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Categoria: fiabe classiche

Tutte le più belle fiabe e favole classiche: Cenerentola, Cappuccetto Rosso, Rapunzel, Biancaneve, La Bella e la Bestia, I tre porcellini, la Bella Addormentata, il gatto con gli stivali, il brutto anatroccolo e tante altre!!!

Giovannin senza paura 😱

Nel cuore di un paese avvolto dal silenzio delle leggende, esiste una storia che pochi osano raccontare…

Parlano di un ragazzo strano, diverso dagli altri, che non conosceva il significato di quella parola che fa tremare il mondo: paura.

Ma cosa nasconde davvero questa mancanza di paura?
E fino a dove lo avrebbe portato la sua ricerca dell’ignoto?
Nelle ombre di un castello abbandonato, tra corridoi infestati e segreti sepolti, attende un destino che nessuno avrebbe mai immaginato…”

Questa è una fiaba popolare di origine incerta, ma molto conosciuta sia Nel Friuli Venezia Giulia che nelle Marche


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Giovannin senza paura 😱“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Giovannin senza paura 😱



C’era una volta un ragazzo di nome Giovannino, che in tutto il paese veniva sempre preso in giro perché sembrava non stupirsi mai di nulla, sembrava non avesse mai paura di niente.

E non è che fosse coraggioso, tutt’altro, Giovannino proprio non riusciva a capire cosa fosse la paura. Tutti i suoi amici gli parlavano di “brividi”, “pelle d’oca” e “tremiti”, ma Giovannino non riusciva ad avere nè brividi, nè pelle d’oca nè tantomeno tremiti…

Un giorno, stufo di essere preso sempre in giro, Giovannino disse a tutti quanti che sarebbe partito per un lungo viaggio:
– Vado per il mondo a cercare la paura, prima o poi la troverò!
Tra le risa generali, Giovannino fece fagotto e partì.

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Il pesciolino d’oro 🐟

Chi troppo vuole, nulla stringe! Dice il proverbio…

Il pesciolino d’oro è una fiaba di origini russe trascritta originariamente da Aleksandr Pushkin, e ci insegna ad essere contenti di ciò che si ha anche se si tratta di una vita povera e tranquilla, perché ad esagerare con le richieste spesso si rischia di rimanere solo con un pugno di mosche in mano.

Un avvertimento importante per i bimbi che magari fanno troppi capricci…


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “Il pesciolino d’oro 🐟“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il pesciolino d’oro 🐟


Ivan era un vecchio pescatore che viveva in una capanna vicino al mare, con sua moglie. Ogni giorno andava a pescare, mentre la moglie restava a casa a filare la lana e fare tutte le faccende domestiche.

Un giorno, però, la pesca andò peggio del solito. Al primo tentativo trovò nella rete solo uno scarpone rotto, al secondo un po’ di fango. Al terzo c’era un unico pesce.
“Meglio che niente” pensò Ivan.
Guardandolo meglio, però, si accorse che quello era un pesce veramente strano, diverso da quelli che aveva sempre visto: era tutto dorato.

Stava cercando di liberarlo dalla rete quando sentì una voce dire: – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan si guardò intorno, cercando di capire chi avesse parlato, ma non vide nessuno. Allora tornò a girarsi verso il pesce, il quale ripeté – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan sobbalzò: un pesce parlante non l’aveva davvero mai visto!

Un po’ confuso riuscì solo a dire: – Non mi serve niente, caro pesciolino. Io e mia moglie stiamo bene così. Ti lascio andare senza chiederti in cambio niente.
Il pesce d’oro si rituffò in acqua con un gran salto, ma mentre si allontanava gridò al pescatore: – Grazie, Ivan, non dimenticherò il tuo gesto. Se ti dovesse servire qualcosa, devi solo venire a chiamarmi.

Ivan tornò a casa e raccontò alla moglie l’incontro insolito.
Quella, dopo averlo ascoltato, si arrabbiò moltissimo e lo sgridò: – Non hai chiesto niente? Guarda la nostra casa, è una capanna! Potevi almeno chiedere che fosse trasformata in una casetta di mattoni con dentro il camino. Torna al mare, chiama il pesce e chiedigli questo favore!

Ivan era frastornato: lui pensava di aver fatto una bella cosa a liberare il pesce, ma la moglie forse aveva ragione a volere una casa fatta di mattoni. Così andò a chiamare il pesce d’oro.
– Ciao pesciolino, scusa se ti disturbo, ma mia moglie vorrebbe una casetta di mattoni con dentro il camino. E’ troppo tardi per chiederti di esaudire questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Ivan tornò dalla moglie e trovò davvero una graziosa casa di mattoni.
Era tutto contento, ma pochi giorni dopo la moglie cominciò a lamentarsi: – Già che c’eri potevi chiedere di farci diventare dei nobili. Io sono stanca di essere la moglie di un povero pescatore, mi merito molto di più.
Ivan, pur di farla contenta, tornò a chiamare il pesce.

– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti. Mia moglie vorrebbe essere una nobildonna, è troppo tardi per chiederti anche questo favore?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Una grossa sorpresa aspettava Ivan al suo ritorno a casa: la casetta di mattoni non c’era più, al suo posto c’era un palazzo e sua moglie, vestita tutta elegante, lo aspettava insieme a servi e maggiordomi.
Ivan era contento e voleva abbracciarla, ma lei lo cacciò via e lo fece mandare in cucina a pelare patate.

I giorni passavano, finché la moglie capricciosa non lo fece chiamare e gli disse:
– Devo assolutamente diventare regina. Non sopporto di essere una nobile qualunque, voglio che tutto il popolo si inchini quando passo per la strada, voglio viaggiare in carrozze con cavalli e partecipare a feste con tutti i sovrani d’Europa.
– Ma, cara, non stai forse esagerando? Non eri felice quando vivevamo nella nostra capanna? In fondo non ci è mai mancato nulla…
–Zitto! – gridò lei. – Sono sicura che sarei un’ottima regina, perciò vai dal pesce e digli di esaudire questo mio desiderio.

Ivan era davvero perplesso, sua moglie stava esagerando secondo lui. Ma le voleva molto bene e tornò quindi a chiamare il pesce.
– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti, ma mia moglie adesso vuole essere regina. Io gliel’ho detto che sta esagerando, ma lei è sicura che sia la cosa migliore…
– Davvero vuole essere regina? Non è un capriccio troppo grosso? – chiese il pesce.
– Secondo me sì, ma le voglio molto bene, perciò ti chiedo: è troppo tardi per esaudire anche questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi. Però avvisala: se solo proverà a desiderare qualcosa di ancora più grande, si ritroverà in un batter d’occhio al punto di partenza, cioè nella capanna sulla spiaggia. Dille di fare attenzione…
Così detto, il pesce gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

Ivan questa volta trovò un castello al posto del palazzo. Servitori e dame di compagnia giravano dappertutto e lui non trovava il modo di parlare con sua moglie.
Lei era sempre troppo impegnata in feste e ricevimenti o in passeggiate a cavallo o in riunioni importanti riguardo le sorti del paese, e lo cacciava sempre via. Finalmente Ivan riuscì a riferirle l’avvertimento del pesce, ma lei lo liquidò con un – Sì, sì, figurati se è vero… – e tornò alla sua vita di regina, ogni giorno più capricciosa.

Finché un giorno lo mandò a chiamare e gli disse: – E’ ora che io sia imperatrice. Il mondo intero deve sapere che donna importante sono e mi deve rendere omaggio…
Ma non fece in tempo a finire la frase che… puff!
Tutto era scomparso e i due erano di nuovo nella capanna sulla spiaggia, con dentro solo le reti da pesca di Ivan e il pentolone per cucinare la minestra.

La moglie di Ivan andò su tutte le furie, già si immaginava imperatrice e invece era di nuovo la moglie di un povero pescatore. Piano piano, però, la rabbia le passò, capì di aver veramente esagerato e tornò alle sue normali faccende domestiche.

Ivan andò in riva al mare e ringraziò il pesce per avergli ridato la sua vita, povera ma tranquilla.
Il pesce non si avvicinò, ma da lontano gli gridò: – Hai visto? Tutto si è sistemato!
Gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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I giorni della merla 🐦‍⬛

I giorni più freddi di gennaio e la leggenda della merla

In molte regioni d’Italia, gli ultimi tre giorni di gennaio sono conosciuti come i “giorni della merla”.

Si racconta che siano i più freddi dell’anno, e proprio da questa credenza popolare nasce una leggenda antica, tramandata di generazione in generazione, che spiega l’origine del piumaggio nero dei merli.

Questa fiaba, ispirata alla tradizione, ci porta in un piccolo borgo di tanto tempo fa, dove l’inverno più rigido di sempre cambiò per sempre la storia di una piccola e coraggiosa merla.


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I giorni della merla 🐦‍⬛



Tanto tempo fa, in un piccolo borgo nascosto tra le colline, viveva una merla dal piumaggio candido come la neve. Tutti la chiamavano Bianca, e il suo canto era così dolce da incantare chiunque lo ascoltasse. Ma quell’anno il freddo dell’inverno era arrivato prima del previsto, e iniziò a nevicare così tanto che sembrava non voler smettere mai.

Bianca osservava il cielo grigio dal suo nido su un vecchio albero e si chiedeva perché l’inverno fosse diventato così rigido. I suoi amici uccelli, che una volta riempivano il bosco di canti, erano partiti verso terre più calde. Ma lei, ostinata e curiosa, non voleva andarsene senza capire il mistero di quel gelo incessante.

“Forse qualcuno ha rubato il calore del sole…” pensava Bianca, mentre il vento freddo le scompigliava le piume. Decise quindi che avrebbe cercato di scoprire la verità.

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Pierino e il lupo 👦🐺

Pierino non ha paura del lupo, ma doverlo affrontare per davvero è per lui una grande impresa!

Il villaggio ai margini del grande bosco era tranquillo, ma per Pierino, ogni giorno era un invito a scoprire ciò che si nascondeva tra gli alberi. Nonostante gli avvertimenti del nonno sul pericoloso lupo, il ragazzo non riusciva a resistere al richiamo dell’avventura.

Cosa poteva esserci di così spaventoso in un lupo? Con il suo coraggio e la curiosità che brillava nei suoi occhi, Pierino era pronto a scoprirlo. Quella mattina, il grande bosco stava per offrirgli una avventura indimenticabile.


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Pierino e il lupo 👦🐺



C’era una volta un villaggio tranquillo ai margini di un grande bosco, lì viveva Pierino, un bambino vivace e curioso, che amava esplorare la natura e osservare gli animali.

Pierino viveva con il nonno taglialegna, un uomo burbero ma affettuoso. A Pierino piaceva aiutare il nonno nei suoi lavori quotidiani, e la sera, quando si riposavano davanti al fuoco del camino, il nonno gli raccontava sempre delle storie.

Soprattutto il nonno si raccomandava sempre che Pierino non si allontanasse troppo da casa perché era inverno e, nel bosco lì intorno, c’era un lupo affamato!
– Ma io non ho paura del lupo! – esclamava Pierino.
Il nonno sorrideva, gli accarezzava la testa e gli dava il bacio della buona notte visto che era ora di andare a dormire.

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Sette in un colpo 🪰

Il Sarto che conquistò un Regno: quando l’astuzia vale più di mille spade

Un piccolo sarto, sette innocue mosche e una cintura ricamata con una mezza verità.

Chi avrebbe mai immaginato che questi semplici elementi potessero tessere la trama di uno dei più astuti inganni mai orchestrati in un regno?

