c’era una volta COVER24
C’era una volta… ma quanto tempo fa è stata questa volta?
C’era una volta… ma quanto tempo fa è stata questa volta?
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La storia di San Nicola
la storia di Babbo Natale
Natale la storia dei Re Magi
la storia degli elfi di Babbo Natale
Natale, il presepe e la sua storia
I mercatini di Natale e la loro magia
Lo Schiaccianoci è decisamente più famoso per l’omonimo balletto musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij (riconosciuto come uno dei più grandi compositori della musica russa) che per l’originale racconto fiabesco scritto da E.T.A. Hoffmann
Anche Alexandre Dumas (autore de “i tre Moschettieri”) ne ha scritta una sua versione!
Scopriamo quindi insieme come Clara, insieme al suo Principe Schiaccianoci, vivrà una magica e incantata vigilia di Natale!
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare dello Schiaccianoci!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Lo Schiaccianoci raccontata da Silvia!
Clara e Fritz, questo il nome dei due bambini, stavano ballando e cantando intorno al magnifico albero di natale che ornava il salone di casa. Avevano da poco finito di decorarlo ed erano molto emozionati per l’arrivo della notte di Natale.
Fritz era un bravo ragazzo paffuto, birichino, e un po’ presuntuoso, convinto che tutte le cose di questo mondo fossero create per farlo divertire.
Sua sorella Clara, invece, era una bambina gentile e affabile, ed era adorata da tutti quanti in famiglia.
Erano quasi le otto di sera quando, all’improvviso, si sentì bussare alla porta. Era Drosselmeyer, loro zio nonché misterioso mago, capace di realizzare meravigliosi burattini con cui si divertiva a raccontare storie fiabesche.
Aveva con sé una grande borsa che appoggiò per terra.
I due bambini gli corsero incontro abbracciandolo:
– Benvenuto Zio! Che cosa hai portato?! – chiesero emozionati.
– Adesso lo vedrete miei cari.. – disse loro.
Poi salutò tutte le persone della casa e iniziò a preparare il suo spettacolo di magia e burattini.
Rimasero tutti assorti ad ascoltare le sue storie e incantati a vedere le sue magie, finchè con un inchino finì il suo spettacolo tra gli applausi dei bambini e di tutti gli invitati alla festa.
Lo zio Drosselmeyer stava riordinando tutte le sue cose nella grande borsa quando Clara, avvicinandosi, notò una marionetta che spuntava dal bordo, e che non era stata usata durante lo spettacolo.
– Che magnifico soldatino! – esclamò Clara.
Lo zio sorrise – è di più di un soldatino sai? E’ anche uno Schiaccianoci, e sono convinto che abbia un nonsochè di magico… se vuoi puoi prenderlo.
– Davvero?! – disse Clara non credendo alle sue orecchie. Lo zio annuì divertito.
Clara prese lo Schiaccianoci dalla borsa e iniziò a danzare assieme a lui per tutta la sala con gli occhi che le brillavano dalla felicità.
Fritz non tardò ad accorgersi che la sua sorellina aveva in mano qualcosa che lui non aveva mai visto prima, e subito le andò incontro.
– Cos’è quello!? – chiese Fritz con vivo interesse misto ad invidia.
– E’ uno Schiaccianoci, me lo ha regalato lo zio! – rispose raggiante Clara.
– Fammelo vedere! – disse Fritz cercando di strapparglielo dalle mani.
Clara strinse più forte a sé lo Schiaccianoci, ma Fritz non mollò la presa e, con uno strattone molto forte, se ne impossessò.
I due iniziarono a litigare, Clara cercava in tutti i modi di riprendere lo Schiaccianoci mentre Fritz lo teneva in alto con la mano per non farglielo prendere. Clara ad un certo punto lo spintonò e Fritz, per non perdere l’equilibrio, lasciò andare lo Schiaccianoci che, cadendo a terra, si ruppe in due pezzi.
Clara scoppiò in lacrime, Fritz si rese conto del danno che aveva combinato e cercò di rimettere assieme i pezzi, ma non capiva come fare.
Lo zio Drosselmeyer si accorse del pianto disperato di Clara e accorse a vedere cosa era successo. Capì che lo Schiaccianoci si era rotto.
– Non preoccuparti Clara, posso aggiustarlo – disse e, dopo aver preso i pezzi dello Schiaccianoci, aprì la sua grande borsa e iniziò ad armeggiare con degli arnesi sullo Schiaccianoci.
Un attimo dopo lo Schiaccianoci era come nuovo.
– Tieni piccola mia.
Clara si asciugò le lacrime e guardò lo Schiaccianoci, sembrava non si fosse mai rotto, lo abbracciò forte a sé e poi abbracciò lo zio ringraziandolo. Poco dopo Fritz si scusò con Clara.
La grande festa volgeva ormai al termine e i bambini furono mandati a letto. Clara, sotto le coperte, stringeva forte a sé il suo Schiaccianoci, pensando che fosse il regalo più bello che avesse mai ricevuto.
Poi, piano piano, socchiuse gli occhi e si addormentò.
Ad un certo punto, Clara sentì un rumore provenire dal salotto. “Cos’è questo rumore ?” si chiese tra sé e sé. Intimorita ma anche incuriosita decise di andare a vedere. Prese con sé lo Schiaccianoci e scese le scale.
Nel grande salone ardeva ancora il fuoco nel camino, e l’albero di Natale era ancora splendidamente illuminato mentre in un angolo in penombra delle minuscole figure dalla coda lunga e stretta si muovevano di là e di qua: erano decine di topi!
All’improvviso si sentì urlare: “All’attacco!” e un esercito di omini di pan di zenzero si buttò addosso a tutti i topini che ormai stavano infestando il salone.
Ci fu una gran baruffa! Clara rimase a bocca aperta nel vedere quella strana battaglia, e senza accorgersene, si fece scivolare di mano lo Schiaccianoci.
Ad un certo punto lo Schiaccianoci fu attaccato da un topo che era più grossi di tutti gli altri, doveva essere sicuramente il Re dei topi. Lo atterrò e iniziò a graffiargli la faccia.
– Noo! – esclamò atterrita Clara e senza pensarci un attimo prese la sua pantofola e la scagliò contro il grande topo.
Il tiro fu così preciso che colpì il topo proprio in faccia, facendolo stramazzare al suolo. Quando il Re dei topi, barcollando, riuscì ad alzarsi ordinò alle sue truppe la ritirata e corsero tutti a nascondersi in un buco dentro al muro.
Clara corse dal suo Schiaccianoci per sincerarsi che stesse bene, ma con sorpresa e meraviglia si accorse che lo Schiaccianoci si era trasformato in un meraviglioso Principe!
– Grazie mia Clara, mi hai salvato e hai fatto scappare quei topacci, te ne sarò eternamente riconoscente.
Clara era quasi imbarazzata per la trasformazione dello Schiaccianoci e stordita da quella situazione surreale che quasi non ci credeva.
Il Principe Schiaccianoci la prese per mano e le disse:
– Vieni, voglio farti vedere il mio regno.
Clara, attonita e sorpresa, lo seguì.
Uscirono di casa, e come per magia tutta la cittadina di Norimberga era come svanita, non una casa , un vicolo o monumento erano rimasti.
Al suo posto era sorta una splendida ed incantata foresta piena di neve luccicante.
Il Principe Schiaccianoci teneva Clara per mano e la accompagnava sempre più all’interno del fitto bosco fatato.
Intorno a loro volavano leggere delle minuscole fatine scintillanti, sembravano comporre la danza di un balletto.
– Devo farti conoscere una persona… – le disse in tono gentile ma misterioso il Principe Schiaccianoci.
