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Autore: William

Il cavallo e l’asino 🐎

“L’unione fa la forza” dice il proverbio, e condividere le fatiche con qualcun altro è sicuramente un vantaggio per tutti…

E’ difficile che i bambini collaborino tra di loro (e soprattutto con noi genitori) per fare qualcosa di faticoso, ma questa favola di Esopo aiuta a spiegare ai bambini che dare una mano a chi è in difficoltà non solo è un bel gesto, ma potrebbe forse evitare a tutti di fare uno sforzo più grande in futuro.

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del cavallo e l’asino!

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il cavallo e l’asino raccontata da Silvia!

Il cavallo e l’asino 🐎 storia completa


C’erano una volta un cavallo e un asino che vivevano nella tessa stalla.
Il loro padrone voleva bene ad entrambi, e non mancava mai di attenzioni verso ciascuno di loro.
Però, quando si trattava di portare i sacchi di farina da vendere giù al mercato, sulla groppa del cavallo, fiero ed altezzoso, ne caricava solo un paio, mentre sulla groppa dell’asino buono e mansueto, ne caricava molti di più.

All’asino andava bene così, lui ci era abituato e sapeva che quello era il suo lavoro. In più ammirava veramente la bellezza del cavallo, e quindi si era convinto che fosse giusto preservare il suo splendore non caricandolo di troppi pesi.

Un giorno però, andando al mercato, il loro padrone non si rese conto di aver caricato troppo l’asino, così che dopo pochi chilometri l’asino cominciò a camminare con fatica.

Il padrone purtroppo era tutto preso dal parlare con un suo amico che faceva la stessa strada, e non si rese conto di quanta fatica facesse l’asino, così l’asino si rivolse al cavallo.

– Cavallo, amico mio – disse l’asino – mi potresti dare una mano? Ho il fiato corto e faccio fatica a camminare, prenderesti uno dei miei sacchi di farina?
Il cavallo lo guardò a malapena e fece finta di non aver sentito.

L’asino continuò il suo faticoso cammino sbuffando.
Dopo un po’ però le gambe gli cominciarono a traballare.
– Cavallo, amico mio, ti prego dammi una mano, non ce la faccio a portar tutto questo peso, tra poco cadrò…
– Se il padrone ti ha caricato di tutti quei sacchi è perché sa che li puoi portare – rispose stizzito il cavallo.

L’asino abbassò la testa e continuò a camminare.
Ma non ce la faceva davvero più.

– Cavallo amico mio, ti supplico, prendi almeno uno dei miei sacchi e aiutami.
– No! – rispose secco il cavallo – tieniti i tuoi sacchi e non mi disturbare più!
E, per sottolineare il fatto che non lo avrebbe aiutato, allungò il passo distanziandolo di una decina di metri.

L’asino allora decise che ne aveva abbastanza e si lasciò cadere al suolo con un sordo tonfo.
Solo allora il padrone si accorse di quello che stava succedendo.

– Povera bestia mia, che stupido sono stato a caricarti di così tanti sacchi, aspetta ora te li tolgo di groppa – e così fece.
– Tieni anche un po’ d’acqua e riposati qui all’ombra dell’albero – continuò il padrone.
Finalmente l’asino aveva un po’ di pace e ristoro.

– Cavallo, vieni qua! – ordinò il padrone – ora i sacchi di farina li porterai tutti tu!
Il cavallo spazientito ed infuriato per la cosa non poté che obbedire al padrone che gli caricò sulla groppa tutti i sacchi di farina.
“Che stupido che sono stato” pensò il cavallo “Se avessi ascoltato l’asino e l’avessi aiutato prendendomi uno dei suoi sacchi di farina, adesso non farei tutta questa fatica…”

E proseguirono il viaggio, il cavallo sbuffando dalla fatica e della sua stupidaggine, e l’asino finalmente con la groppa libera e senza pesi godendosi la passeggiata fino al mercato.

Morale della favola: meglio condividere le fatiche con gli altri prima che tutte le fatiche ricadano solo su di noi.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La cornacchia vanitosa 🐦

Se la natura ti ha fatto nascere cornacchia, è inutile che cerchi di essere un pavone… meglio essere sé stessi e volersi bene per quello che si è.

La cornacchia vanitosa spiega come sia inutile cercare di somigliare a qualcun altro, anche se ci piacerebbe tantissimo, ma è meglio imparare ad apprezzare se stessi e le caratteristiche che ci contraddistinguono.

E’ una delle più famose favole di Esopo, conosciuta anche con il titolo “La cornacchia e le piume del pavone” nella versione di Fedro.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della cornacchia vanitosa!

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La cornacchia vanitosa 🐦 storia completa


C’era una volta una cornacchia, tutta nera. Un giorno, mentre volava sopra il bosco, vide su un prato dei bellissimi pavoni. Si fermò quindi sopra il ramo di un albero ad ammirarli.

I pavoni si accorsero presto che la cornacchia stava appollaiata lì sul ramo ad osservarli, e, da gran vanitosi che erano, fecero tutti la ruota con la coda.
La cornacchia, abbagliata dalla bellezza della loro coda, volò via.

Andò così a specchiarsi nell’acqua dello stagno, e si vide così brutta che decise di non mostrarsi più in giro per la vergogna.

Invidiosa del magnifico comportamento e delle splendide piume dei pavoni, iniziò a spiarli ogni giorno in gran segreto, da un albero un po’ più nascosto del precedente.
La cornacchia si accorse così che, sparse per il prato, c’erano delle penne cadute dalle code dei pavoni e lasciate lì sul prato. Decise, quindi, di aspettare il tramonto per poterle andare a prendere di nascosto.
Non appena riuscì a raccoglierne cinque, volò via e andò a nascondersi in un posto riparato, dove con un po’ di colla le attaccò alla sua coda.

Il mattino dopo andò ad ammirare nelle acque dello stagno la sua nuova coda di pavone, pensando: “Adesso sono anche io bella come i pavoni. Andrò dalle mie compagne cornacchie e le farò morire di invidia!”.
La cornacchia andò quindi dalle sue compagne, che, vedendola, iniziarono veramente a morir d’invidia. Quella coda con le penne di pavone era davvero bellissima.

Purtroppo, però, l’arroganza della cornacchia non la trattenne dal prendere in giro le sue compagne, dicendo loro che erano brutte e con le penne spelacchiate.
Le compagne cornacchie, arrabbiate come non mai, la cacciarono via a beccate, dicendole di non farsi più vedere.

La cornacchia volò via, e andò a consolarsi sul ramo d’albero da cui guardava di solito i pavoni.
“Le mie compagne cornacchie non mi meritano” pensò, “meglio andare a vivere con i pavoni. Siccome ormai sono bella come loro, non saranno invidiosi”.
E così la cornacchia volò sul prato in mezzo a tutti i pavoni, salutandoli felicemente.

Ma i pavoni, vedendo arrivare in mezzo a loro questa cornacchia spelacchiata, con in più attaccate alla sua coda alcune delle loro bellissime penne, rubate chissà quando, non la presero molto bene.
Iniziarono a correrle dietro per scacciarla dal loro prato e cercavano anche di beccarla. Alla fine la cornacchia dovette prendere il volo ed andare via.

Umiliata e triste, la cornacchia si staccò le penne di pavone dalla coda, e con la testa bassa, tornò dalle sua compagne cornacchie che ridendo e scherzando la accolsero di nuovo tra loro, perché erano le sue amiche di sempre.

Morale: non bisogna cercare di somigliare a qualcun altro ma apprezzarsi per ciò che si è.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il cervo e il leone 🦌🦁

Se una tua caratteristica fisica proprio non ti piace, forse non hai ancora capito come sfruttarla al meglio.

Questa favola di Esopo è più nota come “Il cervo alla fonte e il leone”, e dà una lezione importante: la bellezza e la forza fisica non sempre ci aiutano, mentre alcune nostre caratteristiche che ci sembrano più fragili possono addirittura salvarci la vita dai pericoli. Noi di fabulinis abbiamo cercato di rendere questa favola il più possibile adatta per tutti i bambini.

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Il cervo e il leone 🦌🦁 storia completa


C’era una volta, in una grande foresta, un bellissimo cervo, con delle maestose corna tutte ramificate.

Il cervo era talmente orgoglioso delle sue corna, così belle, grandi e ben proporzionate, che andava spesso al laghetto per ammirarle specchiandosi nelle sue acque.
Passava ore e ore a guardare il suo riflesso nell’acqua, ogni giorno sempre più fiero.

Il cervo, però, non poteva proprio sopportare di vedere quelle maestose corna e quel corpo atletico tenuti su da delle zampe così magre e ossute. Faceva veramente fatica ad accettare quel contrasto.

Un giorno però, mentre era al laghetto tutto intento a specchiarsi, sentì un rumore insolito. Alzò lo sguardo e vide a qualche decina di metri da sé, un leone.
Il leone lo stava guardando dritto negli occhi e ad un certo punto ruggì con forza.
Il cervo capì immediatamente che doveva fuggire il più velocemente possibile, altrimenti il leone gli sarebbe saltato addosso con un paio di balzi.

Così il cervo fece uno scatto e si addentrò nella foresta.
Il leone non fu da meno e si diede subito all’inseguimento del cervo.

Il cervo conosceva bene tutti i sentieri del bosco, e sapeva che, se voleva salvarsi, avrebbe dovuto portare il leone verso la montagna, dove un torrente aveva scavato una profonda gola che lui avrebbe potuto saltare, mentre il leone non ci sarebbe mai riuscito.
Ma il leone lo inseguiva con balzi sempre più grandi, e si stava avvicinando sempre di più.

Il cervo capì che, se continuava a correre in quel modo, il leone gli sarebbe stato addosso in pochi balzi. Così iniziò a zigzagare per tutto il bosco, saltando siepi e arbusti grazie alle sue zampe snelle e scattanti.
Il leone iniziò ad essere in difficoltà. Finché si trattava di correre dritto, poteva raggiungere facilmente il cervo. Ma ora la sua preda continuava a saltare a destra e a sinistra ininterrottamente, e lui non riusciva ad avere la stessa agilità.

Il cervo a poco a poco guadagnava terreno sul leone, finché ecco! Vide le prime rocce della montagna!
Il cervo sapeva che poteva mettersi in salvo, doveva solo arrivare al torrente e saltare dall’altra parte della riva.
Il leone intanto iniziava a dare i primi segni di cedimento, ma non si era ancora dato per vinto.
Finché il cervo, arrivato al torrente, raccolse tutte le forze che gli rimanevano e… Hoop! Con le sue agili zampe posteriori spiccò un balzo che lo portò dall’altra parte della riva.
Era in salvo.

Il leone arrivò alla riva del torrente e si fermò bruscamente. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a saltare dall’altra parte.
I due si fissarono a lungo negli occhi, sapendo entrambi che la caccia era stata solo rimandata ad un altro giorno. Poi il leone si voltò e andò via lentamente.

Il cervo, col cuore ancora in gola, guardò giù nel torrente. C’era un punto in cui si formava una pozza e l’acqua era più ferma. Il cervo vide la sua immagine, con le esili e snelle zampe che facevano tanto contrasto con le corna grandi e maestose.
Quelle zampe per lui così brutte e tanto denigrate, però, lo avevano appena tratto in salvo dal leone.
Le sue corna erano sicuramente meravigliose, ma le sue zampe, anche se non erano la parte più bella del suo corpo, erano la cosa più utile ed efficace che possedeva.
Decise quindi di non criticarle più, anzi di averne molta cura.