Questa è la storia di come un umile sarto trasformò un momento di ordinaria frustrazione in un’incredibile ascesa al potere…


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Sette in un colpo 🪰



C’era una volta un piccolo sarto che, seduto tranquillo vicino alla finestra della sua bottega, lavorava ad un vestito nuovo.

Ad un certo punto un nugolo di mosche iniziò a ronzargli intorno.
Il piccolo sarto iniziò a scacciare con le mani gli ospiti indesiderati, ma le mosche, invece di scappare, tornavano di nuovo in compagnia di altre loro amiche.

Il piccolo sarto, alla fine, perse la pazienza – adesso vi faccio vedere io! – esclamò a voce alta, quindi tirò fuori un pezzo di stoffa e le colpì senza pietà. Quando controllò il panno, contò ben sette mosche morte stecchite.

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Mignolina 🧚

Mignolina: La Fiaba di una Piccola Eroina tra Avventure e Magia

Tra le più incantevoli fiabe di Hans Christian Andersen, “Mignolina” ci trasporta in un mondo magico dove una bambina alta quanto un pollice affronta coraggiosamente le sfide della vita.

Nonostante la sua dolcezza e fragilità, Mignolina affronta una serie di avventure straordinarie: rapita da un rospo, promessa in sposa a un vecchio talpone e salvata da una rondine coraggiosa.

Attraverso il suo viaggio, scopre il valore del coraggio e trova infine un luogo dove la sua delicatezza può fiorire, insieme a un principe del suo stesso mondo incantato. Un racconto di bellezza, resilienza e amore.


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Mignolina 🧚



C’era una volta una donna che desiderava moltissimo avere un bambino, ma non riusciva a esaudire il suo desiderio. Così si inoltrò nel bosco e andò in cerca di una fata che potesse aiutarla.
Quando la trovò, le disse:
– Mi piacerebbe tanto avere un bambino, puoi dirmi dove posso trovarne uno?

– Oh, non è molto difficile – le rispose la fata – tieni questo seme, mettilo in un vaso da fiori e aspetta…
– Grazie – disse la donna che tornò a casa e piantò il semino. Subito crebbe un gran bel fiore, simile ad un tulipano ma con le foglie ben chiuse come se fosse ancora un bocciolo.

– È proprio un bel fiore – disse la donna e, mentre dava un bacio ai petali, il fiore si aprì.
All’interno del fiore, sugli stami di velluto c’era raggomitolata una piccola bimba, molto delicata e aggraziata. Era alta appena un dito e la donna le diede il nome di “Mignolina”.

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Le tre piume 🪶🪶🪶

Le Tre Piume: L’antica fiaba sul significato del destino e la sua saggezza nascosta

Una piuma che danza nel vento può decidere il destino di un regno.

Nell’antica fiaba germanica “Le tre piume” ripresa anche dai fratelli Grimm, un vecchio Re mette alla prova i suoi tre figli con una sfida insolita, e che rivelerà come la vera saggezza si nasconda spesso dietro le apparenze più semplici.

Una fiaba che simbolicamente suggerisce di entrare in contatto col proprio inconscio e affrontare le sfide che la vita ci mette davanti, invece che evitarle e cercare di risolverle con superficialità


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Le tre piume 🪶🪶🪶



C’era una volta un re che aveva tre figli, i primi due erano furbi e intelligenti. Il terzo invece non parlava molto, ragionava sempre in maniera molto semplice e le cose un po’ più complicate non le capiva proprio, tanto che nel regno tutti ormai lo chiamavano col soprannome di “Sempliciotto”.

Quando il re si sentì ormai vecchio e debole, tanto da pensare di essere vicino alla fine dei suoi giorni, decise che uno dei suoi figli avrebbe ereditato il regno. Ma non sapeva a quale dei tre darlo, perché amava ognuno di loro in egual modo.

Così decise di metterli alla prova, e disse:
– Andate per il mondo, e chi di voi mi porterà il tappeto più bello, sarà re dopo la mia morte.

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La sfera di cristallo 🔮

Solo il coraggio e l’astuzia aiuteranno Lionel a salvare la principessa

Questa fiaba racconta le avventure del giovane Lionel, figlio di una strega ormai impazzita, che per paura di perdere i suoi poteri magici aveva trasformato gli altri suoi fratelli in animali.

Lionel, rimasto l’unico libero, si mette in viaggio per salvare la bellissima principessa imprigionata in un incantato castello.

Dovrà affrontare sfide ardite ma i suoi fratelli, anche se trasformati, gli daranno una mano insperata.
Una storia piena di magia, coraggio e amore fraterno.


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La sfera di cristallo 🔮



C’era una volta una strega molto anziana, che ormai aveva perso il contatto con la realtà. La strega aveva tre figli, e tutti e tre i fratelli si volevano bene e si rispettavano a vicenda.
Ma la vecchia strega ormai non si fidava più di loro e pensava ogni giorno che i suoi figli volessero privarla dei suoi poteri magici.

Quindi, in un momento di follia, trasformò il figlio maggiore in un’aquila, costringendolo a vivere la sua vita isolato su una montagna rocciosa,
e trasformò il secondo in una balena, obbligandolo a vivere nelle profondità del mare al largo negli oceani.

Il terzo figlio, che si chiamava Lionel, vedendo cosa accadde ai suoi fratelli maggiori e temendo di essere trasformato anche lui in qualche bestia come un lupo od un orso, riuscì a fuggire di nascosto nel folto del bosco.

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La pioggia di stelle ✨

Il viaggio di Miranda, dalla solitudine alla speranza.

Sotto un cielo stellato, la piccola Miranda si avventura per il mondo fino ad arrivare nel cuore di una foresta incantata.

Miranda, una bambina dal cuore puro e la cui vita viene segnata da una perdita dolorosa, era alla ricerca di un nuovo inizio.

Ma dopo un viaggio magico, in cui dona tutta se stessa, la sua vita prende una piega sorprendente.


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La pioggia di stelle ✨



C’era una volta Miranda, una bambina che aveva avuto la sfortuna di ritrovarsi d’improvviso senza la mamma ed il papà, scomparsi in un brutto incidente.

Rimasta sola e povera senza un soldo, l’unica cosa che le rimaneva erano i vestiti che indossava ed un misero pezzo di pane.

Senza perdersi d’animo, la piccola Miranda decise che avrebbe passato il resto dei suoi giorni ad andare in giro per scoprire il mondo, sicura che la “dea Fortuna” avrebbe provveduto alla sua buona sorte. E si incamminò.

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L’oca d’oro 🪿

La divertente fiaba del giovane Sempliciotto e di una processione incantata

Quando un giovane di buon cuore trova un’oca dalle piume d’oro, la sua vita cambia in modo inaspettato.

Ogni persona che tenta di prendere una piuma rimane magicamente incollata all’oca, e ben presto il giovane si ritrova a condurre un’insolita processione di persone legate tra loro.

Questa strana scena suscita risate e sconcerto, ma alla fine porta il giovane davanti al re e alla sua figlia triste, che nessuno riesce a far sorridere.
Riuscirà l’oca d’oro e la sua strana magia a conquistare il cuore della principessa e a donare al giovane Baggiano una felicità inattesa?


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L’oca d’oro 🪿



C’era una volta un uomo che aveva tre figli, il più giovane dei quali veniva da tutti chiamato “Baggiano” e veniva disprezzato, deriso e mortificato in ogni occasione.
Ma Baggiano non era stupido, era solo un ragazzo semplice e di buon cuore che aiutava tutti senza chiedere nulla in cambio.

Un giorno suo fratello maggiore decise di andare nel bosco a tagliare la legna. Prima di partire, sua madre gli diede una bella fetta di focaccia e una bottiglia d’acqua, così da mantenerlo in forze per il duro lavoro.

Dopo un po’ che camminava nella foresta, il ragazzo incontrò un vecchio omino tutto grigio.
L’omino lo salutò e gli augurò una buona giornata, poi gli disse:
– Ho molta fame e molta sete, potresti darmi un pezzo della tua focaccia e un sorso d’acqua dalla tua bottiglia?

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Il tavolino magico, l’asino e il bastone 🍝

Chi troppo vuole, nulla stringe!

In una terra lontana, tre fratelli partono alla ricerca di fortuna, ma trovano molto più di ciò che avevano immaginato: un tavolino che apparecchia banchetti, un asino che produce monete d’oro e un bastone che punisce con forza chi inganna.

Ma quando un oste furbo sottrae questi preziosi oggetti, uno dei tre fratelli cercherà di riprenderseli, Ci riuscirà.

Questa è la fiaba degli oggetti incantati, ispirata ai racconti dei fratelli Grimm


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Il tavolino magico, l’asino e il bastone 🍝



C’era una volta un sarto che aveva tre figli i quali, divenuti grandi, decisero che era ora di andare per il mondo a imparare un mestiere.
Il padre, che era molto affezionato ai suoi figli, chiese loro di passare a trovarlo almeno una volta l’anno, poi si salutarono e ognuno si incamminò per la sua strada.

Il figlio maggiore trovò un falegname e iniziò a fare l’apprendista presso di lui dedicandosi diligentemente al suo mestiere. Passato un anno decise che era venuto il momento di tornare a casa per salutare suo padre.

Il falegname, per ringraziarlo di tutto il lavoro svolto, gli diede in regalo un normalissimo tavolino fatto di legno comune, che però aveva una particolarità:
– Finché avrai questo tavolo con te, non patirai mai la fame – gli disse il falegname, che appoggiò il tavolino per terra e pronunciò la frase: – tavolino, apparecchiati!

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Il Tamburino 🥁

Un tamburino coraggioso e una principessa prigioniera: un’avventura su una montagna di vetro

In un mondo dove il coraggio si nasconde nei gesti più semplici e la gentilezza apre la strada ai miracoli, un giovane tamburino si trova coinvolto in un’impresa straordinaria.

Tutto ha inizio con una camicia di lino abbandonata sulla riva di un fiume. Senza sapere che l’indumento appartiene a una principessa prigioniera di una strega malvagia, il tamburino decide di riportarglielo, dando il via a un’avventura epica.

Tra giganti, selle magiche e oscure magie, il giovane dovrà affidarsi alla sua astuzia e al suo coraggio per superare ogni sfida e restituire la libertà a chi l’ha persa.


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Il Tamburino 🥁



C’era una volta un giovane suonatore di tamburo che stava passeggiando lungo le rive di un lago.
Guardando verso la riva vide una bella camicia di lino bianco stesa sulla spiaggetta, si guardò intorno ma non vide anima viva.
“Che strano trovare una così bella camicia abbandonata sulla riva del lago” pensò, così le prese e se la mise nella bisaccia.

Tornato a casa, senza minimamente pensare alla camicetta, se ne andò a letto. Mentre stava per addormentarsi, gli parve che qualcuno pronunciasse il suo nome. Ascoltò con più attenzione e sentì una voce delicata che lo chiamava: “Tamburino, Tamburino, svegliati!”

Nel buio della notte gli sembrava che una figura femminile fluttuasse su e giù davanti al suo letto.
Con un groppo in gola per la paura, il Tamburino chiese:
– Cosa vuoi?!
– Ridammi la camicetta che hai trovato al lago – rispose la voce.

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Il pentolino magico 🍲

La zuppa che fece un villaggio felice

Un pentolino magico, una zuppa infinita e un villaggio sommerso da una deliziosa minaccia!

