nemmeno col pensiero.
Tra i due popoli esisteva infatti una diffidenza secolare,
solida come il muro e altrettanto difficile da scavalcare.

“Hanno la testa tra le nuvole”, dicevano gli Sciortini dei Talleroni,
“sono proprio una bella banda di pigroni”.
“Quante arie si danno”, pensavano i Talleroni degli Sciortini,
“e quanto sono presuntosi e perfettini”.

C’era però una bimba, tra gli Sciortini, con una grande curiosità
di scoprire come fosse il mondo, davvero, nell’altra metà.
Si chiamava Scheggia e il suo passatempo preferito
era andare in cerca di avventure all’infinito.

Girovagando, raggiunse un giorno per caso il muro,
dove tutto era tranquillo, perché lì non andava mai nessuno.
Subito si entusiasmò capendo di essere arrivata
a pochi passi dal confine con una terra inesplorata.

Si mise allora a correre con le gambe e con l’immaginazione,
fino a quando si accorse che al muro mancava un mattone.
A quel varco inaspettato la bambina si avvicinò trepidante,
e si trovò davanti un paio di piedi dalla grandezza strabiliante!

Dall’altra parte c’era infatti in quel momento un Tallerone
e Scheggia lo intuì, dopo un attimo di esitazione.
Il buco era grande abbastanza per la bambina,
che passò dall’altro lato facendosi ancora più piccina.

Al suo “Ciao!” squillante, il Tallerone si guardò intorno smarrito,
così Scheggia gli punzecchiò un piede con il dito.
Spilungo, era questo il nome del bambino, abbassò gli occhi e la vide,
e superata l’iniziale timidezza si chinò e sorrise.

Chiacchierando i due divennero amici per la pelle
e le giornate passate insieme erano per entrambi le più belle.
Nascosta nello zaino di Spilungo, sbirciando da una fessura,
Scheggia conobbe il mondo dei Talleroni, come in un’avventura!

E se Spilungo era troppo alto per intrufolarsi di là,
ci pensava la sua amica a raccontargli come fosse la vita nell’altra metà.
Finché un giorno agli Sciortini accadde un fatto eccezionale,
un fenomeno che secondo alcuni aveva del soprannaturale.
Dalla mattina alla sera gli alberi crebbero infatti a dismisura
e divenne impossibile raggiungere i rami carichi di frutta matura.

Fu deciso allora di organizzare una grande riunione
per risolvere quella spinosa situazione.
Si ragionò e si discusse con passione,
ma non si riuscì a prendere nessuna decisione.

Alla confusione seguì un silenzio profondo come il mare,
da cui si levò una voce argentina che disse: “Io sono come fare!”.
Armandosi di coraggio, con sguardo speranzoso e piglio sicuro,
Scheggia spiegò che la risposta stava dall’altra parte del muro.

Da principio, a tutti quella parve un’idea strampalata
e la proposta venne unanimemente rifiutata.
Quando fu chiaro, però, che non c’erano altre soluzioni,
Scheggia fu mandata in missione dai Talleroni.

Le altissime e flemmatiche creature reagirono con sconcerto,
quando l’amicizia tra Scheggia e Spilungo venne allo scoperto.
Con la promessa che il raccolto sarebbe stato diviso a metà, tuttavia,
i Talleroni accettarono di aiutare gli Sciortini nella loro traversia.

Prima di procedere all’azione c’era un grosso problema a cui pensare:
dal buco nel muro Spilungo e i suoi conterranei non potevano passare!
Per fortuna tra i Talleroni c’erano ingegneri sopraffini,
e gli Sciortini contavano tra le loro fila operai certosini.

In un battibaleno lo stretto passaggio venne allargato,
e fu possibile per tutti mettersi all’opera come concordato.
Appollaiati sulle spalle dei loro aiutanti,
gli Sciortini colsero la frutta dagli alberi svettanti.

Ogni Tallerone teneva tra le mani un grande cestino,
dove scivolava quel dolce e profumato bottino.
Il lavoro di squadra e quell’inaspettata esperienza
indebolirono piano piano la reciproca diffidenza.

Gli Sciortini scoprirono che la calma dei Talleroni era rassicurante,
e i Talleroni che l’energia degli Sciortini era galvanizzante.
Tanto che, portata a termine la raccolta brillantemente,
i due popoli presero a farsi visita di frequente.

Quell’andirivieni giorno dopo giorno diventò abituale,
e ampliare il passaggio tra i due mondi sembrò la cosa più naturale da fare.
Col tempo, il varco nel muro si allargò sempre di più,
fino a quando anche l’ultimo mattone cadde giù.
Perché era cambiato qualcosa nel cuore di tutti, in fondo in fondo,
e dalle due metà era nato un nuovo bellissimo mondo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Giulia Scianna per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto scritto tutto in rima 😊

La vita sumera

Come vivevano i sumeri più di 4000 anni fa?

Beatrice di 10 anni ci descrive uno spaccato di vita quotidiana degli antichi sumeri immaginando di essere un’artigiana dell’epoca 😊

La vita sumera


Io sono un’artigiana sumera, vivo con mia madre e mio padre.
Mia madre si occupa di lavorare l’argilla sopra il tetto con una sua amica (il tetto è piatto per permettere alle donne di lavorare con più spazio), mentre mio padre è il comandante dell’esercito, per ordine del re va a ispezionare i vari prodotti che propongono i mercanti. Le case qui a Uruk non sono tanto ampie e per salire sul tetto bisogna aprire una botola e tirare giù la scala. Un edificio che mi piace in particolare è la “ziggurat”, un grande palazzo costruito con mattoni d’argilla e formato da
lunghe terrazze (che sono) collegate l’una all’altra da scalinate.

Per tenere uniti i mattoni i Sumeri utilizzano il petrolio. Io so che nella parte bassa della ziggurat ci sono i magazzini, dove vengono conservati prodotti di ogni tipo, nella parte più alta della ziggurat si trova il tempio che è dedicato al dio che protegge la città, è lì che si svolgono i riti. Un altro edificio importante è il palazzo del re, all’interno del quale egli vive con la sua famiglia e i funzionari.

La “piramide sociale” è formata da diversi ruoli, quelli dei Sumeri sono:
a capo della società c’è il re o sovrano, lui dirige l’esercito e stabilisce le leggi, il sommo
sacerdote è la persona più importante dopo il re, egli si occupa di svolgere i riti in onore
degli Dèi, poi ci sono i comandanti dell’esercito e i funzionari che organizzano per ordine
del re il lavoro nei campi e controllano i prodotti; gli scribi si occupano di scrivere tutto ciò che riguarda la città.

I soldati vigilano alle mura della città-stato se ci sono nemici in vista.
La ruota dei carri dei soldati è la ruota che usano i vasai; proseguendo la scala sociale, ci sono gli artigiani che come me producono oggetti per la vita quotidiana e i mercanti che si occupano di scambiare oggetti grazie al sistema del “baratto”.

I contadini e i pastori costituiscono la maggior parte della popolazione, una volta finito il loro lavoro consegnano i loro prodotti al tempio dove verranno ripagati con risorse utili alla loro sopravvivenza; infine ci sono gli schiavi che si trovano all’inizio della piramide sociale, essi sono uomini prigionieri di guerra o che non sono riusciti a pagare i propri debiti.

Adesso parlo un po’ di me e vi racconto la mia vita quotidiana…allora, questa mattina mi sono svegliata presto perché dovevo preparare i vasi con l’argilla che mia mamma aveva preso, ho modellato l’argilla con il tornio fino a farle prendere forma, poi l’ho messa a
cuocere nel forno.

Dopo di che sono andata col carro al “mercato” o, come lo chiamo io, centro di commercio e ho venduto i miei vasi a un mercante che li venderà a sua volta.
Dato che a Uruk gli alberi sono pochissimi, il legno vale quasi più dell’oro, ma siccome nella mia famiglia lavoriamo tutti, sono riuscita a barattare un carro, sfortunatamente per tutte le scorte di latte che il mio asino aveva fatto, ma non era un problema, si potevano sempre comprare.

Noi Sumeri siamo politeisti, cioè crediamo in tanti Dèi, uno dei Dèi più importanti è il mito di “Gilgamesh” l’eroe sumero che come ogni dio ha sembianze umane ma è in grado di compiere missioni straordinarie, si vocifera che egli compì un incredibile missione per
raggiungere Utnapishtim l’unico umano sopravvissuto al diluvio. Altri Dèi conosciuti dai Sumeri sono Inanna dea della terra, Enlil dio dell’aria, Enki dio delle acque ed Anu dio del cielo.

La scrittura dei Sumeri è cuneiforme cioè ha forme triangolari e cunei. Dato che noi Sumeri abbiamo la necessità di “registrare” i prodotti avevamo inventato la scrittura numerica, per ogni oggetto corrispondeva un gettone d’argilla, essa fu poi rinvenuta su dei sigilli che utilizzavamo per sigillare i vasi che contenevano i prodotti e su ogni sigillo era impresso un semplice simbolo.

Poi vennero i pittogrammi, difficili da scrivere e da imparare, quindi i saggi e i sacerdoti li semplificarono fino a farli diventare ideogrammi. Gli ideogrammi indicavano idee e azioni. Con il tempo la scrittura si facilitò, gli ideogrammi diventarono trattini con una forma simile ai triangoli e ai cunei: da allora la scrittura fu chiamata “cuneiforme”, costituita da seicento segni.

Con l’invenzione della scrittura nacque il lavoro dello “scriba”, per andare a scuola ci sono degli scribi a insegnare e gli assistenti hanno la frusta, siccome i bambini che disattendono alle regole o si fanno i fatti loro devono essere puniti. Ai Sumeri piace imparare sempre cose nuove, è per questo motivo che ci siamo specializzati in diversi campi:

in matematica abbiamo introdotto l’abaco, uno strumento capace di indicare le unità, le decine e le centinaia con semplici calchi paralleli, ogni solco contiene piccoli sassolini detti calcoli, questi ultimi servono per fare le operazioni aritmetiche.

Ora arriva la parte che preferisco: l’astronomia. I sacerdoti conoscono i cinque pianeti visibili a occhio nudo: Venere, Marte, Mercurio, Saturno e Giove.

Noi Sumeri, siamo molto intelligenti ed esigenti ed è proprio grazie a queste qualità che siamo riusciti a prevedere l’andamento delle stagioni e delle piene improvvise del Tigri e dell’Eufrate (le piene sono le fuoriuscite dagli argini).

In realtà siamo riusciti a prevedere queste cose grazie alla nostra capacità di osservazione notturna del cielo e dei fiumi. Abbiamo diviso (da poco) il tempo in unità di sessanta minuti e oltre tutto abbiamo inventato un calendario formato da dodici mesi, quindi che comodità le persone del futuro con tutte queste invenzioni… le abbiamo create noi!

In medicina, i medici, per curarci quando stiamo male usano rimedi e miscugli a base di erbe medicinali, nella speranza di guarire i pazienti.
I medici per curarci a volte usano una sostanza minerale come “l’ametista”, che può servire per esempio per curare forti mal di testa come l’emicrania.
Oltre all’ametista i Sumeri utilizzavano anche l’aloe vera per i benefici alla pelle, per disinfettare le ferite e per preparare
cibi genuini.

Adesso vi saluto, la mia giornata è finita. Vi ho descritto la mia giornata e il mio popolo, ma adesso è arrivato il momento di salutarci e per me di prepararmi per andare a letto, oh è vero, mi sono dimenticata di dirvi che il mio letto è un tappetino di pelle di
animale che si stende a terra e adesso con il riposo, mi preparo ad affrontare una nuova giornata…

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato nell’antica Mesopotamia.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Fingo di essere una bambina egizia

Hai mai immaginato di essere la figlia del faraone?

Beatrice ci propone questo racconto ambientato nell’antico egitto, in cui immagina di essere la figlia del faraone 😊

Fingo di essere una bambina egizia


Ciao a tutti, io sono la figlia del Faraone, il mio nome è Samira. Mio padre si chiama Akhenaton ed è simpatico con chi rispetta gli ordini, ma chi non li rispetta, non fa una bella fine…
I servi sono coloro che non hanno rispettato le leggi, che non sono riusciti a pagare i propri debiti e le persone schiave di guerra.
Mia madre era una nobile promessa sposa a mio padre, così è diventata regina: lei si chiama Nefrite ed è la donna più bella di tutto
l’Egitto.

Infine c’è mio fratello, il più piccolo della famiglia, si chiama Tutankhamon e sarà il prossimo Faraone dopo mio padre.
Io ho 6 anni, mentre mio fratello ne ha 5.

Mio fratello frequenta la scuola da quando aveva quattro anni, così hanno voluto i miei genitori. Lui ci ha raccontato che se qualcuno
disubbidiva alle regole, non venivano frustati, perché erano piccoli, però davano loro punizioni supplementari come rimanere fino alla
sera a scuola, oppure rimanere finché non avevano finito di pulire la classe.

Agli insegnanti non importava se i genitori dei bambini fossero il re e la regina, oppure nobili e funzionari: il compito dei bambini di quella età era andare a scuola dall’alba al tramonto.

Io durante la giornata vado a vedere che cosa fanno la mamma e il papà. La mamma chiacchiera con le donne nobili. Lei ha anche qualche amica artigiana che conosce da quando era piccola (essendo amiche, non le dava ordini). Il papà ordina ai funzionari di andare con il capo dell’esercito e agli scriba di controllare e a provare i prodotti artigianali, agricoli e via dicendo (perché dà qualche vizio ? anche a loro).

Dal momento che a casa non ho nessuno con cui giocare, vado a “spiare” mio fratello a scuola, per vedere cosa fa e vedo sempre qualcuno che si distrae. Siccome non ho voglia di vedere un bimbo che deve pulire tutta la classe dall’alba al tramonto, poiché sicuramente saranno puniti per la distrazione, me ne vado dalle mie amiche.

Quando qualche bambino mi fa pena, vado a chiedere a mio papà se può fare qualcosa, lui mi accontenta sempre (forse ispiro tenerezza, questa è una qualità da sfruttare).

Le mie migliori amiche sono Shira e Gohar. Shira è la figlia di due funzionari e Gohar di due contadini. Anche se apparteniamo a famiglie di livello sociale differente, siamo comunque amiche.

Quando mi annoio, gioco a palla con Gohar perché a lei piacciono molto gli sport La palla con cui giochiamo è fatta di cuoio con qualche disegnino ricamato sopra.

Con Shira, invece, giochiamo con bambole di pezza o di legno coi capelli di paglia, ma soprattutto di legno. Quando io, Shira e Gohar siamo tutte insieme ci divertiamo giocando con la corda: la nostra corda è fatta di filamenti di paglia intrecciati da tessuti
abbastanza resistenti come il “lino”, un tessuto usato anche per fare i vestiti o per mummificare i corpi dei defunti detti… mhmm…
credo che le persone li chiamino “mummie”.

Per essere così piccola sono orgogliosa di me stessa, io so scrivere i temi e adoro quello che faccio durante la mia giornata. Dato che mi piace molto scrivere, quando sarò grande il mio sogno nel cassetto è diventare la prima donna scriba di tutto l’Egitto, poter dire alla fine della mia giornata: “Bene per oggi è tutto”.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato nell’antico egitto.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Il pozzo dei sogni ✨

Da dove nascono le leggende?

Quasi sempre da una storia pregressa, il cui fondo di verità viene impreziosito dalla umana fantasia, che rende una storia banale, degna di essere tramandata.
Cosa sono le fiabe se non che delle leggende articolate?
Spesso sono storie d’amore! Questa è una tenera storia d’amore. Che nasce da una leggenda!

Il pozzo dei sogni ✨


Un giorno, prima della storia, in un paese più lontano dell’oltre, viveva una principessa che tutti chiamavano, Cuor di miele.

La bella principessa era sempre buona e gentile con tutti e tutti la ricambiavano con infinito Amore e riconoscenza.
Ella viveva in uno splendido castello con il suo principe William che adorava. Il principe, innamorato come pochi altri al mondo, la ricopriva di attenzioni.

Ma accadde, e accade ancora, che talune sventurate persone, oppresse dall’invidia, interpretano l’altrui felicità come la possibile causa della propria infelice condizione. Tanto li arrovella il tarlo da convincerli che, minando la felicità dell’altro, possano in qualche modo trovare la strada per la loro.

Così credeva una perfida strega maligna, di nome Mefista!
Mal tollerando la raggiante principessa, decise di farla vittima di un incantesimo.

Chiusa nella più profonda segreta del suo inquietante castello, la strega chiamò a raccolta tutte le sue conoscenze nelle magiche arti. Consultò antichissimi testi. Compose misteriose pozioni. Pronunciò incomprensibili formule e, infine, mise in atto il suo piano diabolico.

Curva, davanti al fetido stagno antistante il suo maniero, in una fredda e buia notte di novembre, diede inizio al rito magico. Tutto era stato preparato con cura e meticolosa pazienza.
Sulla superficie delle nere acque, la figura della principessa venne misteriosamente riflessa.

Poco dopo, si poteva distinguere nitidamente anche un cortile con un bel salice, un enorme e bellissimo pozzo e una coppia di splendidi pavoni. Un posto che Mefista conosce molto bene, poiché si tratta del cortile interno del castello reale, ove ella prestò la sua opera come veggente al servizio del Re, finché non venne cacciata per sospetta stregoneria.

Improvvisamente, una sfera luminosa sembrò fuoriuscire dalla testa della principessa. Lei sembrava non avvedersene ma, quella sfera luminosa era formata dall’energia di tutti i suoi sogni più belli e, la perfida Mefista, li stava nascondendo nel fondo del pozzo. Luogo da cui sperava non sarebbero mai più usciti.

Da quella notte, la principessa non poté più dormire senza avere degli incubi terribili, che sovente la destavano e rendevano sempre più difficile il suo riposo. Il tempo passava e sempre più spesso si svegliava urlando di notte, madida di sudore vittima, Dio solo sa, di quale terrificante demone.

Il principe, che l’adorava più della sua stessa vita, dopo aver consultato tutti i più eminenti studiosi del regno, in preda alla disperazione, decise di rivolgersi a colei che più esecrava tra tutti i suoi sudditi. La strega Mefista. Personaggio che egli stesso, aveva anni addietro esiliato nel bosco dove avrebbe dovuto meditare sulle sue nefandezze.

Era disposto a concederle qualunque cosa, pur di rendere la serenità e il sonno alla sua adorata compagna.
Così, prese un forziere d’oro, ben conoscendo la sua avidità, e si avventurò all’interno del bosco. Giunto al cospetto della strega, la pregò di intervenire con una pozione o quant’altro di magico, ma questa prese il forziere e, promettendo che avrebbe fatto qualcosa nei giorni successivi, lo cacciò in malo modo.

Il principe rientrò alla reggia, deluso e sconfitto, non confidando affatto nelle parole della strega. Appena varcate le alte mura di cinta, il suo udito, ormai avvezzo ai lamenti della sua amata, non gli risparmiò la conferma che ancora un incubo, la stava torturando.

Sciolse la fascia che teneva avvolta intorno alla vita e si approssimò al pozzo con l’intenzione di bagnare la stoffa, con la quale detergere poi la fronte della sua compagna, certamente imperlata di sudore. Ben sapendo, ormai per esperienza, che la qual cosa le avrebbe dato sollievo!

Giunto davanti al pozzo, si concentrò in una preghiera e, quando si chinò sul bordo per attingere dell’acqua, ebbe l’impressione di intravedere sul fondo, sotto la superficie dell’acqua, uno strano baluginio.

Sulle prime, pensò che si trattasse di uno scherzo della luna, il cui riflesso sull’acqua del pozzo creava sovente curiosi giochi di luce. Quando però realizzò che la sua ombra non sembrava rappresentare un ostacolo alla luce nel pozzo, trasalì!

Quella luce, non proveniva da fuori ma, sembrava scaturire dal fondo stesso del pozzo. Allora il principe, trasse una moneta dalla tasca della sua giacca e la gettò giù, come per saggiare l’effettiva profondità del pozzo, e verificare nello stesso tempo come ciò avrebbe influenzato quel curioso riflesso. Con sua meraviglia, vide la moneta brillare in modo innaturale per tutto il suo percorso fino a scomparire nell’acqua. Quella cosa, qualunque essa fosse, non era nell’acqua, ma al di sopra di essa.

William chiamò il suo scudiero e gli ordinò di aiutarlo a calarsi nel pozzo. Questi, da principio pensò che il principe fosse impazzito ma poi, di fronte alla sua determinazione obbedì.

Il principe, saldamente legato ad una corda fissata alla sella del suo cavallo cominciò a scendere nel pozzo. Più scendeva più il suo corpo sembrava emettere una tenue luce azzurrognola. Quando fu sul punto di toccare l’acqua, i suoi occhi si erano ormai abituati a quella strana luce. Guardò verso l’alto e rimase esterrefatto!

Come dei fantasmi, interi villaggi, persone, animali e cose, galleggiavano nell’aria fatti di sola luce! Inizialmente, il terrore sembrò pervadere tutto il suo corpo. Ebbe l’impulso di tornare in superficie in tutta fretta ma, si trattenne da questo proposito quando gli sembrò di scorgere, nelle immagini davanti a lui, qualcosa di famigliare. Inoltre, guardandole bene, quelle scene erano così serene da infondere un piacevole senso di pace!

Istintivamente William, comprese che non aveva nulla da temere da quella situazione e, cancellata la paura iniziale, riconobbe con facilità la tenuta dei genitori di Cuor di miele. La casa dove era cresciuta da bambina. Anzi, la bimba che ora si vedeva proprio nel mezzo della scena, con i capelli raccolti in una bella treccia nera, non poteva che essere lei!

Il signore, che dolcemente l’ accompagnava tenendola per mano era certamente il padre, suo suocero. Certo, molto più giovane, ma era senz’altro lui! Quelle due figure eteree, passeggiarono sul Prato fino a raggiungere un grazioso pergolato che, il principe William non aveva mai visto prima ma, ne era certo, doveva essere il pergolato estivo che tante volte Cuor di miele gli aveva descritto, andato poi distrutto a causa di un incendio. Giunti al pergolato, era possibile vedere ora una piccola tavola imbandita con dei vassoi, sui quali erano disposti con cura, dei piccoli, variegati panini.

Ma certo!
Il principe William stava assistendo ad uno di quei giorni di festa che tanto erano rimasti nel cuore della principessa al punto che spesso tornavano nei suoi sogni. Giorni quelli, in cui il padre le dedicava il suo tempo e le offriva dei panini farciti di cui tanto era golosa, il cui sapore non ritrovò mai più!

La scena, cambiò di colpo. William sembrò improvvisamente circondato da un lussureggiante bosco, fitto come non ne aveva mai visti ma, inspiegabilmente luminoso.

Ecco che, all’improvviso, da una siepe saltò fuori una lepre dal muso incredibilmente espressivo. Lo fissò a lungo con i suoi inquietanti occhi gialli, prima di mettersi a recitare, con buffa espressione saccente, alcuni versi di un classico della letteratura. William, non seppe trattenere una sonora risata. Proprio come avvenne quando la Principessa gli aveva raccontato, nei minimi dettagli, ciò che lui stava vedendo ora!

Lo scudiero, in cima al pozzo, udite le risa del principe, si preoccupò e diede una voce. Il Principe lo tranquillizzò e lo pregò di farlo risalire. Aveva capito cosa stava osservando! Anche se non sapeva spiegarselo! Evidentemente, nel pozzo, vi erano i sogni della principessa. Quei sogni che non sembrava più in grado di fare!

Di certo, sapeva però, che questo prodigio doveva essere la causa del malessere della principessa. Era inoltre, altrettanto certo che un simile maleficio non poteva che essere opera di Mefista!

Una volta fuori dal pozzo indossò la sua armatura, l’elmo, la spada, prese il più veloce dei suoi cavalli e, correndo più veloce del vento, tornò sulla strada che conduceva alla magione della perfida Mefista.

Lungo la strada, di tanto in tanto, portava la mano sull’elsa della spada, in collera con se stesso al pensiero che solo poche ore prima, si era recato da lei con dei doni.

Irruppe nel castello con la violenza di un animale feroce.
La strega, vista la sua determinazione trasformò i pipistrelli del castello in tre draghi, che il principe sconfisse uno dietro l’altro, sorprendendosi egli stesso di come vi riuscì!

Salì i gradini della torre, dove nel frattempo si era barricata la strega, quattro alla volta.
Giunto davanti alla pesante porta chiusa dall’interno, estrasse dalla sua borsa la ghiandola di drago, asportata all’ultimo dei tre draghi uccisi e ricolma di liquido altamente infiammabile prodotto da quell’animale. La ruppe davanti alla porta, spingendo il liquido sotto la stessa. Mefista dall’interno, vide il liquido entrare da sotto la porta e, riconosciutone il tipico odore, intuì immediatamente le intenzioni di William e scoppiò in un pianto irrefrenabile.

Il principe, le intimò di aprire la porta senza indugio alcuno e, la strega, spaventata dalla prospettiva delle fiamme obbedì.
William spalancò la porta, entrò nella stanza, ed afferrò Mefista per i capelli in un unico fluido movimento.

Sguainata la spada, ne accostò la lama alla gola della strega, che ora aveva perso tutta la sua arroganza. William esercitò sulla spada una pressione sufficiente da evocare il pensiero della morte, e con esso il doveroso rispetto che la triste mietitrice incute anche e soprattutto nelle streghe.

Con esasperante lentezza, il principe, avvicinò il suo viso all’orecchio di Mefista, trattenendola sempre saldamente per i capelli. La sua voce, tremante di rabbia, risuonò come un sibilo roco nella testa di Mefista. Quella voce, le spiegava cosa aveva scoperto e non avendo bisogno di conferma alcuna, sentenziava la sua condanna a morte. Ma ciò che terrorizzò definitivamente la strega, fu la promessa che l’avrebbe tenuta in vita finché non avesse tolto l’incantesimo alla principessa. Il tono della voce di William, lasciava intendere che questo sarebbe stato persino peggio della morte per lei!

Così la strega confessò di essere l’artefice del sortilegio, e spiegò tra le lacrime che lei stessa non poteva far nulla per ridare alla Principessa i suoi sogni. Solo il “libro bianco dei buoni propositi” conteneva la formula che avrebbe infranto l’incantesimo. Purtroppo questa da sola non sarebbe bastata, se a leggerla non fosse stato un uomo dal cuore sinceramente innamorato. La pena, per chi avesse osato leggerne i contenuti, senza essere sinceramente innamorato, sarebbe stata quella di cadere anch’egli nel limbo del perpetuo incubo.

Il libro era nascosto nella parte più profonda del bosco e cercarlo, significava dover affrontare i peggiori personaggi generati dalle tenebre.

Il principe, trascinò allora Mefista con se all’interno del bosco, e con l’aiuto della strega, combattendo contro indicibili difficoltà, trovarono “il libro bianco dei buoni propositi”.

Il volume sembrò enorme agli occhi del principe che, rimase invece decisamente meravigliato nello scoprire quanto fosse sorprendentemente, leggero!

Tanto leggero, da rimanere sospeso a mezz’aria, come se volasse. Con estrema delicatezza il principe lo aprì e con suo grande stupore, scoprì che nulla vi era scritto. Tutte le pagine erano bianche. Si voltò inferocito verso Mefista, pretendendo una spiegazione e questa arrivò prontamente. Nessuno può leggere il libro bianco! Esso si svela di volta in volta che lo si interpella, generando l’incantesimo necessario.

William non ne aveva bisogno per se ma per la sua principessa! Era quindi necessaria la sua presenza per poterlo leggere.
William rientrò alla reggia. Fece rinchiudere Mefista in attesa della sua sorte e corse dalla sua principessa.
Sicuro del suo Amore, non temeva per se alcun male! Scese da cavallo, con il libro sottobraccio, più per trattenerlo dal volar via che per sostenerlo.

Si adagiò affianco alla sua principessa, la prese per mano, la baciò con tenerezza, e aprì il libro che teneva sulle sue ginocchia. Per incanto le parole cominciarono a comparire sul libro, come vergate da una mano invisibile. Dopo un breve momento di meraviglia, il principe cominciò a recitare le belle parole scritte nel libro.

Amore mio!
Adesso, Amore mio,
Chiudi gli occhi piano piano
E immergiti nel sonno, così come si entra nell’acqua,
Il più bello dei sogni ti accoglierà!
Chiudi gli occhi e abbandonati tra le mie braccia, nel tuo sonno non dimenticarmi mai!
Amore mio!
Io sarò sempre al tuo fianco, a difenderti, ad Amarti.
Ascolta il mio cuore!
Ti accompagnerà nel tuo sereno viaggio.
Chiudi i tuoi occhi scuri, nei quali io mi perdo.
Chiudi quegli occhi, ove arde una
fiamma che illumina la mia vita.
Lascia che il caldo abbraccio del sonno
Sfiori la tua pelle così morbida e profumata.
Lascia che le mie carezze giungano a te anche
attraverso il sonno così da avvertire la mia presenza.
Ricorda che nulla hai da temere,
poiché nulla può spegnere il nostro
Amore.
Amore mio!

La principessa, chiuse gli occhi e si lasciò finalmente rapire da un sonno, tranquillo e profondo tra le braccia del suo principe. Ricco di sogni bellissimi.
William era, stordito!

Non solo la sua principessa dormiva tranquilla, come ormai non faceva più da tempo, ma le parole che aveva appena letto nel libro, erano si apparse nel libro stesso ma, lui le aveva sentite uscire dal suo cuore!
Era dunque questo il potere del libro! Trasformare i buoni propositi in concrete realtà, usando l’Amore come magica fonte d’energia?