Camminarono così finchè non arrivarono al Palazzo Reale del Regno dei Dolci, dove ad attenderli sulla soglia del portone fatto di pan di Spagna c’era una fata vestita di zucchero filato.
– Principe! – esclamò la fata.
– Clara ti presento la Fata Confetto, la mia più cara amica! – disse il Principe Schiaccianoci. Clara e la Fata Confetto si fecero un inchino a vicenda in segno di saluto.
– Mio caro Principe – disse la Fata Confetto – ho saputo della grande battaglia contro i topi!
– Si mia cara, è stata una grande battaglia, ma non avrei mai vinto senza l’aiuto di Clara.
La Fata Confetto sorrise a Clara e l’abbracciò, poi esclamò:
– Ma entrate! Entrate! Stanno per iniziare le danze di Natale!
Si ritrovarono dentro ad un luminosissimo salone pieno di dolci di ogni tipo, con le fate dei fiori intente a danzare sopra a magnifici fiori fatti di zucchero filato e pan di zenzero.
La Fata Confetto invitò il Principe Schiaccianoci a ballare, e iniziarono a danzare in tondo per tutto il salone.
Sembravano così leggeri che pareva non toccassero terra.
Ed infatti mentre giravano insieme tenendosi per mano, stavano come per magia piano piano volteggiando sempre più in alto nella sala.
Salivano e salivano sempre di più, verso la volta del salone illuminata a giorno come se splendesse il sole.
Clara dovette socchiudere gli occhi per continuare a vederli finchè non svanirono abbracciati nella luce abbagliante.
“Svegliati piccola mia…” chiamò una voce.
Clara piano piano aprì gli occhi… era giorno e si trovava nel suo lettino, tra le braccia stringeva il suo Schiaccianoci di legno, che era ritornato delle dimensioni originali. Accanto a lei c’era seduta la mamma, che le sorrideva e le accarezzava la testolina.
Clara sorrise.
Ora capiva. Era stato solo un sogno, ma era stato magnifico e splendido, sicuramente il più bel sogno di tutta la sua vita.
Abbracciò forte il suo Schiaccianoci, poi come ricordandosi d’improvviso di una cosa molto importante, scese dal letto e corse giù nel salone di casa.
Era la mattina di Natale, e c’erano un sacco di regali da scartare!
Ma sicuramente il più bel regalo di tutti era stato il sogno magico che le aveva regalato lo Schiaccianoci!
⚜ Fine della fiaba ⚜
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⚜ Fine delle audiofiabe ⚜
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⚜ Fine delle audiofiabe ⚜
“Lo Schiaccianoci” dall’album audiofiabe di fabulinis.com.
Lo Schiaccianoci, favola per bambini
Questo racconto intramontabile, tramandato attraverso i secoli, ci trasporta in un mondo ricco di mistero e meraviglia, dove un giovane ragazzo di strada si trova improvvisamente catapultato in un vortice di eventi straordinari.
Questo racconto incarna il desiderio umano di superare le sfide, di realizzare sogni impossibili e di scoprire il grande potere che solo la magia di un Genio della lampada può fare.
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare di Aladino e il Genio della lampada!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare Aladino e il Genio della lampada raccontata da Silvia!
Purtroppo Mustafà morì quando Aladino era solo un ragazzo, senza avergli potuto insegnare ad essere un sarto come lui. Così Aladino passava le giornate a bighellonare per strada insieme ad altri ragazzi.
Un giorno gli si parò davanti uno sconosciuto, probabilmente straniero, e gli chiese se non fosse il figlio di Mustafà il sarto.
– Lo sono, signore – rispose Aladino – ma è morto molto tempo fa.
Lo straniero gli si gettò al collo e lo abbracciò, dicendo:
– Sono tuo zio Jaffar e ti ho riconosciuto dalla tua somiglianza con mio fratello! Portami da tua madre così che io possa salutarla.
Aladino accompagnò lo zio a casa sua. Sua madre rimase molto colpita nel conoscere Jaffar.
– In effetti mio caro Aladino, tuo padre una volta mi ha accennato di avere un fratello – disse sua madre – ma non l’ho mai conosciuto… sai tuo padre non voleva mai parlare del suo misterioso passato…
Passarono così la serata, dove Jaffar raccontò dei suoi viaggi e i commerci che faceva nella sua città natale, la città dalle mura di fango. Alla fine Jaffar chiese se poteva prendere Aladino con sè per farlo diventare un mercante di stoffe come lui.
La madre acconsentì.
Così il giorno dopo Jaffar condusse Aladino fuori dalle porte della città. Quindi proseguirono il viaggio finché non raggiunsero l’imbocco di una stretta valle ai piedi di due montagne.
– Ci fermeremo qui – disse lo zio – ti mostrerò qualcosa di meraviglioso, intanto raccogli dei rami per accendere un fuoco.
Quando il fuoco fu acceso il mago vi gettò sopra una polvere magica dicendo allo stesso tempo alcune parole sconosciute. La terra ai loro piedi tremò leggermente e si aprì davanti a loro una botola fatta di una pietra piatta e quadrata con al centro un anello di ottone per sollevarla.
– Cosa hai fatto, zio? – chiese meravigliato Aladino.
– Non temere nulla ragazzo, adesso ti spiego una cosa… – Jaffar guardò Aladino intensamente negli occhi – Io non son un mercante di stoffe, sono un mago, come tuo padre Mustafà non era un sarto, ma mago pure lui…
Aladino sgranò gli occhi, poi Jaffar continuò:
– Per un motivo a me sconosciuto aveva deciso di bandire la magia dalla sua vita, ed è fuggito senza lasciare più traccia.
Aladino lo ascoltava con attenzione.
– Così facendo però ti ha privato del suo tesoro, che sta sepolto proprio qui sotto – disse indicando la botola di pietra.
Aladino guardò la botola e spalancò la bocca dallo stupore.
– Solo tu, figlio di Mustafà puoi aprire questo ingresso ed entrare nella Grotta delle Meraviglie, ma devi stare attento e fare esattamente quello che ti dico:
– Afferra l’anello sulla pietra, e tiralo con forza, ti appariranno delle scale, scendile e ai piedi di quei gradini troverai una porta aperta che conduce in tre grandi sale. Mi raccomando! Attraversale senza toccare nulla, o morirai all’istante… Queste sale conducono in un giardino, continua a camminare finché non arrivi a una nicchia nel muro dove c’è una lampada ad olio, prendila e torna subito indietro.
Aladino annuì attonito, poi tirò l’anello e la botola si aprì, scese le scale e fece come aveva detto Jaffar, attraversò le tre sale, poi il giardino e infine trovò la lampada. La prese e corse subito indietro.
Aladino intuendo che Jaffar avrebbe preso la lampada e poi avrebbe richiuso la botola, urlò a sua volta – No! – e ridiscese correndo le scale.
– Stupido ragazzo! – sentì gridare alle sue spalle mentre la botola si chiudeva lentamente imprigionandolo nella grotta.
Per due giorni Aladino rimase nell’oscurità, piangendo e disperandosi. Poi non sapendo cos’altro fare prese la lampada e, dopo averla rigirata e rimirata a lungo, la prese tra le mani e la strofinò.
D’improvviso dalla lampada uscì del fumo denso e compatto, che prese le sembianze di una persona che con riverenza fece un inchino ad Aladino dicendo:
– Io sono il Genio della lampada, e sono qui per esaudire ogni tuo desiderio.
Aladino rimase di stucco, quasi spaventato, poi ripresosi chiese con un filo di voce:
– Veramente puoi esaudire ogni mio desiderio…?
Il Genio annuì.
– Allora fammi uscire di qui! – disse Aladino.