Cosa accadrebbe se un semplice pentolino potesse cucinare una zuppa infinita?

Scopri la magica avventura di Isotta, una bambina che, grazie a un dono speciale, riuscirà a sfamare non solo sé stessa ma un intero villaggio.


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Il pentolino magico 🍲



C’era una volta una bambina di nome Isotta, molto dolce e gentile, che viveva con la mamma. Purtroppo erano una famiglia molto povera e non avevano molto da mangiare.

Isotta e sua mamma si arrangiavano come potevano, facendo i più disparati lavoretti per racimolare quel poco di cui sfamarsi. Erano però molto conosciute nel villaggio per il loro buon cuore e per l’aiuto che davano sempre a chi ne aveva bisogno.

Un giorno, passeggiando per il bosco lì vicino, Isotta notò una vecchina caduta per terra che, nonostante cercasse di aiutarsi col suo bastone, non riusciva a rialzarsi.

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I vestiti nuovi dell’imperatore 🩲

I vestiti nuovi dell’imperatore: quando la vanità ci rende ciechi

In un regno governato dalla vanità, un imperatore sfila senza vestiti per le strade della città.

Ma come è possibile che tutti facciano finta di non accorgersene?

Scopriamo insieme la verità dietro questa affascinante fiaba, tratta dai racconti di Hans Christian Andersen.


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I vestiti nuovi dell’imperatore 🩲



C’era una volta un imperatore, che aveva come unico pensiero quello di vestire sempre abiti nuovi, sfarzosi e alla moda, tanto da spendere tutti i soldi che aveva in vestiti.

La sua unica ambizione era quella di essere sempre ben vestito, non gli importava dei suoi cittadini, e nemmeno dei divertimenti e grandi feste che gli altri nobili organizzavano.

Aveva un cappotto diverso per ogni ora del giorno, e se si chiedeva alle sue guardie dove fosse, loro rispondevano rassegnate: “L’imperatore è nel suo camerino”.

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Guglielmo Tell 🍎

La leggenda di Guglielmo Tell: coraggio e libertà contro la tirannia

Tra le più celebri leggende della tradizione svizzera, la storia di Guglielmo Tell incarna i valori di coraggio, libertà e resistenza all’oppressione.

Ambientata nel cuore delle montagne svizzere, questa vicenda narra di come un semplice arciere sia diventato il simbolo della lotta contro la tirannia.

Con la sua straordinaria abilità nell’uso della balestra e un indomito spirito di giustizia, Tell sfida il crudele governatore Gessler, dimostrando che anche il più umile dei cittadini può ergersi contro l’ingiustizia e ispirare un intero popolo alla ricerca della libertà e cambiare il destino di una nazione.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di Guglielmo Tell 🍎!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Guglielmo Tell 🍎



C’era una volta, in un tranquillo villaggio chiamato Bürglen tra le montagne della Svizzera, un abile arciere di nome Guglielmo Tell. Guglielmo era conosciuto in tutto il paese per la sua abilità nell’uso della balestra e per la sua generosità.

Purtroppo l’intero territorio era governato da Gessler, un despota tirannico e crudele, il cui unico scopo era terrorizzare la popolazione.

Per ribadire la sua autorità, e far presente ogni giorno ai paesani chi comandava, ebbe una strana idea: fece piantare nella piazza del paese un grande palo con infilato in cima il suo cappello imperiale.
Chiunque fosse passato davanti a quel palo avrebbe dovuto inchinarsi a salutare il cappello, come se si trattasse di Gessler in persona.

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Gli gnomi e il calzolaio 👞

Una magica fiaba dei fratelli Grimm sulla povertà e la fortuna

La fiaba “Gli gnomi e il calzolaio” dei fratelli Grimm è uno dei racconti più amati della tradizione popolare europea.

Questa storia magica narra le vicende di un umile calzolaio che, grazie all’aiuto di due misteriosi gnomi notturni, riesce a superare la povertà e a trasformare la sua bottega in un’attività di successo.

Un racconto senza tempo che insegna ai lettori di tutte le età l’importanza della gratitudine, del lavoro ben fatto e della gentilezza, valori che vengono sempre ricompensati.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de Gli gnomi e il calzolaio 👞!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Gli gnomi e il calzolaio 👞



C’era una volta un calzolaio che, senza averne colpa, era diventato così povero che un giorno rimase con il cuoio sufficiente per realizzare un solo paio di scarpe.

Così quella sera ritagliò con cura tutti i pezzi di cuoio con cui il mattino seguente avrebbe realizzato un ultimo paio di scarpe.
Sistemò tutto per bene sul tavolo da lavoro, si tolse il grembiule e si accostò alla finestra guardando una stella nel cielo.
– Sarebbe bello avere un po’ di fortuna… – sospirò il calzolaio, parlando alla stellina.

Poi spense la candela, diede un bacio a sua moglie e si coricò nel letto, dove si addormentò profondamente.

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L’omino di pan di zenzero 😄

Son l’omino di pan di zenzero e dal forno son scappato, ora che sono in libertà mai nessun mi piglierà!

La storia del’omino di pan di zenzero risale addirittura al sedicesimo secolo, quando la regina Elisabetta I d’Inghilterra faceva preparare questi biscottini dalle sembianze di un buffo omino per gli ospiti importanti della corte reale.

Col tempo divenne poi una breve storia popolare con molteplici sviluppi e diversi finali.

La versione più famosa è quella che vi raccontiamo qui su fabulinis!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “L’omino di pan di zenzero 😄“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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L’omino di pan di zenzero 😄


C’erano una volta una vecchina e un vecchietto che non avevano figli, lei badava alla casa mentre lui coltivava i campi.

Un giorno, quasi per gioco, la vecchina decise di preparare un dolcetto di pan di zenzero a forma di omino, forse pensando al bambino che non avevano mai avuto ma che avevano sempre tanto desiderato.

Così prese acqua, farina e spezie, stese la pasta e ritagliò con cura la sagoma dell’omino, lo decorò e finito il lavoro lo mise dentro il forno.

Ma una fatina un po’ maldestra stava sbirciando la scena di nascosto, e decise di esaudire il grande desiderio della donna di avere un bimbo. Recitò quindi una magia, di cui però non era molto sicura, e nel forno accadde qualcosa di magico.

Quando la vecchina aprì lo sportello del forno, l’omino di pan di zenzero era vivo!
Lui le sorrise beffardamente e saltò giù correndo via per la porta di casa.

Mentre correva e gridava dalla felicità, l’omino di pan di zenzero fu notato dal vecchino, che smise di coltivare la terra attirato anche dalle urla della moglie che rincorreva il buffo dolcetto.

L’omino di pan di zenzero cantava allegramente:
– Son l’omino di pan di zenzero e dal forno son scappato, ora che sono in libertà mai nessun mi piglierà!

Anche il vecchietto iniziò quindi a rincorrere il buffo omino insieme alla moglie, che gli urlava dietro:
– Dove vai birbante! Sei appena nato e già fai il monello!
Ma l’omino di pan di zenzero rideva allegro e correva più veloce.

I due vecchietti però dopo un po’ furono esausti e non ce la facevano più a correre, così chiesero a un loro amico agricoltore di rincorrerlo per loro.
L’agricoltore iniziò a correre dietro l’omino di pan di zenzero, e dopo un po’ anche lui chiese l’aiuto della mugnaia.

Ma anche la mugnaia dovette arrendersi al piccolo e veloce omino di pan di zenzero, chiese così aiuto al fabbro, che poi lo chiese al lattaio che lo chiese alla sarta…

In men che non si dica l’intero paese correva dietro all’omino di pan di zenzero, che sempre più beffardo continuava a cantar felice:
– Son l’omino di pan di zenzero e dal forno son scappato, ora che sono in libertà mai nessun mi piglierà!

Ad un certo punto però la corsa dell’omino di pan di zenzero si dovette interrompere davanti al letto del fiume.
Il povero omino di pan di zenzero si girò a guardare dietro di sé e vide l’intero paese che stava arrivando di corsa per prenderlo.

L’omino di pan di zenzero pensò quindi di essere spacciato, ma un fischio attirò la sua attenzione: era una volpe che stava sdraiata beata sotto l’ombra di un albero.
– Ti sei cacciato nei guai, eh!? – chiese la volpe all’omino di pan di zenzero.
Lui, disperato e senza via di fuga, disse allora alla volpe:
– Ti prego aiutami!

La volpe sorrise e gli disse:
– Certamente! Salta sul mio dorso, nuoterò fin sull’altra sponda del fiume e ti porterò in salvo.

Senza pensarci l’omino di pan di zenzero saltò in groppa alla volpe che si immerse nelle acque del fiume.
Poco dopo tutti gli abitanti del villaggio, vecchina e vecchino compresi, arrivarono sulla riva del fiume e si fermarono a guardare la scena.

L’omino di pan di zenzero faceva già le linguacce a tutti quando sentì la volpe dirgli:
– Mettiti sopra la mia testa se non vuoi bagnarti!
E l’omino di pan di zenzero si sistemò sulla sua testa.

Erano quasi a metà del fiume quando la volpe disse ancora:
– Se ti metti sulla punta del mio naso sarai ancora più comodo!
E l’omino di pan di zenzero si mise cavalcioni sulla punta del suo naso.

Ma proprio quando ormai erano arrivati a riva, con un fulmineo movimento del muso, la volpe lanciò in aria l’omino di pan di zenzero che, ricadendo andò a finire dritto dritto dentro la sua bocca spalancata!
– Gnammm! – disse la volpe.

E davanti agli attoniti sguardi di tutti i paesani, finiva così l’avventura dell’omino di pan di zenzero, che dalla furba volpe veniva mangiato.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Alice nel Paese delle Meraviglie 🐇🕓🎩🐱🧡

“In tutto c’è una morale, se si sa trovarla.”

Alice nel paese delle meraviglie, scritto da Lewis Carroll, è un classico della letteratura per l’infanzia che vi trasporterà in un mondo straordinario e surreale.

La storia inizia quando la curiosa Alice, inseguendo uno strano coniglio bianco si infila in una buca nel terreno, precipitando in un regno fantastico popolato da personaggi eccentrici e situazioni assurde.

Attraverso avventure straordinarie e incontri unici, esplorerete insieme ad Alice questo mondo incantato, affrontando enigmi e scoprendo la sua straordinaria abilità di adattarsi a un regno dalle regole mutevoli e spesso incomprensibili.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Alice nel Paese delle Meraviglie 🐇🕓🎩🐱🧡“!

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Alice nel Paese delle Meraviglie 🐇🕓🎩🐱🧡


Indice dei capitoli


CAPITOLO 1 – Nella tana del Bianconiglio.


Alice cominciava a stancarsi di stare seduta accanto alla sorella sulla riva del fiume senza fare niente. Una o due volte aveva sbirciato nel libro che sua sorella stava leggendo, ma non c’erano né immagini né fumetti, “e a che serve un libro”, pensò Alice, “senza immagini o fumetti?”

Alice, annoiata e assonnata, stava riflettendo se alzarsi a cogliere delle margherite, quando all’improvviso un coniglio bianco dagli occhi rosa le passò davanti.

Non c’era niente di strano in questo, né Alice trovò così strano sentire il Coniglio dire a se stesso: “Oh cielo! Oh cielo! È tardi!”
Ma quando il Coniglio tirò fuori un orologio dal taschino del panciotto, Alice balzò in piedi, perché le balenò in mente che non aveva mai visto prima un coniglio con un orologio nel taschino del panciotto.