Trascorsero molti anni felici.
La grazia fu concessa alla perfida strega Mefista che, per mezzo del libro bianco dei buoni propositi, fu privata di tutti i suoi poteri è rispedita in esilio nel bosco.

Da allora, i sudditi del regno, si recano di frequente al pozzo che sorge al centro del cortile, dove si narra che, lanciandovi una moneta all’interno, esso possa esaudire i desideri di chi la moneta avesse lanciato!
Molti, sono infatti disposti a giurare che fu così, che la loro Principessa, per mano del suo Principe, ottenne il ritorno della serenità!

Da allora poi, tutti vissero felici e contenti!
Ogni volta in cui, il sonno della Principessa fosse minimamente turbato, il suo Principe si sdraia affianco a lei, le accarezza i capelli, e con infinita dolcezza, le sussurra.
Amore mio!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Guglielmo Morelli per aver condiviso con tutti noi questa bella fiaba. Illustrazioni di Fabio Faneschi.

Fiaba in rima 🏰

La cioccolata può essere un’arma molto potente…

Fiaba in rima 🏰


In un castello,
chiamato Bello,
viveva una principessina, piccina, piccina.
Quel castello era circondato da un ruscello,
un alberello,
fiori colorati
e muri di cioccolati!
I cuochi, a corte, come ne erano addolorati!
Ogni giorno dovevano preparare chili e chili di quel mangiare, perché, ahimè!
non si formava da sé.
I soldati nemici, diretti ad attaccare quel castello, si portavano non armi ormai, ma un cestello
e riempivano di cioccolato tutto quello.
Questa la tattica della principessina,
per assicurarsi pace vicina.
Tutti i nemici si lamentavano: “Ohibò! Che male che ho!” – un mal di pancia coi fiocchi,
che la principessina vedeva con gli occhi.
Questa tradizione tramandata le fu dal suo Re Padrone,
che con un aquilone
un giorno volò via in qualche direzione.
Invano la principessina tese la sua manina, pronunciando quella magia
che si sentiva in tutta la via:
“Abbullu! Ubballa! Fa che torni qua! “.
Sparito,
ma il suo Re Padrone
in quale cittadone
aveva posato il suo aquilone?
Questa volta con quale altra ideina salvava il castello di qualche regina?
Non più muri di cioccolato,
ma montagne di gelato?
La principessina trovò il suo coraggio
e si avventurò in un viaggio.
Ogni notte nella cabina della sua dorata nave,
domandava ad Ave, la fata in cui confidava,
dove il Re si trovava.
– Siamo troppo lontane, nulla sento se non del vento. –
La principessina si disperava
e intanto vagava.
Un giorno pensava al castello chiamato Bello,
alla felicità che sta là e al re lontano;
quando vide un nano,
che camminava sull’acqua, con un naso strano.
– Questo naso, per un caso sembra di raso! –
La principessina chiese: “Quelle botte come le hai prese?”
– E’ solo uno sfogo, che come un rogo, brucia, a me goloso.
Vicino al castello di quel paesello,
(con un dito indicò la costa)
ci sono montagne di castagne zuccherate e caramellate.
I nemici e non solo, cha altro fare se non mangiare ed abbuffare?
E in questo modo si tiene distante il brutto, il cattivo e il furfante! –
“Ecco perché il mio Re, ohimè, è volato lontano da me.
Questa è la sua missione:
portare al massimo mal di pancia, ma non battaglione!”

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Cristina Mori per aver condiviso con tutti noi questa fiaba scritta in rima.

La tartaruga contadina 🐢

La verdura meglio non cercarla in spaggia!

La tartaruga contadina 🐢


C’era una volta una tartaruga di nome Titti.

Titti era piccola e aveva tanti puntini sul guscio, trascorreva la maggior parte del tempo a piantare dei semini piccolissimi che riuscivano a vedere soltanto le aquile!

Come creava questi semini? Accanto alla sua tana c’era un orto di un contadino ed ogni tanto Titti andava a raccogliere i semi che lui piantava, li sminuzzava nella bocca e li portava nella sua tana.

Nel suo piccolo orto c’erano pomodori, carote e tante altre verdure minuscole.

Un giorno la sua amica Scrash l’aveva invitata al mare (Scrash viveva sulla spiaggia!!!! ). Titti si preparò per andare in spiaggia ma non portò nessuna verdura e quando arrivò se ne pentì perché si accorse che in spiaggia non crescevano carote e pomodori ma c’era una cosa che era ovunque …. SABBIA!

Scrash le andò incontro e le disse: “Ciao Titti! Vieni a fare un bagno?”.
“Ciao a te Scrash! Io però non so nuotare!”
“Dai che è facile”. “Ma io…”.
“Vuoi le verdure si o no? E allora andiamo”.

Scrash fece aggrappare Titti ad un pezzo di gommone che era stato abbandonato sulla spiaggia e le insegnò a nuotare.

Ma a Titti aspettava una brutta sorpresa…le verdure erano:
1 appiccicose come colla,
2 viscide come un’anguilla,
3 la cosa che disgustava Titti era che avevano un colore sgradevole!

Titti tornò a casa felice di aver trascorso un giorno con la sua amica e di aver imparato un po’ a nuotare.

Sarebbe tornata in spiaggia ma portandosi le sue deliziose verdure!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia Venturi di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il bambino che voleva fare tutti gli sport ⚽🏀🎾🏐

E’ bello voler fare tutti gli sport, ma a volte bisogna saper scegliere!

Il bambino che voleva fare tutti gli sport ⚽🏀🎾🏐


C’era una volta in un piccolo paese della città di Cleda, Simone.

Simone voleva fare tutti gli sport che conosceva ed erano tanti.

Voleva fare Calcio, voleva fare Basket, voleva fare Tennis, voleva fare Pallavolo e tanti altri.

Glie lo diceva ogni giorno a sua madre ma lei naturalmente diceva sempre no. Ma Simone insisteva.

Sua mamma si era stancata che Simone ogni giorno glielo chiedeva e quindi un giorno lo fece iscrivere a tutti questi sport per far capire a Simone che non era bello fare tutti questi sport.

Simone cominció il primo giorno di Calcio. Finí alle 4:30 e lui era già molto stanco ma alle 5:00 aveva Basket e alle 6:30 aveva Pallavolo.

Simone andò a tutto gli allenamenti e quando tornò a casa era cosí stanco che si buttò sul letto e si addormentò subito senza neanche cenare e fu cosí tante altre volte.

Poi a volte aveva le partite di Calcio e di Tennis allo stesso orario e doveva decidere che lezione saltare.

Dopo 2 mesi che continuava cosí decise di smettere e scelse di fare solo gli allenamenti di Basket che era il suo sport preferito.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Antony di 12 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La bambina che non voleva andare a scuola 🎒

Non si inventano scuse per non andare a scuola…

La bambina che non voleva andare a scuola 🎒


C’era una bambina che si chiamava Diana e non voleva mai andare a scuola.

Inventava sempre scuse, una volta si sentiva male una volta aveva dormito poco, e inventava molte altre scuse ma in nessun modo voleva andare a scuola!

Ma dopo più di due mesi che lei inventava sempre scuse una sera la mamma sentì Diana dire dire tra sè e sè:

“la mia mamma ci casca sempre e da più di due mesi che invento sempre scuse”.

La mamma per punizione non la fece uscire più per due mesi, a parte per andare a scuola.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Lisa di 9 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Di pesce in pesce… 🐠

Bisogna sempre capire quando è il momento giusto per agire!

Di pesce in pesce… 🐠


C’era una volta un pesce di nome Mao.

Mao era piccolo piccolo, rosso, con due strisce viola.

Un giorno mentre nuotava tranquillo vide un pesciolone che gli stava dietro, dopo un po’ vide che c’erano altri 3 pesci, uno più grande dell’altro, alla fine erano 5.

Il piccolo Mao decise che era ora di agire. Andò dove un galeone navigava e c’era rimasto un minuscolo spazio dove entrava solo lui ed entrò, gli altri invece:

1. Andarono a sbattere come una frittata di pesce!
2. Si ruppero tutti i denti!
3. Vennero pescati!

E il pesciolino vedeva tutto e ritornò a casa sano e salvo!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La scarpa imbrogliona 🥾

Meno male che a volte le scarpe hanno i buchi nella suola!

La scarpa imbrogliona 🥾


C’era una volta un gatto di nome Piripì.

Piripì aveva 12 anni e mezzo e non andava mai a scuola.

Era magro, sempre affamato, con poco pelo e la sua caratteristica era di avere una coda a strisce bianche e nere.

Un giorno mentre passeggiava vide un topolone che mangiava una fetta di fontina, Piripì si accovacciò dietro un masso verde, però non si era accorto che il topo Michelangelo aveva una scarpa a pochi metri di distanza, e lì cominciò l’inseguimento.

Finalmente il topino riuscì ad entrare dentro la scarpa, il gatto mise la testa dentro e per quanto spinse la testa gli si ruppero i pantaloni, il gatto Piripì si mise in piedi e aprì la bocca.

Il topo Michelangelo però era riuscito a trovare un buco nella suola e ci si infilò dentro e scappò.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La storia del principe azzurro 🤴

Da un piccolo seme, e dal buon cuore, può anche nascere la vita!

La storia del principe azzurro 🤴


C’era una volta, sulla strada, un piccolo semino tutto blu. Di lì passò un signore molto bello e ricco, ma avido e cattivo. Quando vide il semino gli diede un calcio e se ne andò via.

Poco dopo passò un povero contadino dal cuore puro e gentile, che quando vide il semino decise di raccoglierlo e di piantarlo nel suo giardino.

Passarono molti anni e il contadino morì; il piccolo seme era diventato un grosso e bellissimo albero dalle foglie blu; la moglie del contadino decise di mettere in vendita la casa, e di andarsene ad abitare con suo figlio.

Dopo un po’ di giorni, passò di lì il ricco signore che col tempo era diventato buono! Capì subito che quell’albero era il piccolo seme che aveva calciato per strada tanto tempo prima, decise di comprare la casa e la trasformò in un castello.

Curò l’albero come se fosse stato un figlio; poi un giorno, quando il signore ricco era da tempo molto vecchio, si mise a pregare e disse:

– Oh Dio, lo so che non sono stato un buon uomo, ma ti prego regala a questo albero vita umana.

Dopo di ciò le radici dell’albero iniziarono ad avvolgere l’albero, e da lì spuntò un bambino bellissimo, dai capelli castano chiaro e gli occhi di un blu come il mare, aveva anche un cuore buono, e così nacque il principe azzurro.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Arianna Bossi di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il talent del mare 🌊

L’unione fa la forza, e a volte si trovano anche degli amici per tutta la vita!

Il talent del mare 🌊


C’erano, una volta, in un fondale marino incantevole, un polpo danzatore di colore viola intenso e una pesciolina pagliaccio dalle sfumature arancioni molto abile nel canto.

Un giorno i due amici decisero di unire le loro passioni e partecipare insieme al “Talent del Mare”.

Si prepararono con impegno ma vincere non era facile perché gli altri partecipanti erano tutti molto bravi. Decisero allora di unirsi a un musicista.

Chiesero in giro agli amici pesci fin quando trovarono il candidato perfetto: un verde cavalluccio marino grande suonatore di tromba.

Era proprio il musicista ideale e il trio divenne perfetto: il polpo danzava muovendo con grazia i suoi tentacoli al ritmo della musica suonata dal cavalluccio marino mentre la pesciolina pagliaccio cantava soavemente.

Il giorno del “Talent” i tre emozionatissi, riuscirono a vincere la competizione tra gli applausi di tutti i partecipanti e rimasero grandi amici per sempre!

disegno di Ginevra
disegno di Ginevra

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Ginevra Russotto da Agrigento, di 1^ elementare, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Samuele il bambino Bugiardo 🙄

A dire sempre le bugie poi si finisce per non essere più creduti, nemmeno quando si ha ragione!

Samuele il bambino Bugiardo 🙄


C’era una volta un bambino di nome Samuele.
Sua madre si chiamava Cristina, suo padre si chiamava Daniele e poi il suo fratellino di 5 anni che si chiamava Davide. Samuele aveva 8 anni, diceva sempre bugie, e quando succedeva qualcosa che aveva causato lui incolpava sempre il suo fratellino Davide.

Davide si era stancato delle sue bugie e cosí andó a dirlo ai suo genitori, ma Daniele e Cristina sapevano già tutto e quindi Davide gli chiese perché lo sapevano ma non facevano niente, loro gli dissero che volevano vedere se Samuele avrebbe continuato a dire sempre bugie o prima o poi avrebbe smesso.

Ma i genitori dissero a Davide: abbiamo capito che Samuele non avrebbe mai smesso ma infatti come vedi non ti stiamo mettendo più in punizione visto che da qualche mese sapevano che non eri stato tu.

Ma poi un giorno quando Daniele e Cristina videro che un vaso era rotto allora sono andati da Samuele a chiedergli chi era stato e come sempre Samuele disse che era stato il suo fratellino ma questa volta era vero!

I genitori però non lo credettero, Samuele provava a dirgli che non era stato lui ma Davide ma loro non lo ascoltarono e lo misero in punizione per tutta la vita per tutte le bugie che aveva detto.

Morale: Devi sempre dire la verità, se dici sempre bugie nessuno ti crederà più!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Antony di 12 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Vale il coraggioso 🧙‍♂️

Vale è un bambino coraggioso, e salverà il suo villaggio da un malvagio incantesimo.

Vale il coraggioso 🧙‍♂️


In un paese lontano lontano, abitava Vale, un bambino vivace e molto attento a quanto accadeva intorno a se, era sempre disponibile ad aiutare gli altri e la sua curiosità lo spingeva sempre a vivere nuove avventure. Verso la fine dell’inverno, proprio quando sarebbe iniziata timidamente la primavera, si verificarono fatti strani…

Molte delle persone che Vale conosceva, cadevano come per magia in un sonno profondo e nessuno riusciva a risvegliarsi. Preoccupato, decise prima che la magia facesse addormentare anche lui di chiedere aiuto al mago Salus, il saggio del villaggio, colui che tutto sa.

Preso lo stretto necessario Vale si incamminò alla ricerca della casa del mago, gli era stato detto dai suoi genitori che lo stregone viveva nella parte più fitta del bosco così, il bambino, deciso a risolvere quella situazione raccolse tutto il suo coraggio e camminò a lungo. All’imbrunire scorse in lontananza una lucina provenire da una piccola casa. L’abitazione era di pietra, dalla particolare forma leggermente arrotondata. Il tetto era nascosto dalla vegetazione molto fitta e la porta era priva della maniglia.

Vale bussò e ad aprirgli fu proprio il mago Salus, era altissimo e con una lunga barba bianca, si chiese come un uomo di quelle dimensioni potesse vivere in una casa così piccola, la risposta gli arrivò non appena entrò, da fuori poteva pur essere una piccola dimora ma dentro era enorme! Vedendo lo stupore sul volto del ragazzo, il mago gli disse che quella era una magia chiamata extendom, aveva il potere di far apparire le cose piccole all’esterno ma gigantesche all’interno.

La dimora del mago era semplice, con pochissimi mobili ma davvero tantissimi oggetti, c’erano centinaia di ampolle di tutte le forme e dimensioni, boccette con liquidi di ogni colore disposte di qua e di la e moltissime pentole dalle quali uscivano odori disgustosi. In un angolo vicino alla finestra il mago aveva una bellissima pianta luminescente, Vale incuriosito si avvicinò e vide appoggiato ad essa un carinissimo camaleonte, il mago avvicinandosi gli disse che si chiamava mug ed era il suo fedelissimo aiutante.

Dopo essersi guardato attorno per un po’, Vale iniziò a raccontare al grande mago ciò che succedeva al villaggio nella speranza che avesse una soluzione per lui.

Salus ascoltò con attenzione e quando Vale ebbe terminato il racconto si precipitò a rovistare in tutta la casa, lo stregone era saggio e molto esperto ma estremamente disordinato.

Un urlo proveniente dalla cantina fece sobbalzare Vale dalla sedia, era il mago che probabilmente aveva trovato qualcosa.
Entrando in cucina mise su di un grande tavolone un libro polveroso e ricco di misteriose scritte, dopo averlo sfogliato disse a Vale che sapeva perfettamente di chi fosse la colpa…

Del malefico Proteus, un mago malvagio dal potere di mutare forma in un battito di ciglia. Nessuno era in grado di riconoscerlo e scovarlo era impossibile, era conosciuto anche come un vero esperto di sortilegi del sonno che lui era solito fare per il puro gusto di fermare le persone felici.

Mago Salus però aveva una soluzione che nessuno aveva mai messo in atto.
Guardando Vale il mago ebbe la sensazione, quasi una premonizione, che sarebbe stato proprio lui che avrebbe sconfitto definitivamente Proteus, così iniziò ad illustrare al bambino lo stratagemma per la cattura del mago malvagio.

Innanzi tutto bisognava trovare il luogo dove Proteus si nascondeva dopo aver fatto la magia, poichè essendo sortilegi molto potenti aveva bisogno di riprendere energie.

Come tutti i maghi le energie gli venivano date dalla terra, quindi sicuramente aveva un nascondiglio nel bosco e Salus aveva un sistema veloce per trovarlo, una pietra scova maghi oscuri che aveva il potere di indicarti la posizione di qualsiasi mago. Dopodichè con molta astuzia e senza farsi sentire si sarebbe dovuto avvicinare e catturarlo con il lazo che tutto può e contemporaneamente pronunciare questo incantesimo.

“Orsù orsù d’ora in poi non muterai più!”. In questo modo se tutto coincideva con gli studi fatti da Salus, il mago sarebbe dovuto svanire come d’incanto.

Vale ascoltò e si annotò su di un taccuino l’esatta procedura per essere sicuro di non sbagliare e far dissolvere quel maleficio per sempre. Il bambino si sentiva pronto ad affrontare l’avventura ma aveva bisogno di un mezzo di trasporto per il viaggio che lo attendeva, così Salus portò Vale nel retro della casetta e gli presentò Cino un bellissimo destriero nero dal manto brillante.

Era il cavallo più veloce e coraggioso della terra, sarebbe stato un validissimo compagno per Vale che subito ci fece amicizia. Caricando tutto l’occorrente dentro lo zaino ringraziò il mago Salus e con la speranza di riuscire nell’impresa, i due partirono verso il fitto del bosco.

Camminarono per circa due giorni e ad un certo punto la pietra magica iniziò a lampeggiare ripetutamente con molta velocità, erano sicuramente vicini a Proteus! Dovevano essere cauti poichè anche se privo di energie era pur sempre un mago potentissimo.

Dopo pochi minuti la pietra si illuminò definitivamente e smise di lampeggiare, Vale si guardò attorno ma non vide nessuna casa e tanto meno alcun nascondiglio così, pensando alle parole di Salus immaginò le forme che avrebbe potuto assumere lui nel caso fosse stato nei suoi panni.

Il bambino pensò che l’unico modo fosse arrampicarsi su di un albero e prendere le sembianze di un animale temibile… sicuramente si era trasformato in un serpente di quelli velenosi e se ne stava tutto arrotolato su di un ramo!

Convinto della sua idea Vale iniziò con molta cautela a guardare ogni albero nelle vicinanze, senza allontanarsi troppo perchè la pietra aveva esattamente indicato quel luogo. Ad un certo punto scovò un albero ricco di rami e foglie e belli arrotolati su di esso c’erano una dozzina di serpenti, uno differente dall’altro e tutti molto grossi.

Vale deglutì ma si avvicinò comunque e guardò silenziosamente tutte le serpi. Il bambino essendo molto attento a tutto ciò che faceva, teneva già in mano il lazo che tutto può pronto a catturare immediatamente il mago qualora lo avesse individuato.

Purtroppo Vale non era un esperto di serpenti e non riusciva a trovare nessuna differenza tra loro che potesse fargli pensare che uno di essi fosse Proteus, così pensò che forse aveva avuto l’intuizione sbagliata, magari il mago si era trasformato in un altro animale o forse la pietra data dal mago non funzionava e il mago malvagio era da tutt’altra parte. Ebbe un attimo di sconforto e non si rese conto che qualcosa gli stava strisciando sui piedi…

In un batter di ciglio si sentì stritolare, aveva le caviglie bloccate, si guardò bene i piedi e vide una grossa radice che lo stringeva e immobilizzava! Il mago Proteus si era trasformato in un albero, la scelta più astuta che potesse fare!

Iniziò a ridere di gusto e strinse ancora più forte ma la sua forza era al limite, aveva utilizzato tutte le sue energie per addormentare gli abitanti del villaggio e gli serviva molto tempo per ritrovare tutta la sua potenza.

Vale aveva tutta la parte inferiore del corpo immobilizzata, cercò di prendere il lazo dalla tasca ma quando Proteus se ne accorse gli scagliò contro un ramo che gli immobilizzò anche il braccio, il bambino era allo stremo delle forze ma ad un certo punto vide un ramo diverso da tutti gli altri, guardò con più attenzione e si rese conto che non era un ramo bensì Mug che li aveva seguiti dalla casa del mago e per ordine suo sarebbe dovuto intervenire in caso di necessità.

Mug cercò di prendere il lazo dalla tasca ma non ci riuscì perchè Proteus iniziò ad oscillare talmente forte che lo fece cadere, ma il piccolo camaleonte velocemente riuscì a risalire sulle gambe del bambino e prese il lazo dalla tasca e subito lo scagliò sull’albero e contemporaneamente Vale gridò con tutte le sue forze: “orsù orsù d’ora in poi non muterai più!”.

Forti boati e accecanti fulmini seguirono le parole del ragazzo e poco dopo l’albero scomparve ed al suo posto apparve Proteus che si dissolse nel vento…

Vale provato dall’accaduto si stese a terra protetto dal possente corpo di Cino e si addormentò vicino al piccolo Mug che gli aveva salvato la vita.

All’alba i tre si svegliarono e si incamminarono verso la strada del ritorno con la sola speranza che aver sconfitto il mago oscuro avesse spezzato il maleficio.

Passati due giorni il bambino arrivò davanti alla casetta del mago che lo stava attendendo alla porta, scese da cavallo e gli corse in contro. Lo ringraziò per avergli mandato Mug perchè senza di lui non ce l’avrebbe fatta. Salus sorrise e gli disse che gli abitanti del villaggio si erano da poco svegliati e non ricordavano nulla dell’accaduto.

Vale felice e fiero di essere riuscito nell’impresa, restituì al mago la pietra cerca maghi oscuri, il lazo che tutto può ed infine con tristezza le redini di Cino… in quei giorni Vale e Cino si erano uniti molto, sembravano fatti l’uno per l’altro e Salus vedendoli insieme lo capì immediatamente, così disse a Vale che come ricompensa del lavoro svolto con coraggio e vista l’amicizia nata tra di loro, Cino poteva andar al villaggio con lui.

Il bambino felicissimo ringraziò il mago Salus con la promessa di tornare a trovarlo ogni settimana assieme a Cino e salutandolo un’ ultima volta si incamminò per la strada di casa.

Arrivato al villaggio vide che tutto era immutato, erano tutti svegli e tutti allegri come sempre. In lontananza vide la sua casa e la sua mamma che coglieva alcuni fiori dal giardino.

Scese dal destriero e corse tra le braccia della mamma che felice di quel gesto lo ricambiò con affetto. Vedendo il cavallo la mamma chiese a Vale dove lo avesse trovato e il bambino disse che era un regalo datogli per aver compiuto bene un lavoro, la mamma non chiese di più e Vale tenne per se la sua avventura. Era talmente felice che tutti stessero bene che quello gli bastava.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

Il gatto magico 🐱✨

L’avidità non porta mai a nulla di buono…

Quando si pensa solo ai soldi, dimenticando i sentimenti e la gentilezza, si finisce sempre per fare una brutta fine… meno male che Beatrice ha gatto magico!

Il gatto magico 🐱✨


Miele non era un qualsiasi gatto domestico, aveva una caratteristica in più, possedeva un potere speciale; di qualsiasi cosa avesse bisogno bastava che si concentrasse e il suo manto color dell’ambra si illuminava ed emanava un fascio di luce potentissimo che faceva comparire esattamente quello che il gatto aveva pensato, nessuno sapeva della sua magia, neppure la sua piccola padroncina Beatrice, una bambina di sei anni dolcissima.

Miele e Beatrice vivevano in un’elegante casa molto grande con la governante, la signora Eco, i genitori della bimba erano spesso via per lavoro e Miele era come un fratellino peloso per lei, con lui giocava, passeggiava e si scambiavano moltissime coccole.

Beatrice era una bimba indipendente e solare ma come ogni bambino sentiva la mancanza dei genitori e quando non erano a casa, la piccola stringeva a se la foto di mamma e papà che aveva sul comodino per sentirli più vicini, ma una sera la cornice le scivolò di mano e si ruppe in mille pezzi rovinando anche la fotografia.

Beatrice iniziò a piangere, nessuno riusciva a consolare quel pianto, neppure la signora Eco che di solito ci riusciva sempre. la bimba volle restare sola nella sua cameretta, insieme a lei rimase solo Miele che le stava accoccolato in grembo, il gatto sapeva che avrebbe potuto aiutare la piccola ma così avrebbe svelato il suo segreto. Era indeciso ma pensò a tutto l’affetto che la bimba gli donava ogni giorno ed era tempo di ripagarla. lei meritava di essere felice, così il gatto prese coraggio, scese sul pavimento e chiudendo gli occhi
pensò intensamente alla cornice, non passò che un’ istante e la stanza della bambina fu invasa da una luce accecante e.. puff! la cornice apparve nelle mani di Beatrice nuova nuova senza un graffio.

la bimba non credeva ai suoi occhi, era successo davvero o era uno dei suoi bizzarri sogni? si pizzicò il braccio e si accorse che tutto era reale… Attirato e seccato dal pianto della bambina il vicino di casa, il signor Money, si era affacciato alla finestra e fu spettatore di tutta la magia.

Essendo un uomo cinico, avido e senza scrupoli, pensò che con quel gatto tra le mani sarebbe divenuto ricchissimo!
il malefico Money aspettò il momento perfetto per entrare furtivamente nella casa di Beatrice e rubare Miele, così non appena la bimba uscì per recarsi a scuola, arrampicandosi dalla grondaia entrò nella stanza di Beatrice e in uno battito di ciglia Miele era finito dritto in un sacco e portato via alla velocità della luce, il gatto miagolava a si divincolava ma senza risultati.

Arrivato nella sua casa il signor Money scese in tavernetta e rinchiuse il gatto in una gabbia e senza perdere altro tempo ordino’ al gatto di pensare intensamente al denaro e fargliene comparire una lauta somma sotto gli occhi. il gatto impaurito obbedì e esaudì il suo desiderio.

Alla vista di tutto quel denaro il volto del signor Money si illuminò e come tutte le persone avide ne volle sempre di più, quindi ogni giorno fece ripetere la magia a Miele per ottenere e stipare sempre più denaro.

Nel frattempo Beatrice era disperata senza il suo Miele, non si era mai separata da lui da quando era entrato nella sua vita e non passava giorno che insieme alla signora Eco provava a cercarlo ovunque in città, passando anche davanti alla casa di Money, senza sentire che Miele miagolava disperatamente, perché dalla taverna non fuoriusciva alcun suono essendo insonorizzata.

Di giorno in giorno il signor Money diventava sempre più ricco, la taverna era ormai stracolma di soldi e la casa ricca di oggetti, ma si sentiva stranamente stanco, così un pomeriggio si sdraiò sul divano e per la prima volta osservò le sue mani con attenzione, erano rugose e macchiate, non le aveva mai viste così… corse in bagno si guardò e vide il suo riflesso, era invecchiato, aveva un
colorito grigiastro, si vedeva consumato ma non gli diede molto peso, la sua voglia di ricchezza era più forte di qualsiasi altra cosa.

Giorno dopo giorno peggiorava sempre di più, le forze erano allo stremo e con lui anche Miele si stava consumando, le energie erano sempre meno.

Un pomeriggio Beatrice, sconfortata dalle quotidiane ricerche del gatto, decise di passare di porta in porta a chiedere a tutto il vicinato notizie sul suo Miele. bussando alla porta del signor Money si accorse che era aperta e la bimba entrando chiamò il suo vicino. nessuno rispondeva ma un suono labile proveniva dalla taverna, la bimba spinta dalla curiosità scese le scale e non appena arrivò nella stanza trovò un vecchietto malconcio seduto a terra e girando lo sguardo vide nella gabbia il suo Miele, stanco e provato dallo
sfruttamento di quei giorni.

La bimba chiese al vecchietto dove fosse finito il suo vicino e con le poche forze rimaste il signor Money spiegò alla bambina ciò che aveva fatto. Le disse di aver rapito giorni prima il gatto dopo aver visto alla finestra il prodigio e lo aveva sfruttato giornalmente per la sua sete di denaro, senza accorgersi però di come quotidianamente si stesse consumando e così anche le energie del gatto, era disperato al pensiero della morte e avrebbe fatto di tutto per vivere ancora.