Il Genio schioccò le dita e si ritrovarono magicamente all’esterno della grotta, proprio sopra la botola di entrata. Di Jaffar non c’era più l’ombra.
– Come avete desiderato, mio signore – disse il Genio, che facendo un inchino sparì lentamente nella lampada.
Aladino corse come il vento verso casa, dove sua madre lo accolse a braccia aperte. Le raccontò tutta la sua avventura, poi strofinando la lampada fece apparire il Genio e gli chiese di preparare un sontuoso banchetto per entrambi.
Il Genio schioccò le dita e la tavola fu imbandita di ogni prelibatezza presente sulla faccia della terra. Sua madre quasi svenne dallo stupore.
Con l’aiuto del Genio, Aladino divenne il più ricco mercante della città, viveva in una reggia e aveva preso molte persone al suo servizio.
Un giorno il Sultano emanò un ordine molto strano: l’obbligo a tutti i cittadini di restare in casa con le persiane chiuse mentre la principessa sua figlia attraversava la città per andare al fiume a rinfrescarsi.
Aladino, incuriosito, fu preso dal desiderio di vedere la figlia del Sultano in viso, per verificare se fosse così bella come si raccontava. Così si nascose e quando finalmente la vide se ne innamorò all’istante.
In quel preciso momento decise che doveva chiederla in sposa al Sultano.
Così ordinò al Genio di preparare ogni giorno un sacchetto di pieno di oro e gioielli da consegnare al Sultano in segno di omaggio.
Fu così per sei giorni, finché il Sultano incuriosito da tutto quell’oro e quei preziosi decise di dare udienza ad Aladino.
Aladino si presentò al suo cospetto e, dopo le dovute cortesie, gli disse:
– Voglio il permesso di sposare sua figlia, la principessa Yasmin.
Il Sultano, per niente felice di dare sua figlia in sposa ad un mercante invece che ad un principe di lignaggio reale, sperava di prendere in giro Aladino, acconsentendo alle nozze ad una condizione: portargli quaranta forzieri ricolmi di oro e quaranta forzieri ricolmi di gioielli.
Aladino sorrise e disse:
– Come lei ordina.
Tornò quindi nella sua reggia e ordinò al Genio di preparare quanto richiesto. Dopo solo un’ora dall’udienza con Aladino, il sultano si vide consegnare i quaranta forzieri pieni d’oro e i quaranta forzieri pieni di gioielli da altrettanti servitori di Aladino.
La notizia del matrimonio reale si sparse per tutto il medio oriente, e così Jaffar venne a sapere che Aladino non solo non era morto nella grotta, ma aveva addirittura sposato la figlia del Sultano, e tutto questo sicuramente grazie all’aiuto del Genio della lampada.
Jaffar voleva impossessarsi di quella lampada ad ogni costo, così architettò un astuto piano.
Una volta giunto al palazzo reale iniziò a frequentare la servitù di corte, finché non conobbe la signora che provvedeva alla pulizia delle camere reali.
Jaffar, travestito da mendicante, aspettò che Aladino si allontanasse per un viaggio di una settimana, e si avvicinò alla signora delle pulizie dicendole:
– Il principe Aladino non ha forse bisogno di lampade nuove per le sue reali camere? Se mi permette di ritirare le vecchie lampade gliele offro per un prezzo davvero simbolico, mi basta una forma di pane per cenare questa sera – e da una borsa tirò fuori una lampada nuova scintillante.
La signora delle pulizie si rammentò di una vecchia lampada che stava sempre nella camera del principe Aladino e, credendo di fare l’affare, corse subito a prenderla per darla a Jaffar assieme al pezzo di pane.
Jaffar prese la lampada magica e, dopo aver fatto la riverenza, uscì dalle porte della città e si nascose in un luogo solitario, dove rimase fino al calar della notte.
Quando finalmente tirò fuori la lampada e la strofinò, il Genio apparve.
– Io sono il Genio della lampada, e sono qui per esaudire ogni tuo desiderio.
Jaffar sorrise beffardamente e disse:
– Desidero portare via l’intera reggia di Aladino e la principessa Yasmin nella mia città dalle mura di fango, così che nessun suddito del Sultano possa mai trovarci.
Il Genio schioccò le dita e tutta la reggia con all’interno Yasmin e la servitù sparì all’improvviso.
In città si diffuse il panico, nessuno sapeva dove fossero finite la reggia e la principessa. Aladino tornò di fretta indietro dal suo viaggio ed incontrò il sultano che gli disse:
– Che magia è mai questa?! Solo un potente mago può fare questo!
– Lo so mio signore, e so anche chi potrebbe essere stato… – rispose Aladino.
– E allora và e ritorna con mia figlia, altrimenti ti passerò a fil di spada!
Aladino prese un destriero e si mise al galoppo. Aveva intuito che solo suo zio Jaffar era a conoscenza della lampada e dei suoi poteri, e solo lui avrebbe potuto usarla.
Iniziò quindi a viaggiare per il deserto verso la città dalle mura di fango di cui Jaffar gli aveva parlato la sera che lo conobbe.
Aladino cavalcò tutto il giorno e tutta la notte, finché all’alba non intravide la città dalle mura di fango e la sua reggia.
Arrivò fin sotto il palazzo, dove Yasmin lo stava aspettando sulla soglia della porta d’entrata.
I due si abbracciarono, poi Aladino chiese dove fosse Jaffar e dove fosse la sua lampada.
– Adesso non è qui, ma porta la lampada sempre con sé appesa al collo. Ha detto che se non acconsento a sposarlo mi ucciderà!
Aladino pensò a cosa fare, poi ebbe un’idea:
– Questa sera a cena indossa il tuo vestito più bello – le disse – e accogli il mago con un gran sorriso facendogli credere che mi hai finalmente dimenticato. Invitalo a bere il vino e digli che vuoi assaggiare il più prezioso delle sue riserve, andrà a prenderne un po’, e mentre se ne sarà andato ti dirò cosa fare…
Yasmin ascoltò Aladino e fece come lui aveva detto. Quella sera mise il suo vestito più bello ed invitò Jaffar a portarle il migliore tra i suoi vini, Jaffar andò quindi a prendere il vino.
In quel momento Aladino, uscì dal suo nascondiglio e diede una polverina a Yasmin:
– Versala tutta nella tua coppa, quando brinderete porgigliela in segno di pacificazione.
Yasmin versò la polverina nella sua coppa, poi Jaffar tornò col vino e brindarono. Yasmin porse la sua coppa a Jaffar che, lusingato dal gesto, la prese e bevve. Quasi all’istante Jaffar cadde svenuto sul pavimento.
Aladino ricomparve e velocemente prese la lampada che Jaffar portava appesa al collo, la strofinò e il Genio comparì al loro cospetto.
– Facci subito tornare a casa, reggia compresa, ma lascia qui Jaffar nella sua terra!
Il Genio schioccò le dita e in un battibaleno Aladino e Yasmin furono nuovamente a casa loro.
Il sultano fu immensamente felice di rivedere entrambi e indisse una festa che durò tre giorni e tre notti.
E Aladino e Yasmin vissero per sempre felici e contenti.
⚜ Fine della fiaba ⚜
“Aladino e il Genio della lampada” dall’album audiofiabe di fabulinis.com.
Aladino e il Genio della lampada, le mille e una notte.
Spesso sono formulati in modo da ingannare o confondere chi cerca di risolverli e richiedono una mente astuta e creativa per indovinarli.
⚠ Attenzione: per scoprire la risposta, basta cliccarci sopra! 😉
⚜ Fine dei colmi ⚜
I colmi più belli e divertenti, fabulinis.com
In questa pagina raccogliamo alcune bellissime filastrocche a tema natalizio, così da poter passare dei bei momenti insieme ai vostri bambini, ridendo e scherzando con le rime.