Alice, incuriosita, gli corse dietro attraverso il campo. Fece appena in tempo a vederlo sparire in una grande tana sotto la siepe che, senza rendersene conto, ci cadde dentro anche lei!

La tana del coniglio era molto profonda, oppure lei cadeva molto lentamente, perché aveva tutto il tempo per guardarsi intorno, mentre scendeva.

Poi guardò ai lati del pozzo e notò che le pareti erano piene di armadi e di scaffali per libri, qua e là vedeva appese mappe e quadri.
Mentre scendeva, prese un barattolo da uno degli scaffali. C’era scritto sopra “MARMELLATA DI ARANCE”, ma, con suo grande disappunto, era vuoto. Rimise quindi il barattolo in uno degli armadi mentre ci cadeva accanto.

Giù, giù, giù!
Sarebbe mai finita la discesa?
Non c’era nient’altro da fare, quindi Alice iniziò presto a parlare da sola.

– Dinah mi mancherà molto stasera, immagino! – (Dinah era la sua gatta.) – Spero che si ricordino del suo piattino di latte all’ora del tè. Dinah,vorrei che tu fossi qui con me!

Alice si stava appisolando, quando all’improvviso… BUMP! Si adagiò sopra un mucchio di rami e foglie secche. La discesa era finita.

Alice in un attimo balzò in piedi, alzò lo sguardo ma in alto era tutto buio. Davanti a lei c’era un altro lungo passaggio e il Bianconiglio era là in fondo che lo percorreva di corsa.

Alice cominciò a correre e fece appena in tempo a sentirlo dire:
– Oh, come si è fatto tardi! – che il Bianconiglio svoltò l’angolo e non si vide più.

Alice si ritrovò in un corridoio lungo e basso, tutt’intorno al corridoio c’erano tante porte tutte chiuse. Dopo che Alice ebbe provato ad aprirle tutte senza successo si chiese come avrebbe fatto a uscire di lì.

All’improvviso si imbatté in un tavolino su cui c’era solo una minuscola chiave d’oro. Alice pensò che potesse aprire una delle porte del corridoio ma, o le serrature erano troppo grandi, oppure la chiave era troppo piccola, tanto che non ne apriva nessuna.

Tuttavia questa volta, vide una porticina alta circa quaranta centimetri che prima non c’era. Provò la piccola chiave d’oro nella serratura e, con sua grande gioia, la porta si aprì!

Alice si inginocchiò e guardò attraverso la porta: vide il giardino più bello che avesse mai visto. Purtroppo non riusciva nemmeno a mettere la testa oltre la soglia, tanto era piccola quella porta.
– Oh, come vorrei potermi accorciare come un telescopio! – si disse Alice.

Tornò quindi al tavolo, sperando quasi di trovarvi un’altra chiave. Questa volta però vi trovò sopra una piccola bottiglia (“che certamente prima non c’era”, pensò Alice), sulla quale c’era un’etichetta con su scritto “BEVIMI”.

– No, prima controllerò, e vedrò se c’è scritto ‘veleno’ oppure no – si disse Alice, perché non aveva mai dimenticato che, se si beve da una bottiglia con la scritta ‘veleno’, quasi sicuramente le avrebbe fatto male.

Ma su questa bottiglia non c’era scritto ‘veleno’ così Alice si azzardò ad assaggiare il contenuto, e, trovandolo molto buono (il sapore era un misto di crostata di ciliegie, crema pasticcera, ananas, tacchino arrosto e pane tostato imburrato), lo bevve tutto.

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– Che sensazione curiosa! – disse Alice. – Mi sembra di accorciarmi proprio come un telescopio!

E infatti era così!
Adesso era alta solo 25 centimetri e il suo viso si illuminò al pensiero di avere le dimensioni giuste per varcare la piccola porticina, ma quando ci arrivò davanti la trovò chiusa e si accorse di aver dimenticato la piccola chiave d’oro sopra il tavolino!

Quando tornò al tavolino per prenderla si rese conto che non poteva raggiungerla perché ora era troppo piccola. Alice si sedette sconfortata ai piedi del tavolino piangendo.

Il suo sguardo però cadde su una scatoletta di vetro che giaceva proprio lì sotto, l’aprì e vi trovò una piccolissima torta, sulla quale era scritto “MANGIAMI”.

– Se questa torta mi fa crescere potrò raggiungere la chiave, e se invece mi fa rimpicciolire potrò infilarmi sotto la porta, così in ogni caso riuscirò ad andare nel giardino, non mi importa cosa succederà!

Mangiò un po’ della torta e con ansia si tenne la mano sulla testa per sentire se stava crescendo. Fu piuttosto delusa di scoprire che rimaneva della stessa dimensione.

Così si mise all’opera e in breve tempo finì la torta…

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… continua nel CAPITOLO 2: La pozza delle lacrime.

Note ad Alice nel Paese delle Meraviglie

Alice nel Paese delle Meraviglie è un racconto veramente famoso, forse uno dei più famosi racconti per bambini.

Ne hanno fatto film, cartoni animati ed adattamenti teatrali.

Alice nel Paese delle Meraviglie è anche un racconto molto particolare dal punto di vista dello svolgimento, pieno di situazioni surreali e senza senso (il cui motivo fondamentalmente viene svelato nel finale) e anche soprattutto per i dialoghi tra i personaggi, non sempre semplici o immediatamente comprensibili.

Una delle più grandi sfide infatti, per chi vuole tradurre Alice nel Paese delle meraviglie, è cercare di ricondurre ad un senso molti dei “giochi di parole” e “nonsense” usati da Lewis Carroll, che ben si prestano ad essere usati nella lingua inglese, ma che subiscono un forte “lost in traslation” e perdita totale di significato quando si cerca di adattarli in altre lingue.

E’ per questo motivo che nel nostro adattamento troverete solo una delle tante filastrocche e parti in rima presenti nel testo originale. La storia rimane comunque completamente comprensibile e godibile anche senza quelle parti.

In questa versione sono stati volutamente tralasciati due capitoli (quelli sulla tartaruga ed il grifone) per rendere la storia più scorrevole e non troppo lunga. Nonostante la mancanza di questi due capitoli, la storia non perde la sua magia ed il magnifico significato.

Speriamo che questa nostra versione vi piaccia quanto è piaciuta a noi riscriverla!

P.S. Alice è esistita veramente e si chiamava Alice Liddel, figlia di amici di famiglia di Lewis Carroll

😊

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Lo Schiaccianoci 💂🥜

Lo Schiaccianoci trasforma la magia del Natale in un balletto incantato.

Lo Schiaccianoci è decisamente più famoso per l’omonimo balletto musicato da Pëtr Il’ič Čajkovskij (riconosciuto come uno dei più grandi compositori della musica russa) che per l’originale racconto fiabesco scritto da E.T.A. Hoffmann

Anche Alexandre Dumas (autore de “i tre Moschettieri”) ne ha scritta una sua versione!

Scopriamo quindi insieme come Clara, insieme al suo Principe Schiaccianoci, vivrà una magica e incantata vigilia di Natale!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Lo Schiaccianoci 💂🥜“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Lo Schiaccianoci 💂🥜


Era la vigilia di un Natale di tanto tempo fa, e nella cittadina di Norimberga il signor Stahlbaum aveva organizzato nella sua grande casa una festa per i suoi amici e per i suoi due bambini.

Clara e Fritz, questo il nome dei due bambini, stavano ballando e cantando intorno al magnifico albero di natale che ornava il salone di casa. Avevano da poco finito di decorarlo ed erano molto emozionati per l’arrivo della notte di Natale.

Fritz era un bravo ragazzo paffuto, birichino, e un po’ presuntuoso, convinto che tutte le cose di questo mondo fossero create per farlo divertire.

Sua sorella Clara, invece, era una bambina gentile e affabile, ed era adorata da tutti quanti in famiglia.

Erano quasi le otto di sera quando, all’improvviso, si sentì bussare alla porta. Era Drosselmeyer, loro zio nonché misterioso mago, capace di realizzare meravigliosi burattini con cui si divertiva a raccontare storie fiabesche.
Aveva con sé una grande borsa che appoggiò per terra.

I due bambini gli corsero incontro abbracciandolo:
– Benvenuto Zio! Che cosa hai portato?! – chiesero emozionati.
– Adesso lo vedrete miei cari.. – disse loro.
Poi salutò tutte le persone della casa e iniziò a preparare il suo spettacolo di magia e burattini.

Rimasero tutti assorti ad ascoltare le sue storie e incantati a vedere le sue magie, finchè con un inchino finì il suo spettacolo tra gli applausi dei bambini e di tutti gli invitati alla festa.

Lo zio Drosselmeyer stava riordinando tutte le sue cose nella grande borsa quando Clara, avvicinandosi, notò una marionetta che spuntava dal bordo, e che non era stata usata durante lo spettacolo.

– Che magnifico soldatino! – esclamò Clara.
Lo zio sorrise – è di più di un soldatino sai? E’ anche uno Schiaccianoci, e sono convinto che abbia un nonsochè di magico… se vuoi puoi prenderlo.
– Davvero?! – disse Clara non credendo alle sue orecchie. Lo zio annuì divertito.

Clara prese lo Schiaccianoci dalla borsa e iniziò a danzare assieme a lui per tutta la sala con gli occhi che le brillavano dalla felicità.

Fritz non tardò ad accorgersi che la sua sorellina aveva in mano qualcosa che lui non aveva mai visto prima, e subito le andò incontro.

– Cos’è quello!? – chiese Fritz con vivo interesse misto ad invidia.
– E’ uno Schiaccianoci, me lo ha regalato lo zio! – rispose raggiante Clara.
– Fammelo vedere! – disse Fritz cercando di strapparglielo dalle mani.
Clara strinse più forte a sé lo Schiaccianoci, ma Fritz non mollò la presa e, con uno strattone molto forte, se ne impossessò.

I due iniziarono a litigare, Clara cercava in tutti i modi di riprendere lo Schiaccianoci mentre Fritz lo teneva in alto con la mano per non farglielo prendere. Clara ad un certo punto lo spintonò e Fritz, per non perdere l’equilibrio, lasciò andare lo Schiaccianoci che, cadendo a terra, si ruppe in due pezzi.

Clara scoppiò in lacrime, Fritz si rese conto del danno che aveva combinato e cercò di rimettere assieme i pezzi, ma non capiva come fare.

Lo zio Drosselmeyer si accorse del pianto disperato di Clara e accorse a vedere cosa era successo. Capì che lo Schiaccianoci si era rotto.
– Non preoccuparti Clara, posso aggiustarlo – disse e, dopo aver preso i pezzi dello Schiaccianoci, aprì la sua grande borsa e iniziò ad armeggiare con degli arnesi sullo Schiaccianoci.

Un attimo dopo lo Schiaccianoci era come nuovo.
– Tieni piccola mia.
Clara si asciugò le lacrime e guardò lo Schiaccianoci, sembrava non si fosse mai rotto, lo abbracciò forte a sé e poi abbracciò lo zio ringraziandolo. Poco dopo Fritz si scusò con Clara.

La grande festa volgeva ormai al termine e i bambini furono mandati a letto. Clara, sotto le coperte, stringeva forte a sé il suo Schiaccianoci, pensando che fosse il regalo più bello che avesse mai ricevuto.
Poi, piano piano, socchiuse gli occhi e si addormentò.

Ad un certo punto, Clara sentì un rumore provenire dal salotto. “Cos’è questo rumore ?” si chiese tra sé e sé. Intimorita ma anche incuriosita decise di andare a vedere. Prese con sé lo Schiaccianoci e scese le scale.