Beatrice che nel frattempo aveva liberato Miele e lo teneva in grembo, ascoltò con attenzione il vecchio signor Money e pensandoci attentamente capì di cosa avrebbe avuto davvero bisogno, guardando Miele si rese conto che il gatto era sfinito ma sapeva di dover chiedere un ultimo sforzo alla bestiola, così si chinò sul gatto e gli sussurrò qualcosa all’orecchio…

Con le ultime energie che gli restavano, il gatto fece ciò che la sua padroncina gli aveva chiesto e dal fascio di luce comparve un piccolo grazioso cucciolo di cane che corse verso il signor Money e gli si tuffò nelle braccia. immediatamente la luce emanata dal gatto si affievolì per sparire completamente, con lei sparirono anche i soldi ammucchiati nella taverna e la vecchiaia di Money.

Beatrice e Miele andarono a casa sicuri di aver donato al signor Money una seconda possibilità.
la vita pian piano tornò alla normalità e di tanto in tanto il gatto e la bambina sbirciavano il vicino dalla finestra, il signor Money era finalmente un uomo felice, l’affetto del cagnolino gli aveva insegnato ciò che nella vita era davvero importante.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

La volpe e le crostate 🥧

Le bugie hanno le gambe corte e, a quanto pare, pure il mal di pancia!

A Melania piace fare le crostate per mangiarle a colazione, ma quando al mattino si alza dal letto, qualcuno se le è già mangiate…

La volpe e le crostate 🥧


Melania era una giovane fanciulla che abitava in una piccola casetta in mezzo al bosco, circondata da altissimi alberi e bellissimi fiori.
Ella viveva da sola e trascorreva le sue giornate dedicandosi al suo hobby preferito: cucinare buonissime crostate.
Un bel giorno passo’ di li’ una volpe che, attirata dal profumino di una crostata di more appena sfornata, non ci penso’ due volte e si mise a bussare:

“buongiorno signorina, non ti voglio certo disturbare, ma c’e’ un lupo grosso e cattivo da queste parti, mi domandavo se da te potessi stare!” Disse, con aria da furbetta.
“ma certo, bella volpe, a farmi compagnia puoi rimanere, mi farebbe un gran piacere!”

La volpe si sistemo’ in un angolo della piccola cucina, tenendo sempre lo sguardo su quella succulenta crostatina.
“sai, ho sentito che il lupo mangia tutto cio’ che trova, ma non ti preoccupare, difendero’ io questa dimora!” Si rivolse a melania, che si tranquillizzo’ e lo zucchero a velo sulla crostata spolvero’.

“domattina con quel dolce faremo una bella colazione!”
Cosi’ melania saluto’ la volpe, che sembrava gia’ dormire e se ne ando’ a letto soddisfatta.
Ma non appena svolto’ l’angolo, la volpe si fece largo in cucina e in un sol boccone si mangio’ tutta la crostata.

Cosi’ la mattina seguente, grande fu la delusione quando melania si alzo’ per fare colazione.
“povera me, dov’e’ finita la crostata?” Chiese disperata; la volpe rispose, pronta e ridestata:
“non hai sentito alcun rumore? Non sai che gran spavento, e’ arrivato il lupo stanotte e se l’e’ divorata! Per fortuna sono riuscita a farlo allontanare!” Racconto’ quella tipetta, facendo credere a melania la storiella.

“e adesso cosa posso fare? Un’altra crostata per domani dovro’ preparare!” E cosi’, passo’ il pomeriggio a sfornare un’altra deliziosa crostata, questa volta alle fragole…ancora piu’ delicata.
Intanto la volpe, che si offri’ persino di aiutare, gia’ si immaginava il pasto da gustare.

Come il giorno prima, anche quella sera, la volpe e melania si salutarono prima di dormire.
La furbetta, aspetto’ che si fosse addormentata l’amichetta, si fece largo in cucina e in un sol boccone divoro’ la crostatina.
Il mattino seguente si ripresento’ la stessa scena; nuovamente grande fu la meraviglia quando melania trovo’ sopra la credenza solo le briciole e della torta alle fragole…era rimasta senza.

“quel cattivone e’ ritornato anche stanotte e stavolta l’ho cacciato col bastone, a suon di botte!”
“ti ringrazio mia cara amica volpe, ma di nuovo e’ sparita la crostata! Vorra’ dire che ne faro’ un’altra e pure la marmellata!”
Ando’ cosi’ per qualche giorno, melania che a sfornar crostate trascorreva il giorno e di notte queste sparivano inghiottite da un misterioso lupo che gironzolava li’ intorno.

“meno male che ci sei te, cara volpe, che difendi la mia casetta!”
“altrimenti a che servirebbe un’amichetta” rispose quella, sempre piu’ furba ed affamata.
Tuttavia a melania questa storia cominciava a non piacere ed a fondo voleva indagare.

Al pomeriggio preparo’ un’ennesima crostata, ma quando fu il momento di andare a dormire, lascio’ socchiusa la porta e si mise a sbirciare.
Non credeva ai suoi occhi! Quella volpe di nascosto mangiava le sue crostate e lasciava pure le briciole sparpagliate! E soprattutto, ironia della sorte, del lupo nessuna traccia quella notte.

Ma guarda un po’, diceva pure di essere amica…qui bisognava passare all’azione e dare alla volpe un’esemplare punizione.
Ci penso’ e ripenso’ finche’ le venne l’idea geniale! Preparo’ una crostata di lamponi, modificando un po la ricetta, l’avrebbe vista bella la sua amichetta!

“buonanotte, cara mia, come sempre sto a vegliare se per caso il lupo dovesse ritornare!”
“ma certo, so che di te mi posso fidare!” E, come la sera prima, socchiuse appena la porta e se ne stette buona in sordina a gustarsi la scena ben preparata, proprio come quella crostata.

Come previsto, l’astuto animale non si mise certo ad aspettare, si fece largo in cucina e con un sol boccone divoro’ anche quella deliziosa crostatina.
Solo che la mattina seguente la volpe appariva alquanto appesantita; questa volta non l’aveva mica digerita.

“ti e’ piaciuta?” Chiese melania, apparendo improvvisamente.
La volpe balbettava palesemente, sentiva di essere stata scoperta e non sapeva proprio che dire: “forse un po’ indigesta!”

“bene, almeno cosi’ sia a te che al lupo posso fare la festa”.
La volpe capi’ di aver sbagliato ad imbrogliare e a gambe levate e pure con il mal di pancia se ne dovette andare.

Morale della favola: le bugie hanno le gambe corte e, a quanto pare, pure il mal di pancia!
Non serve a molto fare i furbetti, tanto alla fine si viene sempre scoperti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Arianna Citron per aver condiviso con tutti noi questa bella favola.

Il carnevale è finito 🎉

Un racconto per comprendere le risorse dentro noi stessi ai tempi del Coronavirus

Il carnevale è finito 🎉


Il Carnevale è finito,è arrivata la primavera però per YOGHINO è tutto un pò strano. Ecco cosa pensa: nuova stagione e ho pure ancora i super poteri del carnevale ma non capisco come mai non riesco ad usarli, sono chiuso in casa e non posso uscire e correre incontro a tutti!

E poi non solo lui è in queste condizioni ma anche i grandi, i suoi genitori, quelli ancora più grandi i super genitori (nonni) e i suoi amichetti. Oramai è un pò di tempo che la gente si veste in modo strano, mascherine in viso, tute strane che certe persone indossano….

Dopo molti pensieri arriva un’idea a YOGHINO “Certo ho capito” dice a voce alta da solo davanti alla finestra della sua cameretta, “sono questi i momenti in cui invece devo mettere
in moto i miei super poteri e riuscirci. E’ un lungo Carnevale siiii è proprio cosi!”

YOGHINO come sempre capisce che tutto è molto semplice, basta pensare a ciò che lui è ed ha in quel momento in casa e cioè esattamente tutto il mondo e l affetto, i giochi e
le persone che ci sono fuori. Questo è il suo super potere, finalmente può usarlo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Sonia Fiscaletti, insegnante di Yoga, per aver cndiviso con tutti noi il suo racconto

Il nostro personaggio si chiama YOGHINO 🧎

Un racconto per esprimere la propria fantasia

Il nostro personaggio si chiama YOGHINO 🧎


Il nostro personaggio si chiama YOGHINO,immaginatelo come volete,alto, basso, piccolo, grande, magro, paffutello,biondo,moro,rosso,nero,giallo,potrebbe essere uno di voi e potresti essere proprio TU…

C’era una volta,anzi c’era,anzi c’è una città magnifica dove tutto è come si desidera.

Il sole? Tanto sole, i giochi? Tanti… palloni, biciclette, fiori, prati, insomma tutto ciò che si può non solo volere ma anche immaginare.

Ogni giorno il nostro caro piccolo YOGHINO guarda tutte queste meraviglie dalla sua città che invece è grigia e vuota… è meno… meno tutto ahimè!

Come arrivare di là? Come raggiungere quel posto così felice e colorato?

C’è una montagna altissima e una più piccola che lo separano da quell’incantevole paesaggio.

E allora tanti pensieri idee e progetti nella testa del nostro piccolo per poter superare la distanza che appare insormontabile tra le due città.

Ma guardando meglio e con più attenzione ecco che gli occhi del nostro piccolo YOGHINO sono attratti da un pezzettino di legno, si, si, proprio così è proprio un ponte un ponticiattolo!

Uaooo tutto diventa semplice, un passaggio e potrà sempre andare tornare e riandare nella sua città fantastica ogni volta che vorrà!

E così sole, si tanto sole e giochi, si tanti… e tutto ciò che si può non solo volere ma anche immaginare.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Sonia Fiscaletti, insegnante di Yoga, per aver cndiviso con tutti noi il suo racconto

Sofia e la ninna nanna della luna 🌙

Una dolce fiaba per aiutare i bimbi ad addormentarsi

La piccola Sofia non riesce proprio ad addormentarsi, meno male che la Luna, con la sua magia, riuscirà ad aiutare lei e i suoi genitori a farle prendere sonno serenamente.

Sofia e la ninna nanna della luna 🌙


Ogni sera Sofia proprio non ne voleva sapere di fare la nanna, la sua mamma impazziva per cercare di farla addormentare, tra pannolini e biberon: iniziava a strillare, il suo visino diventava rosso rosso, i sottili capelli neri le si scompigliavano.

Tutte le notti la stessa storia, ore ed ore per tentare di farle prendere sonno nel caldo lettino.

Fino a che, la notizia, giunse all’orecchio della luna.

Preoccupata, decise di andare in soccorso ai genitori di Sofia e portare un po’ di serenità alla piccola.

Una notte, mentre intorno tutto taceva, la luna entrò con luminosi raggi all’interno della stanza, sfiorò delicatamente le paffute guance di Sofia, con grandi braccia l’avvolse nella coperta di polvere di stelle iniziandola a cullare e cantandole una ninna nanna.

La bimba aprì gli occhi e le fece un grande sorriso.

“Dolce amica, vieni, ti farò conoscere il mio mondo incantato” disse la luna.

Prese Sofia per mano e insieme attraversarono una porta ricoperta di diamanti e pietre preziose. Improvvisamente comparvero tante fate vestite di azzurro, buffi maghetti con lunghi cappelli, piccoli gnomi intenti a raccogliere pezzettini di stelle cadenti.

La bambina si guardava intorno meravigliata.

Poi le strane creature lunari, si misero a cantare con voce soave.

Dormi dormi piccina mia
fai la nanna insieme a noi
noi che ti porteremo in posti incantati
andremo per mari blu
arriveremo piano lassù
lassù cavalcando le stelline
volando più in alto del cielo
affinché questa notte
tu sognerai serena.

Per un mese, la luna andò a fare visita alla sua amica Sofia, cantando questa ninna nanna.

Ora la bambina non fa più i capricci per andare a dormire e la mamma finalmente può riposare tranquilla.

Sofia sa che prima o poi, la luna ritornerà a farle compagnia e chiude gli occhietti, felice.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di educazione e rispetto per la natura da coltivare fin dalla tenera età.

www.ritabimbatti.it


La storia del signor Tempo 🕑

Come spiegare il concetto di tempo e il passare delle stagioni ai bambini

Con il passare delle stagioni, il mondo si trasforma e scatena la curiosità dei bambini. Questo racconto può aiutarti a rispondere a domande sul come e il perché i periodi dell’anno sono diversi tra loro. E non c’è risposta migliore di una fiaba, visto che ti permette di spiegare al tuo bimbo la realtà e aiutarlo a crescere e comprendere il mondo, senza però allontanarlo dalla sua fantasia.
Qui sotto trovi sia il video che il testo, buon divertimento!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

La storia del signor Tempo 🕑 storia completa


– Mamma, quanto è lunga un’ora?
– Mamma, quante sono cento ore?
– Ma quando finisce il tempo?…
Chiedeva spesso Dino alla sua mamma.
La mamma, un giorno, decise di rispondergli raccontando la storia del signor Tempo.

C’era una volta, tanto tanto tempo fa, in un paese molto molto lontano, il Signor Tempo. Era un uomo buono ma girava per le vie sempre imbronciato e scontento perché, a suo dire, i giorni trascorrevano tutti uguali. Il suo sogno era quello di creare nelle giornate cambiamenti e varietà, per stupire gli uomini ma soprattutto i bambini.

Decise allora di rivolgersi ai suoi quattro cari amici poiché lo aiutassero a realizzare questo suo grande desiderio. Cosi tutto sarebbe diventato più bello e vivace. Bastò chiamarli a gran voce una volta per vederli arrivare immediatamente: il Vecchio Soffione, il Mago Nevoso, la Strega Terriccia e la Fata Ondina. Lo ascoltarono attentamente mentre esponeva il suo problema e al volo ciascuno di loro aveva già trovato la soluzione.

– Io sono il Vecchio Soffione e la cosa che so fare meglio, come dice il mio nome, è soffiare per far arrivare il vento. Il vento porterà le nuvole in cielo, farà cadere le foglie degli alberi e i ricci con le castagne. I bambini si divertiranno a raccoglierle! Così facendo porterò l’autunno, la stagione delle foglie rosse, gialle e arancioni, della ripresa della scuola e degli animali che vanno in letargo.


– Io sono il Mago Nevoso e porterò ; con me il freddo e la neve. Arriverà l’inverno, la stagione in cui tutti dovranno coprirsi ben bene. I bambini potranno giocare a palle di neve aspettando l’arrivo di Babbo Natale!

– Eccomi qua, è arrivato il mio turno! Sono la Strega Terriccia, una strega buona s’intende. .. Io gironzolo qua e là sussurrando alla terra, ai fiori, agli alberi e alle tartarughe: “Sveglia. .. sveglia… sveglia”. Tutta la natura, ascoltando il mio richiamo, si risveglia con gioia perché è in arrivo la primavera. La stagione dove tutto rifiorisce, dove tutto si colora! Dove tutti i bambini possono finalmente tornare a giocare nei prati e nei parchi.

– Ora tocca a me! Sono la Fata Ondina. Dopo la primavera io porterò l’estate, la stagione del sole, del mare e del gelato. È il tempo più spensierato e allegro, con i bambini che si godono la vacanza e il caldo.
Il Signor Tempo accolse tutte queste idee e con aria soddisfatta disse:

– Bene, bene. Faremo proprio come voi proponete. Arriverà l’autunno e poi l’inverno. Dopo sarà il tempo della primavera a cui seguirà l’estate. E così Via, in un susseguirsi senza fine. Allora, amici miei, mettiamoci al lavoro! Uno per tutti e tutti per uno!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia la psicopedagogista Gabriella Arcobello per aver condiviso con noi questa fiaba molto educativa.

L’orso e il cupcake 🐻🧁

Fidarsi è bene ma fare attenzione è meglio!

Fare gli scherzi ai propri amici è molto divertente, però bisogna sempre ricordarsi di fare scherzi che non siano pericolosi per gli altri.

L’orso e il cupcake 🐻🧁

C’era una volta un orso che cercava cibo.

Lungo la strada incontrò un baule. L’orso in quel momento pensó che dentro il baule ci fosse qualcosa da mangiare. Così, decise di aprirlo e dentro trovò un piccolo regalino . All’interno del pacchetto c’era un piccolo cupcake; l’orso aveva così tanta fame che se lo mangiò.

Il suo amico riccio gli aveva fatto uno scherzo: il cupckake non era normale, era diverso, perchè era avvelenato con una pianta particolare che però non era velenosa. L’orso, pensando che il suo amico fosse un po’ birichino era sicuro che il riccio gli avesse fatto uno scherzo. Il riccio se la rideva del fatto che il suo amico orso avesse mangiato questa tortina speciale.

L’orso, vedendo passare il suo amico riccio tutto contento, capì che era tutto uno scherzo.

Morale della favola: se trovi qualcosa da mangiare per la strada non fidarti perchè può essere pericoloso, anche se in questo caso tutto è bene quel che finisce bene.

— Fine della fiaba —

fabulinis ringrazia la piccola Clarissa e il suo papà Jacopo che, dal Perù, hanno voluto condividere con noi questa bella fiaba 🤗

Il paese senza dolci 🍬

che triste una vita senza dolci!

Il paese senza dolci è un racconto dedicato a chi, per qualche motivo legato agli eventi della vita che l’hanno reso triste, prende delle decisioni un po’ strambe. Ma per fortuna c’è sempre chi ci aiuta a ritrovare il sorriso.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il paese senza dolci raccontata da Silvia!

Il paese senza dolci 🍬 storia completa


C’era una volta, nelle terre lontane lontane, un piccolo paesino isolato dal resto del mondo.
Gli abitanti del paesino erano molto legati alle loro tradizioni, proprio perché non avevano contatti con persone di altri posti.

Il Conte del paese era l’unico nobile che avevano a disposizione, e per questo motivo era stato eletto sindaco.

Purtroppo il Conte qualche anno prima, aveva perso la moglie, e da quando era rimasto solo era diventato una persona molto rigida e severa. Gli abitanti del paese dovevano rispettare tutte le sue decisioni senza fiatare, e guai a chi si comportava diversamente!

Ma la cosa più assurda era che in questo paese erano state vietate le pasticcerie!
Nemmeno in casa propria si potevano fare dolci! Lo aveva proibito il conte dopo la scomparsa della moglie, che era morta per una indigestione di pasticcini alla crema.
Quella terribile vicenda gli aveva fatto perdere la ragione, e gli abitanti non avevano avuto la forza ed il coraggio di ribellarsi alla sua autorità.

Ma un giorno, mentre soffiava fortissimo il vento, giunse in paese un pellegrino, che cercava un posto dove riposarsi per qualche giorno. Il Conte non amava gli stranieri, aveva paura che potessero agitare l’apparente tranquillità della gente del paese. Comunque, per non sembrare troppo cattivo, gli offrì ospitalità.

Ma il Conte non poteva sapere che quell’uomo di mestiere faceva il pasticcere!
Senza conoscere le leggi imposte dal Conte, il pasticcere incominciò a sfornare dolci da dare alla gente del paese per ringraziare dell’ospitalità ricevuta. Purtroppo, quando il conte venne a sapere cosa aveva fatto il pasticcere, andò su tutte le furie e lo cacciò immediatamente dal paese.

Gli abitanti, felici ed entusiasti per avere potuto mangiare dolci e torte dopo anni di forzato digiuno, erano tornati di nuovo tristi.
Decisero che questa volta il Conte aveva esagerato, erano ormai stanchi e stufi delle sue decisioni.

E’ vero che i dolci non sono indispensabili, ma come si poteva pensare di festeggiare un compleanno soffiando sulle candeline di una torta fatta di carote e patate?
I bambini non mangiavano più dolci da così tanto tempo che ormai preferivano saltare la merenda!

Il pasticciere non si diede per vinto e decise di parlare con le persone del paese per trovare una soluzione. Insieme decisero di organizzare una festa a sorpresa per il Conte, una festa tutta a base di torte, dolci e pasticcini. E così fu.
Con una scusa banale, invitarono il Conte nella casa più grande del paese che era stata addobbata con ghirlande e festoni, e quando il Conte entrò dentro la casa e vide tutti quei dolci e una torta fatta solo in suo onore, rimase impietrito, non si aspettava una tale sorpresa!

Il Conte non disse una parola, nessuno gli aveva più fatto una torta da quando la sua amata moglie era volata in cielo.
Ma bastò un applauso, un gesto d’affetto e una canzone per fare tornare il sorriso a quell’uomo, che aveva tanto sofferto…
Guardò commosso i suoi compaesani e li abbracciò con lo sguardo, lo sguardo di un uomo solo che aveva tanto bisogno di affetto.
Da quel giorno il Conte decise di istituire la “Festa del Dolce”.

Ancora oggi i pellegrini di tutto il mondo si fermano in quel paese, per la “Festa del Dolce” e per assaggiare le prelibatezze della pasticceria “Il Pellegrino”.

⚜ Fine della fiaba ⚜

L’uccellino sopra il pino 🐦🌲

Se cerchiamo di andare oltre le apparenze forse troveremo un tesoro…

“L’uccellino sopra il pino” è un racconto breve che può aiutare noi genitori a spiegare ai bambini quanto sia importante andare oltre alle apparenze. L’uccellino non lo fa, e si perde un tesoro…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare l’uccellino sopra il pino raccontata da Silvia!

L’uccellino sopra il pino 🐦🌲 storia completa


C’era una volta un uccellino che, dopo aver volato tutto il giorno, decise di prendersi una piccola pausa. Andò così a riposarsi sopra il ramo di un pino.
L’uccellino, che era ancora giovane ed inesperto, vide sui rami delle belle pigne e pensò che fossero i frutti dell’albero.

– Adesso mi faccio una scorpacciata di questi frutti! – disse. Prese una pigna nel becco e cominciò a masticarla, ma con sua grande sorpresa non ne riusciva a mangiare nemmeno un pezzettino.
– Com’è possibile che questo frutto abbia un gusto così simile al legno?! – si chiese perplesso l’uccellino, e ci riprovò.

Ma niente, il gusto di quelle pigne era veramente amaro e legnoso, per non parlare poi di quanto fossero dure.
– Hai dei frutti molto belli albero mio, ma sono disgustosi e duri come la pietra!
Il pino che fino a quel momento era stato calmo e buono, sentendo quelle parole si arrabbiò molto. Iniziò a scuotersi così forte che l’uccellino per la paura si alzò in volo.

– Le mie pigne non sono fatte per essere mangiate – disse allora il pino – ma al loro interno contengono un gran tesoro.
– Sarà – ribatté l’uccellino che stava volando in cerchio sopra l’albero – ma a me non piacciono, tientele pure! – e volò via.
Il pino un po’ risentito, ma sollevato dal fatto che il piccolo e insolente uccellino fosse andato via, si rimise a godersi sereno la giornata.

Poco dopo sotto i rami del pino passò un bambino, che notò subito un sacco di pigne cadute per terra.
Quando il pino aveva fatto scappare l’uccellino, aveva fatto cadere anche molte delle sue pigne.
Il bambino si chinò a raccoglierle, e da alcune uscirono i pinoli, i semi contenuti nelle pigne.

– Quanti pinoli! – esclamò il bambino – la mamma ci potrà fare una torta buonissima! – e ne raccolse più che poteva.
Il pino guardò felice la scena e pensò che il bambino aveva compreso bene il valore delle sue pigne.

E fu così che l’uccellino se ne andò via a stomaco vuoto ed il bambino si riempì la pancia con la squisita torta ai pinoli fatta dalla sua mamma.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Il corvo e la volpe 🐦🦊

Bisogna stare sempre attenti a chi ci fa troppi complimenti, potrebbe avere un secondo fine non proprio altruistico…

L’insegnamento di questa favola di Esopo è molto chiaro: non bisogna cedere alla vanità ma restare umili, anche se qualcuno ci fa dei complimenti bellissimi, perché potrebbero non essere sinceri.

Difatti alla volpe, che riempie di complimenti il corvo, non interessa per nulla la sua bellezza: lei vuole solo rubargli il formaggio!

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🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del corvo e la volpe!

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il corvo e la volpe raccontata da Silvia!

Il corvo e la volpe 🐦🦊 storia completa


C’era una volta un corvo che, fermo su un ramo, si guardava intorno in cerca di qualcosa da mangiare.
L’occasione arrivò presto.

Non molto lontano, una famigliola stava facendo un bel picnic, e in un angolo, sopra il telo steso a terra, aveva messo un bel cesto pieno di pezzi di formaggio.
Il corvo si lanciò in picchiata, con una rapida mossa prese un pezzo di formaggio e volò via lontano, sopra il ramo di un alto albero. Era tutto contento.

Sotto il ramo dove si era posato il corvo, stava passando una volpe, che notò subito il pezzo di formaggio nel suo becco. Si sedette lì sotto e pensò: “Quanto mi piacerebbe mettere le zampe su quel pezzo di formaggio…”. Ma il corvo era su un ramo troppo alto e lei non ci sarebbe mai arrivata con un salto. Forse, però, poteva farcela usando la sua astuzia. Si sa, le volpi sono molto furbe.

– Buongiorno signor corvo, ma che belle penne che hai! – disse la volpe.
Il corvo, sentendo queste parole, guardò giù e la vide. Conoscendo il tipo, il corvo si fece subito sospettoso. “Come mai la volpe mi fa questi complimenti?” si chiese; ma la volpe continuò:
– Hai anche un gran bel portamento!

Al corvo iniziò a piacere tutta questa adulazione. “Be’, effettivamente ho delle bellissime penne nere” pensò, e iniziò a sbattere le ali per metterle bene in mostra.
– E che bel becco che hai, sembra proprio il becco di un re!
Al corvo non pareva vero di ricevere tanta attenzione. Sentir lodare il suo becco, poi, era una cosa bellissima.

– Se solo potessi sentire una dolce melodia provenire da quel becco… vorrei proprio sentire che meravigliose canzoni puoi cantare… – continuò la volpe con un tono sempre più adulatorio.
Il corvo era al settimo cielo per la felicità. Dopo così tanti complimenti doveva dimostrare alla volpe quanto bravo era nel canto, così aprì il becco e:
– Cra! Cra! Cra!

E mentre il corvo cercava di dare sfoggio delle sue abilità di cantante, il pezzo di formaggio scivolò via dal becco. La volpe, che aspettava lì sotto, aprì la bocca e il formaggio ci finì dritto dritto dentro.

La volpe, tutta contenta per essere riuscita a guadagnarsi il pranzo usando solo la sua astuzia, salutò con la zampa il corvo, ringraziò e se ne andò via per il sentiero del bosco.
Il corvo, poverino, era rimasto con le ali e il becco aperti per la sorpresa. “Dovevo stare più attento” pensò mentre guardava la volpe allontanarsi.

“La prossima volta che qualcuno mi farà così tanti complimenti non mi lascerò ingannare così facilmente. Cercherò di capire se sono complimenti sinceri o se sono solo un modo per ottenere qualcosa da me”. E volò via, in cerca di qualcos’altro da mangiare.

Morale: non bisogna mai fidarsi di chi fa troppi complimenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La zia di Adele 🧙‍♀️

Quante sorprese se si ha una zia che in realtà è una simpatica strega!

Questo breve racconto è stato ispirato dalla fiaba russa “Baba Jaga”, nella quale la bimba protagonista viene mandata da questa strega che non è esattamente buona e amichevole…

Noi di fabulinis abbiamo scritto la nostra versione, e la strega cattiva è diventata invece una simpatica zia.

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La zia di Adele 🧙‍♀️ storia completa


C’era una volta Adele, una bimba simpatica e piena di vita, talmente piena di vita che ogni sera tornava a casa sempre con qualche rattoppo da fare ai vestiti!
Per Adele, giocare a correre e saltare sui prati con gli amici era la cosa più divertente del mondo.

Solo che una sera la mamma aveva finito il filo per aggiustarle i vestiti, così, il giorno dopo, disse ad Adele di andare dalla zia Greta a chiedere un po’ di filo e anche qualche ago, già che c’era.

Adele era sempre felice di andare dalla zietta Greta. La sua casetta stava sulla collina e la strada per arrivarci passava attraverso un boschetto pieno di alberi alti alti, ma, soprattutto, a casa sua succedevano sempre un sacco di cose strane e divertenti.
C’era una cosa che però Adele non sapeva. Visto che era ancora una bimba, mamma e papà non le avevano detto che in realtà la zia Greta era una strega!

Adele, quindi, si incamminò e passeggiò contenta fino alla casa della zia, che, sentendola arrivare, chiese al gatto di andare ad accoglierla…
Il gatto uscì di casa, corse incontro alla bimba e le si infilò così velocemente tra le caviglie che Adele inciampò e cadde a terra, ma non si fece nemmeno un graffio perché era caduta su della morbida e bellissima stoffa a fiorellini. Adele si rialzò, prese la stoffa e cercò il gatto per poterlo salutare, ma il gatto era sparito… un po’ confusa bussò alla porta.

– Ciao zietta, sono Adele!
– Ciao Adele, che piacere vederti!
– Guarda, ho trovato questa stoffa qui fuori casa – disse Adele porgendogliela.
– Ecco dove era finita… sono sempre la solita sbadata, grazie mille Adele! – La zia Greta abbracciò la nipotina e la fece entrare in casa.

– Vuoi la merenda Adele?
– Siiiiii!! – Adele corse in cucina dove sulla tavola c’erano latte, biscotti e fette con la marmellata. Mentre mangiava i biscotti vide nella scatola qualcosa di strano: erano dei bellissimi nastrini colorati.
– Zia! Zia! Ci sono dei nastrini colorati dentro la scatola dei biscotti! – disse Adele.
– Ah, ecco dove erano finiti, era tutta la mattina che li cercavo! – La zia li prese e li mise accanto alla stoffa.
Adele era tutta contenta, per ben due volte aveva ritrovato delle cose smarrite dalla zia.