Eppure dobbiamo chinare la testa
e fare lo stesso una grande festa,
per tutti quelli che ci sono vicini,
ma soprattutto per i bambini.
Allora apriamo la nostra casetta,
accendiamo le luci e iniziamo la festa,
Babbo Natale ci porterà i doni
anche quest’anno, se siamo stati buoni.
Stampiamo sul viso un grande sorriso,
poniamo il cibo che sarà condiviso,
pensiamo un attimo a chi ci ha lasciato
perché in questo giorno non sia scordato.
E allora facciamo che questa giornata,
possa esser di gioia e non rovinata,
diamo la mano a chi ci è vicino
e non scordiamo che oggi è nato un Bambino.
I bimbi stanno ancora giocando
e alla scuola non stanno pensando,
c’è ancora nell’aria odore di festa
e molti sogni ancora nella loro testa.
Ma i nostri cuori non sono sereni,
ogni giorno è pieno di mille pensieri,
vediamo i bambini che stanno soffrendo
e tutti quelli che stanno morendo.
Non può esserci pace per tutto questo,
puoi solo pensare che è disonesto
che alcuni bambini siano contenti,
ma molti altri siano dolenti.
Ma non c’è niente che possiamo fare?
Non abbiamo risorse da sfruttare?
Noi mamme e nonne possiamo solo pensare,
che ogni bambino ha il diritto di sognare.
Cara, il Natale è assai bello,
c’è un bue e un asinello
e nella grotta un bambino
che giace nel suo paglierino
A fianco ha la sua mamma
che gli mette a posto la paglia,
mentre il suo papà lo governa
e guarda in alto una stella
La nascita di questo bambino
è stata un evento divino,
tutti lo voglion vedere
e accorron per questo ottenere
Ecco il Natale cos’è,
non regali o luci, ahimè,
ma la nascita di questo Bambino
che ha cambiato il destino
Lo stendo per bene in un cortile,
devo far piano, non mi devon sentire.
Sento rumore nella casetta,
voci di bimbi e di una maestra.
Sono in mutande, non mi devon vedere,
sennò che figura…è meglio tacere.
Mi affaccio un pochino alla finestra,
tanti visini, c’è aria di festa.
Vedo le luci, un alberello,
vedo il presepe con l’asinello,
che armonia, che pace mi dà,
presto il vestito si asciugherà.
Mi spiace lasciare questo ambiente fatato,
ma il mio tempo ormai se n’è andato,
metto il vestito tutto di fretta,
aspetto la slitta e auguro “Buona Festa!”
Alla mattina di buon’ora
siamo ancora sotto le lenzuola,
una campana rimbomba nell’aria,
è la nostra sveglia ed è necessaria.
Tutti di corsa andiamo a lavarci,
è un grande caos per accaparrarci
sia il sapone che l’asciugamano,
facciamo presto o la colazione saltiamo.
Poi profumati e tutti bellini
andiamo a finire i giocattolini,
chi è addetto alle bambole o ai trenini,
chi ai peluche o ai cavallini.
Che bella atmosfera che noi creiamo,
una musica dolce nell’aria sentiamo,
siamo ancora assonnati e anche stanchini
ma Natale è vicino: pensiamo ai bambini!
Ecco, siam pronti, è tutto finito,
facciamo i pacchetti con qualche candito,
le renne aspettano che i sacchi mettiamo,
son pronte a partire e tutti aspettiamo.
Ecco Babbo Natale, è ancora più bello,
per noi lui è un caro fratello,
no , anzi, qualcosa di più,
gli vogliamo un gran bene tutti quassù.
Ed ecco che partono, con un saluto,
anche questo Natale abbiamo potuto
costruire giocattoli per i bambini,
siamo proprio contenti, anche se siam piccini.
Ecco in un angolo una letterina,
non c’è nessuno in casa stamattina.
Con questo freddo chissà dove sono andati,
c’è anche la neve, si saran bagnati!
Ora mi siedo in questa bella poltrona,
è di raso rosso e sono sveglio di buon’ora.
Sprofondo così nel morbido tessuto
mi sento proprio molto benvoluto.
Però purtroppo nel caldo tepore
mi addormento e passano le ore
e mi ricordo d’un tratto della letterina,
non l’ho ancora aperta, che figura barbina!
“Caro Babbo Natale, sono dovuta partire,
oggi la mamma deve partorire,
ti ho lasciato sul tavolo i biscottini,
un poco di latte e alcuni grissini.
Dona i miei regali a un altro bambino,
a me basta avere un fratellino,
non c’è al mondo cosa più bella,
sul mio albero di Natale aggiungo una stella!”
Tutti i bambini
comincian a sognare
e invece le mamme
ad incartare…
Brilla la luce
sull’alberello,
ha tante palline,
è proprio bello.
Dona allegria
in tutti i cuori
e i bambini
sono più buoni.
Dentro al presepe
l’asino raglia
e il bue lo osserva
e mangia la paglia.
Gesù Bambino
deve arrivare
e dentro al presepe
poi riposare.
E tu che dici,
sei stato buono?
allora ecco,
questo è il mio dono.
Tagliava la legna, curava gli uccelli,
amava molto i pipistrelli,
erano brutti, nessun li voleva,
forse per questo ad esso piacevan.
Un giorno al caldo, nella casetta,
mentre di fuori c’era tempesta,
si mise a pensare: “Che vita che faccio,
sono qui solo, con questo tempaccio.
Io sono qui, nella casetta,
sono al caldo ma nessuno mi aspetta,
lo so, non amo molto parlare,
ma se insisto ce la posso fare”.
Chiamò a raccolta i suoi amici animali,
doveva lasciarli e andar dagli umani,
solo così poteva trovare
un nuovo amico con cui conversare.
Qualcosa di bello doveva portargli,
qualcosa di raro doveva fargli,
prese del legno e cominciò a lavorare,
fece un carretto, poteva bastare.
Ma fece ancora tanti altri oggetti,
venivano bene, eran perfetti.
Un cavallino, la macchinina,
anche un pupazzo e la bambolina.
E mise tutto dentro un sacco,
pesava tanto, era proprio fiacco,
chiamò allora degli amichetti,
erano gnomi, piccoletti.
Avete capito di chi parliamo,
e che ogni anno noi festeggiamo?
È Babbo Natale, che ama i bambini
e porta i doni anche ai birichini.
Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊
Queste filastrocche per bambini parlano proprio di loro, dei loro sogni, delle loro avventure e anche dei momenti un po’ meno felici, ma alla fine c’è sempre un grande sorriso per tutti ad attenderli.
Queste filastrocche le ha scritte col cuore Lulù, con la sua dolcezza e simpatia.
La mamma si deve truccare,
il babbo ha la barba da fare,
in bagno io devo andare.
Ma che lo dico a fare!
A scuola non voglio andare,
non ho potuto studiare,
la nonna doveva stirare.
Ma che lo dico a fare!
Il pullman sta per arrivare,
mi devo ancora lavare,
il mio turno devo aspettare.
Ma che lo dico a fare!
Ognuno pensa per sé,
noi siamo uno, due e tre,
all’insegna della famiglia,
è proprio un parapiglia.
Lo zaino devo infilare,
non mi son potuto lavare,
a scuola ci dovrò pensare.
Ma che lo dico a fare!
Non chiedere al sole,
se vuole scaldare,
gli riesce facile
e lo sa fare.
Non chiedere a un fiore,
se vuole sbocciare,
ti dirà che è giusto
e che i semi deve fare.
Non chiedere a un alpinista,
se vuole scalare,
è un necessità
che deve soddisfare.