Nel grande salone ardeva ancora il fuoco nel camino, e l’albero di Natale era ancora splendidamente illuminato mentre in un angolo in penombra delle minuscole figure dalla coda lunga e stretta si muovevano di là e di qua: erano decine di topi!

All’improvviso si sentì urlare: “All’attacco!” e un esercito di omini di pan di zenzero si buttò addosso a tutti i topini che ormai stavano infestando il salone.
Ci fu una gran baruffa! Clara rimase a bocca aperta nel vedere quella strana battaglia, e senza accorgersene, si fece scivolare di mano lo Schiaccianoci.

Quando Clara si rese conto di non stringere più tra le mani il suo adorato Schiaccianoci si girò di scatto sgranando gli occhi: lo Schiaccianoci era cresciuto fino ad avere la dimensione di una persona vera.
– Non preoccuparti mia Clara, vi difenderò io dai topi – e lo Schiaccianoci si buttò anche lui nella battaglia al fianco degli omini di pan di zenzero.

Ad un certo punto lo Schiaccianoci fu attaccato da un topo che era più grossi di tutti gli altri, doveva essere sicuramente il Re dei topi. Lo atterrò e iniziò a graffiargli la faccia.
– Noo! – esclamò atterrita Clara e senza pensarci un attimo prese la sua pantofola e la scagliò contro il grande topo.

Il tiro fu così preciso che colpì il topo proprio in faccia, facendolo stramazzare al suolo. Quando il Re dei topi, barcollando, riuscì ad alzarsi ordinò alle sue truppe la ritirata e corsero tutti a nascondersi in un buco dentro al muro.

Clara corse dal suo Schiaccianoci per sincerarsi che stesse bene, ma con sorpresa e meraviglia si accorse che lo Schiaccianoci si era trasformato in un meraviglioso Principe!
– Grazie mia Clara, mi hai salvato e hai fatto scappare quei topacci, te ne sarò eternamente riconoscente.

Clara era quasi imbarazzata per la trasformazione dello Schiaccianoci e stordita da quella situazione surreale che quasi non ci credeva.
Il Principe Schiaccianoci la prese per mano e le disse:
– Vieni, voglio farti vedere il mio regno.
Clara, attonita e sorpresa, lo seguì.

Uscirono di casa, e come per magia tutta la cittadina di Norimberga era come svanita, non una casa , un vicolo o monumento erano rimasti.
Al suo posto era sorta una splendida ed incantata foresta piena di neve luccicante.

Il Principe Schiaccianoci teneva Clara per mano e la accompagnava sempre più all’interno del fitto bosco fatato.
Intorno a loro volavano leggere delle minuscole fatine scintillanti, sembravano comporre la danza di un balletto.

– Devo farti conoscere una persona… – le disse in tono gentile ma misterioso il Principe Schiaccianoci.
Camminarono così finchè non arrivarono al Palazzo Reale del Regno dei Dolci, dove ad attenderli sulla soglia del portone fatto di pan di Spagna c’era una fata vestita di zucchero filato.

– Principe! – esclamò la fata.
– Clara ti presento la Fata Confetto, la mia più cara amica! – disse il Principe Schiaccianoci. Clara e la Fata Confetto si fecero un inchino a vicenda in segno di saluto.

– Mio caro Principe – disse la Fata Confetto – ho saputo della grande battaglia contro i topi!
– Si mia cara, è stata una grande battaglia, ma non avrei mai vinto senza l’aiuto di Clara.
La Fata Confetto sorrise a Clara e l’abbracciò, poi esclamò:
– Ma entrate! Entrate! Stanno per iniziare le danze di Natale!

Si ritrovarono dentro ad un luminosissimo salone pieno di dolci di ogni tipo, con le fate dei fiori intente a danzare sopra a magnifici fiori fatti di zucchero filato e pan di zenzero.

La Fata Confetto invitò il Principe Schiaccianoci a ballare, e iniziarono a danzare in tondo per tutto il salone.
Sembravano così leggeri che pareva non toccassero terra.

Ed infatti mentre giravano insieme tenendosi per mano, stavano come per magia piano piano volteggiando sempre più in alto nella sala.
Salivano e salivano sempre di più, verso la volta del salone illuminata a giorno come se splendesse il sole.

Clara dovette socchiudere gli occhi per continuare a vederli finchè non svanirono abbracciati nella luce abbagliante.

“Svegliati piccola mia…” chiamò una voce.
Clara piano piano aprì gli occhi… era giorno e si trovava nel suo lettino, tra le braccia stringeva il suo Schiaccianoci di legno, che era ritornato delle dimensioni originali. Accanto a lei c’era seduta la mamma, che le sorrideva e le accarezzava la testolina.

Clara sorrise.
Ora capiva. Era stato solo un sogno, ma era stato magnifico e splendido, sicuramente il più bel sogno di tutta la sua vita.

Abbracciò forte il suo Schiaccianoci, poi come ricordandosi d’improvviso di una cosa molto importante, scese dal letto e corse giù nel salone di casa.
Era la mattina di Natale, e c’erano un sacco di regali da scartare!

Ma sicuramente il più bel regalo di tutti era stato il sogno magico che le aveva regalato lo Schiaccianoci!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il pifferaio magico 🎼

Il Pifferaio di Hamelin: una melodia che nasconde un segreto

Hamelin è una città infestata da un esercito di topi.

Un misterioso pifferaio però, con il suo flauto incantato, promette di risolvere il problema.

Ma in questa fiaba, nulla è come sembra: la musica può incantare non solo i topi… Una storia antica che continua a far riflettere ancora oggi.

Il pifferaio Magico, anche conosiuto come il pifferaio di Hamelin, è una leggenda tedesca ripresa sia dai fratelli Grimm che da Goethe, e che probabilmente si basa su fatti realmente accaduti nel XVI secolo nella regione della Bassa Sassonia.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il pifferaio magico 🎼“!

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Il pifferaio magico 🎼


C’era una volta la piccola cittadina di Hamelin, che da qualche tempo era stata infestata dai topi.

Erano ovunque, nei granai, nelle dispense delle case e nei campi coltivati, e naturalmente divoravano tutto quello che capitava loro sotto i baffi.

Gli abitanti erano disperati, avevano ormai provato di tutto ma senza mai riuscire a cacciarli via:
I gatti, portati a centinaia anche dai paesi vicini, scappavano via a gambe levate perchè i topi erano inferociti; le trappole per topi venivano sempre trovate vuote e spesso erano gli stessi abitanti a rimetterci un dito, toccandole per sbaglio; mentre il veleno per topi sembrava non fare nessun tipo di effetto…

Il borgomastro della città decise allora di proclamare un bando:
– Chiunque sia in grado di liberare Hamelin dalla piaga dei topi, sarà ricompensato con 100 monete d’oro!

Il giorno seguente si presentò alla porta del borgomastro uno strano individuo, tutto vestito di colori sgargianti e con in mano un piffero.

Il borgomastro lo squadrò dalla testa ai piedi, pensando di aver davanti uno di quei saltimbanchi che cercano solo un tozzo di pane per tirar sera, e gli chiese:
– Cosa volete?
– Ho saputo che la città è infestata dai topi e che offrite una lauta ricompensa, io posso liberarvi dai topi – rispose il pifferaio.
– Tu? Liberarci dai topi? E come pensi di fare?! – gli rispose sgarbatamente il borgomastro mettendosi a ridere sonoramente.
– Col mio piffero magico – disse sicuro di sé il pifferaio.
– … ma certo! Col piffero…! – rispose il borgomastro asciugandosi le lacrime dalle risate – va bene va bene, fai pure, se lo dici tu… – e lo liquidò senza minimamente pensare che il pifferaio facesse sul serio.
Il pifferaio allora prese a camminare per la via principale e iniziò a suonare una dolce melodia. La gente del paese incantata uscì per la strada e si affacciò alle finestre per sentirlo.

Quello che videro subito dopo i cittadini di Hamelin aveva dell’incredibile: i topi a poco a poco sbucarono fuori dai loro nascondigli e iniziarono a mettersi tutti in fila ordinatamente dietro al pifferaio.

Il pifferaio si diresse fuori dalle mura, e i topi lo seguirono fino al fiume, dove come per magia si buttarono dentro lasciandosi trasportare via dalla corrente.

Il buffo pifferaio aveva liberato la città dai topi!
Il borgomastro però non era per niente felice, perchè ora avrebbe dovuto pagare 100 monete d’oro allo strambo pifferaio, a cui in realtà non voleva dare neppure un soldo.

– Ho liberato la città dai topi, ora pretendo la mia ricompensa – disse il pifferaio al borgomastro.
– Ma di quale ricompensa vai dicendo, per aver suonato un piffero?! Al massimo posso darti una moneta d’oro per l’esibizione… e fattela bastare! – gli grugnì contro il borgomastro facendo saltare la moneta in mano al pifferaio.

Il pifferaio, anche se evidentemente contrariato, non disse però nulla, si congedò e con passo tranquillo tornò sulla via principale del paese, dove riprese a suonare il suo piffero e la sua dolce melodia.

Questa volta però a mettersi in fila dietro di lui furono tutti i bambini del paese. Sembravano come rapiti da una magia che li ipnotizzava e li faceva marciare educatamente dietro al pifferaio.

A nulla valsero le suppliche e i tentativi dei genitori di trattenerli ed impedire loro di uscire dalla città dietro al pifferaio, loro si divincolavano e continuavano a cantare e camminare felici dietro di lui.

Fu una lunga marcia, prima attraverso i boschi, poi nella foresta fino ai piedi delle montagne, dove il pifferaio si fermò e si mise a suonare una melodia molto differente dalla precedente.

Nella parete della montagna si aprì un varco dove il pifferaio entrò continuando a suonare la sua melodia, e con lui entrarono tutti i bambini. Quando anche quello che sembrava l’ultimo bambino fu entrato, il varco si richiuse.

Ma dei bambini in realtà ne mancava ancora uno, che era zoppo ad una gamba e non era riuscito a tenere il passo dell’allegra comitiva. Quando finalmente anche lui si ritrovò davanti al varco nella roccia e lo trovò chiuso, cominciò a battere i pugni contro le pietre disperato.
– Fatemi entrare! Fatemi entrare! – gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, ma nessuno dall’altra parte gli rispondeva.

Tornò quindi triste ed abbattuto ad Hamelin, dove l’intero paese era disperato per la perdita di tutti i suoi bambini. Tutti gli adulti avevano provato invano ad aprire un varco nella roccia della montagna, ma non riuscivano a scalfirne neppure un centimetro, doveva essere sicuramente protetta da una magia.

Al bambino invece non interessava nient’altro che poter anche lui inseguire il pifferaio magico per ricongiungersi con tutti i suoi amici.

Poi un giorno ebbe un’idea: costruì un piffero e iniziò a suonarlo.
Gli ci vollero parecchi giorni per imparare a suonarlo come si deve, e altrettanti per ritrovare la melodia che suonava il pifferaio, ma alla fine ci riuscì.

Camminò quindi più veloce che poteva fino al varco nella montagna e cominciò a suonare la melodia: magicamente il varco si aprì.
Con passo incerto e zoppicante, pieno di emozione mista a paura il bambino entrò.

Dentro lo aspettava il pifferaio che con un gran sorriso gli disse:
– Tu hai trovato dentro di te la magica melodia capace di incantare le persone e gli animali! Tieni ora il mio piffero magico, è tuo.