– Vuoi del succo di frutta Adele?
– Siiiii!!
La zia Greta le porse un grande bicchiere di succo con una lunga cannuccia da cui Adele iniziò subito a bere. Ma, dopo un paio di sorsi, sentì qualcosa di strano: dalla cannuccia stava uscendo un lungo filo di seta bianco!
– Ma zia! Hai dimenticato del filo di seta nel succo!
– Ahhh, che sbadata la tua zia! Anche questo ho dimenticato in giro oggi… ormai non so più dove ho la testa – le sorrise e tirò il lungo filo di seta fuori dalla cannuccia. Adele la guardava divertita.

– Ecco fatto! – zia Greta arrotolò il filo, lo sciacquò e lo mise in un piccolo sacchetto.
– Ma dimmi Adele, la mamma mi aveva avvertito che saresti passata a prendere alcune cose, cosa ti serve?
– Ago e filo… la mamma mi deve rammendare dei vestiti…
– Ancora?! Sempre a saltare e a correre, vero? – disse la zia ridendo, mentre già preparava una borsa con dentro la stoffa, i nastrini, il filo di seta e qualche ago.

– Tieni questa borsa, portala alla mamma.
– Ma dentro ci sono anche altre cose!
– Non preoccuparti, adesso dammi un bacio e poi vai!
– Va bene… – Adele diede un bacio alla zia e poi corse verso casa.

– Ciao mamma, sono tornata!
– Eccoti! Come è andata dalla zia?
– Bene! E mi ha dato anche un sacco di altre cose oltre all’ago e al filo!
– Tipo? – chiese la mamma.
– Tipo queste! – Adele infilò la mano nella borsa per tirare fuori la stoffa, i nastrini e il filo di seta, ma invece… magia!

Si trovò in mano un bellissimo vestitino a fiorellini, tutto ornato di nastrini colorati e cucito con del filo di seta bianco.
Adele rimase stupita, non aveva capito come la zia avesse potuto infilare di nascosto quel vestitino nella borsa… ma era tanto contenta, non vedeva l’ora di indossarlo e soprattutto… di tornare a far merenda dalla zia!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Il racconta fiabe 👦

Quando si ascolta il cuore di bimbo che tutti noi abbiamo dentro, può solo arrivare la felicità

Il racconta fiabe è un racconto che mostra come, se si riesce ad ascoltare il bambino che è dentro di noi, possiamo ritrovare la fantasia e la felicità.

L’originale è di Luigi Capuana, noi di fabulinis l’abbiamo rielaborata e un po’ semplificata ed adattata per essere raccontata anche ai bambini più piccoli

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il racconta fiabe raccontata da Silvia!

Il racconta fiabe 👦 storia completa


C’era una volta Matteo, un giovanotto che aveva cambiato tanti lavori, ma con scarsi risultati.

Un giorno gli venne l’idea di andare in giro a raccontare fiabe ai bambini. Gli sembrava un lavoro facile, perciò andò nella città vicina e cominciò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti, spinti dalla curiosità.

Lui cominciò:
– C’era una volta un Re e una Regina, che non avevano figli, e non sapevano più…
– Ma questa la sappiamo! – dissero i bambini – E’ “La Bella addormentata nel bosco”. Un’altra! Un’altra!
– Va bene, ve ne dirò un’altra – disse sospirando, e cominciò:
– C’era una volta una bambina, che abitava nel bosco e aveva la nonna malata…
– Ma anche questa la sappiamo: è “Cappuccetto Rosso”! Un’altra! Un’altra!
Matteo, un po’ seccato, ricominciò da capo:
– C’era una volta un signore che aveva una figlia. La moglie era morta e si era risposato con una vedova che aveva due figlie…
– Ma è “Cenerentola”… sappiamo a memoria anche questa!
E visto che Matteo sapeva soltanto fiabe vecchie, i bambini si alzarono e andarono via.

Matteo partì e andò in un’altra città. Appena arrivato, cominciò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti, spinti dalla curiosità. Ma ogni volta che l’uomo cominciava una fiaba, i bambini gridavano:
– La sappiamo! La sappiamo!
E visto che sapeva soltanto fiabe vecchie, i bambini si alzarono e andarono via.

Cambiò parecchie città, sempre con poco successo, perciò alla fine Matteo si perse d’animo.
Triste e sconfortato, continuò a camminare, e, senza accorgersene, si perse in mezzo a un bosco.
Arrivata la notte, cercò un posto per dormire, ma aveva una gran paura e non riusciva a chiudere occhio.

A mezzanotte in punto vide una gran luce nel bosco: da ogni pianta sbucava gente che rideva, cantava e ballava.
Era capitato in mezzo alla fiera delle Fate!
Gli venne in mente che le Fate potevano vendergli delle fiabe nuove nuove, e così incuriosito, si fece coraggio e si avvicinò.

Si fermò davanti a una Fata che vendeva fiori e domandò:
– Avete fiabe nuove?
– No, fiabe nuove non se ne trovano più… – disse la Fata sollevando le spalle.
Allora Matteo domandò a quella vicina:
– Avete fiabe nuove?
– Fiabe nuove non se ne trovano più! – disse ridendo la seconda Fata.

E andò avanti così con tante altre Fate, finché l’ultima, vedendolo triste e sconsolato, gli disse:
– Sai dove le puoi trovare? Da una vecchia Fata, si chiama Fata Fantasia. Ma attento: non le vuole dare a nessuno! Vive da sola in una grotta, e dovresti andare da lei in compagnia della Bella addormentata nel bosco, di Cappuccetto rosso, di Cenerentola, di Pollicino e gente simile, altrimenti si arrabbia… Tu prova, però sarà un’impresa difficile.
– Non importa, ci proverò. Grazie!

Così iniziò a cercare nel bosco i suoi compagni di viaggio:
– Bella addormentata, ti prego, vieni con me da Fata Fantasia?
– Volentieri!
– Cappuccetto rosso, verresti anche tu con me? Vado da Fata Fantasia…
– Va bene!
– O Cenerentola, ti prego, vieni anche tu!
– Ma certo!
Riuscì a radunarli tutti, e così partirono. Arrivarono alla grotta dove la vecchia Fata Fantasia viveva rinchiusa, e bussarono alla porta.

– Chi è?
– Siamo noi! – dissero tutti insieme.
Fata Fantasia, sentendo quelle voci familiari, venne ad aprire.
– Che bello vedervi! – disse sorridente, ma appena vide Matteo si arrabbiò:
– E tu chi sei? Come osi venire da me!
E voleva cacciarlo via.

Ma gli altri la tranquillizzarono e le raccontarono il motivo della loro visita:
– Matteo è molto triste. È un racconta fiabe, ma i bambini, che già sanno a memoria le nostre storie, ora vogliono delle fiabe nuove! E lui non sa come fare… Fata Fantasia, aiutalo tu!
– Fiabe nuove non ce ne sono più! – sorrise la Fata.
– Fata Fantasia, aiutami, ti prego! – disse Matteo piangendo.
Sentendosi pregare con le lacrime agli occhi, Fata Fantasia s’intenerì:
– Torno subito. – disse.

Rientrò nella grotta, e dopo un po’ si ripresentò con il grembiule pieno di oggetti strani:
– Tieni, queste cose forse ti aiuteranno.
E gli diede un biscotto, un ranocchio, un fiocco di neve… insomma tante cose strane.
– Cosa ci faccio?
– Portali con te e vedrai.
Matteo, anche se poco convinto, ringraziò comunque Fata Fantasia, accompagnò gli altri a casa e, arrivato nella prima città, iniziò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti.

Lui prese in mano il biscotto e cominciò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. E raccontò la fiaba de “L’omino di pan pepato”, che fu un successo!
– Un’altra! Un’altra! – gridarono i bimbi.
E Matteo, preso a caso dalla borsa uno dei regali della Fata, cominciò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. E raccontò la fiaba de “Il Principe ranocchio”, un altro successo!
– Un’altra! Un’altra! – gridarono i bimbi.

Matteo alla fine ne raccontò un sacco, e si divertiva anche più dei bambini.
Poi cambiò città:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
E ricominciò da capo. I bambini erano contentissimi.

Ma, passato poco tempo, le fiabe erano sempre le stesse: L’omino di pan pepato, Il Principe ranocchio, Nevina e Solleone… finché i bambini piano piano si stufarono, e appena cominciava:
– C’era una volta… – lo interrompevano:
– La sappiamo, la sappiamo a memoria!
Cosa poteva fare Matteo di quelle fiabe, ora che i bambini non volevano più sentirle?

Triste e sconsolato, pensò di regalarle al Mago Merigio, un mago che collezionava fiabe vecchie che nessuno voleva più sentire.
Decise di andare a trovarlo.
Il Mago Merigio, col suo barbone e gli occhi neri come il carbone, gridò:
– Chi sei? Che vuoi?
– Nulla, Mago; vengo solo a farti un regalo. Queste fiabe sono nuove e tu non le hai. Però i bambini ormai le sanno a memoria e non le vogliono più sentire, perciò ho pensato di regalartele per la tua collezione.

Il mago, stupito, si fece raccontare tutta la storia. Quando Matteo finì, il Mago Merigio gli sorrise con dolcezza e disse:
– Ah, sciocco! Non hai capito cosa ti è successo? Fata Fantasia ti ha aiutato con i suoi regali, ma la magia l’hai fatta tu: le fiabe sono uscite dal tuo cuore e come sono nate queste ne possono nascere altre mille.
– Non capisco… – disse Matteo.
– Vai nella città vicina e ricomincia a raccontare fiabe, ma non dimenticare di guardare bene i bambini negli occhi: la loro magia ti guiderà e andrà tutto bene.

Matteo ringraziò e partì. Arrivato in città iniziò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti.
Guardandoli bene negli occhi iniziò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. Aveva ritrovato la sua fantasia di bambino, che da quel momento non lo abbandonò mai più.

Così continuò a fare il racconta fiabe, per molto molto tempo, per la gioia di tanti bambini!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Il pesce nel bosco 🐟

Il silenzio è d’oro…

Per scrivere questa breve storia per bambini, noi di fabulinis ci siamo ispirati a quello che spesso succede ai piccoli: quando accade qualcosa di bello, sono così entusiasti che lo racconterebbero a tutto il mondo, anche se hanno promesso di mantenere il segreto.

E questo è meraviglioso! Purtroppo però, a volte, devono scontrarsi con l’invidia o la prepotenza di chi vuole portar loro via questa felicità.
Lo stesso accade alla moglie del contadino protagonista, ma lui, furbo, difende il tesoro che hanno trovato e insegna alla moglie ad essere un po’ più prudente e soprattutto a mantenere i segreti. Anche se lì per lì la prende un po’ in giro…

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Il pesce nel bosco 🐟 storia completa


C’era una volta un contadino che lavorava alle dipendenze del signore del castello.
Un giorno tornando dal bosco dove aveva preso un po’ di legna per il camino, trovò sul sentiero un sacchetto, lo aprì e dentro vi trovò alcune monete d’oro.
Subito corse a casa da sua moglie a farle vedere le monete, non erano molte ma con quelle non avrebbero avuto più problemi per un bel po’.

– Dobbiamo nasconderle – disse il contadino – se il signore del castello lo viene a sapere dirà sicuramente che sono sue e ce le toglierà.
– Si si – rispose sua moglie – nascondiamole sotto il letto!
E così fecero, nascondendo le monete sotto il letto.
La moglie del contadino non stava più in sé dalla felicità, e al contadino venne in mente che con tutta questa foga le sarebbe potuto sfuggire, con qualche sua amica, quello che era accaduto.
Esattamente come aveva intuito il contadino, il giorno stesso sua moglie raccontò alle amiche della fortuna che stavano avendo, grazie anche ad alcune monete d’oro trovate per caso…

Il contadino capì che doveva doveva inventarsi qualcosa per non farsi prendere le monete. Non appena la donna uscì di casa per andare al pozzo a prendere un po’ d’acqua, il contadino prese subito le monete e le nascose in soffitta, e quando sua moglie tornò esclamò:
– Domani andiamo a pesca nel bosco!
– Ma nel bosco non c’è nemmeno un ruscello… – rispose la donna.
– Tu fidati, domani troveremo un sacco di pesce nel bosco.

La moglie lo guardò stranita, ma si fidava e non aggiunse nulla.
Il giorno dopo il contadino si alzò molto presto senza svegliare la moglie, e andò al mercato a comprare del pesce e delle ciambelle. Poi corse nel bosco e lasciò per terra i pesci un po’ lì e un po’ là, e appese le ciambelle ad un albero.

Riuscì a tornare in casa appena in tempo prima che la moglie si svegliasse.
Fatta la colazione il contadino prese sua moglie e la portò nel bosco, e subito trovarono un pesce per terra.
– Ma qui c’è un pesce! – esclamò la donna – e qui un altro!
– Cosa ti avevo detto? È un ottimo periodo per cacciare pesce nel bosco! – rispose il contadino.
– E guarda qui marito mio, un albero pieno di ciambelle!!

Il contadino sorrise ma non si sorprese, anzi, disse alla moglie che in quel periodo era normalissimo trovare alberi pieni di ciambelle. I due ne fecero scorta e tornarono a casa felici e contenti.
Ma il giorno dopo, le voci sulla fortuna dei due contadini arrivarono anche al signore del castello, che incuriosito li chiamò a corte.

– Voci dicono che avete trovato delle monete d’oro nel bosco – li interrogò il signore del castello.
– Non è assolutamente vero signore… – rispose il contadino.
– Non ci credo, tua moglie lo ha raccontato a tutti! E so anche che le tenete nascoste sotto il letto!
Il contadino sospirando e scuotendo la testa rispose:
– Scusatela mio signore, ma mia moglie ultimamente è un po’ matta, non c’è da credere alle sue parole.
– Matta io?! – si infuriò la moglie – io non sono matta! Tu sei tornato a casa con le monete d’oro il giorno prima di andare a caccia di pesci nel bosco!

– A caccia di pesci nel bosco? – chiese il signore.
– Si, si, a caccia di pesci nel bosco, ne abbiamo trovati un sacco, e poi abbiamo anche trovato un albero pieno di ciambelle!
Il signore del castello guardò il contadino che si stava stringendo nelle spalle scuotendo tristemente la testa, e pensò anche lui che sua moglie era proprio un po’ matta.

Il signore fece comunque controllare dalle guardie sotto il letto dei contadini, che ovviamente non trovarono nulla.
Il contadino così poté tenersi le monete d’oro che usò poco a poco e senza dare troppo nell’occhio. E sua moglie, come lezione, imparò a non confidare più segreti preziosi alle sue amiche, e anzi, si godette insieme a suo marito una vita serena e tranquilla.

Questa favola ci insegna che, non mantenere un segreto per far bella figura con gli altri, spesso può essere molto controproducente.

⚜ Fine della fiaba ⚜

Il pozzo di Noemi 👧

Ad aver la testa per aria a volte si fanno delle belle cadute…

Questa è l’avventura di Noemi, che cercava una farfalla e invece si ritrova in un pozzo. E’ un racconto breve scritto da noi di fabulinis, che parla di solitudine ma anche di generosità, che si trasforma in amicizia.

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Il pozzo di Noemi 👧 storia completa


C’era una volta, appena dentro ad un bosco, un pozzo d’acqua. Dopo tanti anni di buon servizio, era stato abbandonato per un altro pozzo molto più grande e comodo, nel centro del paese.
Il povero pozzo cominciò così a sentirsi sempre più triste e, ogni volta che sentiva una voce lontana, sperava sempre che qualcuno andasse a prendere un po’ d’acqua da lui. Ma non arrivava mai nessuno…

Passarono gli anni, le edere rampicanti e gli arbusti crescevano, e lui ormai era ricoperto quasi per intero. C’era solo un piccolo spazio libero dove, ogni tanto, andava a specchiarsi la luna. E quando il pozzo riusciva a vedere la luna, si sentiva un po’ meno solo.

Un giorno di primavera, però, su uno degli arbusti che coprivano il pozzo, si posò una farfalla tutta gialla.
– Ciao farfalla gialla, sono contento di vederti. Cosa ti porta da queste parti? – domandò il pozzo tutto contento per la visita inaspettata.
– Cerco un nascondiglio: è tutto il pomeriggio che sono inseguita da una bimba che vuole catturarmi col suo retino!
– Oh povera farfalla, se mi farai compagnia per un po’, ti aiuterò.
– Va bene, ma fai in fretta! Sento i passi della bambina sempre più vicini.

Così il pozzo comandò all’edera di coprire più che poteva la farfalla. Ma l’edera non è abbastanza veloce: la bimba riuscì comunque a vedere la farfalla in mezzo alle foglie e andò verso di lei.

Noemi, che correva dietro alla farfalla già da un’ora buona, era stanca e sfinita.
– Adesso provo a prenderla per l’ultima volta. Se non ce la faccio, torno a casa che è già ora di merenda.
Così Noemi si avvicinò al pozzo e si sporse per acchiapparla, ma la farfalla con un batter d’ali volò via.
– Uffa! Questa volta l’avevo quasi presa!
Poi Noemi guardò giù in fondo pozzo, dove c’era l’acqua, e vide l’immagine di un’altra bambina, tutta uguale a lei.
– Ciao bambina! – disse Noemi, salutando anche con la manina.

Al pozzo, dopo anni di solitudine, non sembrava vero di aver trovato finalmente qualcuno con cui parlare.
– Ciao! – le risponse il pozzo – io qui mi annoio da morire, mi fai un po’ di compagnia?
– Certamente! Vengo subito da te! – Noemi si sporse per raggiungere l’altra bambina in fondo al pozzo, che in realtà era la sua immagine riflessa nell’acqua, e… ci cadde dentro!

Il pozzo, che non si aspettava una reazione del genere, fu preso dal panico. Alla bimba non doveva accadere nulla di male! Doveva trovare subito una soluzione, prima che diventasse troppo tardi.

Si ricordò che, poco più in profondità sotto terra, dove lui si riforniva di acqua fresca, c’era una piccola grotta dove poteva mettere al sicuro la bimba.
Così fece andare la corrente della sua acqua velocemente in quella direzione, e in un’istante la bimba si ritrovò in salvo nella piccola grotta.
Noemi non sembrava poi così spaventata di essere caduta nel pozzo, piuttosto si chiedeva dove era finita la bimba tutta uguale a lei.

Nella grotta comparve un piccolo bagliore luccicante, fluttuava nell’aria come un fantasmino.
– Ciao, io sono lo spirito del pozzo. Non avere paura, cercavo solo un po’ di compagnia, ma non volevo farti cadere…
– Ciao, io sono Noemi. Ma… dov’è finita l’altra bambina come me?
– In realtà l’altra bambina era la tua immagine riflessa nell’acqua del mio pozzo…
Noemi quasi ci rimase male.

– Sai, so che inseguivi la farfalla gialla, ti piacciono le farfalle? – le chiese lo spirito del pozzo.
– Siiì! A me piacciono le farfalle, volevo prenderla ma mi è sempre sfuggita…
– Ma lo sai che quella povera farfallina aveva tanta paura di venire catturata?
– Ma io volevo solo guardarla da vicino, era così bella. Poi l’avrei lasciata andare…
Lo spirito del pozzo comprese le sue intenzioni. In quel momento sentì però anche un rumorino proveniente dal pancino di Noemi.

– Hai fame?
– Sì, anzi, devo tornare a casa per la merenda, sennò mia mamma mi sgrida perché sono sempre in giro…
Lo spirito del pozzo non sapeva però come aiutarla.
– Posso chiedere a qualche uccellino di recuperare qualche bacca.
– Ma io voglio fare merenda con la marmellata e il succo di frutta!
– Posso chiedere a qualche scoiattolo di portare un frutto.
– Ma io voglio tornare a casa!

Lo spirito del pozzo capì che Noemi stava per mettersi a piangere e cercò subito di tranquillizzarla.
– Va bene, piccola Noemi, adesso troviamo un modo per riportarti a casa.
“Ma come faccio?” si chiese il pozzo. Se, come tanti anni prima, la gente fosse andata a prendere l’acqua da lui, avrebbe fatto in fretta. Bastava aspettare il primo secchio buttato giù nell’acqua e ci avrebbe fatto aggrappare Noemi. Ma, purtroppo, erano anni che nessuno passava più di lì…

Pensa pensa e ripensa, si ricordò che uno dei posti dove lui si riforniva d’acqua era un piccolo laghetto appena fuori del paese.
– Ho avuto un’idea, piccola Noemi. Tu stai qui e non ti preoccupare, torno subito!
E il piccolo bagliore scomparve dalla grotta.
Dopo poco, lo spirito del pozzo tornò.

– Eccomi qua, posso farti tornare al paese, sbucherai nel laghetto dove ci sono le barche dei pescatori. Conosci il posto?
– Sì, ci va sempre mio papà a prendere il pesce.
– Tutto quello che dovrai fare è prendere un bel respiro e aggrapparti alla coda del mio amico pesce – Dall’acqua spuntò una coda di pesce, tutta oro e arancione.
– Va bene.

– Sono contento che tu mi abbia fatto visita sai? Erano anni che nessuno passava più di qui, e io mi sentivo tanto solo.
– Se vuoi posso ritornare a salutarti.
– Ne sarei veramente contento, però mi basta che tu ti affacci dal muretto del mio pozzo, senza caderci dentro…
– La prossima volta starò più attenta, prometto.
I due si sorrisero.

Noemi prese un gran respiro e si aggrappò alla coda del pesce che, come un fulmine, prese a correre per tutti i cunicoli sotterranei che portavano al laghetto. Pochi attimi dopo, Noemi era sulla riva, proprio accanto alle barche dei pescatori.
– Grazie mille pesciolino!
Il pesce fece un gran salto e poi sparì.

Noemi corse a casa. La mamma, vedendola tornare con i vestiti tutti bagnati, la sgridò ma poi l’asciugò per bene e le preparò una fantastica merenda.

Il pozzo tornò a guardare la luna, che ogni tanto veniva a fargli compagnia di notte. Sperava in cuor suo che quella bambina si ricordasse della promessa fatta. Ma i giorni passavano e le stagioni pure, e Noemi non tornava…

Arrivò di nuovo la primavera.
Un’altra farfalla si posò sulle foglie che ricoprivano il pozzo.
Il pozzo stava già per salutarla quando sentì una voce che gli diceva:
– Ciao pozzo, come stai?
Era Noemi, ed il pozzo si sentiva di nuovo felice.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Farfalle, libro da colorare

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La principessa triste 👸

la semplicità di alcuni gesti arriva dritta al cuore, fa passare la tristezza e ritornare il sorriso.

La principessa triste ci racconta come la felicità va cercata nei gesti semplici che vengono dal cuore, a volte anche involorontariamente, perchè sono quelli che ci faranno sempre sorridere.

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare La principessa triste raccontata da Silvia!

La principessa triste 👸 storia completa


C’era una volta, nella terra delle Torri, la Principessa Priscilla, una ragazza sempre triste che viveva, guarda un po’, proprio in una torre.

Suo padre Re Garbuglio non sapeva più cosa fare per tirarle su il morale, e aveva promesso di ricoprire d’oro fino all’ultimo capello chiunque fosse riuscito a strapparle anche un solo sorriso.
Da quel giorno una lunga fila di giocolieri, giullari, saltimbanchi e pagliacci provenienti da ogni dove, si era creata ai piedi della torre, ma nessuno era riuscito a far sorridere Priscilla…

Dall’altra parte del regno viveva Fulvio, un bravo ragazzo ma sfortunato con i soldi: ogni volta che riceveva una moneta per i lavoretti che faceva, la perdeva da qualche parte.
E quando succedeva, non si dava pace! Prima dava la colpa alla sfortuna, poi agli gnomi cattivi che gliela sfilava dalle tasche, poi ai lupi magici che abitavano nella foresta, poi alla vicina di casa poco simpatica, ed infine anche al commesso del negozio di alimentari del quartiere.

Un bel giorno Fulvio, disperato e senza più un soldo, si sedette sul ciglio della strada con le mani fra i capelli.
– Povero me, come posso fare? Ogni volta che guadagno una moneta me la rubano sempre… forse è solo colpa mia che sono uno sbadato incredibile ed in realtà le perdo tutte…

Non appena disse quelle parole, e compreso che forse era solo sua la colpa di tanta sbadataggine, sentì cadere qualcosa: era una moneta!
– E questa da dove salta fuori?
La prese subito in mano e se la mise in tasca. In quel momento si accorse che lì aveva un bel buco da cui molto probabilmente erano uscite tante altre monete, e lui non se ne era mai accorto!
– Ecco come mai perdevo sempre le monete… adesso vado a casa e chiudo questo buco nella tasca.

Appena tornato a casa, Fulvio si mise a cercare ago e filo per cucire la tasca bucata. Aprì tutti i cassetti ma non trovò niente. Allora gli venne in mente che forse li aveva messi in una scatolina dimenticata da tanto tempo sotto al letto. Si chinò per guardare lì sotto e cosa trovò? Altre due monete, proprio accanto alla sedia dove ogni sera riponeva piegati i pantaloni con la tasca bucata!

– Lo sapevo io che erano gli gnomi cattivi che mi sfilavano le monete di tasca! O forse mentre piegavo i pantaloni cadevano da sole, e io sbadato non ci ho mai fatto caso… mmh, mi sa che è andata così…
Fulvio, tutto felice per aver ritrovato le tre monete, decise che era meglio andare in città a comprare un paio di pantaloni nuovi, così uscì di casa e si mise in cammino.

Lungo la strada, vicino ad una cascina, incontrò un topino.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno topino, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
Il topino lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo, io posso esserti molto utile giù in città, ma dovrai darmi una moneta.

Fulvio rimase un poco stupito dalla richiesta. Gli occhietti del topino sembravano sinceri e, siccome era di buon cuore, gli diede una moneta. “Per un paio di pantaloni due monete possono bastare”, pensò.
Il topolino prese la moneta, ringraziò e sparì nel campo di grano.
Fulvio, vedendolo sparire, si sentì imbrogliato, ma capì che era stata solo colpa sua se aveva dato ascolto ad un topino sconosciuto. Senza perdersi d’animo continuò il cammino.

Attraversò una radura e poi un frutteto, dove sopra un ramo stava un uccellino.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno uccellino, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
L’uccellino lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo, se mi darai una moneta posso esserti molto utile giù in città.

Fulvio che era di buon cuore, e soprattutto uno smemorato, guardò l’uccellino. I suoi occhietti sembravano sinceri e gli diede una moneta. “Tanto per un paio di pantaloni una moneta può bastare”, pensò.
L’uccellino prese la moneta, ringraziò e volò via nel cielo azzurro.
Fulvio, vedendolo sparire, si sentì imbrogliato, ma capì che era stata solo colpa sua se aveva dato ascolto ad un uccellino sconosciuto. Senza perdersi d’animo continuò il cammino.

Cammina cammina, arriva alle porte della città. Doveva solo attraversare il ponte sul fiume, dove una volpe rossa stava bevendo tutta tranquilla.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno volpe, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
La volpe lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo mio, io so che un topino ed un uccellino ti hanno chiesto una moneta ciascuno per aiutarti giù in città. Voglio aiutarti anch’io, e soprattutto farti riavere quelle due monete e molte altre. Mi accontento di una moneta, un prezzo onesto per un buon guadagno, non credi?

Fulvio ci pensò un attimo. Guardò bene la volpe: aveva gli occhietti furbi ma allo stesso tempo sinceri, e decise che sì, valeva la pena dare una moneta alla volpe.
La volpe prese la moneta, ringraziò e corse dentro le mura della città, facendogli cenno di seguirlo.
– Eh no, non mi farò imbrogliare ancora una volta! – esclamò Fulvio, e si mise a rincorrere la volpe.

La volpe correva veloce, ma ogni tanto si fermava per essere sicura che Fulvio la stesse seguendo e scattava via di nuovo non appena lui era abbastanza vicino.
Fulvio ormai era senza fiato, ma non si dava per vinto. Corri e corri, arrivò sotto la torre dove passava le sue giornate la Principessa Priscilla, che guardava giù verso tutti i giocolieri, giullari, saltimbanchi e pagliacci che inutilmente cercavano di farla ridere.

Fulvio fu colpito da tutta quella ressa attorno alla torre e si distrasse per guardarla. Così non si accorse di una enorme pozzanghera di fango proprio di fronte a sé. E… badabum! Inciampò e ci scivolò dentro con tutta la faccia!
Quando riuscì a risollevarsi dal fango disse:
– Povero me! Adesso dovrò comprarmi tutti i vestiti nuovi, e non ho una sola moneta!

La Principessa Priscilla, che stava alla finestra, fu colpita dalla scena e si soffermò a guardare cosa succedeva.
Fulvio si alzò cercando di pulirsi come poteva, ma da un angolo della strada comparve la volpe che come un turbine gli girò intorno levandogli tutto il fango dai vestiti. Poi dal cielo azzurro scese in picchiata l’uccellino che gli ripulì il viso e gli risistemò i capelli, ed infine arrivò il topino che con le manine veloci gli lucidò le scarpe.
Fulvio, incredulo, rimase in mezzo alla strada come uno spaventapasseri, e la Principessa Priscilla che aveva assistito a tutta la buffa scena si portò le mani alla bocca e cominciò a… ridere!

Re Garbuglio fu prontamente informato del miracolo finalmente accaduto alla figlia, e ordinò di portare a palazzo il ragazzo che era riuscito nell’impresa.
Fulvio stava già lasciando la città in compagnia della volpe, dell’uccellino e del topino (che nel frattempo gli avevano restituito le monete) che quasi non credeva a quello che le guardie del Re gli chiedevano: andare a corte per essere ricoperto d’oro fino all’ultimo capello!