Da quel giorno smise perciò di guardarsi nelle acque del laghetto, e non dimenticò mai la lezione imparata quel giorno.

Morale: le cose che ci sembrano inutili, a volte, si rivelano piu’ utili di quanto si potesse mai immaginare.

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La lepre e la tartaruga 🐇🐢

“Chi va piano va sano e va lontano” dice il proverbio…

La lepre e la tartaruga è una favola che ci dà due importanti insegnamenti: il primo è che non bisogna mai sottovalutare gli altri avendo la presunzione di essere migliori, il secondo è che con calma e pazienza si possono raggiungere molti traguardi.

Questa favola l’ha scritta Esopo secoli fa, ma il suo insegnamento è molto valido ancora oggi.

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La lepre e la tartaruga 🐇🐢 storia completa


C’era una volta una lepre che si vantava di correre più veloce di tutti quanti, e ogni volta che poteva prendeva in giro la povera tartaruga, che invece camminava sempre piano piano.
– Guarda come sei lenta! – le gridava – nel tempo in cui tu fai un passo, io sono già dall’altra parte del bosco!
La tartaruga non faceva troppo caso alle parole della lepre, e continuava tranquilla per la sua strada.

Un giorno la lepre era più antipatica del solito, e anche la buona e brava tartaruga alla fine si decise a risponderle.
– Non vantarti troppo, anche la lepre più veloce del mondo può essere battuta, sai?
– Ah sì? E da chi mai potrei essere battuta? Vuoi provare a battermi tu?
– Perché no?! – rispose la tartaruga.
– Allora ti sfido! – disse la lepre mettendosi a ridere di gusto.

Il giorno dopo, al mattino presto, i due si incontrano, si misero d’accordo sul percorso da fare e, dopo uno sguardo di sfida, partirono come due missili verso il traguardo.
Solo che la lepre, dopo un paio di balzi, si rese conto di essere talmente avanti rispetto alla tartaruga che decise di fermarsi: la tartaruga aveva fatto solo pochi centimetri.
La lepre quindi, vedendo quanto era lenta la sua avversaria, decise di fare un sonnellino, tanto in un paio di balzi l’avrebbe sicuramente ripresa.

Dopo un po’ si risvegliò di soprassalto: aveva sognato che la tartaruga era già al traguardo! Cercò subito con lo sguardo la sua avversaria ma la vide pochi metri più in là, nemmeno a un terzo del percorso. La lepre si rilassò subito e, certa ormai che la tartaruga non avrebbe mai potuto vincere vista la sua lentezza, pensò di andare a fare uno spuntino.
Ogni tanto seguiva con lo sguardo la tartaruga, ma era già mezzogiorno e la tartaruga era a poco più di metà del percorso.

La lepre decise, quindi, di andare a pranzare da alcuni suoi amici. Mangiò e si divertì a parlare con loro del più e del meno senza preoccuparsi: la tartaruga era ancora molto lontana dall’arrivo…
Dopo mangiato, e tranquillizzata dalla grande lentezza dell’avversario, la lepre decise di fare un altro sonnellino, decisamente più tranquillo del precedente.

Anche fin troppo tranquillo, perché quando si svegliò stiracchiandosi, era già il tramonto!
Venne presa dal panico. Cercò disperata la tartaruga, ed eccola là: era a pochi centimetri dal traguardo!
La lepre partì come una furia, correndo disperata per riagguantare la tartaruga, ma ormai era troppo tardi: quando arrivò al traguardo la tartaruga era già lì ad aspettarla.

La lepre capì di aver sottovalutato quella sfida, e che in realtà avrebbe dovuto impegnarsi di più. Per essere davvero sicura di vincere, avrebbe dovuto arrivare subito al traguardo, così poi poteva andarsene dove voleva.
– Non essere triste amica mia – le disse la tartaruga – tutti possiamo perdere una volta nella vita, e comunque ricordati che chi va piano, va sano e va lontano!

Morale: se si è troppo presuntuosi e si crede di essere migliori degli altri, si rischia di restare senza niente in mano… ma c’è un altro insegnamento: a volte ci vuole molta calma per ottenere ciò che si desidera.

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Il topo di città e il topo di campagna 🐁🐀

Non si è mai contenti di quel che si ha e di dove si vive, ma chi lascia la via conosciuta per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che trova…

Il topo di città e il topo di campagna, nella sua versione originale di Esopo (e poi di Orazio), racconta le avventure di due topini, uno di città e l’altro di campagna che, entrambi stufi della loro vita, stressante per uno, noiosa per l’altro, decidono di fare scambio di casa. Ma non sanno a che guai vanno incontro e quanto sia difficile vivere in un posto di cui non si conosce nulla!

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Il topo di città e il topo di campagna 🐁🐀 storia completa


C’era una volta un topino che viveva in città, e che un giorno decise di fare una gita in campagna.
Era stufo della vita frenetica che faceva ogni giorno e voleva rilassarsi un po’ tra i prati verdi e all’ombra di qualche grande albero.

Mentre riposava tranquillo, passò di lì un topino di campagna.
– Buongiorno – gli disse il topino di campagna.
– Buongiorno a te! – rispose il topino di città. – Sei di queste parti?
– Certamente, abito con la mia famiglia un po’ più in là, vicino a quel boschetto.
– Come ti invidio… – gli disse il topino di città – tu stai qui tranquillo e sereno senza preoccupazioni, io invece devo correre tutto il giorno di qua e di là per non farmi prendere!

– Ma scusa, tu da dove vieni? – chiese incuriosito il topino di campagna.
– Vengo dalla città.
– Ma allora sei tu quello fortunato! Lì in città avete tutte le comodità del mondo e anche cibo in abbondanza! Qui ci sono periodi in cui si fa la fame…

– Guarda amico mio, ti propongo uno scambio. Io vengo a vivere qui in campagna e tu vai a vivere da me in città, ci stai?
– Va bene, ci sto! – rispose tutto contento il topino di campagna.
E così i due si avviarono alle rispettive nuove case.

Al topino di città non sembrava vero di poter finalmente stare tranquillo per un po’, senza dover correre dalla mattina alla sera. Per il topino di campagna, il solo pensiero di avere una dispensa piena di cibo, da poter usare a proprio piacimento, era più di un sogno che si realizzava.
Il topino di città, all’inizio, trovava anche divertente il dover andare a caccia ogni giorno di un piccolo pezzo di formaggio o il doversi ingegnare su come raccattare una briciola di pane. In città aveva messo su grasso in abbondanza e aveva un po’ di pancetta da smaltire.

Invece il topino di campagna, finalmente, non doveva più preoccuparsi di dover ogni giorno trovare un modo per riempirsi la pancia: bastava entrare in cucina e servirsi. L’unico inconveniente era il dover stare attento al padrone di casa, a sua moglie, ai due figli e ai tre terribili gatti che in ogni momento cercavano di fargli la pelle.

I giorni e le settimane passavano. Dopo un mese, il topino di città iniziò a rimpiangere le grandi abbuffate che faceva a tutte le ore del giorno. Adesso era già tanto se raggranellava qualche pezzettino di pane raffermo o una fetta di formaggio ammuffita.
Il topino di campagna, invece, non ne poteva più di rischiare la vita ogni volta che entrava in cucina per rubare un pezzettino di formaggio: il batticuore e la paura erano troppo per lui.

Così decisero entrambi di ritornare indietro da dove erano venuti e si incontrarono a metà strada.
– Ciao amico topo di campagna!
– Ciao amico topo di città!
I due si abbracciarono, e si ringraziarono per le esperienze che avevano potuto fare scambiandosi la casa. Soprattutto, avevano imparato ad apprezzare ciò che possedevano e che era inutile essere invidiosi l’uno dell’altro. Giurarono solennemente che sarebbero rimasti per sempre amici e ciascuno, felice, corse veloce a casa sua.

Morale: meglio una vita più semplice ma serena, che una vita brillante ma piena di pericoli.

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Al lupo! Al lupo! 🐺

Gli scherzi sono una cosa bellissima, ma non bisogna esagerare, sennò alla fine nessuno ti prende più sul serio e si rischia di fare una brutta fine…

Come insegna la morale della favola Al lupo al lupo, conosciuta anche come Lo scherzo del pastore, a forza di dire le bugie non si viene più creduti neanche quando dice la verità.

E’ una delle favole di Esopo più famose, noi di fabulinis abbiamo preparato una versione perfetta da raccontare ai bambini a cui scappa qualche piccola bugia di troppo…

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Al lupo! Al lupo! 🐺 Storia completa


C’era una volta, in un piccolo paesello in mezzo alla campagna, Loris, un pastorello un po’ monello. Lui si divertiva sempre a fare un sacco di scherzi.

Da qualche giorno, però, alcuni cacciatori avevano avvistato nel bosco vicino al paese un grosso lupo, che si aggirava in cerca di cibo. Quella notte, infatti, dal gregge di un vicino erano sparite delle pecore, molto probabilmente prese e mangiate dal lupo.

Il giorno seguente, suo papà decise che per Loris era giunto il momento di dare una mano al lavoro in fattoria. Gli disse quindi di fare la guardia al suo gregge di dieci pecore, durante la notte.
Non doveva far altro che stare nella parte alta del fienile, dove nessun lupo sarebbe potuto arrivare. Se per caso avesse sentito dei rumori strani o addirittura fosse riuscito a vederlo, avrebbe dovuto correre in strada e gridare “Al lupo! Al lupo!”. Così anche i vicini sarebbero accorsi e avrebbero dato una mano ad acciuffarlo.

Loris, da bravo ragazzo, quella sera si mise a guardia delle pecore, ma il tempo passava e non succedeva niente.
– Uffa! Io qui mi annoio…
Una pecora lo guardò belando: Beee…
Loris le fece la linguaccia, e continuò a sorvegliarle.

Le ore sembravano non passare mai, le pecore dormivano tranquille, ma del lupo non c’era nessuna traccia.
La noia era talmente tanta che si stava per addormentare, quando gli venne in mente uno scherzo che avrebbe divertito tutto il paese.

Scese giù dal fienile e corse in strada gridando – Al lupo! Al Lupo! – e in men che non si dica mezzo paese era già uscito dalle proprie case col forcone in mano, pronto a dar la caccia al lupo.
Suo papà gli corse incontro e gli chiese:
– Dimmi ragazzo mio, dove hai visto il lupo?
Loris, sorpreso da tanto trambusto, non sapeva cosa rispondere.
– Scusatemi tutti, mi stavo annoiando tanto a far la guardia alle pecore che ho pensato di farvi uno scherzo…

Gli abitanti del paese, un po’ arrabbiati per essere stati tirati giù dal letto a quell’ora della notte, ma sollevati dal sapere che non c’era il lupo, tornarono borbottando nelle loro case.
E Loris tornò a far la guardia alle pecore, tutto contento e divertito per lo scherzo ben riuscito.

La notte seguente fu uguale. Loris si annoiava talmente tanto che, ad un certo punto, decise di replicare lo scherzo della notte precedente. Corse di nuovo in strada gridando – Al lupo! Al Lupo! – e in men che non si dica mezzo paese era già uscito dalle proprie case col forcone in mano, pronto a dar la caccia al lupo.
– Dimmi ragazzo mio, dove hai visto il lupo? – gli chiese suo papà.
– Scusatemi tutti, mi stavo annoiando tanto a far la guardia alle pecore che ho pensato di farvi uno scherzo…

Questa volta gli abitanti del paese la presero meno bene, e il suo papà, dopo averlo sgridato sonoramente, lo rimandò di corsa a far la guardia al fienile.
Ma per Loris era troppo divertente veder uscire di casa in pigiama tutti i suoi vicini, così decise di continuare a fare lo scherzo ogni santa notte.