Il bambino prese tra le mani il meraviglioso piffero di legno, lo guardò con occhi lucenti, e quando rialzò lo sguardo il pifferaio non c’era più, ma tutt’intorno aveva i suoi cari amici bambini!

Il bambino iniziò quindi a suonare il piffero e si incamminò fuori dalla grotta nella montagna. Dietro di lui si formò un’allegra colonna festante che poco dopo entrò trionfalmente in città.

Ci fu una gran festa che durò giorni e giorni per celebrare il bambino eroe. Nessuno però seppe mai che cosa avessero fatto i bambini dentro il varco nella montagna, perché nessuno si ricordava nulla…

Il borgomastro, che con la sua avarizia aveva di fatto creato tutta quella disavventura, fu cacciato dal paese.
Con i soldi della mancata ricompensa fu eretta in piazza del paese una statua in onore del pifferaio magico, che aveva liberato la città dai topi, e portato la magica melodia nelle vite e nei cuori di tutti i cittadini di Hamelin.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La principessa sul pisello 👸

Essere delle persone molto sensibili non è un difetto.

In un regno lontano, nascosto tra le pieghe del tempo, si racconta di un principe che non voleva sssolutamente sposarsi.

Ma una notte buia e tempestosa, una giovane bussa al portone del castello dicendo di essere una principessa.

La regina, architetta una prova tanto semplice quanto geniale… Sarà davvero lei la principessa capace di toccare il cuore del principe Ilario? Solo il mattino rivelerà una verità tanto sorprendente quanto indimenticabile.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La principessa sul pisello 👸“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

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La principessa sul pisello 👸


C’era una volta il principe Ilario, spirito libero e selvaggio, a cui piaceva sempre andare in giro per il mondo, far festa e divertirsi.
Sua madre la regina però, visto che il figlio tra un po’ sarebbe dovuto diventare re, voleva che Ilario mettesse la testa a posto e gli ordinò di sposare una bella principessa.

Ilario accettò ma, per allontanare il più possibile il giorno delle nozze, pose una condizione: doveva essere la principessa più principesca tra le principesse.
La regina dovette accettare la richiesta, e indisse il bando reale in cui annunciava la ricerca della futura sposa.

In men che non si dica, alle porte del castello si formò una lunga coda di principesse. La cosa non stupì la regina. Ilario era un bel ragazzo, conosciuto da tutti per il suo animo indipendente, leale e gentile. Ebbe quindi un gran daffare ad esaminare le credenziali di tutte queste principesse.
Ma l’ultima parola spettava sempre ad Ilario, che di sposarsi non aveva nessuna intenzione.

Le principesse venivano ricevute ad una ad una nella grande sala del re, dove Ilario le esaminava. Lui però riusciva sempre a trovare dei difetti e quindi a mandarle via.
Una aveva i capelli troppo lunghi, l’altra troppo corti, una aveva gli occhi troppo scuri, l’altra camminava storta, e così via…
Finché di principesse da esaminare non ce ne furono più. Ilario le aveva scartate tutte senza pietà.

La regina era furiosa, non capiva perché suo figlio avesse rifiutato di sceglierne almeno una.
Arrabbiata come non mai, gli disse:
– Figlio mio, adesso devi dirmi una caratteristica, una soltanto, che deve avere per forza la principessa che sposerai!
Le parole della regina non lasciavano scampo, e Ilario, colpito e impaurito, rispose con un po’ di esitazione:
– Deve essere la più sensibile tra le principesse!
– Bene! – tuonò la regina, e lo lasciò andare.

Passarono un paio di mesi e nessuna principessa si presentò al castello. Ormai Ilario si sentiva tranquillo, aveva quasi dimenticato la questione del matrimonio.

Ma una notte d’autunno, in cui infuriava un forte temporale, qualcuno bussò al portone.
Il maggiordomo andò ad aprire e trovò una ragazza, bagnata fradicia e sporca di fango.
– Sono la principessa Holga, vengo qui per incontrare il principe Ilario – disse la ragazza tremando dal freddo.

Il maggiordomo, vedendola così conciata, la fece entrare subito. La portò in cucina davanti al camino e le diede una zuppa calda e una coperta per scaldarsi. Dopodiché corse ad informare la regina della visita.
La regina, che non vedeva principesse da mesi, accorse subito, ma quando la vide rimase delusa. Così coperta di fango, Holga non sembrava una principessa, e non capiva se potesse piacere a suo figlio Ilario.
Titubante, decise di darle un’opportunità.

– Buonasera, sono la regina madre di Ilario. Con chi ho il piacere di parlare?
– Buona sera maestà, sono la principessa Holga e vengo per incontrare vostro figlio – e mostrò alla regina il diadema che aveva appeso al collo, a dimostrazione di essere una vera principessa.
La regina rimase molto colpita. Chiamò degli altri inservienti e ordinò di farle fare un bagno caldo.
– Purtroppo questa sera il principe Ilario è già a dormire. Potrete incontrarlo domattina, principessa Holga.
– Come desiderate maestà – disse Holga inchinandosi.

In realtà, Ilario si stava divertendo con gli amici in una sala del castello, ma la regina voleva prendere tempo. “Devo inventarmi qualcosa che riesca a dimostrare la sensibilità di questa principessa, ma cosa?” pensava la regina mentre andava ad avvertire Ilario di questa visita.
Appena prima di entrare nella sala dove si trovava il figlio, le venne un’idea.

– Figlio mio, poco fa è venuta a farci visita una principessa. Ho pensato a una prova per vedere se ha la sensibilità di cui tu parli: le metterò un piccolo pisello sotto il materasso. Solo le principesse più sensibili possono accorgersene, che ne dici?
Ilario pensò che nessuno avrebbe mai sentito un pisello sotto il materasso. E così, pur di riprendere al più presto la serata con gli amici, acconsentì alla prova.
La regina, soddisfatta, mise il piccolo pisello sotto il materasso dove avrebbe dormito Holga, e tornò da lei.

Nel frattempo Holga si era lavata e preparata per la notte, e… quale sorpresa per la regina!
Ripulita da tutto il fango, Holga era di una bellezza mai vista prima. La regina si pentì di non aver inventato una prova più facile da superare…
La accompagnò personalmente in camera e le diede la buona notte, dopodiché andò a dormire pure lei.

Il mattino seguente, la regina svegliò di buon’ora Ilario, e gli disse di seguirla per andare a trovare la principessa Holga.
Quando entrarono nella stanza, al principe Ilario quasi venne un colpo per quanto era bella quella ragazza.
Holga, però, aveva un viso molto stanco e due grandi borse sotto gli occhi.
– Principessa Holga, vi vedo molto stanca. Per caso non avete dormito bene questa notte? – chiese la regina.
– Purtroppo no, mia regina. Ho passato la notte in bianco per via di un continuo dolore alla schiena, come se ci fosse un sassolino nel materasso…

La regina sorrise e guardò il figlio, che, ancora colpito dalla bellezza di Holga, non aveva capito cosa fosse successo.
– Ilario, figlio mio, questa principessa è sicuramente la più sensibile di tutte le principesse della terra. Come hai potuto sentire, non ha dormito tutta la notte a causa del pisello che ho messo sotto il materasso.
Holga guardò incuriosita la regina, che continuò dicendo:
– Quindi, figlio mio, in virtù della grande sensibilità dimostrata da questa ragazza, credo che acconsentirai di buon grado a sposarla.

Ilario non ebbe nulla da controbattere, anzi, già innamorato di Holga disse solo: – Certamente!
E fu così che finalmente il principe Ilario mise la testa a posto e sposò la principessa Holga.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Rapunzel 👸💈🤴

Rapunzel: la Torre, l’Incantesimo e il Segreto dei Lunghi Capelli

In un tempo lontano, in un regno avvolto dal mistero, una ragazza dai capelli straordinariamente lunghi era prigioniera di una torre senza porte né scale. La sua voce melodiosa era l’unico segnale della sua presenza, un richiamo tanto dolce quanto triste.

Ma anche la torre più alta e l’incantesimo più potente non possono spegnere la speranza.

Un giovane principe, attratto dalla dolce voce di Rapunzel, sfiderà un grande pericolo pur di liberarla.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Rapunzel 👸💈🤴“!

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Rapunzel 👸💈🤴


C’era una volta in un paese lontano lontano una coppia di giovani sposi, che avevano avuto la sfortuna di prender casa all’ombra delle alte mura del giardino di una strega…
I due all’inizio non se ne preoccuparono, anche perché pare che nessuno negli ultimi anni avesse mai visto la Dama Gothel (così si chiamava la strega) e quindi la davano tutti per morta.

Passarono alcuni mesi e i due sposi ebbero la felice notizia di aspettare un bambino. I due erano le persone più felici del mondo, e il marito cercava di soddisfare in tutto e per tutto le “voglie” della moglie, che fossero di cibi particolari o di fiori bellissimi.
Un giorno la donna, passando vicino alle mura della strega, vide da una apertura nel muro che nel giardino vi erano dei bellissimi raperonzoli, i fiori a forma di campanula dal colore violetto, e se ne innamorò.

Così la sera stessa pregò il marito di andare a prenderne un mazzetto per adornare la casa. L’uomo all’inizio ebbe gran paura della strega, ma poi, rassicurato dal fatto che della strega non c’era più traccia già da un bel pezzo, prese coraggio e scavalcò l’alto muro del giardino e colse un bel mazzetto di raperonzoli.

La donna quando vide i fiori fu felicissima, tanto felice che chiese al marito di prenderne un altro mazzetto. Così l’uomo scavalcò di nuovo il muro, ma questa volta dall’altra parte si ritrovò faccia a faccia con la Dama Gothel.
– Cosa ci fai tu qui nel mio giardino?! – gridò la strega.
L’uomo balbettando rispose – Mi scusi… volevo solo raccoglie un mazzetto di fiori di raperonzolo… sa mia moglie aspetta un bambino e a volte ha delle “voglie” incontrollabili…

La strega strinse gli occhi e si avvicinò all’uomo – Così aspettate un bambino eh… Bene! Se volete aver salva la vita mi dovrete consegnare quel bambino non appena nato, lo tratterò come fosse figlio mio, non preoccupatevi…
L’uomo disperato pensò che era meglio salvare la vita del nascituro, anche a costo di darlo in mano ad una strega, piuttosto che morire tutti quella stessa notte.

Così quando dopo qualche mese nacque una bellissima bimba, la Dama Gothel la prese con sé e le diede il nome di Rapunzel.
Rapunzel crebbe tranquilla e spensierata tra le mura del giardino, e i suoi genitori, guardando attraverso una delle aperture nel muro, potevano vedere che stava crescendo bene ed in salute.

Rapunzel ignorava completamente che la Dama Gothel non fosse la sua vera mamma, ma, come da promessa, la strega la trattava bene e non le faceva mancare nulla. Anzi le stava curando gli splendidi capelli in modo da farle crescere una lunga treccia dorata.
Ma un giorno Rapunzel, ormai stanca di vivere dietro quelle alte mura e curiosa di vedere il mondo, cercò di scappare. Ma non ce la fece e la strega accortasi del tentativo, andò su tutte le furie.

La Dama Gothel rinchiuse così Rapunzel in una torre altissima, senza scale per salirci né porte per entrarci.
L’unico modo per salir fin lassù era far calare la lunga treccia di Rapunzel giù per la torre, in modo da usarla come corda per arrampicarsi.
Così ogni giorno la strega passava per la torre e diceva – Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella…
E Rapunzel calava la treccia e la strega saliva per darle cibo e da bere.