E fu così che Fulvio si ritrovò molto più ricco di prima, con tre nuovi amici, e con un lavoretto che non gli dispiaceva affatto: continuare a far ridere la Principessa Priscilla!

⚜ Fine della fiaba ⚜

L’amico fifone 😱

Il coraggio non ce l’hanno tutti, ma con l’astuzia ci si può salvare la vita!

Questo piccolo racconto farà sorridere te e il tuo bambino: due piccoli amici che vivono una bella aventura, ognuno la affronterà a modo suo, uno in modo un po’ astuto e l’altro un po’… da fifone!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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L’amico fifone 😱 storia completa


Marco e Stefano erano amici inseparabili, e quel giorno erano andati nel boschetto dietro casa a giocare a fare gli indiani.
Avevano entrambi in mano il loro arco di legno e sulle spalle portavano la faretra con dentro le frecce dalla punta a ventosa.

Marco prese una freccia e la tirò contro un grande albero, ma non prese bene la mira e mancò il bersaglio.
– Guarda qua, ti faccio vedere io come si tirano le frecce! – lo prese in giro Stefano, che prese la mira, tese l’arco e scoccò la freccia. Ma anche Stefano mancò il bersaglio.
Marco si mise a ridere e Stefano, arrabbiatissimo, continuò a lanciare frecce finché non riuscì a prendere il tronco dell’albero.
– Visto che ci sono riuscito! – disse Stefano facendo la linguaccia a Marco.

Marco continuava a ridere e i due presero a rincorrersi per il bosco cercando di lanciarsi le frecce addosso.
Quando, ad un tratto, sentirono un forte rumore provenire da dietro un grande cespuglio.
Marco e Stefano si fermarono ad ascoltare, e d’istinto presero entrambi l’arco e tesero le frecce in direzione del cespuglio.

Un istante dopo, dal cespuglio spuntò il faccione di un orso!

Stefano dalla paura scoccò la freccia che, neanche farlo apposta, finì dritta dritta sul naso dell’orso, e poi scappò a gambe levate lasciando Marco da solo di fronte all’orso.
L’orso, si guardò la punta del naso a cui si era attaccata la freccia con la ventosa, poi guardò l’incolpevole Marco aggrottando le sopracciglia.
Intanto Stefano con un balzo si era rifugiato sopra il ramo di un alberello, su cui purtroppo non c’era posto anche per Marco.

Marco guardò l’amico e cercò anche lui un albero su cui potersi rifugiare, ma niente, erano tutti alberi grandi e grossi e i rami erano troppo alti per lui.
Non aveva scampo, doveva ingegnarsi in un altro modo, e così gli venne un’idea:

– Mi fingerò morto così non mi attaccherà – si disse, e si buttò a terra chiudendo gli occhi e trattenendo il respiro.
L’orso incuriosito dalla scena uscì dal cespuglio, si tirò via dal naso la freccia e andò verso Marco.

L’orso non era poi così grande, anzi, era abbastanza piccolino perché in realtà si trattava di un cucciolo!
Avanzò verso Marco, ed iniziò ad annusarlo, prima i piedi, poi le mani ed infine il viso. Marco cercava di trattenere il fiato meglio che poteva.
L’orsetto gli annusò per bene il volto, poi il naso, le orecchie e poi… gli diede una gran leccata, e tutto soddisfatto se ne andò via.

Marco finalmente riuscì a prendere aria e fece un gran sospiro di sollievo. Intanto arrivò Stefano che aveva visto tutta la scena dall’albero ed era appena sceso.
– Come stai Marco, tutto bene?
– Sì sì, tutto bene… – disse Marco pulendosi i vestiti mentre si rialzava.
– Bella l’idea di fingerti morto, così l’orsetto se ne è andato via!
– Già…

– E dimmi, ho visto che l’orso ti ha sussurrato qualcosa all’orecchio, cosa ti ha detto?
Marco guardò Stefano e sorrise:
– Beh, mi ha detto di giocare con degli amici meno fifoni la prossima volta!
I due bambini scoppiarono a ridere: Stefano era stato davvero fifone! Ma si volevano bene e continuarono a giocare insieme.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il libro che ha paura

Il libro che ha paura

Dario e il Lupo Grigio 🐺

A volte fidarsi di un lupo può essere la soluzione ad un grande problema…

Dario ha una grande missione da compiere, recuperare il mitico uccello di fuoco, ma durante la sua avventura, incontrerà ben altre creature magiche…

Dario e il Lupo Grigio 🐺 storia completa


C’era una volta Re Alfonso, che coltivava un grande e rigoglioso orto nel suo castello.
Da un po’ di giorni, però, sparivano frutta e ortaggi, e il Re sospettava che dei ladri venissero di notte a rubarli.
Ordinò al contadino che coltivava l’orto di vegliare tutta la notte per sorprendere i ladri. L’uomo si mise di guardia, ma si appisolò quasi subito. Al mattino, però, riferì al Re di essere stato sempre sveglio e di non aver visto nulla. Eppure erano sparite molte pesche…
Il Re incaricò allora di far la guardia lo stalliere, ma anche lui dormì quasi tutto il tempo, e al mattino seguente mancavano parecchi frutti dal pero.

Il Re si rivolse quindi a suo figlio Dario.
– Figlio mio, non mi posso fidare di nessun altro, questa notte ti chiedo di vegliare nell’orto per scoprire chi sono i ladri.
– Certamente! – rispose Dario, che si preparò per la guardia.
Passavano le ore e non accadeva nulla. Gli occhi di Dario si erano chiusi più volte, ma lui li sciacquava con dell’acqua gelida e così si risvegliava.

Finalmente, quasi all’alba, vide un bagliore sul melo. Si nascose per vedere cos’era, e gli venne un colpo: un uccello dalle piume di fuoco stava mangiando le mele!
Si avvicinò più piano che poteva e con un salto cercò di afferrarlo, ma l’uccello di fuoco spiccò il volo e scappò. A Dario rimase in mano solo una piuma sfavillante.

Corse da suo padre a mostrare la piuma e raccontare cosa aveva visto.
Il Re, entusiasta, disse: – Figlio mio, ottimo lavoro! Ho adesso per te una grande missione: trova l’uccello di fuoco e portamelo!
– Certamente! – rispose Dario, che non vedeva l’ora di iniziare quell’avventura.
Corse alla stalla, sellò un cavallo e partì al galoppo.

Dopo un intero giorno di viaggio arrivò ad un bivio con degli strani cartelli. Su quello che indicava la destra c’era scritto: “Avrai salva la vita ma perderai il cavallo”; l’altro diceva: “Freddo, fame e stenti”.
Dario decise di andare a destra: pensò che avrebbe continuato a piedi, se fosse rimasto senza cavallo.
Era quasi notte, Dario stava cercando un posto dove fermarsi; ma ad un tratto, in mezzo alla strada, comparvero due grandi occhi luminosi che subito sparirono. Il cavallo si impennò terrorizzato e Dario cadde a terra. Non capiva cosa stava succedendo, e nel buio poteva solo sentire il cavallo galoppare, ormai lontano.

– Ecco, ho perso il cavallo, proprio come diceva il cartello… fa niente, meglio cercare un posto dove dormire.
Si riparò sotto un grande albero, ma il pensiero di quegli occhi luminosi non lo faceva dormire.
E cominciò anche a piovere, così il nostro Dario si ritrovò al mattino stanchissimo e fradicio, ma raccolse le forze e si incamminò.
Era già mattina inoltrata quando sentì alle sue spalle il rumore di un ramo spezzato. Si voltò e vide un grande Lupo Grigio che lo seguiva. A Dario si gelò il sangue nelle vene, era bloccato dalla paura! Il lupo si fermò e sedette.

– Non preoccuparti ragazzo, non ti farò alcun male: ho appena mangiato un cavallo intero e penso che per qualche giorno non avrò fame – disse il lupo sorridendo e pulendosi i denti con un’unghia.
– Devi esserti mangiato il mio cavallo, è scappato ieri sera – disse triste Dario.
– Oops – esclamò sorpreso il lupo – mi dispiace, non lo sapevo… Ma dimmi, cosa ci fai da queste parti?
– Sono in cerca dell’uccello di fuoco, devo portarlo a mio padre Re Alfonso.
– Ah, l’uccello di fuoco… – annuì Lupo Grigio. – Si dà il caso che io sappia dove trovarlo. Visto che ho mangiato il tuo cavallo e non ho niente da fare, voglio sdebitarmi: ti accompagnerò al castello di Re Vladimiro, che lo custodisce gelosamente. Saltami in groppa, faremo in un attimo!

Dario non sapeva se fidarsi, ma il lupo sapeva dov’era l’uccello di fuoco, quindi salì in groppa e partirono.
Ma Lupo Grigio era un lupo magico! In un batter d’occhio attraversarono pianure, boschi e laghi e poco dopo furono a destinazione.
– Ragazzo, fai come ti dico: le guardie stanno dormendo; tu scavalca quel muro, sali in cima alla torre, prendi l’uccello di fuoco e scappa. Io sarò qui ad aspettarti.

Dario annuì e scavalcò il muro, le guardie dormivano davvero!, corse in cima alla torre, trovò l’uccello di fuoco anche lui addormentato e lo prese. Ma, proprio mentre stava per uscire, vide la bellissima gabbia d’oro e pietre preziose dove veniva custodito l’uccello.

– Sarebbe un peccato non tenere un uccello magnifico in una gabbia altrettanto magnifica… – si disse, e fece per prenderla. Non appena la toccò, l’allarme generale suonò e le guardie lo catturarono.
Fu portato da Re Vladimiro, che volle spiegazioni.
– Tu, Dario, figlio di Re Alfonso, perché ti macchi di un crimine come il furto? –chiese il Re.
Dario, in lacrime, confessò che era stata una richiesta di suo padre.

Re Vladimiro ci pensò un attimo, poi disse: – Ti risparmio la prigione se mi farai un piccolo favore. Re Garbuglio ha un fantastico cavallo dorato che da sempre gli invidio. Se me lo porterai, io darò a te l’uccello di fuoco assieme alla gabbia dorata.
Dario, anche se contro voglia, dovette acconsentire, e, uscito dal castello, cercò il lupo.

– Lupo Grigio, sono rovinato! Adesso devo portare a Re Vladimiro il cavallo dorato di Re Garbuglio…
– Perché non hai fatto esattamente come ti avevo detto io?! – ringhiò Lupo Grigio; ma, vedendo Dario in lacrime, si calmò e disse: – Va bene dai, non preoccuparti, ti aiuterò io, dopo tutto mi stai simpatico. Su, salta in groppa!
Dario salì e in men che non si dica furono al castello di Re Garbuglio.
– Ascoltami bene ragazzo: le guardie stanno dormendo; tu scavalca questa staccionata, vai nella scuderia, prendi il cavallo e scappa. Io sarò qui ad aspettarti.

Dario annuì e scavalcò la staccionata, le guardie della scuderia dormivano davvero!, corse verso il cavallo dorato, ma, mentre stava per montargli in groppa, vide sulla parete delle stupende briglie tutte ornate di gemme preziose.
– Questo magnifico cavallo va assolutamente cavalcato con queste magnifiche briglie… – Non appena le toccò, l’allarme generale suonò e fu catturato.

Fu portato da Re Garbuglio che volle spiegazioni.
– Tu, Dario, figlio di Re Alfonso, perché ti macchi di un crimine come il furto? – chiese il re.
Dario, in lacrime, confessò che era stata una richiesta di Re Vladimiro.
Re Garbuglio ci pensò un attimo, poi disse: – Ti risparmio la prigione se mi farai un piccolo favore. Re Pastino ha rapito la mia bellissima nipote Aurora e la vuole sposare, ma lei si è sempre rifiutata. Se me la riporterai, io darò a te il cavallo dorato assieme alle briglie di gemme preziose.

Dario, anche se contro voglia, dovette acconsentire, e, uscito dal castello, cercò il lupo.
– Lupo Grigio, sono rovinato! Adesso devo riportare a Re Garbuglio sua nipote rapita da Re Pastino…
– Perché non hai fatto esattamente come ti avevo detto io?! – ringhiò Lupo Grigio; ma, vedendo Dario disperato, disse: – Va bene dai, non preoccuparti, ti aiuterò io. Salta in groppa!
Dario salì e in men che non si dica furono al castello di Re Pastino.

– Questa volta non ti deluderò, dimmi cosa devo fare – disse Dario.
– Stai fermo qui e non muoverti! – rispose Lupo Grigio, e con un balzo scomparve oltre il muro.
Dario rimase immobile, e dopo pochi minuti il lupo ritornò portando Aurora la nipote di Re Garbuglio.
Dario guardò la ragazza e domandò: – Come mai è svenuta ed è legata alla tua groppa?
– L’ho addormentata prima che mi potesse vedere, non volevo che gridasse dalla paura… ma adesso facciamo presto, allontaniamoci e torniamo al castello di Re Garbuglio.

Mentre correvano veloci attraverso boschi e pianure Dario guardava Aurora: era così bella che se ne innamorò perdutamente.
– Lupo Grigio, mi sono innamorato di Aurora, non posso restituirla a Re Garbuglio!
Il lupo si fermò, erano ormai molto vicini al castello e Aurora si stava risvegliando. – Ragazzo, rimani qui con lei, io devo nascondermi: se Aurora mi vede si spaventerà. Nascondila e raggiungimi, ti aspetterò vicino alla porta del castello – e corse via.
Aurora riaprì lentamente gli occhi – Dove sono? E tu… chi sei?! – esclamò impaurita.

– Sono Dario, figlio di Re Alfonso. Ti ho salvata da Re Pastino e riportata da tuo zio, Re Garbuglio.
– Oh no! Io odio Re Garbuglio, ero quasi contenta di essere stata rapita! – disse Aurora molto arrabbiata.
Dario, preso alla sprovvista, non sapeva cosa fare.
– Vieni, nasconditi qui nel bosco e aspettami, io torno subito! – e corse via in cerca di Lupo Grigio.
Lo trovò nascosto dietro un cespuglio molto vicino all’entrata del castello.

– Lupo Grigio, sono rovinato! La bella Aurora odia suo zio e non ne vuole sapere di tornare al castello! Cosa posso fare?!
– Perfetto! – disse Lupo Grigio, che in un attimo si trasformò in Aurora. – Come ti sembro?!
– Ma… sei identico ad Aurora!
– Sono un lupo magico, faccio questo ed altro! – disse. – Adesso andiamo da Re Garbuglio, farò finta di essere Aurora. Tu, invece, non appena avrai il cavallo d’oro, torna dalla vera Aurora, io arriverò poco dopo.
Dario annuì poco convinto.

Si presentarono al Re, che non si accorse di nulla e, come di parola, diede a Dario il cavallo d’oro con le preziose briglie. Uscito dal castello, il ragazzo galoppò da Aurora che aspettava nel bosco.
– Eccomi di ritorno, Aurora. Ho deciso di portarti via con me, se vuoi.
– Va bene, basta che mi porti lontano da Re Garbuglio. – Salì sul cavallo e galopparono verso Re Vladimiro.
Poco dopo, sulla strada, incontrarono Lupo Grigio. Dario disse ad Aurora di non temere, era un amico e lo aveva aiutato molto durante il viaggio.

– Lupo Grigio, come hai fatto a sfuggire a Re Garbuglio?
– Bhè, quando ha cercato di abbracciarmi mi sono ritrasformato in lupo ed è fuggito via dalla paura…
Risero tutti e tre, si rimisero in viaggio e poco dopo arrivarono da Re Vladimiro.
– E’ proprio un peccato doversi separare da questo cavallo – disse Aurora, – è così bello e veloce…
– E’ vero, questo cavallo è il migliore che io abbia mai cavalcato – disse anche Dario. – Lupo Grigio, non è che con una delle tue magie potresti fare in modo di non restituirlo a Re Vladimiro?

Lupo Grigio si mise le zampe sulla testa, disperato: “Ho incontrato due matti”, pensò.
– Va bene, ho capito. Aurora, resta qui col cavallo; Dario, seguimi.
Il lupo si trasformò nel cavallo d’oro e si avviò con Dario alle porte del castello.
Poco dopo Dario tornò da Aurora con l’uccello di fuoco nella gabbia d’oro. Salirono sul cavallo e galopparono verso il castello di Re Alfonso.

Più avanti sulla strada incontrarono Lupo Grigio.
– Lupo Grigio, come hai fatto a fuggire dalle scuderie di Re Vladimiro?
Il lupo sorrise: – Non ti dico la faccia dello stalliere quando si è accorto che stava sellando un feroce lupo come me…
Risero tutti e tre, si rimisero in viaggio e poco dopo arrivarono da Re Alfonso.

– Lupo Grigio, siamo finalmente arrivati al castello di Re Alfonso. Ti ringrazio per l’aiuto, in cambio chiederò a mio padre di darti tutto quello che vorrai – disse Dario.
– Grazie per il pensiero ragazzo, sei molto gentile – disse sorridendo il lupo
– Aurora, vorrei che anche tu venissi a palazzo, mi sono innamorato di te e vorrei averti sempre accanto…
– Mio caro principe, non correre troppo. Accetto volentieri di rimanere con te al castello, ma vedremo se saprai comportarti da vero cavaliere…

Dario arrossì, e tutti insieme si avviarono al castello.
Re Alfonso fu molto contento di veder tornare suo figlio non solo con l’uccello di fuoco ma anche con un cavallo dorato ed una splendida fanciulla che sperava di sposare. Fu meno contento di incontrare Lupo Grigio che, come ricompensa per l’aiuto offerto a Dario, chiese di mangiare ogni giorno i migliori piatti cucinati al castello, e sembrava che il suo stomaco non avesse fondo.
Ma alla fine vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il lupo che si emozionava troppo.

Il lupo che si emozionava troppo.

Il topolino ingenuo 🐭

Basta poco per sentirsi più grandi, basta sentirlo dentro di noi.

Sentirsi più grandi per i nostri piccoli è un bisogno da ascoltare e aiutare, e con un briciolo di astuzia, anche mamma topina riuscirà a far felice il suo topino.

Il topolino ingenuo 🐭

C’era una volta un topolino che viveva, con la sua famiglia, in una grande casa. In questa abitazione abitava anche un bellissimo gatto nero con i suoi cinque piccoli gattini.

Un giorno il topolino andò dalla sua mamma e le disse:
«Mamma, io voglio diventare grande, non voglio rimanere sempre così piccolo.»
«Figlio mio» gli disse la mamma, «ma noi topolini siamo piccini… perché tu vuoi essere diverso da tutti gli altri tuoi fratelli?»
«Io voglio diventare grande come il gatto, in modo da non avere più paura di lui. Tutte le volte che si avvicina mi spavento perché è enorme e io, piccolino, mi sento proprio inerme.»

Allora la mamma, con la dolcezza che hanno tutte le mamme, gli disse:
«Piccolo mio, stasera andrai nel tuo lettino e fare la nanna e vedrai che domani mattina il tuo desiderio sarà esaudito.»
Il piccolo Topino non se lo fece dire due volte e andò a dormire.
La mamma, però, doveva essere ben sveglia per poter escogitare un sistema per far sì che, al mattino, il desiderio del suo piccolo si esaudisse.

Pensa e ripensa le venne una bellissima idea. Andò da mamma gatta che ormai, dopo tanti anni era diventata una sua amica, e le chiese se poteva imprestarle uno dei suoi piccoli gattini per quella notte, dopo che si erano addormentati. Le spiegò il motivo di tale richiesta e, così, mamma gatta acconsentì.

Quando i gattini si furono addormentati, la gatta prese un piccolo per la collottola e dolcemente lo portò fino alla tana della famiglia dei topi. Non poteva però fare di più, perché non entrava nel buco.

Mamma topo faticò molto per spostare il piccolo micetto fino al lettino del suo adorato topolino, ma non si arrese e ci riuscì. Quando il suo piccolo, svegliandosi si ritrovò delle stesse dimensioni del gatto su felicissimo, e saltellò di qua e di là dalla gioia.

La mamma accorse accanto a lui e gli disse che tutte le cose belle non durano per sempre, per cui di godere questo momento che poi magari tutto sarebbe cambiato.

Ma al topolino questo non importava: a lui interessava solo essere più grande, fosse stato anche per un solo giorno. Dalla felicità corse fuori dalla sua tana, andò in giardino, radunò tutti i suoi amici topolini e raccontò quello che gli era successo: in una notte era diventato grande come un gatto. Tutti rimasero a bocca aperta, non capivano che cosa dicesse perché, effettivamente non trovavano nessun cambiamento in lui però non riuscivano a dirglielo talmente lo vedevano felice, così stettero al suo gioco.

Quando rientrò in casa era quasi sera, si avvicinò pian piano alla mamma gatto e vide che in realtà era di nuovo diventato piccolo, ma non importava: anche solo per poco tempo era riuscito a diventare come voleva, grande come un gatto.

Ora non aveva più paura perché sapeva che, se solo avesse voluto, sarebbe potuto di nuovo diventare grande come lui.

— Fine della fiaba —

Copyright del Testo © Lulù Barabino


Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

www.tiraccontounastoriablog.com


Adele e l’albero di mele 🍎

Ma se rubano le mele ad Adele, come può sua mamma farle la torta di mele?

Adele e l’albero di mele è una fiaba che ci insegna a rispettare le cose degli altri, e soprattutto a non essere troppo golosi…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Adele e l’albero di mele raccontata da Silvia!

Adele e l’albero di mele 🍎 storia completa


C’era una volta un bellissimo melo, che faceva bella mostra di sé nel giardino di Adele, una bimba simpatica e piena di vita.
Ad agosto, quando le mele erano belle mature e pronte da cogliere, tutti i bimbi del paese facevano a gara ad arrampicarsi sul melo per farne una scorpacciata.

L’albero di mele per fortuna era fatato, e le sue mele ricrescevano veloci dal mattino alla sera, in continuazione.
La mamma di Adele era ben contenta che i bimbi mangiassero così tanta frutta, e li faceva entrare volentieri nel giardino.

Il problema era che essendo le mele così buone, i bambini oltre a mangiarle, ne portavano via sacchi interi! Così che alla sera non ne restava nemmeno una per farci la torta…
Adele ci rimaneva sempre male, perché desiderava tanto mangiare la torta di mele della sua mamma, ma sua mamma non se la sentiva di impedire ai bambini di prendere le mele da loro giardino.

Cosa potevano fare?

Per fortuna quel giorno passava di lì Greta, la zia di Adele, che in realtà era una strega, ma Adele siccome era ancora piccolina, non lo sapeva!
La zia Greta, vedendo Adele così triste, le chiese cosa non andava, e la piccola le rispose che voleva tanto una torta di mele fatta dalla mamma, ma a fine giornata non c’erano mai abbastanza mele per prepararla.

Greta parlò con la mamma, e insieme decisero che era ora di dare una regolata a tutti questi bimbi ingordi.
Così la zia di Adele prese a passeggiare attorno all’albero di mele, in quel momento sopra i rami non c’era nessuno.

Greta confabulava tra sé e sé con parole strane e magiche, dopo di che toccò l’albero e sorrise tutta soddisfatta! Prese poi un cartello, ci scrisse sopra, “Mangia quante mele vuoi, ma non portarne via più che puoi!” e lo appese davanti al melo.
– Vedrai che già da stasera la mamma avrà tutte le mele necessarie per fare la torta! disse la zia Greta ad Adele.

Proprio in quel momento arrivò nel giardino un bambino che Adele conosceva bene, Lucio.

– Ciao Adele, salgo su a prender un po’ di mele! – gridò il ragazzo mentre con un balzo saliva sul ramo del melo, senza nemmeno dare bada al cartello.
– Ciao Lucio… – rispose Adele che avrebbe tanto voluto anche lei salire sul melo, ma era ancora troppo piccolina per riuscirci.

Lucio iniziò a mangiare una mela, poi, non visto si riempì le tasche della giacchetta e dei pantaloni. Alla fine, non sapendo più dove metterne, decise di scendere e tornare a casa.
Ma mentre cercava di scendere successe una cosa strana: Lucio rimase completamente appiccicato al tronco dell’albero!

– Aiuto, aiuto! – cominciò a gridare Lucio – son rimasto appiccicato al tronco del melo!
Adele, sua zia e la mamma accorsero.
– Ragazzo mio, quante mele hai mangiato? – chiese Greta.
– Una soltanto! – rispose Lucio.
– E quante mele hai nelle tasche?

Lucio rimase in silenzio, aveva capito che non era giusto approfittarsene, così una ad una tirò fuori di tasca tutte le mele e le diede in mano alla mamma di Adele.
Come per magia Lucio si staccò dall’appiccicoso melo e la mamma di Adele gli mise in mano una delle mele sorridendo.

– Tieni, sei stato bravo, te la meriti.
Lucio ringraziò tutto contento, salutò Adele e corse a casa.
Subito dopo arrivarono altri due ragazzi, che riempiendosi le tasche di mele, fecero la stessa fine di Lucio, appiccicati al tronco del melo.

– Ma il cartello non lo avete letto? – li rimproverò Greta.
I due scossero la testa, svuotarono le tasche e finalmente furono liberi di tornare a casa con un’altra mela in mano.
E così fu per tutti gli altri ragazzi del paese.

A fine giornata il melo era nuovamente senza un solo frutto attaccato ai rami, ma siccome tutti i ragazzi avevano restituito le mele prese in eccesso, adesso Adele si ritrovava con tante di quelle mele che la sua mamma di torte poteva prepararne addirittura dieci!
In men che non si dica nel paese si sparse la voce che dal melo fatato si potevano prendere solo le mele di cui si aveva veramente bisogno.

In questo modo tutti i bimbi e ragazzi dovevano venire più spesso nel giardino di Adele, e così lei si ritrovava sempre con un sacco di amici con cui giocare.
Ma, soprattutto, da quando la sua mamma la sera poteva cogliere le mele di cui aveva bisogno, ogni giorno a merenda c’era sempre torta di mele per tutti!
E Adele e tutti i bimbi erano felici.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il buco. Ediz. illustrata

Il buco. Ediz. illustrata

Il sentiero ‘torna indietro’ ↩️

I veri amici non ti abbandonano mai, soprattutto quando ti cacci nei guai…

Il sentiero torna indietro è un racconto breve che spiega ai bambini come per fortuna, nel momento del bisogno e quando si finisce nei guai, ci sono gli amici pronti ad aiutarci, anche se sarebbe meglio non cacciarsi nei pasticci…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il sentiero torna indietro raccontata da Silvia!

Il sentiero ‘torna indietro’ ↩️ storia completa


Adele, Lino e Dino giocavano vicino ad uno stagno.

Lino e Dino erano fratelli gemelli, ma avevano due caratteri completamente diversi. Lino era introverso e tranquillo, Dino era un chiacchierone sempre a caccia di guai.
Adele li conosceva perché erano suoi compagni di classe a scuola, e quel pomeriggio avevano deciso di fare un giretto tutti assieme.

Quindi, corri di qui, corri di là, arrivarono fino allo stagno che c’era appena prima del bosco.
Mamma e papà avevano detto loro di stare attenti a quel boschetto, perché era fatato, e chi ci entrava finiva sempre per cacciarsi in strane situazioni.

Iniziarono a giocare e a lanciare sassi nello stagno per vedere le onde che si formavano sull’acqua. Adele e Lino si divertivano un mondo, ma Dino dopo poco già si era stancato e voleva trovare qualcosa di più interessante da fare.
Si guardò intorno e vide, sopra la foglia di una ninfea, una grossa rana. Ma non era una delle solite rane: era molto più bella ed aveva uno strano ciuffetto rosso sulla testa.

Dino cominciò a tirarle addosso dei sassolini. La rana, che all’inizio saltava di qua e di là per schivare i sassolini, iniziò ad infastidirsi e schizzò dell’acqua verso Dino, che invece si divertiva sempre di più.
Alla fine Dino riuscì a colpirla in testa con un sassolino e si sentì dire:
– Ahi! Smettila di tirarmi sassi, o trasformo te in un sasso!

Dino, che non credeva alle sue orecchie, invece di smetterla, iniziò a lanciare sassolini con maggior foga.
Adele e Lino, sentendo il gran ridere di Dino, corsero verso di lui.
Dino riuscì a colpire di nuovo la rana con un sassolino, ma proprio in quel momento la rana si infuriò.
– Basta! Ne ho avuto abbastanza! Bimbo gradasso, trasformati in un sasso!
E puff ! Dino si trasformò in un gran bel sasso grigio, con striature bianche.

Adele e Lino non credevano ai loro occhi.
– E che ti serva da lezione! – disse la rana che adesso guardava Adele e Lino con aria soddisfatta.
– Lo perdoni signora rana – disse Lino che già stava per piangere – è un combina guai, ma è un bravo fratello!
– Di questo sono sicura, ma se vuoi che tuo fratello riprenda il suo aspetto, devi prendere il sentiero del bosco che porta dalla fata Dorina. Lei sa come farlo tornare come prima. Ma stai attento, perché quello è un sentiero fatato: ogni volta che girerai la testa per guardare indietro, tornerai al punto di partenza!

La rana quindi fece tre balzi e sparì dietro un grosso cespuglio, dove riprese le sue sembianze di Strega.
La rana, infatti, era la strega Greta, zia di Adele (Adele però non sapeva ancora di avere una zia strega), che aveva deciso di dare una piccola lezione a quel monello di Dino e infondere maggiore coraggio a Lino.