Solo che dopo un po’ la gente, stufa di questo stupido scherzo, non lo stava più ad ascoltare. Si girava nel letto e continuava a dormire.

Finché, una notte, Loris corse ancora in strada gridando – Al lupo! Al lupo! – ma nessuno si degnò di uscire di casa.
Così rimase triste e solo in mezzo alla strada, il suo scherzo ormai non funzionava più. Ritornò quindi al suo fienile e si mise comodo sulla paglia a far la guardia alle pecore.

Ma poco dopo sentì uno strano rumore provenire da fuori, si alzò per guardare meglio verso la porta e cosa vide? Il lupo! Era entrato nel suo fienile!

Loris finalmente poteva dare dimostrazione della sua bravura e del suo coraggio, scese dall’altra parte del fienile e corse in strada gridando – Al lupo! Al lupo! – con tutta l’aria che aveva nei polmoni, ma nessuno, anche stavolta, si degnò di uscire di casa.
– Al lupo! Al lupo! – continuò a gridare il povero Loris. Ma nessuno ormai credeva più alle sue parole.
– Al lupo! Al lupo! – si sgolò Loris.
– Loris, piantala! – gli gridò uno dei vicini.
Fu allora che Loris capì che nessuno lo avrebbe ascoltato, proprio ora che invece stava dicendo la verità.

Loris sapeva di averla fatta grossa questa volta, perché infatti quando tornò a controllare il fienile, le pecore non c’erano più! Il lupo le aveva portate via tutte!
E adesso chi lo sentiva il papà?!

La sgridata per Loris fu esemplare. Loris promise solennemente di non dire mai più bugie e di smetterla di fare scherzi di cattivo gusto come quello, perché, quando ci sono in giro i lupi, non si scherza!

Morale della favola: a forza di dire le bugie non si viene più creduti neanche quando dice la verità.

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La leggenda di Sleepy Hollow 🐎

A Sleepy Hollow circolano strane leggende su un nero Cavaliere senza testa che spaventa l’intera valle…

Questo racconto, originariamente scritto da Washington Irving, è forse più famoso per il film di Tim Burton con protagonisti Johnny Depp e Christina Ricci.

E’ forse anche il più “pauroso” tra tutti i racconti di Halloween pubblicati fino ad adesso su fabulinis, tenete quindi ben abbracciati i vostri bimbi più piccoli! 😉

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della leggenda di Sleepy Hollow!

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La leggenda di Sleepy Hollow 🐎


C’era una volta, in una di quelle ampie insenature sulla sponda orientale del fiume Hudson, una piccola valle conosciuta con il nome di Sleepy Hollow.

Le leggende narrano che l’intera valle sia stata un tempo stregata da un vecchio sciamano indiano, che teneva lì i suoi riti magici. Così nel tempo la valle si riempì di storie e leggende, tutte che parlavano di spiriti e fantasmi non proprio amichevoli…

La più famosa parlava del “Cavaliere senza testa di Sleepy Hollow”, un nero cavaliere in sella al suo cavallo la cui particolarità era quella di essere senza testa.

Alcuni dicevano che fosse il fantasma di un soldato dell’Assia, la cui testa era stata portata via da una palla di cannone, e affermavano che il suo fantasma, ogni tanto soprattutto la notte di Halloween, uscisse alla furiosa ricerca della sua testa perduta.

A Sleepy Hollow un giorno capitò anche Ichabod Crane, un giovane insegnante inviato da New York allo scopo di istruire i bambini della zona.

Ichabod Crane era un bravo maestro, e di tanto in tanto aiutava i contadini del paese a fare il fieno, riparare le staccionate o portare i cavalli al fiume, mentre la sera si deliziava a raccontare storie fantastiche agli stessi figli dei contadini, suoi alunni.

Una di queste sere nella fattoria dei Van Tassel, Katrina, la figlia del buon contadino Baltus, gli raccontò la bizzarra leggenda del Cavaliere senza testa di Sleepy Hollow.

Ichabod rimase molto affascinato sia dalla bella Katrina, che dalla misteriosa storia del fantasma del Cavaliere senza testa.

Quella notte Ichabod fece sogni molto strani tra cui un incubo dove il Cavaliere senza testa gli portava via dalle braccia Katrina, la ragazza di cui si era appena innamorato.
Si svegliò di soprassalto, per fortuna era soltanto un brutto sogno.

Quella mattina, camminando verso la scuola e passando di fronte alla fattoria dei Van Tassel, Ichabod scoprì forse il significato del brutto sogno di quella notte.

Vide in lontananza Katrina che sorrideva a Brom Van Brunt, il ragazzo più in vista, famoso e muscoloso di Sleepy Hollow; anche Brom sorrideva a Katrina e la salutava con affetto.
Forse a portare via Katrina dalle sue braccia non sarebbe stato il Cavaliere senza testa, ma Brom…

Ichabod non si perse d’animo e decise comunque di corteggiare la bella ragazza, anche se questo avrebbe voluto dire rivaleggiare con il bello e forte Brom Van Brunt.

Dopo l’estate arrivò presto l’autunno e un bel giorno Ichabod si fece prestare un cavallo da un contadino e uscì a farsi una trottata per la valle.
Da tutte le parti vedeva una vasta distesa di grandi campi pieni di zucche gialle e arancioni pronte per la festa di Halloween.

Mentre osservava tutte quelle belle zucche fu colpito da una zucca già intagliata posta su un muretto vicino al sentiero: sembrava guardarlo sorridendogli in modo beffardo, quasi che la risata si sentisse per davvero echeggiando per la valle.

Ichabod scosse la testa e spronò il cavallo allontanandosi dal campo di zucche. Era così bello vagare per la valle che non si accorse nemmeno che il sole stava ormai tramontando.

Ritornò indietro che ormai era sera e al paese si stava già celebrando la festa per Halloween.

Canti, balli, risa e un sacco di leccornie accompagnarono la lieta serata dei compaesani. E alla fine, quando era ormai già notte fonda in molti si radunarono intorno al falò a raccontar storie e leggende.

Come potete immaginare la storia principale riguardava lo spettro preferito di Sleepy Hollow, il Cavaliere senza testa, che negli ultimi tempi era stato visto diverse volte pattugliare il paese e, si diceva, legare il suo cavallo di notte tra le tombe del cimitero vicino alla chiesetta del bosco.

Questa chiesetta, proprio perché appartata nel bosco, sembrava il posto ideale per diventare il ritrovo preferito degli spiriti. Quello era anche il ritrovo preferito del Cavaliere senza testa e il luogo in cui lo si incontrava più di frequente.

Tutti questi racconti colpirono profondamente i pensieri di Ichabod, che li ascoltava assorto e rapito. Ma mentre ascoltava una delle storie raccontate delle anziane donne del paese, vide con la coda dell’occhio Katrina che, seduta dall’altra parte del falò, stringeva dolcemente la mano a Brom, entrambi anche loro assorti dal racconto di una nonna.

A Ichabod gli si spezzò il cuore, in quel momento capì che non avrebbe mai conquistato il cuore di Katrina, così decise di ritornare a casa sua prima che la festa finisse.

Ichabod, col cuore infranto e le lacrime che a stento tratteneva dagli occhi, cavalcava piano col suo cavallo verso casa. Sull’intera valle aleggiava una densa foschia intervallata qua e là da qualche casa o fattoria. Nel silenzio della notte, si sentivano solo i versi delle civette e degli allocchi.

Tutte le storie di fantasmi e folletti che aveva sentito quella sera ora si affollavano nella sua testa. La notte diventava sempre più buia; le stelle sembravano sprofondare nel cielo nascoste da nere nubi.

Non si era mai sentito così triste e solo. E nel suo vagabondare con la testa piena di pensieri, non si era accorto di aver imboccato il sentiero che portava proprio alla chiesetta nel bosco, il luogo in cui erano state ambientate molte delle storie di fantasmi che aveva appena ascoltato.

Ichabod, sovrappensiero, alzò lo sguardo e si ritrovò di colpo davanti alla chiesetta, si guardò sperduto attorno e iniziò a fischiettare per farsi coraggio. Il suo cuore cominciò a battere forte, raccolse tuttavia tutto il suo coraggio, diede due colpi al cavallo e cercò di oltrepassare la chiesetta il più rapidamente possibile.

Ma il cavallo si imbizzarrì e si impennò, non ne voleva sapere di andare oltre. Quando finalmente Ichabod riuscì a domare il cavallo, si accorse che non era solo.

Nel buio dall’altra parte del ponte, sembrava esserci un cavaliere di grandi dimensioni avvolto in un grande mantello nero, montato su un cavallo nero di corporatura possente.

Ichabod spronò forte il cavallo e iniziò la fuga per tornare verso il paese, ma il cavaliere lo seguì.
Mentre cavalcava veloce Ichabod si girò per vedere meglio chi lo inseguiva, e ne ebbe la conferma: era proprio lui, il Cavaliere senza testa!

Ichabod spronò ancor di più il suo cavallo, ma sentì qualcosa di molto caldo colpirgli la testa, e poi ci fu un lampo accecante. In quel momento il suo cavallo inciampò e capitombolò a terra portando con sé anche Ichabod…

La mattina seguente il cavallo fu trovato che mangiava serenamente il fieno nella fattoria del suo padrone.

Ichabod invece non fece la sua comparsa né a colazione né a pranzo, e anche quando venne l’ora di cena, di Ichabod non c’era ancora nessuna traccia.

Tutti nel paese iniziarono allora a cercarlo, nel tratto di strada che portava alla chiesetta vennero ritrovate le tracce degli zoccoli del cavallo e, cosa curiosa, fu ritrovato il cappello dello sfortunato Ichabod, sopra una grande zucca intagliata di Halloween…

Di Ichabod non si ebbe mai più nessuna notizia.

Il misterioso evento causò molti mormorii nel paese, e fiorirono quindi numerose nuove leggende sul Cavaliere senza testa e su Ichabod, l’insegnante scomparso.

Anni dopo il buon contadino Baltus Van Tassel si recò a New York per condurre degli affari, e mentre passeggiava per il grande Central Park, fu avvicinato da un distinto signore che lo salutò con affetto.

Baltus guardò meglio il signore e sgranò gli occhi quando riconobbe che si trattava di Ichabod Crane!
Quasi avesse visto un fantasma Baltus fece un balzo all’indietro.

Ichabod sorrise e lo calmò, Baltus ancora incredulo gli chiese che fine avesse fatto e come mai sparì così all’improvviso da Sleepy Hollow.
Ichabod allora gli raccontò di come quella sera di Halloween il suo cuore infranto dalla sua bella figlia Katrina lo avesse ridotto quasi alla pazzia, ma poi non sapeva aggiungere più nulla.

Di quella notte aveva solo ricordi confusi e poco chiari. si ricordava solo che, il mattino seguente, senza sapere come, si risvegliò sopra ad un battello che ormai stava già ormeggiando a New York, con un gran bel mal di testa e senza il suo cappello.

Ah, e anche che stranamente era avvolto in un grande mantello nero che non aveva la minima idea da dove arrivasse…

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Audiofiabe di Halloween 🎃👻

Tutte le più belle audiofiabe di Halloween sono qui!