L’unico modo che aveva Rapunzel per sfogare tutta la sua solitudine e dolore era cantare tristi melodie per tutto il giorno.
Un giorno un principe, passando vicino alla torre per caso, udì quella bellissima voce cantar quelle tristi melodie, e si avvicinò incuriosito.
Vide così che dall’unica finestra della torre era affacciata una bellissima fanciulla.

Decise di provare a raggiungerla, ma non trovò né porte di entrata né scale per salir sulla torre.
Il principe non si perse d’animo e tornò più e più volte sotto la torre ad ascoltare il canto della dolce ma triste fanciulla.
Finché un giorno il principe, nascosto tra alcune siepi, trovò la Dama Gothel che pronunciava la frase con cui Rapunzel faceva calare la sua lunga e bionda treccia. Vide così qual era l’unico modo con cui si poteva salire fino in cima alla torre.

Aspettò che la strega si allontanasse e dopo poco pronunciò anche lui la frase – Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella…
Rapunzel calò la treccia, e lui salì. Quale sorpresa fu per la ragazza vedere il principe invece della Dama Gothel!
Rapunzel all’inizio cercò di gridare per la paura, ma il principe la tranquillizzò, dicendole che era venuto solo per conoscerla e per sapere come mai una così bella fanciulla fosse rinchiusa dentro una così alta torre.

Rapunzel spiegò la sua storia al principe, che dopo averla ascoltata disse:
– Ti salverò io mia bella Rapunzel, troverò un modo per farti fuggire da qui!
– No! – gli rispose la ragazza – se fuggo da qui, sono sicura che la Dama Gothel ci troverà e ci ucciderà entrambi!
Sentendo quelle parole il principe le disse:
– Allora tornerò qui ogni giorno, a farti compagnia.
– Va bene… – disse Rapunzel, che dopo tanta solitudine sentiva il bisogno di aver qualcuno con cui passare del tempo.

Così ogni giorno, per molti giorni, il principe andò a farle compagnia, e la rallegrava con i suoi racconti e le avventure che aveva vissuto girando il mondo.
Piano piano i due si innamorarono.
Ma la cosa non sfuggì alla strega, che vedeva Raperonzolo diventare sempre più felice e cantare melodie sempre più gioiose.
Così un giorno decise di aspettare tutto il giorno sotto la torre, nascosta tra le siepi, per vedere cosa succedeva. Ed infatti vide il principe far calare la treccia e salire su in cima alla torre.

La strega era furente e decise che si sarebbe vendicata.
Aspettò che il principe se ne andasse per tornare da Rapunzel.
– Come mai siete tornata Dama Gothel? – chiese la ragazza.
– Fai pure la finta tonta! – gridò la strega – ma ora io ti punirò!
Con una grossa forbice le tagliò la lunga treccia dorata, e con una magia la trasportò in un deserto lontano lontano, da cui non sarebbe mai più potuta tornare.

La Dama Gothel però voleva punire anche il principe, così il giorno dopo aspettò che arrivasse, e quando lui pronunciò la frase “Rapunzel, cala la tua treccia, che per salir lassù mi serve quella… “ la strega calò la treccia tagliata di Rapunzel.
Che sorpresa per il povero principe trovar in cima alla torre la strega invece di Rapunzel!
La Dama Gothel gli disse che non avrebbe mai più rivisto Rapunzel perché l’aveva confinata in uno dei deserti più lontani del mondo.
E vedendo la disperazione sul volto del principe, la strega si mise a ridere e con una magia lo scaraventò giù dalla torre, dove lo aspettavano dei rovi pieni di spine che gli ferirono gli occhi, togliendogli la vista.

Il principe sentiva ancora l’eco delle risa della strega alle sue spalle, ma senza perdersi d’animo decise di andare a cercare Rapunzel, anche in capo al mondo.
Iniziò a vagare per tutti i deserti della terra. Cieco, poteva fidarsi soltanto del suo udito che diventò allenatissimo a riconoscere anche i più piccoli rumori e sussurri.

Finché un giorno, quando ormai stava per perdere la speranza, udì in lontananza un triste canto melodioso…
– E’ lei, è Rapunzel! Non posso sbagliarmi, riconoscerei quella dolce voce in mezzo a mille altre! – gridò il principe, e corse in quella direzione.
Rapunzel sentendo dei passi che correvano nella sua direzione, alzò lo sguardo e, quando riconobbe il suo principe, gli corse incontro.
I due si abbracciarono forte piangendo dalla gioia, e le lacrime di Rapunzel caddero sugli occhi del principe, che come per magia riacquistò la vista.

I due tornarono a casa, titubanti per la paura che la strega potesse far loro ancora del male.
Ma della Dama Gothel nessuno seppe più nulla. Alcuni pensarono che, impazzita dalla rabbia, rimase rinchiusa dentro la torre per il resto dei suoi giorni.
Così Rapunzel ed il principe poterono sposarsi e vivere per sempre felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Cenerentola 👠

Cenerentola: la fiaba della speranza che trasforma i sogni in realtà

Cenerentola non è solo una storia di scarpette di cristallo e incantesimi che scadono a mezzanotte.

È il racconto senza tempo di una ragazza che, nonostante difficoltà e ingiustizie, non smette mai di credere nei propri sogni.

Grazie alla sua bontà d’animo e un pizzico di magia, scoprirà che la forza della speranza può ribaltare anche il destino più avverso.

Un viaggio indimenticabile verso la felicità, dove ogni dettaglio brilla come una stella.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Cenerentola 👠“!

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Cenerentola 👠


C’era una volta una ragazza di nome Lucrezia, ma da tutti veniva ormai chiamata Cenerentola…
Dovete infatti sapere che Cenerentola era stata una bimba molto sfortunata, crebbe senza la mamma fin da quando era molto piccola. Il caro papà per cercare di darle una figura materna sposò una vedova, anche lei con due figlie, con le quali era sempre dolce e benevola, ma si rivelò poi molto severa e ingiusta con Cenerentola.

Il padre cercava sempre di rincuorarla, ma ahimè anche lui poco dopo morì di malattia. E così Cenerentola si ritrovò sola, ma grazie al sorriso del papà che portava sempre nel cuore rimaneva sempre allegra e sorridente.
La matrigna iniziò a trattarla sempre peggio, le faceva fare tutte le faccende domestiche e i lavori più pesanti facendosi servire come se fosse una gran signora. Mentre le sorellastre le facevano ogni tipo di scherzo, visto che erano invidiose della sua naturale bellezza.

Così la sera, stanca ed esausta, Cenerentola si rintanava in un angolo della casa, vicino al caminetto acceso e caldo.
Proprio dal tempo passato vicino al caminetto, sporcandosi i vestiti con la cenere, le sorellastre presero a chiamarla col nomignolo di Cenerentola. Ma a lei non importava, aveva infatti scoperto che dietro al camino c’era la tana di alcuni piccoli topolini che le tenevano compagnia e la rallegravano nei momenti di sconforto.

Un giorno però nel paese accadde un fatto davvero straordinario. Dal castello arrivò un messaggero del Re che proclamò:
“Il figlio del re, il Principe erede al trono, ha indetto un gran ballo nelle sale reali a cui sono invitate tutte le ragazze del regno in età da marito!”

Quando la matrigna lo venne a sapere prese le sue due figlie e iniziò a prepararle come principesse per il gran ballo.
Cenerentola, che stava correndo a destra e sinistra per obbedire agli ordini delle tre donne, sognava ad occhi aperti di quanto sarebbe stato bello poter partecipare a quel gran ballo.

Così prese coraggio e disse alla matrigna:
– Voglio anche io partecipare al ballo! L’invito è aperto a tutte le ragazze del regno in età da marito…
La matrigna e le sue sorellastre, guardandola tutta impolverata e vestita di stracci, si misero a ridere.
– Come pensi di presentarti al castello? Vestita di stracci sporchi?! – e se ne andò via facendole capire che non c’era nessuna possibilità che lei partecipasse al ballo.

Così arrivò la sera del ballo, Cenerentola vide la matrigna e le sorellastre prepararsi, vestirsi con abiti meravigliosi e indossare splendidi gioielli. Aspettò che uscissero di casa, e una volta che si furono allontanate corse a piangere disperata nell’angolino vicino al camino.
I topini suoi amici uscirono dalla tana e cercarono di consolarla strofinando il loro musetto contro le guance bagnate dalle lacrime di Cenerentola.

Le sue lacrime erano così tante che caddero per terra, sopra un piccolo mucchietto di cenere. Ma da quel mucchietto di cenere accadde una cosa inaspettata, piano piano come per magia, una piccola luce iniziò a brillare sempre più forte, finché davanti a Cenerentola non si materializzò una fata!
– Su non fare così piccola Cenerentola mia… – disse la fata Madrina.
– Chi ha parlato!? – esclamò Cenerentola che aveva ancora gli occhi pieni di lacrime e non riusciva a vederci bene.
– Sono io, la tua fata Madrina, e vedrai che adesso sistemeremo un po’ di cose…
– La mia fata Madrina… ? – chiese stupita Cenerentola – … e cosa dovremmo sistemare?
– Beh, tanto per iniziare, ti piacerebbe partecipare al gran ballo di stasera?
– Ma certo! Mi piacerebbe tanto… – rispose Cenerentola che si stava ancora asciugando le lacrime col dorso delle mani – … ma come faccio? Non ho neppure un abito da sera…
– Di questo non ti devi preoccupare, piuttosto portami una zucca e raduna qui i tuoi amici topolini.
– Una zucca? – chiese sorpresa Cenerentola, ma senza chiederle il perché si precipitò nell’orto a prenderne una bella tonda e gliela portò.

Così, la fata Madrina di fronte agli occhi stupefatti di Cenerentola, pronunciò una formula magica e trasformò la zucca in una splendida carrozza, e i topolini in magnifici cavalli bianchi che la trainavano.
Cenerentola rimase a bocca aperta, e non riusciva a pronunciare nemmeno una parola per la meraviglia.

– E ora veniamo a te, mia bella fanciulla – disse la fata che in un colpo di bacchetta magica trasformò l’abito fatto di stracci di Cenerentola in un magnifico vestito da sera color bianco perla, degno di una regina.
– Ma… ma… ma è stupendo! – balbettava Cenerentola – come posso ringraziarti fata Madrina!?
La fata sorrise e disse:
– Piuttosto, ti mancano ancora delle scarpette, degne di questi piedini così piccoli e graziosi – e così ai piedi di Cenerentola comparvero delle magnifiche scarpette di cristallo che le calzavano alla perfezione.

Ora Cenerentola sembrava veramente una principessa.
– E ora vai, corri al ballo ma ricorda solo una cosa, la più importante: questa magia durerà solo fino a mezzanotte, entro il dodicesimo rintocco del campanile tutto ciò che ho fatto sparirà! La carrozza tornerà zucca, i cavalli topolini e il tuo vestito sarà di nuovo di stracci!

Cenerentola, che ancora non credeva a quello che le stava succedendo, non se lo fece ripetere due volte, salì sulla carrozza e partì per il castello.
Al castello era tutto un susseguirsi di musiche e danze, e Cenerentola fu ricevuta con gli omaggi che si fanno ad una principessa.
Le persone presenti al gran ballo iniziarono a chiedersi da dove mai venisse quella fanciulla così bella ma di cui nessuno sapeva il nome.
Il Principe aveva promesso un ballo a tutte le ragazze presenti, ma quando finalmente fu il turno di Cenerentola, non volle più ballare con nessun’altra.