Non chiedere a un prete,
se vuole pregare,
è nato per questo,
non c’è da obiettare.
Non chiedere a un bimbo
se vuole giocare,
ti dirà subito
che lo vuol fare.
Non chiedere a una nonna,
se è capace di amare,
guarderà il nipotino
e inizierà a cullare.
Corro veloce verso di lui,
voglio raggiungerlo ormai,
forse ha bisogno di me,
anche se non so il perché.
Due braccia aperte
in un grande abbraccio,
due cuori che si incontrano
con grande coraggio.
Il bimbo è solo, ha bisogno d’amore,
senza di esso vi è solo dolore.
Non si sa mai come ha vissuto finora,
ma da oggi deve cambiare, è giunta l’ora.
Sarà fatica affrontare il domani,
sarà molto lento, se non hai due mani,
che stringon la tua nel suo arduo cammino,
che non lo proteggono se non gli sei vicino.
Non sai il suo nome, semmai lo avrà,
né da dove viene, ma importanza non ha,
ha scelto te come Angelo protettore
e questo, lo sai, ti fa solo onore.
Chi parla è un bambino
che nessuno trova carino,
ma ha la bellezza dentro
e poi è sempre contento.
A scuola ha moltissimi amici
e li rende sempre felici,
se i compiti non sanno fare
egli è sempre pronto ad aiutare.
Anche nei giochi non è prepotente,
se perde a lui non importa niente,
invece è contento di chi ce la fa
e con un bell’applauso se ne va.
E dopo averlo ascoltato
Il nuovo amico ci ha ripensato,
cosa importa se un bell’aspetto non ha,
ha molte altre doti e qualità!
Ho preferito inserire dei fiocchi,
ci stavan bene, i capelli sono corti,
poi sono uscita di casa, pianino
e mi sono diretta verso il giardino.
Che bella atmosfera che ho trovato,
un albero tronco che ho attraversato,
al di là un castello e mille colori,
scintillii di luci venivano fuori.
Ero in un mondo tutto incantato,
i piedi leggeri in un posto fatato
e mi destreggiavo di qua e di là,
tra nuvole e fiori, con molta abilità.
Di colpo un rumore mi fa sobbalzare,
c’è poca luce, mi devo adattare
e mi ritrovo nella mia cameretta
e sulla porta la mamma che aspetta.
È stato un sogno ed è stato bello,
mi alzo di scatto con un saltarello
e guardo la mamma e il suo sorriso,
l’abbraccio forte: questo è il Paradiso!
Io sono allegro e anche burlone,
se poi mi amate vi dono un fiore.
Questa immagine era sfocata,
ma con photoshop l’ho ritoccata.
Sono seduto sopra di un ramo,
spero che regga, ce lo auguriamo,
non voglio fare un capitombolo
se no poi rotolo, tanto sono tondo.
Gioiamo alla vita, a chi è paffuto,
a chi è magro o occhialuto,
in questo lavoro il mondo è solare,
un lampione mi illumina: che bello sognare!
Se tu oggi parli non ti stanno a sentire,
se alzi la voce ti dicon di zittire,
non ho capito cosa devo fare,
posso dir la mia o solo ascoltare?
Vorrei comunicare ciò che sento,
anche se alcune volte non ha nessun senso,
ma è pur bello poter dialogare
e non sempre e solo dover bisbigliare.
Non ho paura di dir ciò che penso,
solo così la mia presenza ha un senso,
altrimenti sarei proprio come te,
che ascolto soltanto, come un bebè.
Decisi allora di darmi da fare,
parlare al pallone non era normale,
gli diedi un calcio e urtò un bambino,
con lui da allora gioco per benino.
Ella ci ha detto che aspetta un bambino,
papà è raggiante, io solo un pochino.
dovrei divider con lui la stanza
e poi di giochi non ne ho abbastanza.
Non era proprio quello che volevo,
ho detto la mia, non so se potevo.
La famiglia adesso si allargherà,
un nuovo bebè presto arriverà.
Dovrò dividere adesso il loro amore,
ma ci sarò ancora sempre nel loro cuore?
Oppure di me si sarebbero scordati
e nemmeno a scuola saremmo più andati?
Passarono i mesi in tranquillità,
mamma era più bella, il perché non si sa,
ella si sentiva stanca e affaticata,
ma un bel giorno sarebbe stata ripagata.
Ed ecco che nacque il mio fratellino,
era piccolo, gracile ma era bellino,
gli presi la mano, era freddina,
ma era molto bella e piccolina.
Mi dispiacque subito di aver pensato
che questo bimbo non lo avrei amato,
lo strinsi a me con grande affetto,
era mio fratello ed era perfetto!
Il mio papà dice che sono bella
e assomiglio a una piccola stella.
Secondo me gli piace scherzare:
io all’asilo non ci voglio andare!
Allora interviene la mia mammina,
anche per lei io sono carina,
ma poi mi sistema il grembiulino
e mi dà una pacca sul sederino.
Mi sa che all’asilo devo proprio andare
e non ci voglio più pensare,
metto lo zaino e il giacchino
e vado all’asilo pianin pianino.
Alcuni hanno
delle barchette
e altri invece
delle cannette,
anche i più piccoli
ci voglion salire
ma uno coi riccioli
si fa sentire.
“Non sono piccino,
ho già 4 anni,
sono magrino
ma non mi inganni,
mi vuoi vedere
fare un bagnetto
ma io non casco
e ti faccio un dispetto”.
E mentre lo dice
un tuffo fa giù,
non è felice
ma non ne può più
sentirsi dire
sempre, ogni giorno,
“Sei piccolino,
levati d’attorno”!
Tutto imbronciato
si tira su,
è tutto abbacchiato
ma sembra Gesù,
i suoi capelli
biondo dorato
sono sempre belli
anche da bagnato.
Essere alti ha un grande vantaggio,
ti senti forte e ti viene il coraggio
di dire a tutti quello che pensi
e poi lasciare gli altri sgomenti.
Che senso ha però questa idea,
le cose van dette ma in buona maniera.
Esser educati è la cosa migliore
e dire agli altri la propria opinione.
Allora son scesa giù dal covone
e ho visto gli amici che giocavan a pallone,
son la più piccola, questo lo so
e anche gli altri mi deridono un po’.
Mi sono messa il cappellino,
sembro più alta anche se solo un pochino,
ho dato un calcio al loro pallone
e ho fatto gol, senza rigore.
I miei amici mi hanno alzata,
come in trionfo mi hanno portata.
Ecco, ero grande per loro, perciò
nel grande covone mai più salirò.
Puoi incontrare uno stambecco
l’ermellino o il gippeto,
uno scoiattolo nel bosco
o un picchio su un ramo morto.
Passa un merlo con un verme in bocca,
cerca il nido e il suo cuore scoppia,
Il movimento lo ha disorientato
e il suo piccolo è ancora affamato.
Queste cose piacciono a un bambino
Ma per questo deve fare un
cammino
sarà lungo o sarà breve
chissà quel che dalla strada riceve.
Ma tutto questo ti arricchisce
e la visione non svanisce,
quando a casa tornerai
dentro il tuo cuore troverai
Forse la strada
sarà pesante,
non preoccuparti,
non mi farò da parte.
Ti lascerò solo
quando vorrai,
fino ad allora
con me starai.
E quando un giorno
tu partirai
verso una meta
che ancora non sai,
io non sarò a te vicino
ma nel mio cuore
resterà il cammino
che insieme abbiam fatto.
Or che sei grande
ti devo lasciare.
Ti voglio una gran bene,
non lo scordare!
Alcuni dicono che è una fatina
che ruba i denti per la Regina,
ma invece per me è stato un topino,
ho visto la cacca sul comodino.