Lino fece un gran sospiro, prese coraggio e iniziò a camminare per il sentiero che portava dalla fata Dorina.
– Stai attento Lino! – gli gridò Adele.
Lino si girò per dirle che sarebbe stato attento, ma come per magia si ritrovò al punto di partenza accanto ad Adele…
Lino riprese il sentiero, e poco dopo vide uno scoiattolo che gli corse tra le gambe. Lui si girò e… puff ! si ritrovò di nuovo accanto ad Adele.

La cosa andò avanti così per almeno una decina di volte. Lino partiva, stava via alcuni minuti, e poi Adele lo vedeva ricomparire sempre lì, accanto a lei e al suo fratello Dino-sasso.
Adele, per la noia, si era seduta sulla riva dello stagno a guardare le libellule.
– Non è colpa mia! – le disse Lino dopo l’ennesima volta che con un puff ! le ricompariva accanto – è che ad ogni minimo rumore io mi distraggo e guardo sempre indietro!

Ad Adele venne in mente un’idea.
– Adesso ti tappo le orecchie con questi fazzolettini di carta, vedrai che così non sentirai più rumori e non sarai distratto.
– Grande idea Adele! – Lino si tappò le orecchie e ripartì più determinato di prima.
Cammina cammina, era ormai nel fitto bosco, dove tutti gli strani rumori di animali e uccelli erano più forti. Ma lui li sentiva appena, e riusciva ad andare avanti senza girarsi. Così, finalmente, arrivò ad una piccola casetta con una porta piccola piccola: era la casetta di fata Dorina.

Lino si tolse i tappi dalle orecchie e bussò.
– Chi è? – chiese la fata andando ad aprire la porta.
– Mi chiamo Lino, mio fratello Dino è stato trasformato in sasso da una rana e solo lei può aiutarmi!
Alla fata sembrò strano che una rana potesse trasformare in sasso i bambini, e intuì che forse era stato uno scherzetto della strega Greta, sua amica… Prese quindi un vasetto, ci versò dentro del liquido verde e lo diede a Lino.

– Tieni ragazzo, versa questa pozione magica sul sasso e vedrai che tuo fratello tornerà in un batter d’occhio quello di prima.
– Grazie mille signora fata! – disse Lino. Prese il vasetto e corse più veloce che poteva verso lo stagno. Ormai i rumori strani e a volte paurosi del bosco fatato gli facevano poca paura.

Finalmente era arrivato da Adele, aprì il vasetto, versò il liquido verde sul sasso e puff ! Dino era di nuovo quello di prima, solo ricoperto dal verde gelatinoso della pozione magica.
– Bleah! – disse schifato Dino, ma poi, ripulitosi un pochino, corse ad abbracciare e ringraziare il fratello per averlo tirato fuori da quel guaio.

I tre bambini tornarono così a giocare assieme, e dal bordo dello stagno una rana dal ciuffo rosso li guardava tutta contenta.

⚜ Fine della fiaba ⚜

La fantasia ⛵

Per viaggiare davvero la cosa più importante da fare, è usare la fantasia…

Non sempre abbiamo la possibilità di realizzare appieno i nostri sogni, ma c’è una cosa che nessuno mai ci potrà impedire di usare: la fantasia, grazie alla quale nessun desiderio è impossibile.

La fantasia ⛵

C’era una volta un bambino molto povero che viveva con la sua famiglia ai margini di un bosco. Il papà Jerry era un falegname, mentre la mamma Emily badava ai figli.
Tommy, il protagonista, era il terzo di cinque figli.

La mamma aveva il suo bel da fare per stare dietro a tutti loro, così aveva dato a ognuno dei figli un compito giornaliero da eseguire: chi andava alla fontana a prendere l’acqua, chi si interessava della legna per il camino, chi dava una mano a governare la casa, ecc. ecc.

La giornata passava velocemente tra una incombenza e l’altra, ma lo loro era una famiglia felice molto unita.
I bambini avevano anche molto tempo per giocare e la vita all’aria aperta gli concedeva molte possibilità.
I giocattoli invece erano pochi, solo quelli che il papà, tra un lavoro e l’altro, riusciva a costruire.

Con il legno che gli avanzava costruiva trenini, carriole, macchinine, bambole a cui poi la mamma metteva dei piccoli straccetti a mo’ di vestito.
La famiglia era unita e felice. Erano tutti in buona salute e con il lavoro del papà potevano acquistare il cibo necessario per tutti.
Ma il piccolo Tommy aveva un sogno: voleva vedere il mare.

Ne aveva sentito parlare spesso e aveva fantasticato su di esso. Sapeva che era immenso, che conteneva molte varietà di pesci, che potevi approdare su isole deserte. Ma questo per lui poteva essere solo un sogno perché non avrebbe mai potuto realizzarlo visto che i suoi genitori erano poveri.

La sua famiglia conosceva questo suo desiderio e una sera, mentre Tommy era fuori a guardare la luna, si riunirono per vedere cosa potevano fare, così nacque un’idea.
Il giorno del suo compleanno gli regalarono un piccolo veliero e tutta la famiglia aveva collaborato nella realizzazione. Il papà aveva costruito la barca, la mamma aveva cucito le vele da un lenzuolo, tutti i fratelli si erano adoperati per addobbarla.
Era magnifica.

Quando Tommy aprì il piccolo pacchetto avvolto in carta di giornale restò meravigliato.
Era bellissima. Ma sapeva che con quella non avrebbe mai raggiunto il mare, perché rimaneva pur sempre un giocattolo.
Il suo papà, vedendo la sua perplessità lo prese sulle ginocchia e gli disse:

«Caro Tommy, noi abbiamo lavorato per realizzare questo tuo sogno. Ora tocca a te darti da fare. Hai dentro di te la cosa più importante che possa esistere e che ognuno di noi ha: la fantasia.»
E questo consiglio servì al piccolo Tommy.

Da allora, alla sera prima di andare a dormire, guardava la sua barca e fantasticava. E nel sonno si vedeva viaggiare nel mare al timone della sua barca, al suo fianco i delfini si alzavano in volo, i gabbiani lo accompagnavano nella sua rotta, piccole isole piene di alberi e di frutti lo affiancavano e lui, solo in mezzo all’oceano, si sentiva felice.

— Fine della fiaba —

Copyright del Testo © Lulù Barabino


Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

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Lo sposo di Topina 🐭

Quale sarà lo sposo migliore per la piccola Topina?

Questo racconto breve e divertente racchiude un insegnamento importante, forse più per i genitori che per i piccoli: a volte, nella foga di volere il meglio per i nostri figli, noi genitori dimentichiamo di ascoltare il loro parere. Lo si fa in buona fede, ma ogni tanto forse è meglio fermarsi e rifletterci sopra.

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Lo sposo di Topina 🐭 storia completa


C’era una volta una Topina che viveva ancora coi genitori. Per loro era la miglior Topina del mondo, e adesso che si era fatta grande avrebbe dovuto meritare un marito speciale.
Se per il papà di Topina bastava un bravo e gentile topino come marito, per la mamma invece un topo non era abbastanza, lei voleva di più.
La mamma di Topina non voleva che cercasse come marito un topo qualunque, per lei voleva il meglio del meglio! Così iniziò a discuter col papà, e furono urla e grida.

– Ma cosa hai contro un bel topino giovanotto, onesto e lavoratore? – chiedeva il papà alla mamma.
– Mia figlia è troppo bella e intelligente e non sposerà mai un topo! Per lei esigo qualcuno di eccezionale! – rispondeva lei.
– E allora se vuoi qualcuno di eccezionale perché non chiedi al Sole!?
La mamma di Topina ci pensò su e disse:
– Sì, credo che il Sole sia un marito all’altezza della mia piccola.
– Allora andiamo a chiedere al Sole – rispose sconsolato il papà.
– Andiamo!

Peccato che nessuno dei due chiese il parere a Topina, che sospirò e li seguì senza dire nulla.
Andarono quindi dal Sole.
– Signor Sole – disse la mamma – guarda la nostra piccola, non pensi che sia una ragazza degna di sposare una persona eccezionale e forte come te?
Il Sole, che di sposarsi non aveva nessuna intenzione, rispose:
– Vedo, la piccola Topina è sicuramente una delle più belle che io abbia mai visto, però vi devo deludere, c’è qualcuno che è più forte di me ed è…

Proprio in quel momento un Nuvolone coprì il Sole, che non riuscì a finire la frase.
Mamma e papà topo capirono che il Nuvolone era più forte del Sole, e gli chiesero se voleva sposare la Topina.
– Io non mi merito la vostra splendida figliola – rispose il Nuvolone – c’è qualcuno che è più forte di me ed è il vento!

All’istante iniziò a soffiare un forte vento che spazzò via il Nuvolone e fece rotolare tutti i topini fino a fermarsi contro un muro poco più in là.
La famiglia dei topini si rialzò pulendosi i vestiti e ricomponendosi i capelli scompigliati dal vento, e mamma e papà topo gli chiesero se voleva sposare la loro Topina.

– Veramente io non sono all’altezza di sposare la vostra incantevole Topina, c’è qualcuno che è ancora più forte di me, ed è il muro contro cui siete andati a sbattere, nemmeno io posso far nulla per abbatterlo.
Mamma e papà topo si girarono allora verso il Muro. Era un muro umido, fatto di pietre e mattoni tutto coperto di muschio.

La mamma di Topina stava per chiedergli se voleva sposarla quando Topina, che fino ad allora era rimasta zitta e tranquilla, esplose dicendo:
– Eh no! Un vecchio e ammuffito muro no! Va bene il Sole, va bene il Nuvolone e va bene anche il Vento, ma un umido muro fatto di pietre e mattoni non lo sposerò mai!

Il povero Muro, che era lì da secoli ed aveva resistito a qualsiasi tipo di intemperia, ci rimase un poco male a vedersi descritto così, ma disse:
– Vostra figlia ha ragione, è vero che io son più forte del vento impetuoso, ma c’è qualcuno che è ancora più forte di me!
– E chi sarebbe? – chiesero in coro mamma e papà topo.
– Un topolino! – rispose il muro.

Mamma e papà topo si guardarono in faccia increduli.
– Solo un topolino può scavare dentro di me e passarmi attraverso – continuò il muro.

Il papà di topina sorrise e anche la mamma fu finalmente convinta che un bel topino era lo sposo migliore per Topina.
I tre tornarono a casa felici e contenti, e così Topina fu libera di scegliersi come sposo il topino che più le piaceva.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Topo Tip non fa la nanna

Topo Tip non fa la nanna

Il fantasma distratto 👻

A volte i fantasmi non ululano solo per far paura…

Questo racconto ci insegna che a volte basta chiedere alle persone cos’è che non va, e magari tutto si può risolvere più facilmente.

Il fantasma distratto 👻


C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un castello nei cui bellissimi giardini I bambini giocavano tutti I giorni, e in estate fino anche a notte fonda.

Ma ogni notte a Mezzanotte un fantasma usciva dal castello e …..aaaaauuuuuuuuuhhhhhh…. ululava all’impazzata spaventando I bambini che fuggivano terrorizzati.

Leopoldino il bambino più temerario del gruppo un giorno chiese agli altri:
“ma perché scappiamo ? Magari vuole solo fare amicizia oppure vuole dirci qualcosa! Perché non glielo chiediamo?”.
Gli altri bambini lo presero per matto, chiedere al fantasma perché ulula?

Ma Leopoldino non si lasció scoraggiare dagli amici, e la sera dopo quando al rintocco della mezzanotte il fantasma usci dal castello ululando, mentre tutti scappavano lui si fermò e chiese al fantasma:
“Ehi fantasma, ma perché spaventi tutti I bambini con I tuoi ululati?”.

Il fantasma rispose triste e sconsolato:
“Io non voglio spaventare nessuno, è solo che tutte le sere io cerco di appendere un quadro e con il martello mi martello le dita, e quindi auuuuuuuuhhhhhh… esco dal castello ad ululare!”

Il bambino ebbe un’idea entrò nel castello alla ricerca di qualcosa, e il fantasma non aveva proprio idea di cosa, ma… eccolo di ritorno con in mando un guanto di ferro preso da una armatura del castello.

“Prendi questo guanto di ferro” disse il bambino.
“Vedrai con questo domani quando apprenderai il quadro non ti farai male!”.

Il fantasma lo ringrazio e il giorno dopo, al rintocco della mezzanotte oltre al suono delle campane si sentiva :
Steng!!! steng!!! il suono del martello sopra la mano!

Il fantasma finalmente non si faceva più male e riuscì ad appendere il quadro e I bambini poterono continuare a giocare felici.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Massimiliano e Giada, papà e figlia dalla provincia di Brescia, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto sui fantasmi 👻

Dal diario di Linda 📓

Essere presi di mira dai bulli non è mai bello..

Queste sono le pagine di diario di un’adolescente, che racconta con estrema amarezza gli episodi di bullismo subiti dal suo più caro amico; per sensibilizzare chi legge, una storia per dire “basta al bullismo”!

Dal diario di Linda 📓

Salve caro diario e buongiorno a tutti voi, amici lettori. Ho deciso di rendere pubbliche queste pagine per raccontare la mia storia.
Mi presento brevemente: mi chiamo Linda, ho undici anni e frequento la classe prima media. Abito con i miei genitori in un grande palazzo, alle porte di Milano. Sono un tipetto solare ed energico, vado volentieri a scuola, ho molti amici con i quali condivido numerosi interessi, come ascoltare musica, pattinare, fare passeggiate e collezionare adesivi dei cantanti preferiti.

Voglio presentarvi il mio migliore amico: si chiama Carlo e ha dieci anni. E’ un ragazzino molto dolce, un po’ timido, con due bellissimi occhi azzurri nascosti dietro un grande paio di occhiali. Lo scorso anno, su indicazione del dentista, ha inserito un apparecchio ai denti, con tanto di scure placchette.

Fino a pochi mesi fa, abitavamo nello stesso palazzo. Trascorrevamo interi pomeriggi a parlare e a confidarci segreti.
Con il passare del tempo, ho visto Carlo farsi sempre più triste, senza più voglia né di andare a scuola, né di studiare. Mi aveva confidato di essere diventato la “mira preferita” di un gruppo di bulletti che stavano nella sua classe. All’inizio, Carlo non faceva molto caso a loro, ma con il percorrere dei giorni la faccenda era divenuta insopportabile. Lo chiamavano “quattrocchi” e “denti di ferro”, per via degli occhiali e dell’apparecchio che portava.

Aggiungo che ciò fosse principalmente dovuto alla sua timidezza, al suo andamento un po’ goffo (anche se io lo trovavo irresistibile!).
I compagni trovavano cento occasioni per schernirlo: prima di entrare in classe, durante la ricreazione, ai giardinetti della scuola.
I suoi genitori, molto preoccupati, si recarono immediatamente a colloquio con i docenti, i quali, a detta di Carlo, minimizzarono l’accaduto.

Frequentavamo due istituti diversi, se avessi potuto sarei andata io a scuola per prendere a schiaffi quei mocciosi insolenti, pure se sono una ragazza!
Poi un giorno, la doccia fredda: il mio caro amico, in accordo con la famiglia, si sarebbe trasferito lontano da qui, complice il cambio di sede lavorativa del padre.

Da allora sono passati un paio di mesi: non l’ho più rivisto, anche se ogni settimana ci sentiamo telefonicamente. Ho sentito Carlo più felice e sereno, mi ha detto che nella nuova scuola si trova molto bene; inoltre, ha esclamato con sollievo che nella classe nessuno fa caso al suo “sguardo da talpa” e ai suoi “denti di ferro”, poiché la maggior parte dei compagni porta gli occhiali e l’apparecchio!
Sono sicura che crescendo, Carlo diventerà un bellissimo ragazzo: quei grandi occhiali lasceranno il posto a lenti a contatto e i suoi occhioni azzurri finalmente brilleranno, mentre l’apparecchio sparirà e si vedrà solo una fila di denti dritti e bianchissimi.

Ora aspetto con ansia le vacanze estive: insieme ai miei genitori andremo finalmente a fargli visita.
Sono contenta che la vicenda sia evoluta in modo positivo, ma trovo tutto questo assurdo e senza significato.

Ho deciso di rendere pubblica questa storia per far comprendere a tutti i ragazzi quanto sia inutile, stupido e dannoso il fenomeno del bullismo, di quanto possa creare malessere ed allontanare, purtroppo, le persone alle quali si vuole bene.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia contro il bullismo

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Trottolino 🏃

Un racconto per bambini che non stanno mai fermi…

Se avete un bimbo “incontenibile”, molto vivace e che non riesce a stare fermo, non colpevolizzatelo, forse deve solo incanalare tutte le sue energie sfogandole magari con dello sport.

Trottolino 🏃

Questa è la storia di Enrichetto, sei anni, due occhioni scuri e una testolina di capelli neri, molto intelligente ma un po’ troppo vivace.

Una disperazione per mamma e papà e anche per le maestre: non riesce a stare seduto in classe o a tavola per più di un minuto! Sempre in movimento, questo è il motivo per il quale è stato affettuosamente soprannominato Trottolino.

«Ora basta Enrichetto! Siediti e mangia la minestra, altrimenti diventa fredda!» urla la mamma.
«Stai fermo Trottolino! Non riesco a capire una sola parola del telegiornale!» tuona il papà.
«Enrichetto! Stai seduto al tuo posto e termina il compito assegnato!» dice la maestra.

Lui non lo fa per capriccio o per dispetto, proprio non ci riesce. A volte diventa triste, perché non si sente all’altezza dei suoi compagni di scuola e vorrebbe dare più soddisfazioni ai suoi genitori. Una sera d’estate, durante le tanto attese vacanze scolastiche, Enrichetto insieme ai suoi amici passano davanti un magnifico boschetto. Uno di loro, però, vede in lontananza del fumo.

«Aiuto! Aiutateci! Qui è scoppiato l’inferno!» urlano le farfalle.
«Aiuto, aiuto! Un incendio sta distruggendo le nostre tane!» squittiscono alcuni topolini.
Gli amici di Trottolino, tanto bravi con penne, libri e quaderni, non se la sentono di avanzare, hanno paura.

Enrichetto non aspetta un secondo e si precipita in soccorso dei poveri animaletti. Nelle vicinanze, per fortuna c’è un fiumiciattolo: stacca con forza il cestino della sua bicicletta, lo riempie d’acqua e uno alla volta lo versa sulle fiamme per scongiurare un pericolo ancora maggiore. Sembra veramente una trottola, velocissimo e fulmineo. Alla fine l’incendio è domato. I suoi amici sono rimasti tutto il tempo a guardarlo a bocca aperta, ed ora è il loro campione.

«Bravissimo Enrichetto! Sei una forza della natura!» urlano a gran voce gli animaletti del bosco, consegnandogli una targa con dedica “Al nostro salvatore, con affetto”.
Enrichetto è felicissimo, finalmente è riuscito a dimostrare quanto vale. Da pochi giorni, intanto, sono ricominciate le scuole; Trottolino ha promesso a mamma e papà di muoversi “solo un pochino” tra i banchi…

Inoltre si è iscritto al gruppo locale podistico, per incanalare la sua energia vulcanica, vincendo già tre gare, tra la soddisfazione di tutti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia in cui un aspetto negativo, può diventare una potenzialità del bambino, tra la gioia dei suoi genitori e dei suoi amici più cari.

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Fiammiferino 😡

Ad essere sempre arrabbiati a volte si rimane senza amici…

Questa è la storia di un bambino sempre arrabbiato, ma grazie ad un “folletto magico”, il piccolo riesce a superare le sue difficoltà imparando a gestire l’emozione a volte incontrollabile

Fiammiferino 😡

C’era una volta un bambino di nome Michele, ma tutti nel paesello lo chiamavano simpaticamente “Fiammiferino”.
Michele aveva sette anni, era biondo con due occhioni azzurri e un grande difetto: si arrabbiava per un nonnulla…

Si arrabbiava con la mamma se dimenticava di comprare le sue merendine preferite, si arrabbiava con il papà se tardava due minuti a riprenderlo all’uscita della scuola, si arrabbiava con la nonna se la domenica non preparava le solite lasagne al ragù, si arrabbiava con la maestra se invece di otto in matematica prendeva sette.

Per questi motivi si meritò il soprannome di Fiammiferino: ogni volta che qualcosa non andava come voleva, andava su tutte le furie e s’incendiava come la capocchia di un fiammifero, quelli che noi usiamo per accendere il fuoco in cucina. Michele non aveva molti amici, riusciva a litigare sempre con tutti per i motivi più banali.

Un giorno, mentre giocava da solo nel giardino, vide vicino il grande albero verde una strana creatura. Si avvicinò incuriosito. Era un omino grande quanto una mano, che stava raccogliendo le foglie.

-Ehi tu! Cosa ci fai qui? – tuonò il piccolo.
L’omino lo guardò perplesso.
-Mi chiamo Calmino, sono il folletto del tuo albero. Sono venuto a farti visita, mi hanno detto che qui abita un bambino sempre arrabbiato e senza amici – disse il folletto.
-Come osi parlare così di me? – urlò corrucciato Michele. Poi si fermò un attimo, guardò Calmino, abbassò lo sguardo e diventò triste.

-Hai ragione, sono sempre arrabbiato. Specie con le persone che mi vogliono tanto bene, come i miei genitori e i miei nonnini. Se qualcosa non va come dico io me la prendo così tanto che non riesco a trattenermi. Cosa posso fare, caro il mio folletto, per riuscire a stare tranquillo senza farmi assalire da questi scatti d’ira? Per questo non ho amici e mi sento tanto triste – dichiarò il bambino.

-Capisco, capisco. Voglio farti un bel regalo! – disse il folletto.
Il viso di Michele si illuminò, sperava che Calmino potesse aiutarlo a risolvere questo problema. Lo vide allontanarsi, andare dentro il grande albero ed uscire con in mano una piccola scatolina rossa.

-Tieni, questo è il mio regalo: una scatolina magica! Ogni volta che ne hai bisogno, aprila e urlaci forte dentro. Ti sentirai meglio e non sarai più un bambino arrabbiato – fece pacatamente il folletto.
Grazie Calmino, grazie mille! Non voglio più litigare e voglio avere tantissimi amici – proferì il bimbo sorridendo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia che può aiutare i bambini a gestire la rabbia.

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La piccola ladra di stelle 🌟

Per vincere la paura del buio, una stella magica può aiutare.

La paura del buio è uno dei grandi problemi che hanno i bimbi piccoli, ma con un po’ di magia e una buona stella, Amelia riuscirà a superarla e dormire serena.

La piccola ladra di stelle 🌟


La piccola Amelia era terrorizzata dal buio, una paura così non si
era mai vista.
I suoi genitori non avevano più idee per tranquillizzarla.
Si erano inventati di tutto, dal tenere le luci accese a stare accanto a lei tutta la notte, ma erano più le notti insonni per tutti e tre che quelle di sonno, pertanto i genitori decisero a malincuore che tutto avrebbe dovuto tornare alla normalità:
LUCE SPENTA E OGNUNO NELLA SUA STANZA.

Fu una decisione dura per tutti, poiché la mamma e il papà sapevano che Amelia aveva davvero molta paura ma l’unica alternativa possibile fu quella, papà diceva: “crescerai Amelia, il tempo ti aiuterà a superare le tue paure, ne sono certo”. La mamma era d’accordo e Amelia, che era una bambina molto obbediente, con il cuore in gola e con un filino di voce rispose:” sicuramente sarà come dici tu papà”.

Le notti passavano e passavano, sempre insonni e ricche di terrore, poi si sa, nel buio tutto prende un aspetto diverso in base alla nostra fantasia. Amelia vedeva di tutto, dal mostro tentacoloso al posto dell’attaccapanni, ai rumori peggiori che nessuno vorrebbe mai udire.
Una notte, stanca di stare a letto con la sua paura, decise di alzarsi e sedersi sul divanetto sotto la finestra e guardando il cielo disse:” come vorrei essere una stella, loro non hanno paura del buio, anzi brillano in esso e io vorrei luccicare come loro”.

Ancora con gli occhi sognanti, Amelia sentì bussare alla finestra, toc toc… alzando lo sguardo la bambina rimase stupita:” una stella sta bussando alla mia finestra?”. Senza pensarci troppo, nonostante lo shock, la bimba aprì la finestra e fece entrare la stella, che subito si posò sul cuscino di Amelia.

La piccola si sdraiò accanto a lei e con il bagliore e la sicurezza che emanava, dormì beata tutta la notte.
Al mattino sul cuscino non trovò più la stella ma un piccolo lazo, tanto fine che era quasi invisibile ma anche brillante come un mare di glitter argentati.
Amelia si domandò a cosa le sarebbe servito un lazo così piccolo, ma non aveva modo di provarlo né di fare altro, perché era ora di andare a scuola.

Nel tragitto, i genitori videro la bambina riposata e serena e fieri di loro si inviarono uno sguardo soddisfatto di chi pensa d’aver fatto una buona cosa. Ovviamente la realtà era un’altra ma Amelia si guardava bene dal dirla in giro…
La notte seguente la bambina tornò a guardar fuori ma non vide nessuna stella far capolino alla sua finestra. Amelia le chiamava e le pregava ma non succedeva nulla, pensò allora che probabilmente quella della sera prima, fosse solo una sua profonda fantasia. A causa dell’agitazione però, aveva dimenticato il lazo luccicoso, che iniziò a brillare a intermittenza per farsi vedere dalla piccola.

“Avevo dimenticato il lazo, allora ho ancora speranza di riavere la stella con me questa notte!” disse emozionata ad alta voce.
Provò a lanciare il lazo come un cowboy verso il cielo e magicamente si allungò talmente tanto da raggiungere il manto luminoso della notte e acchiappare la stella più vicina. La bambina iniziò a tirare verso di lei e la stellina pian piano si avvicinò così tanto da poterla cogliere e appoggiarla sul cuscino.

Come per incanto il lazo tornò minuscolo e la stella fece compagnia per tutta la notte alla bambina con la sua magica luce.
Ogni sera un sorriso le affiorava in viso, perché sapeva che avrebbe avuto un’amica luminosa a farle compagnia. Di notte in notte la magia la rassicurava e in questo modo la paura del buio le passò del tutto.

Con sua grande sorpresa una sera, il lazo smise di allungarsi fino al cielo. La delusione durò pochissimo perché subito una vocina dentro di lei disse: “decisamente ora sei pronta per dormire tranquilla, senza paura”.

Passarono gli anni e la bambina, ormai donna, continuò a conservare il lazo come un tesoro, ricordandosi di quanta paura possono avere i bimbi del buio. Lo custodì con cura, cosicché anche altri bambini avrebbero potuto usarlo per avere la loro stellina della notte e così fu.

Amelia consegnò il lazo a sua figlia e sua figlia lo consegnò a suo figlio e così, da generazioni, il lazo continua a passare di madre in figlio e di padre in figlia e chissà… magari una stella farà capolino anche alla nostra finestra una notte o l’altra.

“Ogni notte, fino a quando non fu abbastanza grande da non avere più paura, Amelia si trasformava in una ladra di stelle.”

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

Il lavoro degli Elfi 🧝

Gli Elfi di Babbo Natale sono sempre al lavoro!

Su nel freddo nord, c’è chi prepare i giocattoli da regalare ai bambini di tutto il mondo, sono gli Elfi! Andiamoli a scoprire!

Il lavoro degli Elfi 🧝


Vicino al Polo Nord si trova la casa di Babbo Natale, dove vive indisturbato con i suoi amici Elfi.

Gli Elfi sono creature buone, pacifiche ed immortali, con grandi orecchie appuntite, sensibili a suoni e rumori lontanissimi: sono molto legati a Babbo Natale, che li considera i suoi adorati figli. In questo periodo, vista la quantità di letterine che stanno arrivando in prossimità delle feste, i piccoli Elfi sono già al lavoro.

Hanno idee geniali, ogni giorno costruiscono centinaia di divertimenti di ogni tipo: bambole, trenini, macchinine e tanto ancora.
Appena terminato di costruire un giocattolo gli spruzzano sopra un po’ di polvere di stelle per renderlo più leggero, altrimenti Babbo Natale non riuscirebbe a trasportare il grande sacco con milioni di regali per i bambini di tutto il mondo.

I piccoli Elfi lavorano con grande dedizione, precisione e velocità. Quando si sentono stanchi, si riposano un pochino su minuscoli lettini intrecciati con la paglia, oppure si ricaricano gustando morbidi panini al latte farciti di cioccolata, di cui vanno ghiotti.

Nella fabbrica delle magie tutti sono già ai loro posti: tra poco Babbo Natale inizierà il lungo viaggio, con la sua slitta ricolma di doni trainata dalle renne volanti.

Bisogna sbrigarsi, i bimbi buoni quest’anno sono molti e devono essere accontentati.
Buon lavoro, miei cari Elfi!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia sugli aiutanti magici di Babbo Natale che sono già al lavoro per preparare i tanti regali…

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Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

La pallina canterina 🟢🎶

Che noia le fredde e silenziose serate invernali… molto meglio cantare tutti assieme!

E se gli addobbi dell’albero di Natale si mettessero a cantare tutti assieme? Che grande festa sarebbe!

La pallina canterina 🟢🎶


Laggiù, ai piedi della montagna, c’è un paesello piccino piccino chiamato Magicondolo dove gli abitanti si preparano ad addobbare con cura l’abete della piazza: ognuno ha acquistato un oggetto da appendere al grande albero per le festività natalizie, chi un filo dorato o argentato, chi una pallina colorata, chi un angioletto, una stella, altri più poveri hanno impastato in casa un biscotto e poi agganciato un cordoncino.