Scorri la pagina per trovare l’audiofiaba di Halloween che preferisci, un piccolo brivido di simpatia prima di fare la nanna! 🎃👻

🔊 Playlist Audiofiabe 😴

Alla fine della pagina troverai anche la playlist completa con tutte le audiofiabe da ascoltare una di seguito all’altra! 😉







Se invece preferisci essere tu a leggere le fiabe al tuo bimbo, trovi tutti i racconti con i testi completi nella pagina “tutte le storie di Halloween 🎃👻

La playlist completa dei racconti di Halloween 🎃👻

⚜ Fine delle audiofiabe ⚜

Il pifferaio magico 🎼

Riuscirà uno strano ragazzo a liberare la cittadina di Hamelin dall’invasione dei topi solo grazie alla melodia di un magico piffero?

Il pifferaio Magico, anche conosiuto come il pifferaio di Hamelin, è una leggenda tedesca ripresa sia dai fratelli Grimm che da Goethe, e che probabilmente si basa su fatti realmente accaduti nel XVI secolo nella regione della Bassa Sassonia.

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del pifferaio magico

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il pifferaio magico raccontata da William!

Il pifferaio magico 🎼


C’era una volta la piccola cittadina di Hamelin, che da qualche tempo era stata infestata dai topi.

Erano ovunque, nei granai, nelle dispense delle case e nei campi coltivati, e naturalmente divoravano tutto quello che capitava loro sotto i baffi.

Gli abitanti erano disperati, avevano ormai provato di tutto ma senza mai riuscire a cacciarli via:
I gatti, portati a centinaia anche dai paesi vicini, scappavano via a gambe levate perchè i topi erano inferociti; le trappole per topi venivano sempre trovate vuote e spesso erano gli stessi abitanti a rimetterci un dito, toccandole per sbaglio; mentre il veleno per topi sembrava non fare nessun tipo di effetto…

Il borgomastro della città decise allora di proclamare un bando:
– Chiunque sia in grado di liberare Hamelin dalla piaga dei topi, sarà ricompensato con 100 monete d’oro!

Il giorno seguente si presentò alla porta del borgomastro uno strano individuo, tutto vestito di colori sgargianti e con in mano un piffero.

Il borgomastro lo squadrò dalla testa ai piedi, pensando di aver davanti uno di quei saltimbanchi che cercano solo un tozzo di pane per tirar sera, e gli chiese:
– Cosa volete?
– Ho saputo che la città è infestata dai topi e che offrite una lauta ricompensa, io posso liberarvi dai topi – rispose il pifferaio.
– Tu? Liberarci dai topi? E come pensi di fare?! – gli rispose sgarbatamente il borgomastro mettendosi a ridere sonoramente.
– Col mio piffero magico – disse sicuro di sé il pifferaio.
– … ma certo! Col piffero…! – rispose il borgomastro asciugandosi le lacrime dalle risate – va bene va bene, fai pure, se lo dici tu… – e lo liquidò senza minimamente pensare che il pifferaio facesse sul serio.
Il pifferaio allora prese a camminare per la via principale e iniziò a suonare una dolce melodia. La gente del paese incantata uscì per la strada e si affacciò alle finestre per sentirlo.

Quello che videro subito dopo i cittadini di Hamelin aveva dell’incredibile: i topi a poco a poco sbucarono fuori dai loro nascondigli e iniziarono a mettersi tutti in fila ordinatamente dietro al pifferaio.

Il pifferaio si diresse fuori dalle mura, e i topi lo seguirono fino al fiume, dove come per magia si buttarono dentro lasciandosi trasportare via dalla corrente.

Il buffo pifferaio aveva liberato la città dai topi!
Il borgomastro però non era per niente felice, perchè ora avrebbe dovuto pagare 100 monete d’oro allo strambo pifferaio, a cui in realtà non voleva dare neppure un soldo.

– Ho liberato la città dai topi, ora pretendo la mia ricompensa – disse il pifferaio al borgomastro.
– Ma di quale ricompensa vai dicendo, per aver suonato un piffero?! Al massimo posso darti una moneta d’oro per l’esibizione… e fattela bastare! – gli grugnì contro il borgomastro facendo saltare la moneta in mano al pifferaio.

Il pifferaio, anche se evidentemente contrariato, non disse però nulla, si congedò e con passo tranquillo tornò sulla via principale del paese, dove riprese a suonare il suo piffero e la sua dolce melodia.

Questa volta però a mettersi in fila dietro di lui furono tutti i bambini del paese. Sembravano come rapiti da una magia che li ipnotizzava e li faceva marciare educatamente dietro al pifferaio.

A nulla valsero le suppliche e i tentativi dei genitori di trattenerli ed impedire loro di uscire dalla città dietro al pifferaio, loro si divincolavano e continuavano a cantare e camminare felici dietro di lui.

Fu una lunga marcia, prima attraverso i boschi, poi nella foresta fino ai piedi delle montagne, dove il pifferaio si fermò e si mise a suonare una melodia molto differente dalla precedente.

Nella parete della montagna si aprì un varco dove il pifferaio entrò continuando a suonare la sua melodia, e con lui entrarono tutti i bambini. Quando anche quello che sembrava l’ultimo bambino fu entrato, il varco si richiuse.

Ma dei bambini in realtà ne mancava ancora uno, che era zoppo ad una gamba e non era riuscito a tenere il passo dell’allegra comitiva. Quando finalmente anche lui si ritrovò davanti al varco nella roccia e lo trovò chiuso, cominciò a battere i pugni contro le pietre disperato.
– Fatemi entrare! Fatemi entrare! – gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, ma nessuno dall’altra parte gli rispondeva.

Tornò quindi triste ed abbattuto ad Hamelin, dove l’intero paese era disperato per la perdita di tutti i suoi bambini. Tutti gli adulti avevano provato invano ad aprire un varco nella roccia della montagna, ma non riuscivano a scalfirne neppure un centimetro, doveva essere sicuramente protetta da una magia.

Al bambino invece non interessava nient’altro che poter anche lui inseguire il pifferaio magico per ricongiungersi con tutti i suoi amici.

Poi un giorno ebbe un’idea: costruì un piffero e iniziò a suonarlo.
Gli ci vollero parecchi giorni per imparare a suonarlo come si deve, e altrettanti per ritrovare la melodia che suonava il pifferaio, ma alla fine ci riuscì.

Camminò quindi più veloce che poteva fino al varco nella montagna e cominciò a suonare la melodia: magicamente il varco si aprì.
Con passo incerto e zoppicante, pieno di emozione mista a paura il bambino entrò.

Dentro lo aspettava il pifferaio che con un gran sorriso gli disse:
– Tu hai trovato dentro di te la magica melodia capace di incantare le persone e gli animali! Tieni ora il mio piffero magico, è tuo.

Il bambino prese tra le mani il meraviglioso piffero di legno, lo guardò con occhi lucenti, e quando rialzò lo sguardo il pifferaio non c’era più, ma tutt’intorno aveva i suoi cari amici bambini!

Il bambino iniziò quindi a suonare il piffero e si incamminò fuori dalla grotta nella montagna. Dietro di lui si formò un’allegra colonna festante che poco dopo entrò trionfalmente in città.

Ci fu una gran festa che durò giorni e giorni per celebrare il bambino eroe. Nessuno però seppe mai che cosa avessero fatto i bambini dentro il varco nella montagna, perché nessuno si ricordava nulla…

Il borgomastro, che con la sua avarizia aveva di fatto creato tutta quella disavventura, fu cacciato dal paese.
Con i soldi della mancata ricompensa fu eretta in piazza del paese una statua in onore del pifferaio magico, che aveva liberato la città dai topi, e portato la magica melodia nelle vite e nei cuori di tutti i cittadini di Hamelin.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La volpe con la pancia piena 🦊

La volpe affamata ha trovato del pane e del formaggio abbandonati dentro uno stretto tronco cavo, riuscirà a raggiungerli e mangiarseli?

Questa favola di Esopo della volpe con la pancia piena ci insegna che, quando nessuno può venirci in aiuto, solo il “tempo” potrà risolvere alcuni dei nostri problemi

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della volpe con la pancia piena

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La volpe con la pancia piena 🦊


C’era una volta una volpe che aveva molta fame ed era in cerca di un leprotto da mangiare per il bosco.

Dopo un po’ sentì un buon odorino nell’aria, cominciò a cercare tra le foglie e i cespugli finché non vide un bel tronco cavo con all’interno del pane e del formaggio.

“Deve averli lasciato lì il cacciatore pensò” e con circospezione si avvicinò. Accertatasi che non c’era il cacciatore nei paraggi, decise di infilarsi dentro per mangiare tutto.

Il tronco del legno era molto stretto, ma con un paio di giuste contorsioni riuscì a raggiungere il pane e divorarlo insieme al formaggio.

Quando la volpe ebbe la pancia piena per il bel pasto, cercò di uscire dal tronco cavo, ma purtroppo la sua pancia era talmente gonfia che si era incastrata!

La povera volpe iniziò a sospirare e sbuffare, ma niente, non riusciva a liberarsi.

Poco tempo dopo passò di lì una sua amica volpe, la volpe incastrata la chiamò:
– Ti prego, sono incastrata qua dentro e non riesco più ad uscire!
– E come mai non riesci più ad uscire? – chiese l’altra.
– Perchè dopo aver mangiato del pane e del formaggio la pancia mi si è riempita tanto…

L’amica volpe la guardò con compassione, non potendola aiutare in nessun modo alla fine le disse:
– Cara amica, ma se ti sei incastrata per aver mangiato a sazietà, basta aspettare che dopo aver digerito la tua pancia ritorni come prima!

E detto questo l’amica volpe se ne andò via lasciando la volpe incastrata a sospirare e sbuffare.

Morale: lo scorrere del tempo spesso risolve molte difficoltà.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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La principessa sul pisello 👸

Essere delle persone molto sensibili non è un difetto, anzi, a volte è una caratteristica che permette di affrontare meglio le difficoltà!

Il principe Ilario di sposarsi proprio non ne vuole sapere, finché una principessa molto sensibile non riuscirà a far breccia nel suo cuore…

Questa è una fiaba scritta originariamente da Hans Christian Andersen, che si è ispirato ad una storia che gli avevano raccontato quando lui era piccolo, e grazie alla sua trascrizione è diventata un classico tra le fiabe per bambini.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della principessa sul pisello!

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Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la Principessa sul pisello raccontata da Silvia!

La principessa sul pisello 👸 storia completa


C’era una volta il principe Ilario, spirito libero e selvaggio, a cui piaceva sempre andare in giro per il mondo, far festa e divertirsi.
Sua madre la regina però, visto che il figlio tra un po’ sarebbe dovuto diventare re, voleva che Ilario mettesse la testa a posto e gli ordinò di sposare una bella principessa.

Ilario accettò ma, per allontanare il più possibile il giorno delle nozze, pose una condizione: doveva essere la principessa più principesca tra le principesse.
La regina dovette accettare la richiesta, e indisse il bando reale in cui annunciava la ricerca della futura sposa.

In men che non si dica, alle porte del castello si formò una lunga coda di principesse. La cosa non stupì la regina. Ilario era un bel ragazzo, conosciuto da tutti per il suo animo indipendente, leale e gentile. Ebbe quindi un gran daffare ad esaminare le credenziali di tutte queste principesse.
Ma l’ultima parola spettava sempre ad Ilario, che di sposarsi non aveva nessuna intenzione.

Le principesse venivano ricevute ad una ad una nella grande sala del re, dove Ilario le esaminava. Lui però riusciva sempre a trovare dei difetti e quindi a mandarle via.
Una aveva i capelli troppo lunghi, l’altra troppo corti, una aveva gli occhi troppo scuri, l’altra camminava storta, e così via…
Finché di principesse da esaminare non ce ne furono più. Ilario le aveva scartate tutte senza pietà.