E al mattino ho trovato un soldino,
è stato tirchio, era bellino,
sì, piccolino ma era carino
ed era bianco, pulito a puntino.
La filastrocca è quasi finita,
non fatemi ridere, lo faccio a fatica,
adesso in bocca ho un buchetto,
non riesco nemmeno a dare un bacetto.
Metto il guadagno nel salvadanaio,
forse da grande farò il gelataio
e porterò gelati ai bambini,
che senza un dente sono sempre carini
Se mi alzo al mattino
non dimentico il bacino.
È un orsetto delicato
dal musetto assonnato.
Io gli voglio un gran bene,
esso è mio. Mi appartiene!
E di giorno poi giochiamo
e a volte conversiamo.
Me lo coccolo benino
e lo stringo al mio pancino.
All’asilo dovrò andare
e l’orsetto potrò portare,
ma starà con me vicino
solo per il riposino.
Ora però devo andare
con la nonna a passeggiare;
lascio a casa il mio orsetto,
lo rimetto dentro al letto.
È da poco stato operato
e ancora non si è alzato.
Vicino a lui ha la sua mamma
che gli fa fare la nanna;
il bambino è assonnato
e il suo cuore è beato.
Non è giusto non star bene
e soffrire tante pene.
Perché mai devo star qui,
non è giusto, non è così
che volevo la mia giornata
deve esser bella e spensierata,
devo correre e gioire,
invece ho male da morire.
La sua mamma lo capisce
Anche se lui parol non dice.
Anche lei non si dà pace,
vede il bimbo che nel letto giace.
Pensa ai giorni che verranno,
quando insieme usciranno
da quel triste ospedale,
dove nessuno vorrebbe andare.
Guarda in alto e ringrazia,
non è mai grata abbastanza,
il suo bimbo ora sta bene
quel che è l’oggi non le appartiene.
Sarà solo un ricordo
che svanirà con il nuovo giorno.
Figlio mio, sei il prediletto,
sono qui, accanto al tuo letto!
Nessuno di noi
se lo può ricordare
ma forse da mamma
ti piace pensare
che sogni pascoli,
miriade di fiori,
uccelli fatati
dai mille colori.
Orsetti giganti
che gli danno la mano,
una musica dolce
che suona lontano.
Una casa pepata
e fuori un giardino
con tanti dolcetti
su un tavolino.
Intorno alla tavola
tanti bambini,
di tutte le razze
per stare vicini.
Ognuno parla
ma non si capisce
nulla di quello
che insieme si dice.
Ma non importa,
si stringe la mano
al bambino vicino
e insieme facciamo
un bel girotondo
dai mille colori,
dal bianco al marrone,
nessuno sta fuori.
La mamma continua
ancora a pensare
che è tanto bello
per il bimbo sognare.
Allora si siede
e lo guarda dormire.
E pensa che è bello
e lo ama da morire!
Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊
Le più belle frasi e aforismi per Halloween, fabulinis.com
👻 Halloween è la notte paurosa dell’anno, la notte delle streghe, dei fantasmi e dei gatti neri. I pipistrelli volano nella notte buia e nelle zucche intagliate sono illuminate dalle candele.
E i bambini si travestono e vanno in giro a fare “dolcetto o scherzetto” 🍬
Se vuoi saperne di più prova a leggere i nostri articoli sulle origini della festa di Halloween e sulla storia della zucca di Halloween! 🎃
(Fabrizio Caramagna)
(Nicholas Gordon)
(Dal film Nightmare Before Christmas)
(Fabrizio Caramagna)
(Fabrizio Caramagna)
Il corvo e la volpe, favola di Esopo con morale
Il cavallo e l’asino, favola di Esopo per bambini
E’ difficile che i bambini collaborino tra di loro (e soprattutto con noi genitori) per fare qualcosa di faticoso, ma questa favola di Esopo aiuta a spiegare ai bambini che dare una mano a chi è in difficoltà non solo è un bel gesto, ma potrebbe forse evitare a tutti di fare uno sforzo più grande in futuro.
Guarda la videofiaba raccontata da Silvia
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del cavallo e l’asino!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il cavallo e l’asino raccontata da Silvia!
C’erano una volta un cavallo e un asino che vivevano nella tessa stalla.
Il loro padrone voleva bene ad entrambi, e non mancava mai di attenzioni verso ciascuno di loro.
Però, quando si trattava di portare i sacchi di farina da vendere giù al mercato, sulla groppa del cavallo, fiero ed altezzoso, ne caricava solo un paio, mentre sulla groppa dell’asino buono e mansueto, ne caricava molti di più.
All’asino andava bene così, lui ci era abituato e sapeva che quello era il suo lavoro. In più ammirava veramente la bellezza del cavallo, e quindi si era convinto che fosse giusto preservare il suo splendore non caricandolo di troppi pesi.
Un giorno però, andando al mercato, il loro padrone non si rese conto di aver caricato troppo l’asino, così che dopo pochi chilometri l’asino cominciò a camminare con fatica.
Il padrone purtroppo era tutto preso dal parlare con un suo amico che faceva la stessa strada, e non si rese conto di quanta fatica facesse l’asino, così l’asino si rivolse al cavallo.
– Cavallo, amico mio – disse l’asino – mi potresti dare una mano? Ho il fiato corto e faccio fatica a camminare, prenderesti uno dei miei sacchi di farina?
Il cavallo lo guardò a malapena e fece finta di non aver sentito.
L’asino continuò il suo faticoso cammino sbuffando.
Dopo un po’ però le gambe gli cominciarono a traballare.
– Cavallo, amico mio, ti prego dammi una mano, non ce la faccio a portar tutto questo peso, tra poco cadrò…
– Se il padrone ti ha caricato di tutti quei sacchi è perché sa che li puoi portare – rispose stizzito il cavallo.
L’asino abbassò la testa e continuò a camminare.
Ma non ce la faceva davvero più.
– Cavallo amico mio, ti supplico, prendi almeno uno dei miei sacchi e aiutami.
– No! – rispose secco il cavallo – tieniti i tuoi sacchi e non mi disturbare più!
E, per sottolineare il fatto che non lo avrebbe aiutato, allungò il passo distanziandolo di una decina di metri.
L’asino allora decise che ne aveva abbastanza e si lasciò cadere al suolo con un sordo tonfo.
Solo allora il padrone si accorse di quello che stava succedendo.
– Povera bestia mia, che stupido sono stato a caricarti di così tanti sacchi, aspetta ora te li tolgo di groppa – e così fece.
– Tieni anche un po’ d’acqua e riposati qui all’ombra dell’albero – continuò il padrone.
Finalmente l’asino aveva un po’ di pace e ristoro.
– Cavallo, vieni qua! – ordinò il padrone – ora i sacchi di farina li porterai tutti tu!
Il cavallo spazientito ed infuriato per la cosa non poté che obbedire al padrone che gli caricò sulla groppa tutti i sacchi di farina.
“Che stupido che sono stato” pensò il cavallo “Se avessi ascoltato l’asino e l’avessi aiutato prendendomi uno dei suoi sacchi di farina, adesso non farei tutta questa fatica…”
E proseguirono il viaggio, il cavallo sbuffando dalla fatica e della sua stupidaggine, e l’asino finalmente con la groppa libera e senza pesi godendosi la passeggiata fino al mercato.
Morale della favola: meglio condividere le fatiche con gli altri prima che tutte le fatiche ricadano solo su di noi.
⚜ Fine della fiaba ⚜
La cornacchia vanitosa, favola di Esopo per bambini
E’ una delle più famose favole di Esopo, conosciuta anche con il titolo “La cornacchia e le piume del pavone” nella versione di Fedro.