Terminati i lavori, l’albero risplende in tutta la sua bellezza al centro del paese, a pochi passi dalla chiesetta.
Mancano pochi giorni al Natale; gli abitanti di Magicondolo attendono con ansia l’evento. Tutt’intorno, un grande silenzio.
Anche le campane della chiesa tacciono. Ad un certo punto, la sera della vigilia di Natale, si sente una vocina acuta canticchiare nella piazza:

– Astro del ciel, Pargol divin, mite Agnello Redentor! Tu che i Vati da lungi sognar, tu che angeliche voci nuziar, luce dona alle genti, pace infondi nei cuor!
E’ una piccola pallina color verde, stanca di questo silenzio.

– E allora, è lunga? – sbuffa l’angioletto vestito di azzurro, appeso vicino la cima dell’abete.
– Ma ragazzi, queste feste devono portare allegria e gioia, non tristezza! – esclama convinta la pallina.
– Ma noi siamo stanchi e raffreddati qui fuori, non abbiamo voglia di cantare – fa una stellina.

La pallina invece insiste:
– Jingle bells, jingle bells, jingle all the way…
– Ma che noiosa! – mormora un filo dorato.
– Invece la pallina ha ragione! Perché questo silenzio? Noi dobbiamo portare la gioia del Natale, amici! – urla la stella cometa dall’alto del grande albero.
– Rallegriamo la piazza e tutte le persone! – dice un filo argento.

La piccola pallina ha finalmente convinto gli addobbi dell’abete a cantare con lei.
Tutti insieme iniziano un coro festoso, per la gioia degli abitanti del paesino di Magicondolo:
– Tu scendi dalle stelle o Re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia di una pallina colorata che rallegra con la sua vocina l’albero di Natale

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Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

Cappuccetto Rosso tecnologica 📱

A volte la tecnologia ci aiuta per davvero…

In questo racconto Cappuccetto Rosso è una bimbetta dei giorni d’oggi, pronta a farsi i selfie anche col lupo!

Cappuccetto Rosso tecnologica 📱


Cari bambini, sicuramente la maggior parte di voi conoscerà la fiaba di Cappuccetto Rosso. In questa versione più moderna, la bambina utilizza perfino il cellulare! Ma andiamo con ordine…

C’era una volta una dolce bimbetta, chiamata Cappuccetto Rosso per via di un cappuccetto di velluto che portava sempre. Un giorno la mamma la chiamò e le disse:

– Vieni, piccola mia, eccoti una focaccia, un panetto di burro, un po’ di ciambelle e una bottiglia di latte da portare alla nonna; è debole ed ammalata e si ristorerà. Vai e segui la strada principale. Mi raccomando, non passare per il sentiero del bosco, è pericoloso.
– Si mammina, porterò alla nonna questo buon cestino e la saluterò da parte tua – disse la bambina.

A questo punto, tutti sappiamo che Cappuccetto Rosso disubbidisce alla mamma, e prosegue il cammino passando per il bosco. Nel mentre, due farfalle colorate si posano sui fiori. La bambina rimane incantata, poi inizia a rincorrerle. Improvvisamente si guarda intorno, forse ha smarrito il sentiero. Guarda l’orologio che ha al polso: sono già le cinque del pomeriggio. Deve sbrigarsi, tra poco scenderà la sera. La casa della nonna dovrebbe essere nei paraggi.

-Oh! Lo sapevo! Per giocare con le farfalle ho dimenticato il cestino con le delizie! Dove l’avrò lasciato? Forse vicino a quel pino? – mormora Cappuccetto Rosso.
Ad un certo momento, vede sbucare da un cespuglio un brutto muso. E’ il lupo cattivo che si avvicina piano:

– Ciao bella bambina! Dove stai andando? – fa il lupo con il suo vocione.
– Sto andando dalla nonna. Vieni qui un attimo… che pelo folto che hai! Possiamo farci una foto insieme? – esclama Cappuccetto Rosso.

Poi estrae dalla tasca del giacchino un cellulare, si mette in posa vicino al lupo, scatta e pubblica la foto con tanto di tag sui suoi social network. Si rende conto di avere incorporato il geo-localizzatore e in un attimo, recupera anche il cestino che aveva smarrito.

Saluta il lupo e si avvia alla casa della nonnina saltellando felice. Nel frattempo, la foto della bimba con il suo “nuovo amico” ha già fatto il giro di Facebook. Ad aspettare il lupo, mentre la nonna di Cappuccetto Rosso ignara di tutto russa beatamente nel soffice letto, ci sono la Polizia, i Vigili del Fuoco e la Lega antivivisezione per controllare che l’animale non venga ferito.

Al lupo, dopo aver visionato la situazione, non resta altro che mettere la coda tra le gambe.
– Acc! Queste nuove tecnologie! Oggi mi hanno fatto perdere un bel pranzetto! – esclama infuriato.

Già, ma tutto sommato è ancora vivo e in pochi secondi, sparisce all’interno del grande bosco.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questo simpatico racconto dove la tecnologia diventa nostra alleata e ci viene in aiuto.

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La storia di Raggio di Sole 🌞

Non si è mai soli se attorno a sè si hanno persone che ci vogliono bene!

Essere adottati o affidati, per un bambino, è sempre una cosa difficile da affrontare. Questo racconto può aiutare a comprendere che quello che conta di più sono le persone che ci amano e ci stanno accanto tutti i giorni.

La storia di Raggio di Sole 🌞


Un tempo, il magnifico Sole ebbe una relazione con una stella tra le più luminose in cielo: dalla passione tra i due nacque un bellissimo fanciullo, con grandi occhi color del mare e capelli sottili color biondo oro e riflessi striati di tramonto.

Il Sole fu molto orgoglioso di essere diventato padre; impiegava le ore a cullare tra i suoi raggi quel figlio adorato.
Un giorno, sbirciando sulla Terra, si rese conto che restando tra le sue calde braccia, il piccolo non sarebbe potuto crescere come tutti i bambini.

Amareggiato, decise di donare il suo pargolo alla specie umana.
Da lassù, vide un uomo e una donna piangere e disperarsi per non aver potuto concepire figli.

Durante il tramonto, sempre più vicino alla Terra, da un suo raggio rosso dorato, fece scivolare dolcemente la culla con dentro il piccino fino all’ingresso della porta di casa della coppia: quando questi si accorsero di ciò, presero il bambino e lo strinsero forte a sé, chiamandolo Raggio di Sole.

Passarono gli anni, Raggio di Sole cresceva felice e sereno, insieme ad una mamma ed un papà meravigliosi e tanti amichetti con il quale giocare.
Un bel giorno, rovistando nella soffitta polverosa in cerca di vecchi giocattoli, il bimbo trovò invece strani effetti personali, tra cui un medaglione con incise sopra le iniziali del suo nome: curioso, chiese ai genitori cosa fossero e perché erano stati nascosti.

Con estrema delicatezza, il padre confidò al suo piccino la verità, di averlo trovato in una culla davanti alla soglia di casa, sul far sera di una giornata di mezza estate.
A questa notizia sconvolgente, Raggio di Sole iniziò a singhiozzare, divenne rosso in viso e cominciò a girovagare disperato tra l’immensa campagna.

Dopo un po’, stanco ed affannato, si sedette sotto i rami rigogliosi di un grande albero, volgendo gli occhi al cielo.
In quel preciso istante, il sole lo vide e si commosse.
Improvvisamente, tutt’intorno, una forte luce illuminò il bambino.

«Io, il Sole, sono il tuo grande padre. Non ti ho abbandonato, piccolo mio… volevo tu potessi vivere felice, qui, sulla Terra… Resterò sempre al tuo fianco, ti sorveglierò da quassù… Ora vai, la tua famiglia ti aspetta, ha bisogno di te!».

Raggio di Sole capì e fece un profondo sospiro asciugandosi le lacrime con la mano.
Piano si alzò e imbocco la strada del ritorno mentre mamma e papà lo attendevano vicini al cancello di casa.

Si abbracciarono forte forte e non si lasciarono mai più.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, dedicata principalmente a bambini che sono stati adottati oppure affidati, e per aiutare i piccoli a superare la difficoltà e comprendere che intorno a loro ci sono e ci saranno sempre persone che li amano e li aiutarenno a crescere.

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Gli Acciacchi della vecchia Befana 🧦

Più aumenta l’età, più la Befana ha problemi di salute. Riuscirà a consegnare in tempo i regali ai bambini?

Se avete fatto i bravi la Befana non vi porterà il carbone, ma delle buone caramelle, e per ringraziarla basteranno una minestra calda e un buon bicchier di vino.

Gli Acciacchi della vecchia Befana 🧦


Anche quest’anno l’anziana Befana sta sistemando le ultime cosette all’interno del sacco ed eseguito la revisione alla scopa volante, visto i migliaia di chilometri percorsi nel cielo.

Per lei l’età sta diventando un problema: è ingrassata una decina di chili per via di un’alimentazione troppo ricca di grassi, ha sviluppato un leggero diabete, un’artrosi importante a piedi e mani, una gobba ancor più pronunciata e dolorante, oltre un perenne raffreddore dovuto all’aria gelida sul viso durante le consegne dei regali.

Quest’estate è stata dal medico, che le ha prescritto una cura a base di farmaci antinfiammatori.
Ora deve ricominciare il giro del globo per lasciare caramelle e regali ai bambini. Ma non crediate sia semplice, le insidie sono all’ordine del giorno!

Le case moderne non hanno più i camini e bisogna stare attenti a non finire risucchiati nei termosifoni, o peggio ancora, far scattare improbabili allarmi antifurto e finire scambiati per ladruncoli.
Lo scorso anno poi, durante l’atterraggio sul tetto di una casa di un bambino meritevole, la Befana si è slogata una caviglia.

Per fortuna Babbo Natale si trovava nei paraggi: è andato in suo soccorso cercando di aiutarla a rialzarsi, tra le urla della poveretta.
Gli ultimi regali ai bimbi sono stati recapitati i primi giorni di Marzo: un notevole ritardo!
Quest’anno, i “grandi supervisori del cielo” le hanno consigliato di trovarsi un’aiutante, magari più giovane e magra.

Quindi, miei cari fanciulli, prepariamoci ad accoglierla nel miglior modo possibile la notte tra il cinque e sei Gennaio: sistemiamo la tavola, stendiamo il tovagliolo con sopra un piatto di minestra calda (visto che non ha più denti), un bicchiere di buon vino, qualche dolcetto, mandarini e magari un’aspirina, visto i suoi innumerevoli acciacchi!
Appendiamo le calze e se la nostra casa è provvista di camino, cerchiamo di pulire bene la cappa prima della sua discesa.

Buon lavoro, mia cara Befana!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa simpatica storia sulla Befana.

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La Bella e la Bestia 👧🦁

Mai giudicare dall’aspetto il buon cuore delle persone

Per uno strana fatalità Bella dovrà recarsi al castello della Besta, e vivere con lui per il resto dei suoi giorni. Ma scoprirà che la Bestia in realtà non è cattiva come la descrivono, anzi, sotto la faccia deturpata da un malvagio incantesimo, si cela un cuore buono.

la favola de “La Bella e la Bestia” è antichissima, e proprio per questo si è diffusa in tutta Europa con moltissime varianti.

Tutti noi ricordiamo il bellissimo film animato realizzato dalla Disney nel 1991, una meraviglia! Tanto che nel 2017 ne hanno rifatta una versione con attori veri.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della Bella e la Bestia!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la Bella e la Bestia raccontata da Silvia!

La Bella e la Bestia 👧🦁 storia completa


C’era una volta un mercante a cui la fortuna aveva girato le spalle, ed era caduto in disgrazia insieme alla figlia dolce e gentile che si chiamava Bella.
Un giorno il mercante decise di andare a tentar fortuna in una lontana città, dove aveva sentito che al porto stavano arrivando delle navi piene di merci esotiche.

Prima di partire chiese a Bella cosa volesse per regalo di ritorno dal suo viaggio.
– A me basta solo una rosa, perché la cosa più importante è il bene che ti voglio, papà – rispose Bella.
Il padre commosso, partì per il lungo viaggio, ma purtroppo quando arrivò al porto non riuscì a combinare nessun affare, e riprese il cammino verso casa ancora più povero di prima.

Ma quando ormai mancava poco per arrivare a casa, il padre di Bella fu preso alla sprovvista da una forte bufera.
Si rifugiò dentro l’unico edificio che riuscì a vedere nelle vicinanze, un castello che pareva abbandonato.
Dentro al castello però c’era una bellissima e rigogliosa serra piena di piante e fiori, tra cui anche un roseto. Il padre di Bella si ricordò della promessa fatta alla figlia, e senza pensarci, prese una rosa da portarle in dono.

Ma non appena la colse si sentì afferrare da delle possenti braccia che lo immobilizzarono e lo legarono come un salame. Era il padrone del castello, e la sua faccia era simile a quella di una bestia feroce, come un leone!
– Come osi raccogliere le mie rose! – ruggì la Bestia.
– Mi scusi signore, mi sono rifugiato nel suo castello per ripararmi dalla bufera, e quando ho visto queste magnifiche rose mi son ricordato della promessa che ho fatto a mia figlia…

– Quale promessa? – ringhiò la Bestia.
– Che di ritorno dal mio lungo viaggio al porto le avrei portato una rosa in dono.
La Bestia grugnì.
– Così tu hai una figlia… dovrei ucciderti, ma se in cambio della tua vita, tu porterai la tua figlia qui, lei vivrà per sempre insieme a me e tu sarai libero!

Lì per lì il mercante, non sapendo cosa fare, disse di sì, ma uscito dal castello e imboccato il sentiero di casa si pentì di quello che aveva fatto:
– Saluterò Bella e le dirò quanto le voglio bene, poi tornerò dalla Bestia e affronterò il mio destino.
Così arrivò a casa, abbracciò la figlia e le diede in dono la rosa, dicendole anche che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.

Bella non capiva ed insisteva per farsi spiegare il perché, finché suo padre non le raccontò tutta la storia.
– Ma allora è tutta colpa mia! – disse Bella tra le lacrime.
– Come colpa tua? – le rispose il padre.
– Se io non ti avessi chiesto in dono questa rosa, tu adesso non saresti in questa situazione… non è giusto!
Bella insistette così tanto che alla fine costrinse suo padre ad accompagnarlo al castello della Bestia.
Quando arrivarono fu la stessa Bestia in persona ad aprire il portone.

– Vedo che hai mantenuto la promessa – disse rivolto al padre di Bella, poi con un gesto fulmineo prese con sé la ragazza e chiuse con forza il portone dietro di sé.
Il padre di Bella cercò con tutte le forze di entrare, batté forte i pugni sul portone, prese un lungo bastone cercando di forzare la serratura, ma niente, il portone non si aprì…
Bella ormai era prigioniera nel castello della Bestia, ma contrariamente a quello che pensava, la Bestia non trattò mai male Bella, anzi.

La bestia era molto premurosa nei suoi confronti, la trattava sempre con gentilezza, aveva sempre un pensiero carino per lei e non le faceva mancare niente.
Ascoltava con attenzione tutte le storie che Bella gli raccontava la sera e poi, con un inchino, si congedava e andava a dormire, per poi farle sempre trovare la colazione pronta al mattino.
Bella amava passeggiare per la stupenda serra fiorita, e la Bestia la accompagnava con piacere. Stare accanto a lei era veramente incantevole, tanto che senza nemmeno accorgersene, se ne innamorò.

Ma a Bella mancavano tanto la sua casa e il suo papà. Una sera la Bestia la vide piangere e le chiese il perché. Quando scoprì il motivo di tanto sconforto le regalò uno specchio magico.
Nello specchio Bella poteva vedere una stanza della sua casa, e di conseguenza come stava suo padre. Ma purtroppo suo padre non stava tanto bene. Si era ammalato e arrivò il giorno in cui Bella nello specchio lo vide immobile a letto.

Bella si disperò e decise di chiedere alla Bestia se poteva tornare a vedere suo padre almeno per l’ultima volta.
– E’ molto malato, vedi? – e fece vedere lo specchio alla Bestia, che grugnì di disappunto.
– E va bene, vai pure, ma se entro una settimana non tornerai, io morirò certamente di crepacuore.
Sentendo quelle parole, Bella capì cosa provava per lei la Bestia.

– Tornerò – disse sorridendo, poi prese le sue cose e uscì dal castello.
Che sorpresa fu per suo padre rivedere Bella, sana e salva e pure ben vestita! La visita di sua figlia gli fece talmente bene che già il giorno dopo stava meglio.
E così fu per tutti i giorni seguenti, tanto che alla fine della settimana il padre di Bella era tornato in piena forma.
– Ora che stai meglio papà, io dovrei tornare al castello.
– Non tornare figlia mia – le disse – se mi sono ammalato è per il dispiacere di non averti qui accanto a me! Rimani qui con me ancora un giorno, così da rimettermi ancora meglio.

Bella esitò un momento, ma non riuscì a lasciare da solo il padre che era così felice di rivederla.
Passò un giorno, poi due e poi tre, e ogni volta suo padre riusciva a trattenerla con la scusa di guarire sempre di più dalla sua malattia.
Ma a Bella la Bestia iniziava a mancare veramente. Solo ora che non era più con lui si era accorta di quanta gentilezza aveva avuto nei suoi confronti e di quanto buono fosse il suo cuore.
E poi il rimorso della promessa non mantenuta era troppo forte, e la sua coscienza non le dava pace. Così quella notte decise di scappare e tornare al castello.

Quando finalmente arrivò, Bella trovò la Bestia per terra agonizzante. Lo prese tra le sue braccia e lo sollevò, ma lui quasi non respirava più.
– Sono tornata! Sono tornata da te! Scusami se ci ho messo così tanto…
La Bestia riuscì ad aprire un poco gli occhi e la guardò con dolcezza.
– Cosa posso fare per aiutarti? – gli chiese con voce tremante Bella.
Bestia fece un lungo sospiro, esitò, finché in un sussurro disse:
– Un bacio… solo un ultimo bacio di addio.

Bella gli prese il viso, lo guardò negli occhi lacrimanti, si avvicinò e lo baciò, chiudendo gli occhi.
Un forte brivido scosse tutto il corpo della Bestia, tanto che Bella si spaventò. Ma la sorpresa fu davvero enorme quando vide che la Bestia si era trasformato in un bellissimo uomo.
– Ma cosa è successo? – domandò Bella incredula ma felice come non mai.
– Col tuo bacio hai spezzato l’incantesimo di una fata malvagia che mi aveva trasformato in Bestia per gelosia… grazie mia Bella…
Bella lo abbracciò forte, lui si sentiva già meglio.

Pochi giorni dopo il Principe che era stato trasformato in Bestia si era rimesso in perfetta salute. Finalmente poteva stare accanto alla sua Bella tenendola per mano senza doversi nascondere per il suo aspetto, e di lì a poco si sarebbero anche sposati.
E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

🖌 scarica il disegno da colorare della Bella e la Bestia!! 🎨

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scarica il disegno da colorare della Bella e la Bestia!

Topolino Sam e lo spazio 🚀

A volte per viaggiare nello spazio basta chiudere gli occhi!

Il topolino Sam ha deciso di esplorare lo spazio, e preparata una navicella spaziale, è pronto per partire!

Topolino Sam e lo spazio 🚀


Ma guarda, guarda chi si rivede! Ma è Sam!
Dopo tanto girovagare rieccolo alla scoperta di un nuovo mondo… lo spazio!
Ebbene sì, dopo il tanto sapere del mondo, decise che fosse tempo di visitare un nuovo luogo, vasto e speciale come lo SPAZIO!

Intanto cominciò con il procurarsi tutto il necessario per allenarsi all’assenza di gravità che, come tutti sanno, nello spazio non esiste. Pensò che sarebbe stato impossibile creare nella stanzetta un posto privo di gravità, allora decise che l’unico modo fosse “fare
finta” di viaggiare nella navicella a gravità zero appendendosi con una corda legata in vita ad un binario che girava sotto la scrivania di Anna.

Wwowwww, sembrava di essere su di uno shuttle! Il topino volteggiava di qua e di la e si divertiva molto. Dopo essersi allenato, era l’ora di creare la tuta spaziale, prese un tessuto bianco, cannucce, il tappo trasparente del deodorante di Anna e con tutti questi oggetti cucì una fantastica tuta da astronauta.

E ora il pezzo forte della missione, la navicella! Una scatola cilindrica con un tappo sul fondo era lo shuttle perfetto, con l’aiuto di Anna, scotch, colla, colori e qualche pezzo di carta d’alluminio presto Sam presentò al mondo intero il… GROVIERATTHLE!!!

Un tributo al cibo preferito del topino, il Groviera. Il conto alla rovescia stava per cominciare, giusto il tempo per gli ultimi saluti e il grovieratthle fu pronto per il decoll o… tutti pronti?

Dieci…nove…otto…sette…sei…cinque…quattro…tre…due…uno.. partenza!!!

Scintille, rumori, fumo, esplosioni e chi più ne ha più ne metta, la stanza di Anna era un tremendo caos, ma per un fine ben speciale.
Dopo un decollo un po’ traballante, il topolino si trovò nell’immenso e silenzioso Spazio… era davvero senza parole.

Il primo pianeta che Sam decise di visitare fu la mitica e fantastica LUNA. Il topolino sbarcò e scoprì l’immensità del pianeta, era
grande tanto grande ed era pieno di buchi ma tanti buchi… caspita! Era un groviera! Dopo aver visitato la Luna Sam risalì sul
Groveratthle e si diresse verso il pianeta rosso.

Marte! Rosso, sabbioso, simile alla terra, lo trovò divertente ma la curiosità era troppa e i pianeti altrettanto, quindi decise di salire sulla navicella e ripartire.

Attraversò lo spazio in lungo e in largo, da Giove il più grande, a Saturno che lo fece girare talmente tanto che non riusciva più a
fermarsi, da Venere il più affascinante, a Nettuno e Plutone, insomma tutto quello che poteva vedere lo ha visto.

Ma gira, gira, si imbatte’ in un piccolo pianeta che non aveva mai visto prima… il pianeta era bianco, ma talmente bianco che brillava.
Sam non ci pensò due volte e si diresse verso il pianetino, ma più si avvicinava e più il bagliore era forte, ma talmente forte che dovette chiudere gli occhi.

Quando li aprì, con moooolto stupore si trovò in camera di Anna, dentro una scatola e vestito da astronauta. Sam pensò : ”non ero nello spazio? Non mi sono avvicinato ad un piccolo pianeta bianco? Come mai sono qui?”.

Mentre si faceva mille domande senza trovare risposta, entrò Anna che gli disse: ”oohh Sam, era ora che ti svegliassi è già ora
di cenare!” Sam la guardò stranito: ”svegliarsi? Tardi? Ma, ma stavo dormendo?”

Il topolino raccontò ad Anna di aver creduto fermamente di essere nello spazio e di aver visitato moltissimi pianeti e che ne stava
scoprendo uno nuovo bianco e accecante! Anna lo guardò ammirata ma un po’ perplessa: “Sam, il pianeta bianco era piccolo e molto vicino a te?”

e Sam rispose : ”si Anna, vicinissimo. Ma più mi avvicinavo e più diventava accecante.” In quel momento Anna scoppiò a ridere
rumorosamente, rideva talmente tanto che non riusciva a dire a Sam che il suo misterioso pianeta bianco non era altro che la Lampadina della abatjour accesa da Anna essendosi fatta sera.

Quando riuscì a dirglielo il topolino si azzittì, ma poco dopo scoppiò a ridere anche lui e insieme risero talmente tanto che si
addormentarono stremati.

A volte i sogni ci portano lontano, così lontano da farci vivere fantastiche avventure.

Per questo non dobbiamo mai smettere di
“SOGNARE”!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto, che fa parte di una raccolta con tante altre avventure del topolino Sam, le trovate qui sotto:

Lallasagna e la ciambella al cioccolato 🍩

La matematica serve anche in cucina!

Le equivalenze matematiche sono molto utili, anche dove meno te lo aspetti.. quanto sarà 10hg di farina? 1kg? 10kg? Meglio chiedere ai bambini…

Lallasagna e la ciambella al cioccolato 🍩


Ci risiamo! Anche oggi la cuoca Lallasagna ha combinato il solito pasticcio.
Dopo aver rovistato tutto il mattino nella soffitta ammuffita, finalmente ha ritrovato il vecchio libro di ricette “La regina della cucina”.

– Allora…ciambella alla vaniglia…ciambella all’arancia…no…ciambella al cioccolato, eccola! – esclama Lallasagna felice.
Domani è domenica, andranno a trovarla sua figlia con i nipotini Dora e Matteo: sono molto ghiotti di dolci e la torta sarà una vera sorpresa. Lallasagna mette gli occhiali e comincia a leggere a voce alta.

– Di facile preparazione…ingredienti: farina 0,3 Kg, cioccolato fondente 20000 cg, zucchero 2000 dg, 26 dag di uova a temperatura ambiente, 1,85 hg di olio di semi di girasole, latte intero 13500 cg, lievito in polvere 8000 mg, 1000 mg di sale. Che strane dosature…ero solita vederle in grammi… – borbotta la cuoca, leggermente confusa.

Ma oramai è decisa: la ciambella si farà.
Comincia a vagare in cucina alla ricerca delle pentole, degli ingredienti e soprattutto della bilancia, altrimenti come peserà i componenti?

– 0,3 Kg di farina… quanto sarà? 3 Kg forse? Ok…poi cioccolato fondente 20000 cg? Vorrà dire 2 Kg, certamente! Quante uova? 26? Mi sembrano tantine, comunque le dovrei tenere in cantina. Uno strano libro…uno strano libro… – pronuncia Lallasagna scuotendo continuamente la testa.

Nel frattempo suonano alla porta. E’ il postino Ugo che ha un pacco da consegnare.
Subito la cuoca ne approfitta per chiedere informazioni.

– Ugo, scusa, sto preparando una torta per i miei nipotini golosi, ma il ricettario è datato, sicuramente ha utilizzato una terminologia diversa per ciò che riguarda gli ingredienti… qui per esempio dice… 1,85 hg di olio di semi di girasole… secondo te, quanto potrà essere ad occhio e croce (sigh!)? – chiede Lallasagna.

– Beh, io non sono un grande intenditore, ma presumo all’incirca 1 litro e mezzo… poi non so se l’olio di semi di girasole è pesante come quello di oliva che uso per condire… magari pesa il doppio… o il triplo… oppure no… magari è vero il contrario… dai, fai 2 litri e non se ne parla più – risponde Ugo.

La cuoca ringrazia il postino e prosegue la preparazione del dolce.
– Latte intero 13500 cg …che vorrà dire? Boh… – e comincia a versare il latte a caso.
– Lievito in polvere 8000 mg …a mio avviso sono 8 etti – e giù con il lievito.
– Infine 1000 mg di sale… Ovvero 1 etto? Non sarà troppo? Ma se lo dice il ricettario… – pensa Lallasagna.

Comincia ad impastare fra loro tutti gli ingredienti nel grande pentolone.
Ben presto capisce che qualcosa non ha funzionato. La matematica, specie le equivalenze, non sono mai state il suo forte. Cuoca Lallasagna scoppia a piangere: domani cosa presenterà ai suoi nipotini Dora e Matteo?

Ci vorrebbe l’aiuto di qualche bambino…
Volete provare a risolvere le equivalenze e trasformare correttamente in grammi tutti gli ingredienti del ricettario? Forse Lallasagna è ancora in tempo per rimediare al danno culinario!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che serve per introdurre e chiarire alcuni concetti matematici, rendendoli protagonisti attivi di ciò che stanno ascoltando.

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La bambina che imparò a volare 🦋

La bellezza la si può trovare in un battito d’ali.

Questo racconto parla delle difficoltà che a volte incontrano quelle bambine che non sono proprio filiformi, ma racconta anche di come cercando di superare l’aspetto fisico si possa trovare le risorse per diventare più sicuri di sè.

La bambina che imparò a volare 🦋


Anna era una bella bimba di nove anni, con guance rosse e paffute, due grandi occhi azzurri e biondi capelli che le scendevano dolcemente sulle spalle.

Andava volentieri a scuola ed era molto brava, specie in matematica. Con le sue due migliori amiche, Gaia e Caterina, si divertiva a fare lunghe passeggiate in bicicletta, quando la stagione lo permetteva. Insieme frequentavano da poco un corso di danza, ma Anna non si sentiva per nulla a suo agio; un po’ invidiava le altre bambine, così magre, così aggraziate sulle punte dei piedi che parevano farfalle aleggiare sui fiori.

Già, perché Anna non era proprio filiforme e questo la faceva sentire goffa ed impacciata. I maschietti ogni tanto le lanciavano qualche battutina, mentre lei si sentiva sempre più a disagio. A danza era andata per fare compagnia alle sue due amiche del cuore, nonostante fosse un’impresa restare sulle punte e indossare quel buffo vestitino rosa che la faceva assomigliare ad un confetto. La mamma cercava di rassicurarla.

«Non farti problemi, amore. Quando crescerai diventerai una ragazza bellissima!» le diceva.
Ma Anna non si piaceva: quando lo specchio della stanza rifletteva la sua immagine, le spuntavano due lacrimoni.

«Quando diventerò grande! Voglio essere bella come la mia mammina!» singhiozzava la bimba.
Intanto, sognava ad occhi aperti di trasformarsi in una principessa magnifica.