La regina era furiosa, non capiva perché suo figlio avesse rifiutato di sceglierne almeno una.
Arrabbiata come non mai, gli disse:
– Figlio mio, adesso devi dirmi una caratteristica, una soltanto, che deve avere per forza la principessa che sposerai!
Le parole della regina non lasciavano scampo, e Ilario, colpito e impaurito, rispose con un po’ di esitazione:
– Deve essere la più sensibile tra le principesse!
– Bene! – tuonò la regina, e lo lasciò andare.

Passarono un paio di mesi e nessuna principessa si presentò al castello. Ormai Ilario si sentiva tranquillo, aveva quasi dimenticato la questione del matrimonio.

Ma una notte d’autunno, in cui infuriava un forte temporale, qualcuno bussò al portone.
Il maggiordomo andò ad aprire e trovò una ragazza, bagnata fradicia e sporca di fango.
– Sono la principessa Holga, vengo qui per incontrare il principe Ilario – disse la ragazza tremando dal freddo.

Il maggiordomo, vedendola così conciata, la fece entrare subito. La portò in cucina davanti al camino e le diede una zuppa calda e una coperta per scaldarsi. Dopodiché corse ad informare la regina della visita.
La regina, che non vedeva principesse da mesi, accorse subito, ma quando la vide rimase delusa. Così coperta di fango, Holga non sembrava una principessa, e non capiva se potesse piacere a suo figlio Ilario.
Titubante, decise di darle un’opportunità.

– Buonasera, sono la regina madre di Ilario. Con chi ho il piacere di parlare?
– Buona sera maestà, sono la principessa Holga e vengo per incontrare vostro figlio – e mostrò alla regina il diadema che aveva appeso al collo, a dimostrazione di essere una vera principessa.
La regina rimase molto colpita. Chiamò degli altri inservienti e ordinò di farle fare un bagno caldo.
– Purtroppo questa sera il principe Ilario è già a dormire. Potrete incontrarlo domattina, principessa Holga.
– Come desiderate maestà – disse Holga inchinandosi.

In realtà, Ilario si stava divertendo con gli amici in una sala del castello, ma la regina voleva prendere tempo. “Devo inventarmi qualcosa che riesca a dimostrare la sensibilità di questa principessa, ma cosa?” pensava la regina mentre andava ad avvertire Ilario di questa visita.
Appena prima di entrare nella sala dove si trovava il figlio, le venne un’idea.

– Figlio mio, poco fa è venuta a farci visita una principessa. Ho pensato a una prova per vedere se ha la sensibilità di cui tu parli: le metterò un piccolo pisello sotto il materasso. Solo le principesse più sensibili possono accorgersene, che ne dici?
Ilario pensò che nessuno avrebbe mai sentito un pisello sotto il materasso. E così, pur di riprendere al più presto la serata con gli amici, acconsentì alla prova.
La regina, soddisfatta, mise il piccolo pisello sotto il materasso dove avrebbe dormito Holga, e tornò da lei.

Nel frattempo Holga si era lavata e preparata per la notte, e… quale sorpresa per la regina!
Ripulita da tutto il fango, Holga era di una bellezza mai vista prima. La regina si pentì di non aver inventato una prova più facile da superare…
La accompagnò personalmente in camera e le diede la buona notte, dopodiché andò a dormire pure lei.

Il mattino seguente, la regina svegliò di buon’ora Ilario, e gli disse di seguirla per andare a trovare la principessa Holga.
Quando entrarono nella stanza, al principe Ilario quasi venne un colpo per quanto era bella quella ragazza.
Holga, però, aveva un viso molto stanco e due grandi borse sotto gli occhi.
– Principessa Holga, vi vedo molto stanca. Per caso non avete dormito bene questa notte? – chiese la regina.
– Purtroppo no, mia regina. Ho passato la notte in bianco per via di un continuo dolore alla schiena, come se ci fosse un sassolino nel materasso…

La regina sorrise e guardò il figlio, che, ancora colpito dalla bellezza di Holga, non aveva capito cosa fosse successo.
– Ilario, figlio mio, questa principessa è sicuramente la più sensibile di tutte le principesse della terra. Come hai potuto sentire, non ha dormito tutta la notte a causa del pisello che ho messo sotto il materasso.
Holga guardò incuriosita la regina, che continuò dicendo:
– Quindi, figlio mio, in virtù della grande sensibilità dimostrata da questa ragazza, credo che acconsentirai di buon grado a sposarla.

Ilario non ebbe nulla da controbattere, anzi, già innamorato di Holga disse solo: – Certamente!
E fu così che finalmente il principe Ilario mise la testa a posto e sposò la principessa Holga.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Raperonzolo (Rapunzel) 👸💈🤴

Per raggiungere l’amore della propria vita si è pronti a scalare alte torri e anche a vagare per i deserti…

Rapunzel è stata rinchiusa da Dama Gothel dentro un’alta torre inaccessibile a chiunque, ma un principe coraggioso si innamorerà di lei e farà di tutto per raggiungerla.

Rapunzel, meglio conosciuta in italiano come Raperonzolo, è stata scritta originariamente dai fratelli Grimm, ma molto probabilmente anche loro si sono ispirati ad alcuni racconti tradizionali dell’epoca, tra cui il mito di Danae (risalente all’antica Grecia) e il racconto “Petrosinella” di Giovan Battista Basile, antecedente di quasi 200 anni l’edizione dei Grimm.

Anche Italo Calvino ne ha fatto una sua versione intitolata “Il Principe Canarino”.
Questa è la versione di fabulinis, buon racconto!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Rapunzel!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe classiche, puoi ascoltare Rapunzel da Silvia!

Rapunzel 👸💈🤴 storia completa


C’era una volta in un paese lontano lontano una coppia di giovani sposi, che avevano avuto la sfortuna di prender casa all’ombra delle alte mura del giardino di una strega…
I due all’inizio non se ne preoccuparono, anche perché pare che nessuno negli ultimi anni avesse mai visto la Dama Gothel (così si chiamava la strega) e quindi la davano tutti per morta.

Passarono alcuni mesi e i due sposi ebbero la felice notizia di aspettare un bambino. I due erano le persone più felici del mondo, e il marito cercava di soddisfare in tutto e per tutto le “voglie” della moglie, che fossero di cibi particolari o di fiori bellissimi.
Un giorno la donna, passando vicino alle mura della strega, vide da una apertura nel muro che nel giardino vi erano dei bellissimi raperonzoli, i fiori a forma di campanula dal colore violetto, e se ne innamorò.

Così la sera stessa pregò il marito di andare a prenderne un mazzetto per adornare la casa. L’uomo all’inizio ebbe gran paura della strega, ma poi, rassicurato dal fatto che della strega non c’era più traccia già da un bel pezzo, prese coraggio e scavalcò l’alto muro del giardino e colse un bel mazzetto di raperonzoli.

La donna quando vide i fiori fu felicissima, tanto felice che chiese al marito di prenderne un altro mazzetto. Così l’uomo scavalcò di nuovo il muro, ma questa volta dall’altra parte si ritrovò faccia a faccia con la Dama Gothel.
– Cosa ci fai tu qui nel mio giardino?! – gridò la strega.
L’uomo balbettando rispose – Mi scusi… volevo solo raccoglie un mazzetto di fiori di raperonzolo… sa mia moglie aspetta un bambino e a volte ha delle “voglie” incontrollabili…

La strega strinse gli occhi e si avvicinò all’uomo – Così aspettate un bambino eh… Bene! Se volete aver salva la vita mi dovrete consegnare quel bambino non appena nato, lo tratterò come fosse figlio mio, non preoccupatevi…
L’uomo disperato pensò che era meglio salvare la vita del nascituro, anche a costo di darlo in mano ad una strega, piuttosto che morire tutti quella stessa notte.

Così quando dopo qualche mese nacque una bellissima bimba, la Dama Gothel la prese con sé e le diede il nome di Rapunzel.
Rapunzel crebbe tranquilla e spensierata tra le mura del giardino, e i suoi genitori, guardando attraverso una delle aperture nel muro, potevano vedere che stava crescendo bene ed in salute.

Rapunzel ignorava completamente che la Dama Gothel non fosse la sua vera mamma, ma, come da promessa, la strega la trattava bene e non le faceva mancare nulla. Anzi le stava curando gli splendidi capelli in modo da farle crescere una lunga treccia dorata.
Ma un giorno Rapunzel, ormai stanca di vivere dietro quelle alte mura e curiosa di vedere il mondo, cercò di scappare. Ma non ce la fece e la strega accortasi del tentativo, andò su tutte le furie.

La Dama Gothel rinchiuse così Rapunzel in una torre altissima, senza scale per salirci né porte per entrarci.
L’unico modo per salir fin lassù era far calare la lunga treccia di Rapunzel giù per la torre, in modo da usarla come corda per arrampicarsi.
Così ogni giorno la strega passava per la torre e diceva – Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella…
E Rapunzel calava la treccia e la strega saliva per darle cibo e da bere.

L’unico modo che aveva Rapunzel per sfogare tutta la sua solitudine e dolore era cantare tristi melodie per tutto il giorno.
Un giorno un principe, passando vicino alla torre per caso, udì quella bellissima voce cantar quelle tristi melodie, e si avvicinò incuriosito.
Vide così che dall’unica finestra della torre era affacciata una bellissima fanciulla.

Decise di provare a raggiungerla, ma non trovò né porte di entrata né scale per salir sulla torre.
Il principe non si perse d’animo e tornò più e più volte sotto la torre ad ascoltare il canto della dolce ma triste fanciulla.
Finché un giorno il principe, nascosto tra alcune siepi, trovò la Dama Gothel che pronunciava la frase con cui Rapunzel faceva calare la sua lunga e bionda treccia. Vide così qual era l’unico modo con cui si poteva salire fino in cima alla torre.

Aspettò che la strega si allontanasse e dopo poco pronunciò anche lui la frase – Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella…
Rapunzel calò la treccia, e lui salì. Quale sorpresa fu per la ragazza vedere il principe invece della Dama Gothel!
Rapunzel all’inizio cercò di gridare per la paura, ma il principe la tranquillizzò, dicendole che era venuto solo per conoscerla e per sapere come mai una così bella fanciulla fosse rinchiusa dentro una così alta torre.

Rapunzel spiegò la sua storia al principe, che dopo averla ascoltata disse:
– Ti salverò io mia bella Rapunzel, troverò un modo per farti fuggire da qui!
– No! – gli rispose la ragazza – se fuggo da qui, sono sicura che la Dama Gothel ci troverà e ci ucciderà entrambi!
Sentendo quelle parole il principe le disse:
– Allora tornerò qui ogni giorno, a farti compagnia.
– Va bene… – disse Rapunzel, che dopo tanta solitudine sentiva il bisogno di aver qualcuno con cui passare del tempo.

Così ogni giorno, per molti giorni, il principe andò a farle compagnia, e la rallegrava con i suoi racconti e le avventure che aveva vissuto girando il mondo.
Piano piano i due si innamorarono.
Ma la cosa non sfuggì alla strega, che vedeva Raperonzolo diventare sempre più felice e cantare melodie sempre più gioiose.
Così un giorno decise di aspettare tutto il giorno sotto la torre, nascosta tra le siepi, per vedere cosa succedeva. Ed infatti vide il principe far calare la treccia e salire su in cima alla torre.