Guarda la videofiaba raccontata da Silvia
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della cornacchia vanitosa!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la cornacchia vanitosa raccontata da Silvia!
C’era una volta una cornacchia, tutta nera. Un giorno, mentre volava sopra il bosco, vide su un prato dei bellissimi pavoni. Si fermò quindi sopra il ramo di un albero ad ammirarli.
I pavoni si accorsero presto che la cornacchia stava appollaiata lì sul ramo ad osservarli, e, da gran vanitosi che erano, fecero tutti la ruota con la coda.
La cornacchia, abbagliata dalla bellezza della loro coda, volò via.
Andò così a specchiarsi nell’acqua dello stagno, e si vide così brutta che decise di non mostrarsi più in giro per la vergogna.
Invidiosa del magnifico comportamento e delle splendide piume dei pavoni, iniziò a spiarli ogni giorno in gran segreto, da un albero un po’ più nascosto del precedente.
La cornacchia si accorse così che, sparse per il prato, c’erano delle penne cadute dalle code dei pavoni e lasciate lì sul prato. Decise, quindi, di aspettare il tramonto per poterle andare a prendere di nascosto.
Non appena riuscì a raccoglierne cinque, volò via e andò a nascondersi in un posto riparato, dove con un po’ di colla le attaccò alla sua coda.
Il mattino dopo andò ad ammirare nelle acque dello stagno la sua nuova coda di pavone, pensando: “Adesso sono anche io bella come i pavoni. Andrò dalle mie compagne cornacchie e le farò morire di invidia!”.
La cornacchia andò quindi dalle sue compagne, che, vedendola, iniziarono veramente a morir d’invidia. Quella coda con le penne di pavone era davvero bellissima.
Purtroppo, però, l’arroganza della cornacchia non la trattenne dal prendere in giro le sue compagne, dicendo loro che erano brutte e con le penne spelacchiate.
Le compagne cornacchie, arrabbiate come non mai, la cacciarono via a beccate, dicendole di non farsi più vedere.
La cornacchia volò via, e andò a consolarsi sul ramo d’albero da cui guardava di solito i pavoni.
“Le mie compagne cornacchie non mi meritano” pensò, “meglio andare a vivere con i pavoni. Siccome ormai sono bella come loro, non saranno invidiosi”.
E così la cornacchia volò sul prato in mezzo a tutti i pavoni, salutandoli felicemente.
Ma i pavoni, vedendo arrivare in mezzo a loro questa cornacchia spelacchiata, con in più attaccate alla sua coda alcune delle loro bellissime penne, rubate chissà quando, non la presero molto bene.
Iniziarono a correrle dietro per scacciarla dal loro prato e cercavano anche di beccarla. Alla fine la cornacchia dovette prendere il volo ed andare via.
Umiliata e triste, la cornacchia si staccò le penne di pavone dalla coda, e con la testa bassa, tornò dalle sua compagne cornacchie che ridendo e scherzando la accolsero di nuovo tra loro, perché erano le sue amiche di sempre.
Morale: non bisogna cercare di somigliare a qualcun altro ma apprezzarsi per ciò che si è.
⚜ Fine della fiaba ⚜
Il cervo e il leone, favola di Esopo per bambini
La lepre e la tartaruga, favola di Esopo per bambini
Questa favola di Esopo è più nota come “Il cervo alla fonte e il leone”, e dà una lezione importante: la bellezza e la forza fisica non sempre ci aiutano, mentre alcune nostre caratteristiche che ci sembrano più fragili possono addirittura salvarci la vita dai pericoli. Noi di fabulinis abbiamo cercato di rendere questa favola il più possibile adatta per tutti i bambini.
Guarda la videofiaba raccontata da Silvia
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del cervo e il leone!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il cervo e il leone raccontata da Silvia!
C’era una volta, in una grande foresta, un bellissimo cervo, con delle maestose corna tutte ramificate.
Il cervo era talmente orgoglioso delle sue corna, così belle, grandi e ben proporzionate, che andava spesso al laghetto per ammirarle specchiandosi nelle sue acque.
Passava ore e ore a guardare il suo riflesso nell’acqua, ogni giorno sempre più fiero.
Il cervo, però, non poteva proprio sopportare di vedere quelle maestose corna e quel corpo atletico tenuti su da delle zampe così magre e ossute. Faceva veramente fatica ad accettare quel contrasto.
Un giorno però, mentre era al laghetto tutto intento a specchiarsi, sentì un rumore insolito. Alzò lo sguardo e vide a qualche decina di metri da sé, un leone.
Il leone lo stava guardando dritto negli occhi e ad un certo punto ruggì con forza.
Il cervo capì immediatamente che doveva fuggire il più velocemente possibile, altrimenti il leone gli sarebbe saltato addosso con un paio di balzi.
Così il cervo fece uno scatto e si addentrò nella foresta.
Il leone non fu da meno e si diede subito all’inseguimento del cervo.
Il cervo conosceva bene tutti i sentieri del bosco, e sapeva che, se voleva salvarsi, avrebbe dovuto portare il leone verso la montagna, dove un torrente aveva scavato una profonda gola che lui avrebbe potuto saltare, mentre il leone non ci sarebbe mai riuscito.
Ma il leone lo inseguiva con balzi sempre più grandi, e si stava avvicinando sempre di più.
Il cervo capì che, se continuava a correre in quel modo, il leone gli sarebbe stato addosso in pochi balzi. Così iniziò a zigzagare per tutto il bosco, saltando siepi e arbusti grazie alle sue zampe snelle e scattanti.
Il leone iniziò ad essere in difficoltà. Finché si trattava di correre dritto, poteva raggiungere facilmente il cervo. Ma ora la sua preda continuava a saltare a destra e a sinistra ininterrottamente, e lui non riusciva ad avere la stessa agilità.
Il cervo a poco a poco guadagnava terreno sul leone, finché ecco! Vide le prime rocce della montagna!
Il cervo sapeva che poteva mettersi in salvo, doveva solo arrivare al torrente e saltare dall’altra parte della riva.
Il leone intanto iniziava a dare i primi segni di cedimento, ma non si era ancora dato per vinto.
Finché il cervo, arrivato al torrente, raccolse tutte le forze che gli rimanevano e… Hoop! Con le sue agili zampe posteriori spiccò un balzo che lo portò dall’altra parte della riva.
Era in salvo.
Il leone arrivò alla riva del torrente e si fermò bruscamente. Sapeva che non sarebbe mai riuscito a saltare dall’altra parte.
I due si fissarono a lungo negli occhi, sapendo entrambi che la caccia era stata solo rimandata ad un altro giorno. Poi il leone si voltò e andò via lentamente.
Il cervo, col cuore ancora in gola, guardò giù nel torrente. C’era un punto in cui si formava una pozza e l’acqua era più ferma. Il cervo vide la sua immagine, con le esili e snelle zampe che facevano tanto contrasto con le corna grandi e maestose.
Quelle zampe per lui così brutte e tanto denigrate, però, lo avevano appena tratto in salvo dal leone.
Le sue corna erano sicuramente meravigliose, ma le sue zampe, anche se non erano la parte più bella del suo corpo, erano la cosa più utile ed efficace che possedeva.
Decise quindi di non criticarle più, anzi di averne molta cura.
Da quel giorno smise perciò di guardarsi nelle acque del laghetto, e non dimenticò mai la lezione imparata quel giorno.
Morale: le cose che ci sembrano inutili, a volte, si rivelano piu’ utili di quanto si potesse mai immaginare.
⚜ Fine della fiaba ⚜
La lepre e la tartaruga è una favola che ci dà due importanti insegnamenti: il primo è che non bisogna mai sottovalutare gli altri avendo la presunzione di essere migliori, il secondo è che con calma e pazienza si possono raggiungere molti traguardi.