Un giorno, mentre guardava fuori dalla finestra di casa e i suoi pensieri vagavano nel vuoto, passarono due grandi farfalle colorate. Così leggiadre, così belle, volteggiavano nel cielo limpido.

«Come siete belle, farfalline! Vorrei tanto anch’io imparare a volare e sentirmi leggera leggera» fece Anna.
«Veramente?» rispose una delle due farfalle.
La bambina rimase stupita, non credeva che gli insetti parlassero e ascoltassero quello che le persone dicevano. Le guardava meravigliata.

«Vieni con noi! Ti divertirai!» disse la seconda farfalla.
Ad un certo punto, dal cielo scese una polvere di stelle che andò ad appoggiarsi sulle spalle di Anna. La bimba cominciò a provare proprio lì un certo prurito: le stavano spuntando le ali!

«Adesso puoi volare insieme a noi! Dai!» fecero in coro le farfalle.
Anna iniziò a muovere le ali piano piano, fino a spiccare il volo. E via insieme alle due nuove amiche in alto nel cielo blu. Sorvolarono il piccolo paese, la chiesa, la scuola, la sua casa.

Non si era mai sentita così bene, così leggera, così felice. Venne l’ora di salutarsi, stava per arrivare la sera. Ogni giorno, per una settimana, le farfalle passavano a prenderla, attendendo la bimba vicino alla finestra della sua stanza. Questi voli resero Anna più graziosa, più sicura, più radiosa. Con il tempo divenne una bellissima ragazza e non dimenticò mai le sue amiche colorate, che l’avevano aiutata a realizzare un grande sogno.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che aiuta i piccoli ad apprezzarsi maggiormente, aumentando la loro autostima.

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La SuperMobile di Alessio 🦽

A volte la sfortuna capita, ma reagire e trovare le risorse per tornare felici si può, sempre.

Questo è un racconto per parlare ai bambini di amicizia e diversità, insegna ad apprezzare le persone per la propria unicità, valorizzando le differenze personali

La SuperMobile di Alessio 🦽


Quasi ogni pomeriggio, un gruppetto di bimbetti delle scuole primarie si riunisce nel parco adiacente il municipio del piccolo paese per giocare insieme.

C’è Federico, la mascotte; c’è Giacomo, il secchione; c’è Mattia, lo scatenato; c’è Alberto, il ghiottone; c’è Alessio, un sorriso contagioso, con la sua inseparabile SuperMobile. Già, perché Alessio, ha subito un incidente: da allora, non potendo più camminare, è costretto a vivere e spostarsi su una sedia a rotelle.

Certo, in un primo tempo è stata dura, vedere gli altri bambini correre, arrampicarsi, pedalare veloci come il vento sulla sella della loro bicicletta, mentre lui seduto su una carrozzina, impossibilitato a muovere le gambe. Dopo lunghi pomeriggi trascorsi tra lamenti e pianti, i famigliari, ma soprattutto, i cari amici, hanno dato ad Alessio la forza di reagire.

«Tu resterai per sempre Alessio il gran simpaticone, anche su una seggiola!» dice sorridendo Mattia.

«Siamo stanchi di vederti triste, vogliamo vederti sorridere, vogliamo ancora la tua allegria contagiosa!» esclama Giacomo.

«Da oggi in poi verrai con noi al parco, ti accompagneremo e ti staremo vicini» dice Alberto il ghiottone, masticando poi voracemente un pezzo di merendina al cioccolato.

«A pensarci bene…questa sedia con le ruote può fare di te un supereroe… se impari ad usarla nel modo giusto, sai cosa puoi farci! Cavolo! Può diventare la tua…SuperMobile!» urla Federico.

Ora Alessio non è più solo, può contare sui suoi SuperAmici.

Con la sua SuperMobile, al parco si diverte un mondo. Tra urla e schiamazzi, la sedia a rotelle si trasforma nell’arma del supereroe: accelera e frena sul sentiero di ghiaia alzando dietro sé una nuvola di polvere, piroetta sulle ruote creando un vortice, scende veloce come il vento attraversando il lungo viale alberato, sotto gli occhi degli amici inseparabili.

A volte, quando rientra nel tardo pomeriggio, mamma non può fare a meno di emettere qualche urlo disperato: la carrozzina è ricoperta da uno strato grigiastro di polvere e le rotelle ripiene di sassolini.

Ma ne vale la pena. Supereroe Alessio è ritornato il simpaticone del gruppo!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di rispetto, amicizia e tanta voglia di divertirsi tutti insieme.

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Curiosina, storia di una virtù 🔍

Un bel racconto che fa capire ai bimbi, ma anche ai genitori, come la curiosità sia una cosa preziosa e da coltivare con passione.

Non sempre è semplice rispondere a tutti i “perché, come mai, cos’è” eccetera che ogni giorno i nostri bimbi, spesso con incredibile insistenza,ci domandano. Ma se leggete questo racconto capirete che se i bimbi sono curiosi vuol dire che stanno cercando di crescere nel miglior modo possibile, non solo di statura, ma di testa!

Curiosina, storia di una virtù 🔍


Vi racconto la storia di una bambina speciale, che tutti, parenti e conoscenti, avevano finito per chiamare ‘Curiosina’. Quando, ad esempio, i nonni la incontravano, volevano sapere: “Come sta la nostra Curiosina?”. Lei aveva meritato quel soprannome perché non si vergognava di fare domande di ogni genere, delle quali alcune erano a volte imbarazzanti.

Se un’anziana signora le domandava: “Quanti anni hai, bella bambina ricciolina?”. Lei con le dita mostrava la sua età, ma subito dopo, a sua volta, era capace di chiedere: “E tu, vecchia signora, quanti ne hai?”. Se, poi, qualcuno voleva sapere il suo nome, lei non si nascondeva, come fanno tanti bambini, dietro la gonna della mamma o i pantaloni del papà, ma tranquillamente lo diceva e subito dopo domandava: “E tu come ti chiami?”.

Vedete, quello che lei aveva di speciale non era la curiosità, che non manca a nessun bambino, ma erano la sua mamma e il suo papà che rispondevano sempre alle sue domande, senza perdere la pazienza, anche alle più difficili, ad esempio come quella: “Che lingua parlano i pesci?”. Quanti di noi saprebbero dare una risposta?

I suoi genitori avevano, però, capito una cosa che molti adulti sembrano trascurare: i bambini sono nati da pochissimi anni e non conoscono il mondo che li circonda. E’ quindi normale che un bambino di due, tre, cinque od otto anni non sappia chi siano o come possano comportarsi tutte le persone che lo circondano o lo incontrano; oppure non sappia che cosa siano e come funzionino tutte le cose con le quali egli ha a che fare ogni giorno.

Non c’è nulla di strano che una bambina di tre anni, come Curiosina, possa domandare come facciano a muoversi, senza gambe, quelle cose bianche o grigie che si rincorrono nel cielo e che ogni tanto piangono lacrime dalle quali la mamma e il papa si riparano e lo riparano con gli ombrelli? Non parliamo poi dei bambini piccoli che vedono la loro cacca, depositata nel vasetto, la quale viene poi scaricata nel gabinetto, dove sparisce. Non pensate che sia un diritto del bambino informarsi dove vada a finire quel suo tesoretto?

Il fatto è che, in certi casi, i grandi sembrano non sapere che il mondo dei bambini è diverso dal loro. Bambini, fate come Curiosina, la quale, quando qualcuno le voleva far credere che i regali non li porta Babbo Natale, ma il papà e la mamma, si ribellava pestando i piedi e subito ribatteva: “Non è così, Babbo Natale esiste davvero!” Ricordate anche ai grandi che ogni risposta data ad un bambino, anche ad una che sembra assurda, aumenta la sua fiducia non solo nell’adulto, ma anche in se stesso. Ditelo ai grandi: “Chi dà risposte alle mie curiosità, mi rende più forte e coraggioso”. E verrà, allora, un giorno in cui quel bambino – come capitò a Curiosina – si sentirà tanto coraggioso che sarà capace di sfidare il buio e di entrare da solo in una camera dove la luce non è accesa, senza essere soffocato dalla paura.

Cari bambini, vi svelo adesso un segreto: non dimenticate neppure che non solo Curiosina aveva avuto paura dei tuoni o dei brutti sogni, ma anche i vostri genitori, quando erano piccoli. Domandateglielo se non è vero! E lo sapete perché ci sono anche dei grandi che soffrono di quelle due paure che ho appena nominato? Lo sapete? No? Ve lo dico io. Perché i loro papà e le loro mamme, non gli davano quelle risposte consolatorie di cui avevano bisogno; anzi, spesso, li prendevano in giro, ridendo delle loro paure. Anche Curiosina, si aspettava sempre una risposta: se non le rispondevano non si sentiva più sicura: si sentiva come abbandonata. Per questo, Lei voleva ad ogni costo una risposta. E per ottenerla si era inventata un trucchetto: ripeteva la domanda con voce piagnucolosa e aggiungeva: “Dai, tu sai tutto, dimmelo!”.

Il papà e la mamma di Curiosina non subito, ma dopo un po’, capirono che se non rispondevano alle curiosità della loro ricciolina, ella si rattristava come se fosse rimasta sola. Essi, allora impararono a rispondere sempre. Se poi non conoscevano la risposta esatta, non importava: la risposta se la inventavano come se questa fosse stata una fiaba. Curiosina si rassicurava subito e si rasserenava. A lei non importava che la risposta fosse giusta o sbagliata; lei voleva una risposta qualsiasi, come prova dell’attenzione della mamma e del papà verso di lei. Tutto questo non la faceva più sentire sola.

Quello di cui, Curiosina, come ogni bambino, aveva continuo bisogno, era la presenza rassicurante della mamma e del papà. Un modo per ottenerla è quello di domandare continuamente. Bambini non abbiate paura di domandare! Più avrete domandato più diventerete forti e più sarete capaci, quando sarete grandi, di soddisfare le vostre curiosità infantili.

Da quello che vi ho appena detto, cari bambini, sembra che il contenuto delle risposte che vi vengono date non sia molto importante. Non è proprio così. Adesso dovete stare attentissimi poiché sto per spiegarvi una cosa interessante.

Questa volta sono io a fare a voi una domanda. Dove credete che siano finite tutte le domande che voi avete fatte e le risposte che avete ricevute? Credete forse che siano volate in cielo subito dopo che la vostra curiosità è stata soddisfatta? No, miei cari! No, no! Esse sono rimaste tutte nella vostra testolina. Nel cassetto della vostra memoria. E li rimangono, finché, dopo qualche anno, quando non sarete più bambini piccoli, escono dal cassetto e si trasformano in desideri di controllare se vi era stata detta la verità. Volete un paio di esempi, che riguardano ancora una volta la storia di Curiosina?

La prima esperienza è legata a quando Curiosina, fin da bambina piccola, andava al mare durante le vacanze estive. Come tutti i bambini giocava con la paletta e il secchiello. Ma a lei piaceva, soprattutto, giocare a farsi rincorrere dalle onde che si frangevano sulla spiaggia. Grazie a questo gioco, prese una tale confidenza con il mare che ben presto imparò a nuotare senza paura. Quante volte, però, il pranzo e la cena con papà e mamma si trasformarono in un interrogatorio su che cosa fosse il mare! Non c’era risposta che potesse accontentarla. Ebbene, sapete come andò a finire? Quando ebbe compiuto quattordici anni, durante le vacanze estive al mare, Curiosina chiese ed ottenne – non senza qualche apprensione da parte dei suoi genitori – di poter fare un corso individuale di immersione subacquea nel quale, dopo aver minuziosamente interrogato il suo istruttore, poté spingersi ad esplorare i fondali della costa fino a trenta metri di profondità. Curiosina era entusiasta per il fatto di vedere dal vivo tante cose meravigliose. Finalmente tutte le sue domande avevano una risposta.

La seconda impresa di Curiosina, che segnò la sua vita e che creò più difficoltà a suoi genitori, mettendoli contro i pareri di familiari e conoscenti, ci riporta alla sua prima cena in un ristorante cinese, all’età di sette anni. Riuscite a vedere Curiosina che tempesta di domande non solo il papà e la mamma, ma anche tutto il personale del ristorante stesso, composto da quelle persone con gli occhi così strani e che parlavano fra loro in una lingua incomprensibile? La sua curiosità, anche per quei cibi così diversi dai suoi, non fu mai così grande come quella sera. Alla fine della cena, fece persino scrivere il suo nome in caratteri cinesi, sopra un foglio che volle incorniciato in un quadretto che poi appese alla parete vicina al suo letto.

Come credete che sia andata a finire questa volta? Sono sicuro che lo avete immaginato. Voglio, però confermarvelo. Sì, Curiosina, quando ebbe terminato le scuole superiori, decise di studiare la lingua cinese all’università. Ma c’è di più. Al termine del primo anno di studi, all’età di 19 anni, partì da sola per la Cina. Ce ne voleva di coraggio e di fiducia in se stessa! Ma ci voleva anche… un po’ di curiosità.

— Fine della fiaba —

fabulinis ringrazia Mauro Alfonso, nonno ed ex insegnante, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto dedicato ad uno dei doni più belli che si possa avere, la curiosità!

Il bosco degli alberi parlanti 🌲🌳

Lo sai che esiste un bosco dove gli alberi parlano tra loro?!

Se ascolti bene in silenzio e cerchi dentro al tuo cuore siamo sicuri che prima o poi anche tu troverai il bosco degli alberi parlanti.

Il bosco degli alberi parlanti 🌲🌳


Pochi bambini lo sanno, ma non molto lontano da qui, esiste un bosco dove crescono alberi particolari, dai grossi tronchi e ricoperti da rigogliose chiome di un verde brillante: sono alberi che parlano…

Alberi parlanti?

Si, ma bisogna ascoltare con attenzione e senza fare rumore, altrimenti non si sentirà nulla.

Appena arrivati, ci si deve addentrare lentamente nel bosco percorrendo i minuscoli sentieri. Durante il giorno, il sole penetra fra i rami degli alti alberi, illuminando di fili dorati il sottobosco.

A terra, tra la soffice e fresca erbetta, si possono scorgere le testine dei funghi, fiori colorati e piantine robuste cariche di mirtilli di un color nero bluastro; qui e là, cespugli rampicanti dove crescono succose more e rossi lamponi.

Al calar della sera, gli alberi parlano tra loro, parlano agli uccelli, agli scoiattoli, a tutti gli animaletti che popolano il bosco.

Mentre una dolce melodia si propaga tutt’intorno nell’aria e una leggera brezza muove le foglie, gli alberi parlano sottovoce.

Discutono dei tanti disastri che affliggono l’ambiente e la natura: dall’inquinamento atmosferico, dovuto alle emissioni di gas nocivi, all’abbattimento degli alberi per motivi di consumo, alla carenza idrica e siccità, poiché l’acqua è vita e oramai risorsa limitata, all’aumento dei rifiuti a causa del crescente progresso della civiltà. Gli alberi hanno paura…

Qualcuno dice che non esiste questo bosco, qualche altro, camminando tra i sentieri in silenzio e munito solamente di una torcia dalla luce fioca per non disturbare gli animaletti che dormono, sembra sia riuscito a sentire le voci di questi alberi.

Da tempo ho chiesto indicazioni su questo luogo magico, ma pare che nessuno lo conosca.

Io ho fiducia. Prima o poi lo troverò e potrò finalmente sentire le voci degli alberi parlanti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di ecologia e rispetto per l’ambiente.

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Carlotta e la rondine Maia 👧

Una bella fiaba per aiutare i bimbi a capire come le vere amicizie durano al di là del tempo e dello spazio che li separano.

Non sempre è semplice spiegare ai bambini, specie ai più piccoli, una perdita e/o una separazione; questo racconto ci viene in aiuto in maniera delicata.

Carlotta e la rondine Maia 👧


C’era una volta una bambina di nome Carlotta, che aveva la fortuna di abitare in campagna, immersa nel verde di prati e alberi, fiori e tanta aria sana.

Una calda giornata di primavera, mentre il sole brillava alto nel cielo, Carlotta vide passare sopra la sua testolina un gruppo di rondini. Rimase un attimo incantata, con la boccuccia aperta e il nasino all’insù. Poi iniziò a salutarle con la manina.

«Ciao belle rondini! Dove state andando?» domandò a voce alta.

Il gruppetto iniziò a volare sempre più in basso, fino a che una rondine, vedendo la bimba, si fermò vicino a lei, accomodandosi sul ramo di un gigantesco albero.

«Ciao bambina! Io mi chiamo Maia e vengo da molto lontano. Io e le mie compagne abbiamo dovuto andarcene, perché in quel luogo iniziava a fare freddo! Tu come ti chiami?» chiese la rondine.

L’un l’altra si guardavano con ammirazione e iniziarono a fare amicizia, raccontandosi tante belle storie. Ben presto Carlotta e Maia divennero inseparabili. Ogni giorno, la piccina attendeva l’amica rondine sotto l’ombra del maestoso albero carico di foglie, all’inizio del viale che conduceva alla sua casa di campagna.

Puntualmente Maia arrivava.
Passavano insieme tutta la giornata, rincorrendosi allegre lungo il viale polveroso. Prima di sera, la bambina faceva ritorno a casa e la rondine al suo nido. Il tempo scorreva e le giornate piano piano si accorciavano. Il caldo sole si era come assopito.

Un freddo giorno d’autunno, Carlotta attese invano la sua amica Maia e il giorno dopo pure. Della rondine nemmeno l’ombra.

Arrivò l’inverno e la bambina, nonostante la compagnia di tanti amici, pensava spesso a Maia, sentiva la sua nostalgia. A volte Carlotta passava interi pomeriggi a guardare fuori dalla finestra, con il nasino appiccicato al vetro, speranzosa di rivedere la sua rondine.

Cessò l’inverno e ritornò la primavera. Altre rondini arrivarono da paesi lontani. Carlotta riprese a passeggiare sul viale vicino a casa, aspettando, aspettando. Un mattino, una rondine vide la bimba da lassù e si avvicinò con prudenza.

«Ciao, tu devi essere Carlotta, giusto?» domandò.
Carlotta annuì.

«Sono Bella, un’amica di Maia. Maia quel giorno ha dovuto partire, all’improvviso, poiché qui cominciava a fare freddo. Non è fuggita, anzi, era molto triste per non averti potuto salutare. Quest’anno la sua famiglia ha cambiato destinazione… Mi ha parlato molto di te, Carlotta. Ti vuole un mondo di bene» spiegò la rondine.

A quelle parole, la bimba tirò un sospiro di sollievo. Dopo molti mesi, capì che Maia non l’aveva abbandonata, ma era stata costretta a migrare altrove con la sua famiglia.

«Grazie Bella! Quando rivedrai Maia, salutala tanto. Dille che mi manca. Nemmeno io la dimenticherò e la porterò sempre nel mio cuore» disse Carlotta alla nuova amica rondine
«Certamente» fece Bella alzandosi in volo.

Raggiunse le sue compagne e piano scomparì all’orizzonte, tra l’azzurro del cielo e i dorati raggi del sole.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di come essere lontani non vuol dire volersi meno bene o non essere più amici.

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Il gigante egoista 😡

Chi allontana da sè i bambini non può che diventare solo, vecchio e triste; e nel suo cuore albergherà soltanto un freddo inverno…

Questa fiaba si ispira al racconto originale di Oscar Wilde semplificandola un poco per farla apprezzare anche ai bimbi più piccoli.

Noi di fabulinis siamo d’accordo con l’autore: i bambini ci faranno anche dannare, questo è certo, ma portano luce e gioia nella nostra vita. Portano la primavera.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del gigante egoista!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il gigante egoista raccontata da Silvia!

Il gigante egoista 😡 storia completa


C’era una volta un gigante che era andato a trovare il suo amico orco e insieme avevano deciso di fare un lungo viaggio in giro per il mondo.
La casa del gigante aveva un grande giardino pieno di alberi e fiori, e tutti i bambini del paese, visto che lui non era più lì, avevano iniziato ad andarci a giocare ogni giorno.

Ma, dopo sette lunghi anni, il gigante ritornò. Vedendo tutti quei bambini giocare nel suo giardino, li cacciò via e decise di costruire un muro per impedire che tornassero di nuovo.
Una volta finito il muro, ci mise sopra un gran cartello con scritto “VIETATO ENTRARE” e si chiuse dentro casa.
Era inverno, e finalmente il gigante poteva godersi il suo bel giardino in santa pace e senza tutti gli schiamazzi dei bambini.

I bambini del paese ci rimasero molto male per il gesto egoista del gigante, ma non potevano farci nulla e dovevano trovare altri posti dove giocare. Ma nessun altro giardino era così bello come quello del gigante.

Arrivò la primavera e il gigante ogni giorno controllava che nel suo giardino non ci fossero bambini. Un giorno però si accorse di una cosa strana: fuori dal muro del suo giardino gli alberi e i fiori ricoprivano i prati e riempivano campi, mentre dentro al suo giardino pareva ancora inverno con ghiaccio e neve ovunque…

Il gigante, egoista com’era, fece finta di niente e continuò a vivere rinchiuso dentro le mura del suo giardino.
Ma anche l’estate arrivò e dentro il giardino del gigante imperversava ancora l’inverno. Senza i bambini il suo giardino si era rifiutato di tornare vivo e pieno di fiori!

Il gigante, con tutto quel continuo freddo finì per ammalarsi, e passava le sue giornate a letto, controllando sempre dalla finestra che nel suo giardino non ci fossero bambini.

E arrivò l’autunno e poi un altro inverno, finché il gigante, sempre più malato, sentì il canto di un uccellino.
Era quasi primavera e al gigante quello era sembrato il canto più bello del mondo.
Si alzò a fatica per vedere da dove arrivasse quella melodia e notò un uccellino fermo sul davanzale che cantava felice.

Il cuore del gigante si riempì di felicità: finalmente anche nel suo giardino gli uccellini erano tornati a cantare! Poi si sporse e guardò giù nel suo giardino.
C’erano tre bambini che giocavano felici, e ovunque correvano facevano sparire il ghiaccio e la neve dal suo giardino, riportando i fiori e l’allegria.

I tre bambini avevano fatto un buco nel muro e si erano intrufolati dentro, ma il gigante finalmente aveva capito: era solo grazie a loro se adesso anche nel suo giardino era tornata la primavera e gli uccellini avevano ripreso a cantare.
Il gigante scese in giardino. I bambini, quando lo videro, scapparono terrorizzati e si nascosero dietro il tronco di alcuni alberi.

Ma il gigante li rassicurò subito:
– Non voglio farvi del male bimbi miei, anzi, voglio ridarvi tutto il mio giardino!
E prese subito a buttare giù il muro che aveva costruito.
Man mano che lo buttava giù, invece di sentirsi stanco, si sentiva sempre più pieno di forza e vigore, ed il suo cuore si riempiva di gioia.

Tra i bambini del paese si sparse subito la voce che il gigante era diventato buono, e il suo splendido giardino si riempì di nuovo di bambini festanti.
Il gigante finalmente si sentiva felice passando le giornate a giocare insieme ai bambini. E da quel giorno in quel giardino fu sempre primavera.

⚜ Fine della fiaba ⚜

🖌 scarica il disegno da colorare del gigante egoista! 🎨

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scarica il disegno da colorare del gigante egoista

Il pesciolino d’oro 🐟

Chi troppo vuole, nulla stringe! Dice il proverbio…

Il pesciolino d’oro è una fiaba di origini russe trascritta originariamente da Aleksandr Pushkin, e ci insegna ad essere contenti di ciò che si ha anche se si tratta di una vita povera e tranquilla, perché ad esagerare con le richieste spesso si rischia di rimanere solo con un pugno di mosche in mano.

Un avvertimento importante per i bimbi che magari fanno troppi capricci…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del pesciolino d’oro!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il pesciolino d’oro raccontata da Silvia!

Il pesciolino d’oro 🐟 storia completa


Ivan era un vecchio pescatore che viveva in una capanna vicino al mare, con sua moglie. Ogni giorno andava a pescare, mentre la moglie restava a casa a filare la lana e fare tutte le faccende domestiche.

Un giorno, però, la pesca andò peggio del solito. Al primo tentativo trovò nella rete solo uno scarpone rotto, al secondo un po’ di fango. Al terzo c’era un unico pesce.
“Meglio che niente” pensò Ivan.
Guardandolo meglio, però, si accorse che quello era un pesce veramente strano, diverso da quelli che aveva sempre visto: era tutto dorato.

Stava cercando di liberarlo dalla rete quando sentì una voce dire: – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan si guardò intorno, cercando di capire chi avesse parlato, ma non vide nessuno. Allora tornò a girarsi verso il pesce, il quale ripeté – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan sobbalzò: un pesce parlante non l’aveva davvero mai visto!

Un po’ confuso riuscì solo a dire: – Non mi serve niente, caro pesciolino. Io e mia moglie stiamo bene così. Ti lascio andare senza chiederti in cambio niente.
Il pesce d’oro si rituffò in acqua con un gran salto, ma mentre si allontanava gridò al pescatore: – Grazie, Ivan, non dimenticherò il tuo gesto. Se ti dovesse servire qualcosa, devi solo venire a chiamarmi.

Ivan tornò a casa e raccontò alla moglie l’incontro insolito.
Quella, dopo averlo ascoltato, si arrabbiò moltissimo e lo sgridò: – Non hai chiesto niente? Guarda la nostra casa, è una capanna! Potevi almeno chiedere che fosse trasformata in una casetta di mattoni con dentro il camino. Torna al mare, chiama il pesce e chiedigli questo favore!

Ivan era frastornato: lui pensava di aver fatto una bella cosa a liberare il pesce, ma la moglie forse aveva ragione a volere una casa fatta di mattoni. Così andò a chiamare il pesce d’oro.
– Ciao pesciolino, scusa se ti disturbo, ma mia moglie vorrebbe una casetta di mattoni con dentro il camino. E’ troppo tardi per chiederti di esaudire questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Ivan tornò dalla moglie e trovò davvero una graziosa casa di mattoni.
Era tutto contento, ma pochi giorni dopo la moglie cominciò a lamentarsi: – Già che c’eri potevi chiedere di farci diventare dei nobili. Io sono stanca di essere la moglie di un povero pescatore, mi merito molto di più.
Ivan, pur di farla contenta, tornò a chiamare il pesce.

– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti. Mia moglie vorrebbe essere una nobildonna, è troppo tardi per chiederti anche questo favore?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Una grossa sorpresa aspettava Ivan al suo ritorno a casa: la casetta di mattoni non c’era più, al suo posto c’era un palazzo e sua moglie, vestita tutta elegante, lo aspettava insieme a servi e maggiordomi.
Ivan era contento e voleva abbracciarla, ma lei lo cacciò via e lo fece mandare in cucina a pelare patate.

I giorni passavano, finché la moglie capricciosa non lo fece chiamare e gli disse:
– Devo assolutamente diventare regina. Non sopporto di essere una nobile qualunque, voglio che tutto il popolo si inchini quando passo per la strada, voglio viaggiare in carrozze con cavalli e partecipare a feste con tutti i sovrani d’Europa.
– Ma, cara, non stai forse esagerando? Non eri felice quando vivevamo nella nostra capanna? In fondo non ci è mai mancato nulla…
–Zitto! – gridò lei. – Sono sicura che sarei un’ottima regina, perciò vai dal pesce e digli di esaudire questo mio desiderio.

Ivan era davvero perplesso, sua moglie stava esagerando secondo lui. Ma le voleva molto bene e tornò quindi a chiamare il pesce.
– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti, ma mia moglie adesso vuole essere regina. Io gliel’ho detto che sta esagerando, ma lei è sicura che sia la cosa migliore…
– Davvero vuole essere regina? Non è un capriccio troppo grosso? – chiese il pesce.
– Secondo me sì, ma le voglio molto bene, perciò ti chiedo: è troppo tardi per esaudire anche questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi. Però avvisala: se solo proverà a desiderare qualcosa di ancora più grande, si ritroverà in un batter d’occhio al punto di partenza, cioè nella capanna sulla spiaggia. Dille di fare attenzione…
Così detto, il pesce gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

Ivan questa volta trovò un castello al posto del palazzo. Servitori e dame di compagnia giravano dappertutto e lui non trovava il modo di parlare con sua moglie.
Lei era sempre troppo impegnata in feste e ricevimenti o in passeggiate a cavallo o in riunioni importanti riguardo le sorti del paese, e lo cacciava sempre via. Finalmente Ivan riuscì a riferirle l’avvertimento del pesce, ma lei lo liquidò con un – Sì, sì, figurati se è vero… – e tornò alla sua vita di regina, ogni giorno più capricciosa.

Finché un giorno lo mandò a chiamare e gli disse: – E’ ora che io sia imperatrice. Il mondo intero deve sapere che donna importante sono e mi deve rendere omaggio…
Ma non fece in tempo a finire la frase che… puff!
Tutto era scomparso e i due erano di nuovo nella capanna sulla spiaggia, con dentro solo le reti da pesca di Ivan e il pentolone per cucinare la minestra.

La moglie di Ivan andò su tutte le furie, già si immaginava imperatrice e invece era di nuovo la moglie di un povero pescatore. Piano piano, però, la rabbia le passò, capì di aver veramente esagerato e tornò alle sue normali faccende domestiche.

Ivan andò in riva al mare e ringraziò il pesce per avergli ridato la sua vita, povera ma tranquilla.
Il pesce non si avvicinò, ma da lontano gli gridò: – Hai visto? Tutto si è sistemato!
Gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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