La strega era furente e decise che si sarebbe vendicata.
Aspettò che il principe se ne andasse per tornare da Rapunzel.
– Come mai siete tornata Dama Gothel? – chiese la ragazza.
– Fai pure la finta tonta! – gridò la strega – ma ora io ti punirò!
Con una grossa forbice le tagliò la lunga treccia dorata, e con una magia la trasportò in un deserto lontano lontano, da cui non sarebbe mai più potuta tornare.

La Dama Gothel però voleva punire anche il principe, così il giorno dopo aspettò che arrivasse, e quando lui pronunciò la frase “Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella… “ la strega calò la treccia tagliata di Rapunzel.
Che sorpresa per il povero principe trovar in cima alla torre la strega invece di Rapunzel!
La Dama Gothel gli disse che non avrebbe mai più rivisto Rapunzel perché l’aveva confinata in uno dei deserti più lontani del mondo.
E vedendo la disperazione sul volto del principe, la strega si mise a ridere e con una magia lo scaraventò giù dalla torre, dove lo aspettavano dei rovi pieni di spine che gli ferirono gli occhi, togliendogli la vista.

Il principe sentiva ancora l’eco delle risa della strega alle sue spalle, ma senza perdersi d’animo decise di andare a cercare Rapunzel, anche in capo al mondo.
Iniziò a vagare per tutti i deserti della terra. Cieco, poteva fidarsi soltanto del suo udito che diventò allenatissimo a riconoscere anche i più piccoli rumori e sussurri.

Finché un giorno, quando ormai stava per perdere la speranza, udì in lontananza un triste canto melodioso…
– E’ lei, è Rapunzel! Non posso sbagliarmi, riconoscerei quella dolce voce in mezzo a mille altre! – gridò il principe, e corse in quella direzione.
Rapunzel sentendo dei passi che correvano nella sua direzione, alzò lo sguardo e, quando riconobbe il suo principe, gli corse incontro.
I due si abbracciarono forte piangendo dalla gioia, e le lacrime di Rapunzel caddero sugli occhi del principe, che come per magia riacquistò la vista.

I due tornarono a casa, titubanti per la paura che la strega potesse far loro ancora del male.
Ma della Dama Gothel nessuno seppe più nulla. Alcuni pensarono che, impazzita dalla rabbia, rimase rinchiusa dentro la torre per il resto dei suoi giorni.
Così Rapunzel ed il principe poterono sposarsi e vivere per sempre felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Filastrocche sugli animali 🐦

Le filastrocche divertenti che parlano di animali.

Queste sono filastrocche per bambini ispirate ad alcuni degli animali che più ci stanno a cuore, e che ci tengono compagnia, chi con il suo canto, chi con il suo caratteristico verso.

Queste filastrocche le ha scritte Lulù, con la sua solita leggerezza e simpatia.

Indice delle filastrocche

L’uccellino ferito 🐦

Ho visto un uccellino ferito in un prato,
non ho capito se è caduto o cosa è stato,
forse la sua mamma gli insegnava a volare
e lui però non è riuscito ad imparare.

Si sente solo, si sente smarrito,
non ha capito perché è ferito,
eppure aveva ascoltato per benino,
in cosa ha sbagliato, si sente un cretino.

I suoi fratelli gli volan vicino,
eppure hanno fatto lo stesso cammino,
perché loro sì e invece lui no,
è molto triste tutto ciò.

Ma noi non siamo tutti uguali,
chi mette prima o dopo le ali,
chi vola veloce e va lontano,
chi gira intorno a un deltaplano.

Il nostro uccellino adesso ha capito,
si guarda l‘ala un poco smarrito,
ma guarirà, questo lo sa,
e riprenderà il volo, ma con mamma e papà!

I due uccellini amici 🐦🕊

Due uccellini sono in un prato,
uno dei due però è azzoppato,
non si sa bene come è successo
e purtroppo, è proprio mal messo.

L’altro uccellino si ferma a guardare
e non capisce che cosa può fare,
gli lecca la zampa, lo vuole guarire,
è molto triste vederlo patire.

Gli porta un vermetto, lo vuol consolare,
è l’unica cosa che adesso può fare.
Deve pensare, lui è ancora piccino,
ma ha un cuore grande, come un mastino.

Per quanto ci pensi non c’è nulla da fare
e solo il tempo lo può risanare,
può stargli vicino, farlo mangiare,
la compagnia non gli deve mancare.

Passano i giorni e sono poi tanti,
l’uccellino sta bene, ce l’ho qui davanti,
comincia a saltare sulla zampina,
è buona cosa, mi dice una vocina…

Allora ho capito che l’amore fa tanto,
sono stato bravo e un po’ me ne vanto,
niente è nessuno ci potrà separare,
se guardi su in cielo ci vedrai volare.

Lo scambio 🌱

Un giorno mentre ero in giardino,
si è avvicinato un uccellino,
era stanco e molto assetato
e nella mano un po’ d’acqua ho versato.

Con molta paura ha iniziato a bere
dalla mia mano, come fosse un bicchiere,
poi ha preso il volo e si è allontanato
e, secondo me. un bacino mi ha inviato.

Dopo qualche giorno è ritornato,
nel suo beccuccio un seme ha portato,
lo ha fatto cadere vicino a me
e mi son chiesta:” chissà che seme è!”.

Quel seme dopo è germinato
e un grande albero è diventato
e mi ricorda quell’uccellino,
che ha scambiato un po’ d’acqua con un semino.

Il gattino 🐈

Oggi ho preso in mano un gattino
e l’ho girato vedendo il pancino;
tante tettine, un nido d’amore
e ho sentito batter forte il suo cuore.

E allora ho iniziato a pensare
a quante boccucce poteva sfamare,
se abbia 4 o 10 tettine,
se faccio il conto c’è da impazzire.

Ci son tanti gatti sparsi nel mondo
e tante persone gli portan conforto,
chi lascia il cibo fuor dal portone
e chi li fa entrare per poche ore.

E poi ci sono i più fortunati
che addirittura sono stati acquistati,
dal pelo raso o morbidosi,
per tutti i gusti si rendon preziosi.

Essi sono di compagnia
anche se a volte se ne vanno via,
riescono a tranquillizzare gli ansiosi
e se ci giocano li rendon gioiosi.

Non si può dire altro dei gatti,
se non che fanno molti misfatti,
addio alle tende o ai cuscinoni,
in fin dei conti i gatti son…birboni!

La zanzara Pitì 🦟

Son una zanzara e mi chiamo Pitì,
a nessuno piaccio ma son fatta così,
ho un triste compito, son fastidiosa
io pungo tutti e mi diverto a iosa.

Forse non tutti sanno perché,
siamo noiose e facciamo male, ahimè,
il nostro ronzio è per attirare un compagno,
lo cerco sempre attorno allo stagno.

Non sono cattiva, ho questo difetto,
non piaccio ai bambini, soprattutto a letto,
vi do un consiglio, lasciatemi fuori
perché se entro sono dolori.

Ogni animale è diverso dall’altro,
c’è chi è buono e chi invece tutt’altro,
son piccolina, mi puoi anche schiacciare,
solo così mi riuscirai a debellare.

Questa è la storia della zanzara Pitì,
è durata poco, solo per un dì,
forse è servita la sua esistenza
o forse per noi è meglio star senza!

La mantide cerca marito 👰‍

Una mantide religiosa si vuole sposare
ma non trova nessuno che la porti all’altare.
Tanti maschietti ci vorrebbero andare
ma non c’è nessuno che lo osa fare.

Questo insetto infatti è un po’ strano
se allunghi una zampa la mangia pian piano.
È molto strana questa cosa qui
ma purtroppo la Mantide fa proprio così.

Prima di tutto non è molto bella,
però ha un corpo da modella,
le lunghe zampe sono una figura
da far invidia a qualsiasi creatura.

La sua nomea gira in qua e in là
non ha amicizie e lei questo lo sa,
ma non importa, lei è fatta così
È alta e snella e si piace così.

L’eleganza del merlo 🐦

Un merlo passa
e poi vola via
ha fatto notare
la sua grande maestria
nel prendere il volo
e nel camminare
a testa alta
senza tanto pensare.

Col suo manto nero
di estrema eleganza
con gli altri uccelli
dà dimostranza
che non serve avere
un colorato piumaggio
e una livrea
non ti dà il coraggio.

Per quanto si dice
che il nero non è bello
se hai un bel portamento
diventa un gioiello,
il becco arancione
gli dona quel tocco
di estrema eleganza
in un corpo un po’ tozzo..

Persino le uova
che fa sono belle,
un tocco di cielo
e qua e là delle stelle.

La rinascita della farfalla 🦋

Oggi ho visto che nella piscina
era caduta una farfallina,
sbatteva le ali, voleva volare
ma non ce la poteva proprio fare.

La tirai fuori delicatamente
ma il suo respiro era assente,
io non sapevo che cosa fare
e la misi al sole ad asciugare.

Aveva le ali trasparenti
con delle strisce fluorescenti
e due antenne sul suo capino
e un corpicino marroncino.

E dopo vidi che respirava
e l’ala di destra piano vibrava,
voleva aiutarsi e darsi calore,
voleva togliersi da quel torpore.

E poi a un tratto cominciò a volare
e poco dopo sopra a un fiore girare.
L’avevo aiutata a tornare in vita,
la mia preghiera era stata esaudita

Le sette paperelle 🦆

Ho visto al lago sette paperelle,
eran fratelli e anche sorelle,
la loro mamma le guardava
e in mezzo ai bagnanti le accompagnava.

Alcuni bambini si misero ad osservare
mentre altri continuavano a giocare,
c’era anche chi giocava al pallone
mentre gli adulti prendevano il sole.

Un pezzetto di pane galleggiava
e mamma papera lo beccheggiava,
giunsero di corsa i piccolini
con l’entusiasmo di tutti i bambini.

Non più uno solo ma a decine
furono i pezzi, non c’era fine,
ognuno aveva un pezzo di pane
e quindi le papere continuavano a mangiare.

E dopo essersi ben ingozzate
presero il largo, un poco ingrassate,
guardarono indietro per un saluto
e presero il largo con fare piaciuto.

La gazza e il corvo ⚪⚫

Una gazza disse al corvo:

“lo sai il bene che ti voglio
son più bella e ho dispiacere,
ho le piume bianche e nere
che sono belle da vedere.

Il tuo piumaggio non è elegante
e di te se ne dicono tante,
che vai a caccia di serpenti
e metti ogni cosa sotto i denti.

C’è poi un detto un po’ strano
e si riferisce a un umano.
Se ti si incontra nella notte buia
c’è da aver proprio paura.

Poi si fan dei paragoni
che non sono certo buoni.

Ma il Signore ti ha creato
e un motivo avrà trovato,
ogni animale ha un suo perché,
ma non spetta dirlo a me.

Il tuo amore è fedele,
solo una ti appartiene,
una vita sempre insieme,
nulla lei adesso teme.

Ora andiamo a passeggiare,
siamo amici, non lo scordare
e se i bimbi mi guarderanno
su di te porrò il mio sguardo.

Ti dovranno ben vedere,
nulla a loro può accadere,
e vedran che da vicino
anche tu sei un po’ carino”.

Il bruco con lo scotch 🐛

Ho visto un bruco giallo e marrone
e mi ha fatto proprio impressione,
mentre su e giù egli strisciava
la coda sbatteva sulla strada.

Tun, tun, tun ad ogni passo,
vederlo andare era uno spasso,
però il bruco aveva un problema,
non era possibile, non se ne accorgeva?

Passo di lì il Gufo dottore
e vide il lombrico che, senza ragione,
strisciava per terra con grande fatica.
Non era giusto, non era vita!