Questa favola l’ha scritta Esopo secoli fa, ma il suo insegnamento è molto valido ancora oggi.
Guarda la videofiaba raccontata da Silvia
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare della lepre e la tartaruga!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare la lepre e la tartaruga raccontata da Silvia!
C’era una volta una lepre che si vantava di correre più veloce di tutti quanti, e ogni volta che poteva prendeva in giro la povera tartaruga, che invece camminava sempre piano piano.
– Guarda come sei lenta! – le gridava – nel tempo in cui tu fai un passo, io sono già dall’altra parte del bosco!
La tartaruga non faceva troppo caso alle parole della lepre, e continuava tranquilla per la sua strada.
Un giorno la lepre era più antipatica del solito, e anche la buona e brava tartaruga alla fine si decise a risponderle.
– Non vantarti troppo, anche la lepre più veloce del mondo può essere battuta, sai?
– Ah sì? E da chi mai potrei essere battuta? Vuoi provare a battermi tu?
– Perché no?! – rispose la tartaruga.
– Allora ti sfido! – disse la lepre mettendosi a ridere di gusto.
Il giorno dopo, al mattino presto, i due si incontrano, si misero d’accordo sul percorso da fare e, dopo uno sguardo di sfida, partirono come due missili verso il traguardo.
Solo che la lepre, dopo un paio di balzi, si rese conto di essere talmente avanti rispetto alla tartaruga che decise di fermarsi: la tartaruga aveva fatto solo pochi centimetri.
La lepre quindi, vedendo quanto era lenta la sua avversaria, decise di fare un sonnellino, tanto in un paio di balzi l’avrebbe sicuramente ripresa.
Dopo un po’ si risvegliò di soprassalto: aveva sognato che la tartaruga era già al traguardo! Cercò subito con lo sguardo la sua avversaria ma la vide pochi metri più in là, nemmeno a un terzo del percorso. La lepre si rilassò subito e, certa ormai che la tartaruga non avrebbe mai potuto vincere vista la sua lentezza, pensò di andare a fare uno spuntino.
Ogni tanto seguiva con lo sguardo la tartaruga, ma era già mezzogiorno e la tartaruga era a poco più di metà del percorso.
La lepre decise, quindi, di andare a pranzare da alcuni suoi amici. Mangiò e si divertì a parlare con loro del più e del meno senza preoccuparsi: la tartaruga era ancora molto lontana dall’arrivo…
Dopo mangiato, e tranquillizzata dalla grande lentezza dell’avversario, la lepre decise di fare un altro sonnellino, decisamente più tranquillo del precedente.
Anche fin troppo tranquillo, perché quando si svegliò stiracchiandosi, era già il tramonto!
Venne presa dal panico. Cercò disperata la tartaruga, ed eccola là: era a pochi centimetri dal traguardo!
La lepre partì come una furia, correndo disperata per riagguantare la tartaruga, ma ormai era troppo tardi: quando arrivò al traguardo la tartaruga era già lì ad aspettarla.
La lepre capì di aver sottovalutato quella sfida, e che in realtà avrebbe dovuto impegnarsi di più. Per essere davvero sicura di vincere, avrebbe dovuto arrivare subito al traguardo, così poi poteva andarsene dove voleva.
– Non essere triste amica mia – le disse la tartaruga – tutti possiamo perdere una volta nella vita, e comunque ricordati che chi va piano, va sano e va lontano!
Morale: se si è troppo presuntuosi e si crede di essere migliori degli altri, si rischia di restare senza niente in mano… ma c’è un altro insegnamento: a volte ci vuole molta calma per ottenere ciò che si desidera.
⚜ Fine della fiaba ⚜
Il topo di città e il topo di campagna, favola di Esopo per bambini
Al lupo! Al lupo! favola di Esopo per bambini
Il topo di città e il topo di campagna, nella sua versione originale di Esopo (e poi di Orazio), racconta le avventure di due topini, uno di città e l’altro di campagna che, entrambi stufi della loro vita, stressante per uno, noiosa per l’altro, decidono di fare scambio di casa. Ma non sanno a che guai vanno incontro e quanto sia difficile vivere in un posto di cui non si conosce nulla!
Guarda la videofiaba raccontata da Silvia
Alla fine del racconto troverai anche il disegno da colorare del il topo di città e il topo di campagna!
Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il topo di campagna e il topo di città raccontata da Silvia!
C’era una volta un topino che viveva in città, e che un giorno decise di fare una gita in campagna.
Era stufo della vita frenetica che faceva ogni giorno e voleva rilassarsi un po’ tra i prati verdi e all’ombra di qualche grande albero.
Mentre riposava tranquillo, passò di lì un topino di campagna.
– Buongiorno – gli disse il topino di campagna.
– Buongiorno a te! – rispose il topino di città. – Sei di queste parti?
– Certamente, abito con la mia famiglia un po’ più in là, vicino a quel boschetto.
– Come ti invidio… – gli disse il topino di città – tu stai qui tranquillo e sereno senza preoccupazioni, io invece devo correre tutto il giorno di qua e di là per non farmi prendere!
– Ma scusa, tu da dove vieni? – chiese incuriosito il topino di campagna.
– Vengo dalla città.
– Ma allora sei tu quello fortunato! Lì in città avete tutte le comodità del mondo e anche cibo in abbondanza! Qui ci sono periodi in cui si fa la fame…
– Guarda amico mio, ti propongo uno scambio. Io vengo a vivere qui in campagna e tu vai a vivere da me in città, ci stai?
– Va bene, ci sto! – rispose tutto contento il topino di campagna.
E così i due si avviarono alle rispettive nuove case.
Al topino di città non sembrava vero di poter finalmente stare tranquillo per un po’, senza dover correre dalla mattina alla sera. Per il topino di campagna, il solo pensiero di avere una dispensa piena di cibo, da poter usare a proprio piacimento, era più di un sogno che si realizzava.
Il topino di città, all’inizio, trovava anche divertente il dover andare a caccia ogni giorno di un piccolo pezzo di formaggio o il doversi ingegnare su come raccattare una briciola di pane. In città aveva messo su grasso in abbondanza e aveva un po’ di pancetta da smaltire.
Invece il topino di campagna, finalmente, non doveva più preoccuparsi di dover ogni giorno trovare un modo per riempirsi la pancia: bastava entrare in cucina e servirsi. L’unico inconveniente era il dover stare attento al padrone di casa, a sua moglie, ai due figli e ai tre terribili gatti che in ogni momento cercavano di fargli la pelle.
I giorni e le settimane passavano. Dopo un mese, il topino di città iniziò a rimpiangere le grandi abbuffate che faceva a tutte le ore del giorno. Adesso era già tanto se raggranellava qualche pezzettino di pane raffermo o una fetta di formaggio ammuffita.
Il topino di campagna, invece, non ne poteva più di rischiare la vita ogni volta che entrava in cucina per rubare un pezzettino di formaggio: il batticuore e la paura erano troppo per lui.
Così decisero entrambi di ritornare indietro da dove erano venuti e si incontrarono a metà strada.
– Ciao amico topo di campagna!
– Ciao amico topo di città!
I due si abbracciarono, e si ringraziarono per le esperienze che avevano potuto fare scambiandosi la casa. Soprattutto, avevano imparato ad apprezzare ciò che possedevano e che era inutile essere invidiosi l’uno dell’altro. Giurarono solennemente che sarebbero rimasti per sempre amici e ciascuno, felice, corse veloce a casa sua.
Morale: meglio una vita più semplice ma serena, che una vita brillante ma piena di pericoli.
⚜ Fine della fiaba ⚜