Gli andò vicino, gli diede un’occhiata,
voleva vedere la camminata,
aveva dello scotch in fondo alla coda,
capì così perché zigzagava a iosa.

Chiamò a raduno i suoi aiutanti
e subito questi si fecero avanti,
l’uccello Carmelo tirò con il becco,
mentre Pallino aiutò lo stesso.

Con gli artigli districò lo scotch
e in poco tempo questo si staccò,
avevano fatto un bel lavoro,
ora il bruco poteva andar da solo.

Si girò indietro, guardò i suoi amici
e vide che questi erano felici.
Diede uno sguardo e salutò…
e una farfalla da terra si alzò.

Il topolino birichino 🐭🐱

Un gattino riposava
nella cuccia e non si alzava,
mamma gatto lo chiamava
ma il micetto non l’ascoltava.

Mentre dormiva passò un topolino
e vide il gattino nel suo cestino,
si avvicinò pian pianino
e lo morsicò sul sederino.

“Ahi che dolore, povero me”
Disse il micio tra sé e sé,
il sederino intanto gonfiava
e il topolino sghignazzava.

“Perché mi hai fatto tanto male,
io sono buono, non lo scordare
e la mia pappa con te ho condiviso,
il riso e il formaggio abbiamo diviso.”

Il topolino aveva sbagliato,
come poteva aver scordato
che il gattino era suo amico,
perché mai lo aveva ferito?

Chiese perdono al povero gatto
del misfatto che aveva fatto,
era davvero molto pentito
e del micetto fu di nuovo suo amico.

L’orsetto lavatore 🐻

Un orsetto lavatore
si lavava a tutte le ore
e quando aveva quasi ultimato
ricominciava tutto daccapo.

Passò di lì un maialetto
e lo vide fare il bagnetto.
“Non si deve lavarsi mai,
se lo fai sei nei guai”.

Il procione non capiva
quel che questi gli suggeriva
con un tono un po’ acceso,
beh, lo aveva quasi offeso!

“Perché mai dovrei lasciare
di far quello che mi pare,
a me piace esser bello
e lavarmi nel ruscello”.

Il maialetto non capiva,
era d’indole impulsiva,
e sbeffeggiò così l’orsetto
che nuotava nel laghetto.

Non aveva grandi amici,
tutti gli altri eran felici,
di mangiare, di saltare
e fra di loro anche giocare.

Forse il suo era un difetto,
l’esser bello, esser perfetto!
Si doveva rassegnare
e con gli altri insieme stare.
Era bello avere amici,
sol così si è felici.

I sette uccellini 🐤🐤🐤🐤🐤🐤🐤

Dentro un’anfora
nel mio giardino
un cinguettio
udii vicino.

Mi avvicinai
allora pianino
posi l’orecchio
dentro al buchino.

Di colpo vidi
uscir un uccellino
le piume eran gialle
era un canarino?

No, non poteva
essere quello
poteva forse
esser un fringuello.

Ma cosa dico,
è una cinciallegra,
che fregatura
che mi son presa.

Aveva covato
sette ovetti
e tutti quanti
uscirono lesti.

Non sanno ancora
bene volare,
ci tocca dunque
allora aspettare

E quando son pronti
se ne potranno andare
e il mio giardino
potran visitare.

Dopo che avranno
dato uno sguardo
voleran via
senza nessun traguardo.

Ma tanta strada
non deve fare
dovrà a Giugno
ancor ritornare

Ritroverà
la stessa casetta,
cioè l’anfora
che l’aspetta!

La rana invidiosa 🐸

Ho visto una tortora
in un giardino,
vicino al laghetto
del mio vicino.

Tra rane e pesci
essa volava
mentre una rana
vicino saltava.

Fece un sobbalzo,
lei sapeva volare
mentre la rana
sapeva saltare.

Voleva imparare
a far quella cosa,
tutti l’avrebbero
invidiata a iosa.

Che ci voleva,
lo poteva fare
si mise in posa
per osservare.

Allargò le zampe,
si fece anche male,
ma non importa,
doveva imparare.

Si mise d’impegno,
slanciò le zampine
e cadde in terra
in mezzo al cortile.

Tenta e ritenta,
non c’era nulla da fare.
La rana saltava,
lei doveva volare!

Il passerotto occhialuto 🐦👓

Un passerotto mentre volava
contro ogni cosa si schiantava
e non riusciva a capire il perché,
sapeva volare, altro non c’è!

Il passerotto era carino,
aveva un musino birichino,
un piccolo becco molto appuntito
ma alcune volte era ferito.

Andando a sbattere continuamente,
a volte si faceva male e a volte niente,
ma molto spesso era ammaccato
e qualche volta anche tagliato!

Mamma passero lo portò dal dottore,
un gufo saggio e molto sornione:
guardò il musino e poi gli occhietti
che non trovò proprio perfetti.

Doveva trovare una soluzione
per il passerotto e aveva ragione.
Tutta la notte restò alzato
ma un rimedio aveva trovato.

Quel povero passero tanto carino
non ci vedeva da vicino!
Prese due lenti, un fil di ferro,
li mise insieme e fece un modello,
forse un po’ strano ed inusuale
di occhialino, per poter volare.

Ora se guardi lassù nel cielo
e vedi brillare a ciel sereno,
è il passerotto, ma non lo fissare
perché si potrebbe… vergognare!

Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

www.tiraccontounastoriablog.com

Cenerentola 👠

Chi è di buon cuore e ha l’animo gentile, prima o poi viene sempre ricompensato

Cenerentola, grazie al magico aiuto della fata madrina, parteciperà al gran ballo indetto dal Principe, e perdendo una scarpetta di cristallo riuscirà a coronare il suo sogno!

Le origini di Cenerentola si perdono nella notte dei tempi, la prima versione moderna però è di Giambattista Basile col titolo di La gatta Cenerentola, poi verranno Charles Perrault, i fratelli Grimm ed infine Walt Disney col suo famoso cartone animato del 1950, che ci ha regalato Cenerentola per come la conosciamo oggi.

Nel 2015 la Disney ha realizzato anche un film diretto da Kenneth Branagh.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Cenerentola!

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Cenerentola raccontata da Silvia!

Cenerentola 👠 storia completa


C’era una volta una ragazza di nome Lucrezia, ma da tutti veniva ormai chiamata Cenerentola…
Dovete infatti sapere che Cenerentola era stata una bimba molto sfortunata, crebbe senza la mamma fin da quando era molto piccola. Il caro papà per cercare di darle una figura materna sposò una vedova, anche lei con due figlie, con le quali era sempre dolce e benevola, ma si rivelò poi molto severa e ingiusta con Cenerentola.

Il padre cercava sempre di rincuorarla, ma ahimè anche lui poco dopo morì di malattia. E così Cenerentola si ritrovò sola, ma grazie al sorriso del papà che portava sempre nel cuore rimaneva sempre allegra e sorridente.
La matrigna iniziò a trattarla sempre peggio, le faceva fare tutte le faccende domestiche e i lavori più pesanti facendosi servire come se fosse una gran signora. Mentre le sorellastre le facevano ogni tipo di scherzo, visto che erano invidiose della sua naturale bellezza.

Così la sera, stanca ed esausta, Cenerentola si rintanava in un angolo della casa, vicino al caminetto acceso e caldo.
Proprio dal tempo passato vicino al caminetto, sporcandosi i vestiti con la cenere, le sorellastre presero a chiamarla col nomignolo di Cenerentola. Ma a lei non importava, aveva infatti scoperto che dietro al camino c’era la tana di alcuni piccoli topolini che le tenevano compagnia e la rallegravano nei momenti di sconforto.

Un giorno però nel paese accadde un fatto davvero straordinario. Dal castello arrivò un messaggero del Re che proclamò:
“Il figlio del re, il Principe erede al trono, ha indetto un gran ballo nelle sale reali a cui sono invitate tutte le ragazze del regno in età da marito!”

Quando la matrigna lo venne a sapere prese le sue due figlie e iniziò a prepararle come principesse per il gran ballo.
Cenerentola, che stava correndo a destra e sinistra per obbedire agli ordini delle tre donne, sognava ad occhi aperti di quanto sarebbe stato bello poter partecipare a quel gran ballo.

Così prese coraggio e disse alla matrigna:
– Voglio anche io partecipare al ballo! L’invito è aperto a tutte le ragazze del regno in età da marito…
La matrigna e le sue sorellastre, guardandola tutta impolverata e vestita di stracci, si misero a ridere.
– Come pensi di presentarti al castello? Vestita di stracci sporchi?! – e se ne andò via facendole capire che non c’era nessuna possibilità che lei partecipasse al ballo.

Così arrivò la sera del ballo, Cenerentola vide la matrigna e le sorellastre prepararsi, vestirsi con abiti meravigliosi e indossare splendidi gioielli. Aspettò che uscissero di casa, e una volta che si furono allontanate corse a piangere disperata nell’angolino vicino al camino.
I topini suoi amici uscirono dalla tana e cercarono di consolarla strofinando il loro musetto contro le guance bagnate dalle lacrime di Cenerentola.

Le sue lacrime erano così tante che caddero per terra, sopra un piccolo mucchietto di cenere. Ma da quel mucchietto di cenere accadde una cosa inaspettata, piano piano come per magia, una piccola luce iniziò a brillare sempre più forte, finché davanti a Cenerentola non si materializzò una fata!
– Su non fare così piccola Cenerentola mia… – disse la fata Madrina.
– Chi ha parlato!? – esclamò Cenerentola che aveva ancora gli occhi pieni di lacrime e non riusciva a vederci bene.
– Sono io, la tua fata Madrina, e vedrai che adesso sistemeremo un po’ di cose…
– La mia fata Madrina… ? – chiese stupita Cenerentola – … e cosa dovremmo sistemare?
– Beh, tanto per iniziare, ti piacerebbe partecipare al gran ballo di stasera?
– Ma certo! Mi piacerebbe tanto… – rispose Cenerentola che si stava ancora asciugando le lacrime col dorso delle mani – … ma come faccio? Non ho neppure un abito da sera…
– Di questo non ti devi preoccupare, piuttosto portami una zucca e raduna qui i tuoi amici topolini.
– Una zucca? – chiese sorpresa Cenerentola, ma senza chiederle il perché si precipitò nell’orto a prenderne una bella tonda e gliela portò.

Così, la fata Madrina di fronte agli occhi stupefatti di Cenerentola, pronunciò una formula magica e trasformò la zucca in una splendida carrozza, e i topolini in magnifici cavalli bianchi che la trainavano.
Cenerentola rimase a bocca aperta, e non riusciva a pronunciare nemmeno una parola per la meraviglia.

– E ora veniamo a te, mia bella fanciulla – disse la fata che in un colpo di bacchetta magica trasformò l’abito fatto di stracci di Cenerentola in un magnifico vestito da sera color bianco perla, degno di una regina.
– Ma… ma… ma è stupendo! – balbettava Cenerentola – come posso ringraziarti fata Madrina!?
La fata sorrise e disse:
– Piuttosto, ti mancano ancora delle scarpette, degne di questi piedini così piccoli e graziosi – e così ai piedi di Cenerentola comparvero delle magnifiche scarpette di cristallo che le calzavano alla perfezione.

Ora Cenerentola sembrava veramente una principessa.
– E ora vai, corri al ballo ma ricorda solo una cosa, la più importante: questa magia durerà solo fino a mezzanotte, entro il dodicesimo rintocco del campanile tutto ciò che ho fatto sparirà! La carrozza tornerà zucca, i cavalli topolini e il tuo vestito sarà di nuovo di stracci!

Cenerentola, che ancora non credeva a quello che le stava succedendo, non se lo fece ripetere due volte, salì sulla carrozza e partì per il castello.
Al castello era tutto un susseguirsi di musiche e danze, e Cenerentola fu ricevuta con gli omaggi che si fanno ad una principessa.
Le persone presenti al gran ballo iniziarono a chiedersi da dove mai venisse quella fanciulla così bella ma di cui nessuno sapeva il nome.
Il Principe aveva promesso un ballo a tutte le ragazze presenti, ma quando finalmente fu il turno di Cenerentola, non volle più ballare con nessun’altra.

Tutte le altre ragazze diventarono verdi d’invidia, comprese la matrigna e le sorellastre di Cenerentola.
Così il Principe e Cenerentola continuarono a ballare per tutta la serata, tanto che lei si scordò del del tempo che passava…
Ma ci pensò il campanile a ricordarle che ormai era giunta la mezzanotte, e la campana iniziò a fare i primi rintocchi.
Cenerentola fu presa dal panico.

– Mi scusi sua maestà, ma io ora devo proprio andare… – si congedò frettolosamente dal Principe che non capiva il perché di una fuga così improvvisa, così decise di rincorrerla.
Cenerentola correva veloce, ma mentre scendeva la scalinata che portava alla carrozza perse una delle scarpette di cristallo. Fece per voltarsi a riprenderla, ma mancava ancora un solo rintocco di campana e tutta la magia sarebbe svanita, e il Principe avrebbe visto chi era in realtà.
Così saltò sulla carrozza e gridò ai cavalli di correre al galoppo verso casa.

Al Principe non rimase altro da fare che raccogliere la scarpetta di cristallo, e vedere la carrozza di quella fanciulla senza nome che si allontanava a tutta velocità.
Non appena dal campanile arrivò il dodicesimo rintocco, la carrozza svanì, i cavalli ritornarono ad essere topolini e Cenerentola tornò ad essere vestita di stracci. Per fortuna erano ormai abbastanza lontani dal castello e nessuno vide nulla, così a Cenerentola toccò fare l’ultimo tratto di strada a piedi, in compagnia dei topolini.

Il giorno dopo la matrigna e le sorellastre erano furenti, avevano saputo che il Principe aveva ordinato alle sue guardie di cercare la splendida fanciulla senza nome. Per essere certi che la fanciulla fosse quella giusta, avrebbero fatto calzare la scarpetta di cristallo per scoprire quella al cui piede avrebbe calzato alla perfezione.
Dopo qualche giorno dunque le guardie bussarono anche alla porta della casa di cenerentola.
– Vai a nasconderti subito nell’orto – disse la matrigna a Cenerentola – che sennò ci fai fare brutta figura.

Così Cenerentola si mise a fare lavori nell’orto, mentre intanto cercava di origliare cosa stesse succedendo in casa. Ovviamente a nessuna delle due sorellastre, per quanto provassero e riprovassero, la scarpetta di cristallo andava bene.
Così le guardie dopo innumerevoli prove sentenziarono che nessuna delle due era la ragazza del ballo.
Ma quando uscirono di casa, ad una delle guardie cadde l’occhio proprio nell’orto dove stava Cenerentola, e vista la ragazza la chiamarono per farle provare la scarpetta.

– Ma cosa volete far provare la scarpetta a quella ragazza, non vedete che è vestita di stracci? – disse la matrigna quando si accorse delle intenzioni delle guardie – non avrebbe mai potuto partecipare al gran ballo conciata a quel modo!
– Noi abbiamo l’ordine di far provare la scarpetta a tutte le ragazze del regno, nessuna esclusa!
La matrigna dopo quelle parole non ebbe il coraggio di aggiungere nulla.

A Cenerentola batteva forte il cuore, quella era la scarpetta di cristallo che aveva usato al ballo, e il Principe aveva ordinato di cercare per tutto il regno la ragazza che l’aveva indossata!
E questa ragazza era proprio lei!
Mentre la guardia si inchinava per infilarle la scarpetta Cenerentola tremava, e per la paura chiuse gli occhi, finché non sentì la scarpetta perfettamente calzata sul piede e la guardia esclamare a gran voce:
– E’ lei!!!

Cenerentola riaprì gli occhi, la scarpetta era lì sul suo piccolo piedino.
– Non è possibile! – esclamò la matrigna.
– Non è possibile! – ribatterono le due sorellastre.
Le guardie invece chiamarono una carrozza ed invitarono Cenerentola a salirci sopra.
– Sua maestà il Principe la sta aspettando a corte – dissero le guardie facendola salire, e la carrozza partì verso il castello sotto sguardo esterrefatto della matrigna e delle sorellastre.

E così una volta giunta a corte il Principe riconobbe in Cenerentola la bellissima ragazza con cui aveva ballato un’intera sera.
Così le propose di sposarla, Cenerentola felice come non mai accettò, e di lì a poco si sarebbero celebrate le più belle nozze del regno.
E vissero tutti felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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Il Gatto con gli stivali 🐈👢

Per far sì che la fortuna ci sorrida, bisogna anche saper usare anche un po’ di furbizia ed ingegno!

“Il Gatto con gli stivali” è una famosa fiaba popolare della tradizione europea.

Il messaggio insegnato dalla favola è questo: bisogna impegnarsi e ingegnarsi per ottenere la fortuna che si desidera, anche se all’inizio tutto sembra impossibile.

E anche che non bisogna mai sottovalutare le apparenze, perchè un gatto che all’apparenza sembra solo in grado di miagolare, può rivelarsi un amico fidato e astuto che può dare prezioso aiuto.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🖌 Disegno da colorare 🎨

Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del gatto con gli stivali!

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Il Gatto con gli stivali 🐈👢 storia completa


C’era una volta Marcello, un ragazzo che aveva per migliore amico un gatto, ma non uno qualunque. Questo gatto se ne andava sempre in giro con addosso un paio di stivali, perciò Marcello l’aveva chiamato “Gatto con gli Stivali”.

I due erano cresciuti assieme, e il gatto si era sempre dimostrato molto furbo e felice di aiutare Marcello, quando era in difficoltà.
Un giorno parteciparono alla festa del paese, dove Marcello conobbe Sandra, la figlia del ricco Signorotto del posto.
I due si trovarono subito simpatici, ma Sandra già sapeva che non avrebbe potuto frequentare Marcello perché suo padre non l’avrebbe permesso. Infatti, il padre di Sandra non voleva che la figlia avesse amici tra gli abitanti del paese, da lui ritenuti dei sempliciotti.

Marcello quando capì che non avrebbe più potuto vedere Sandra, diventò triste.
– Non abbatterti Marcello, vedrai, ti darò una mano io! – gli disse il Gatto con gli Stivali.
– E come puoi aiutarmi? – chiese perplesso Marcello.
– Tu non ti preoccupare – gli rispose il Gatto dopo avergli fatto l’occhiolino. E sparì nel bosco.
Era andato a caccia, e in breve tempo riuscì a catturare un paio di leprotti. Poi si recò a casa del Signorotto, padre di Sandra, e gli porse le due prede dicendogli:
– Sono il Gatto con gli Stivali e questi leprotti sono un omaggio del Signor di Carabàs – e fece un profondo inchino.

Il Signorotto, tutto contento, ringraziò il Gatto con gli stivali, chiedendosi chi mai fosse questo Signor di Carabàs.
Il Gatto portò dei doni anche il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Il Signorotto era sempre più curioso, perciò quando rivide il Gatto gli chiese:
– Ma quando posso incontrare il vostro signore, per poterlo ringraziare di tutte queste cortesie?
– Lo incontrerete presto, statene certo – rispose il Gatto con gli Stivali inchinandosi. E corse via.

Sandra osservava quell’andirivieni già da un po’ di tempo. Le sembrò di ricordare che quello era il gatto tanto amico di Marcello.
Quel giorno decise di chiamarlo.
– Gatto con gli Stivali! Posso parlarti?

Il Gatto già temeva il peggio, pensando di essere stato scoperto nel suo piano.
– Ma tu non sei il gatto amico di Marcello?
– Sì Sandra, lo sono – rispose il gatto.
– E sei anche amico di questo Signor di Carabàs?
– …sì… – rispose timoroso il gatto, sapendo ormai di essere stato scoperto.
Sandra intuì, e sorrise.

– E per caso io lo conosco il Signor di Carabàs?
– … hem, in qualche modo sì… – il gatto non sapeva più come togliersi dall’imbarazzo.
– Ho capito… – disse Sandra sempre sorridente – Puoi riferire al Signor di Carabàs che domani io e mio padre andremo al paese qui vicino a far compere? Chissà mai che non ci si incontri…

Il Gatto con gli Stivali fu sorpreso da quelle parole, e intuì a sua volta che Sandra aveva sì capito il suo piano, ma anche che stava dalla sua parte.
– Certamente Sandra – il gatto sorrise, fece un inchino e corse via.

Lungo la strada per il paese vicino c’erano molti campi. Il Gatto con gli Stivali portò ai contadini che lavoravano lì un po’ di selvaggina, convincendoli così a dire che quei campi erano proprietà del Signor di Carabàs.
E così, man mano che quel giorno Sandra e suo padre procedevano a cavallo, i contadini li salutavano a nome del Signor di Carabàs.

Il Signorotto pensò non solo che il Signor di Carabàs fosse di una gentilezza mai vista, ma che fosse anche molto ricco.
A quel punto il Gatto con gli Stivali tornò da Marcello e gli disse:
– Sbrigati! Corri al fiume, e quando te lo dico io, buttati dentro gridando che sei il Signor di Carabàs e che ti hanno derubato di tutti i tuoi averi!

Marcello era all’oscuro di tutte le mosse del Gatto e chiese incuriosito:
– E chi sarebbe il Signor di Carabàs? –
– Vuoi incontrare di nuovo Sandra e poterla vedere finalmente quando ti pare?
– Certamente! – rispose Marcello.
– E allora non discutere e fa come ti dico!
Marcello, fidandosi dell’amico Gatto, corse veloce al fiume e si nascose dietro una siepe, in attesa del segnale per buttarsi dentro.

Intanto, il Signorotto e Sandra stavano arrivando al ponte sul fiume.
Il Gatto con gli Stivali fece un fischio, e Marcello capì che era il momento di buttarsi.
Dopo poco si sentì un grido.
– Aiuto! Aiuto! Sono il Signor di Carabàs e sono stato derubato di tutti i miei averi! Aiuto!

Il Signorotto e Sandra accorsero per vedere cosa stava succedendo, e videro Macello uscire tutto bagnato dalle acque del fiume.
– Cosa ti è successo, ragazzo? – disse il Signorotto.
– Sono il Signor di Carabàs, e due furfanti mi hanno derubato di tutti i miei averi e scaraventato nel fiume…
Finalmente il Signorotto aveva l’occasione di conoscere chi, nei giorni scorsi, gli aveva fatto tanti regali.

– Padre, non possiamo lasciarlo così bagnato fradicio. Portiamolo a casa nostra e diamogli dei vestiti! – disse Sandra che aveva riconosciuto Marcello.
– Certamente! – rispose il Signorotto.
E così Marcello fu portato a casa del Signorotto, asciugato e vestito con abiti molto eleganti.

Il Signorotto lo ringraziò per tutti i regali che gli aveva fatto, e anzi, lo invitò a frequentare spesso quella casa: per lui le porte sarebbero sempre state aperte.
E fu così che finalmente Marcello e Sandra poterono vedersi come e quando volevano, e il Gatto Con gli Stivali fu contento di vederli insieme felici e contenti.

⚜ Fine della fiaba ⚜

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