Tutte le altre ragazze diventarono verdi d’invidia, comprese la matrigna e le sorellastre di Cenerentola.
Così il Principe e Cenerentola continuarono a ballare per tutta la serata, tanto che lei si scordò del del tempo che passava…
Ma ci pensò il campanile a ricordarle che ormai era giunta la mezzanotte, e la campana iniziò a fare i primi rintocchi.
Cenerentola fu presa dal panico.

– Mi scusi sua maestà, ma io ora devo proprio andare… – si congedò frettolosamente dal Principe che non capiva il perché di una fuga così improvvisa, così decise di rincorrerla.
Cenerentola correva veloce, ma mentre scendeva la scalinata che portava alla carrozza perse una delle scarpette di cristallo. Fece per voltarsi a riprenderla, ma mancava ancora un solo rintocco di campana e tutta la magia sarebbe svanita, e il Principe avrebbe visto chi era in realtà.
Così saltò sulla carrozza e gridò ai cavalli di correre al galoppo verso casa.

Al Principe non rimase altro da fare che raccogliere la scarpetta di cristallo, e vedere la carrozza di quella fanciulla senza nome che si allontanava a tutta velocità.
Non appena dal campanile arrivò il dodicesimo rintocco, la carrozza svanì, i cavalli ritornarono ad essere topolini e Cenerentola tornò ad essere vestita di stracci. Per fortuna erano ormai abbastanza lontani dal castello e nessuno vide nulla, così a Cenerentola toccò fare l’ultimo tratto di strada a piedi, in compagnia dei topolini.

Il giorno dopo la matrigna e le sorellastre erano furenti, avevano saputo che il Principe aveva ordinato alle sue guardie di cercare la splendida fanciulla senza nome. Per essere certi che la fanciulla fosse quella giusta, avrebbero fatto calzare la scarpetta di cristallo per scoprire quella al cui piede avrebbe calzato alla perfezione.
Dopo qualche giorno dunque le guardie bussarono anche alla porta della casa di cenerentola.
– Vai a nasconderti subito nell’orto – disse la matrigna a Cenerentola – che sennò ci fai fare brutta figura.

Così Cenerentola si mise a fare lavori nell’orto, mentre intanto cercava di origliare cosa stesse succedendo in casa. Ovviamente a nessuna delle due sorellastre, per quanto provassero e riprovassero, la scarpetta di cristallo andava bene.
Così le guardie dopo innumerevoli prove sentenziarono che nessuna delle due era la ragazza del ballo.
Ma quando uscirono di casa, ad una delle guardie cadde l’occhio proprio nell’orto dove stava Cenerentola, e vista la ragazza la chiamarono per farle provare la scarpetta.

– Ma cosa volete far provare la scarpetta a quella ragazza, non vedete che è vestita di stracci? – disse la matrigna quando si accorse delle intenzioni delle guardie – non avrebbe mai potuto partecipare al gran ballo conciata a quel modo!
– Noi abbiamo l’ordine di far provare la scarpetta a tutte le ragazze del regno, nessuna esclusa!
La matrigna dopo quelle parole non ebbe il coraggio di aggiungere nulla.

A Cenerentola batteva forte il cuore, quella era la scarpetta di cristallo che aveva usato al ballo, e il Principe aveva ordinato di cercare per tutto il regno la ragazza che l’aveva indossata!
E questa ragazza era proprio lei!
Mentre la guardia si inchinava per infilarle la scarpetta Cenerentola tremava, e per la paura chiuse gli occhi, finché non sentì la scarpetta perfettamente calzata sul piede e la guardia esclamare a gran voce:
– E’ lei!!!

Cenerentola riaprì gli occhi, la scarpetta era lì sul suo piccolo piedino.
– Non è possibile! – esclamò la matrigna.
– Non è possibile! – ribatterono le due sorellastre.
Le guardie invece chiamarono una carrozza ed invitarono Cenerentola a salirci sopra.
– Sua maestà il Principe la sta aspettando a corte – dissero le guardie facendola salire, e la carrozza partì verso il castello sotto sguardo esterrefatto della matrigna e delle sorellastre.

E così una volta giunta a corte il Principe riconobbe in Cenerentola la bellissima ragazza con cui aveva ballato un’intera sera.
Così le propose di sposarla, Cenerentola felice come non mai accettò, e di lì a poco si sarebbero celebrate le più belle nozze del regno.
E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il Gatto con gli stivali 🐈👢

Il Gatto con gli stivali: L’astuzia che svela il destino

Cosa nasconde un gatto con stivali di cuoio e un cappello elegante?

Questo astuto felino, con i suoi piani ingegnosi e un pizzico di mistero, trasforma un semplice ragazzo in un nobile signore.

Il Gatto con gli Stivali riesce a tessere una trama di astuzia e magia, dimostrando che anche i più piccoli possono cambiare il loro destino… se sanno giocare bene le loro carte.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “Il Gatto con gli stivali 🐈👢“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il Gatto con gli stivali 🐈👢


C’era una volta Marcello, un ragazzo che aveva per migliore amico un gatto, ma non uno qualunque. Questo gatto se ne andava sempre in giro con addosso un paio di stivali, perciò Marcello l’aveva chiamato “Gatto con gli Stivali”.

I due erano cresciuti assieme, e il gatto si era sempre dimostrato molto furbo e felice di aiutare Marcello, quando era in difficoltà.
Un giorno parteciparono alla festa del paese, dove Marcello conobbe Sandra, la figlia del ricco Signorotto del posto.
I due si trovarono subito simpatici, ma Sandra già sapeva che non avrebbe potuto frequentare Marcello perché suo padre non l’avrebbe permesso. Infatti, il padre di Sandra non voleva che la figlia avesse amici tra gli abitanti del paese, da lui ritenuti dei sempliciotti.

Marcello quando capì che non avrebbe più potuto vedere Sandra, diventò triste.
– Non abbatterti Marcello, vedrai, ti darò una mano io! – gli disse il Gatto con gli Stivali.
– E come puoi aiutarmi? – chiese perplesso Marcello.
– Tu non ti preoccupare – gli rispose il Gatto dopo avergli fatto l’occhiolino. E sparì nel bosco.
Era andato a caccia, e in breve tempo riuscì a catturare un paio di leprotti. Poi si recò a casa del Signorotto, padre di Sandra, e gli porse le due prede dicendogli:
– Sono il Gatto con gli Stivali e questi leprotti sono un omaggio del Signor di Carabàs – e fece un profondo inchino.

Il Signorotto, tutto contento, ringraziò il Gatto con gli stivali, chiedendosi chi mai fosse questo Signor di Carabàs.
Il Gatto portò dei doni anche il giorno dopo e il giorno dopo ancora.
Il Signorotto era sempre più curioso, perciò quando rivide il Gatto gli chiese:
– Ma quando posso incontrare il vostro signore, per poterlo ringraziare di tutte queste cortesie?
– Lo incontrerete presto, statene certo – rispose il Gatto con gli Stivali inchinandosi. E corse via.

Sandra osservava quell’andirivieni già da un po’ di tempo. Le sembrò di ricordare che quello era il gatto tanto amico di Marcello.
Quel giorno decise di chiamarlo.
– Gatto con gli Stivali! Posso parlarti?

Il Gatto già temeva il peggio, pensando di essere stato scoperto nel suo piano.
– Ma tu non sei il gatto amico di Marcello?
– Sì Sandra, lo sono – rispose il gatto.
– E sei anche amico di questo Signor di Carabàs?
– …sì… – rispose timoroso il gatto, sapendo ormai di essere stato scoperto.
Sandra intuì, e sorrise.

– E per caso io lo conosco il Signor di Carabàs?
– … hem, in qualche modo sì… – il gatto non sapeva più come togliersi dall’imbarazzo.
– Ho capito… – disse Sandra sempre sorridente – Puoi riferire al Signor di Carabàs che domani io e mio padre andremo al paese qui vicino a far compere? Chissà mai che non ci si incontri…

Il Gatto con gli Stivali fu sorpreso da quelle parole, e intuì a sua volta che Sandra aveva sì capito il suo piano, ma anche che stava dalla sua parte.
– Certamente Sandra – il gatto sorrise, fece un inchino e corse via.

Lungo la strada per il paese vicino c’erano molti campi. Il Gatto con gli Stivali portò ai contadini che lavoravano lì un po’ di selvaggina, convincendoli così a dire che quei campi erano proprietà del Signor di Carabàs.
E così, man mano che quel giorno Sandra e suo padre procedevano a cavallo, i contadini li salutavano a nome del Signor di Carabàs.

Il Signorotto pensò non solo che il Signor di Carabàs fosse di una gentilezza mai vista, ma che fosse anche molto ricco.
A quel punto il Gatto con gli Stivali tornò da Marcello e gli disse:
– Sbrigati! Corri al fiume, e quando te lo dico io, buttati dentro gridando che sei il Signor di Carabàs e che ti hanno derubato di tutti i tuoi averi!

Marcello era all’oscuro di tutte le mosse del Gatto e chiese incuriosito:
– E chi sarebbe il Signor di Carabàs? –
– Vuoi incontrare di nuovo Sandra e poterla vedere finalmente quando ti pare?
– Certamente! – rispose Marcello.
– E allora non discutere e fa come ti dico!
Marcello, fidandosi dell’amico Gatto, corse veloce al fiume e si nascose dietro una siepe, in attesa del segnale per buttarsi dentro.

Intanto, il Signorotto e Sandra stavano arrivando al ponte sul fiume.
Il Gatto con gli Stivali fece un fischio, e Marcello capì che era il momento di buttarsi.
Dopo poco si sentì un grido.
– Aiuto! Aiuto! Sono il Signor di Carabàs e sono stato derubato di tutti i miei averi! Aiuto!

Il Signorotto e Sandra accorsero per vedere cosa stava succedendo, e videro Macello uscire tutto bagnato dalle acque del fiume.
– Cosa ti è successo, ragazzo? – disse il Signorotto.
– Sono il Signor di Carabàs, e due furfanti mi hanno derubato di tutti i miei averi e scaraventato nel fiume…
Finalmente il Signorotto aveva l’occasione di conoscere chi, nei giorni scorsi, gli aveva fatto tanti regali.

– Padre, non possiamo lasciarlo così bagnato fradicio. Portiamolo a casa nostra e diamogli dei vestiti! – disse Sandra che aveva riconosciuto Marcello.
– Certamente! – rispose il Signorotto.
E così Marcello fu portato a casa del Signorotto, asciugato e vestito con abiti molto eleganti.

Il Signorotto lo ringraziò per tutti i regali che gli aveva fatto, e anzi, lo invitò a frequentare spesso quella casa: per lui le porte sarebbero sempre state aperte.
E fu così che finalmente Marcello e Sandra poterono vedersi come e quando volevano, e il Gatto Con gli Stivali fu contento di vederli insieme felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il principe felice 🤴

Un grande cuore può nascondersi ovunque, anche dentro una fredda statua di metallo.

Tutti possiamo fare molto per aiutare gli altri, e il racconto Il principe felice mostra che perfino una statua ci può riuscire grazie all’aiuto di un valido amico.

Questa fiaba originariamente scritta da Oscar Wilde, ci insegna che la cosa migliore che si possa fare è donare quanto si ha di più prezioso agli altri, così da essere amati e ricordati per sempre.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il principe felice 🤴“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il principe felice 🤴


C’era una volta un principe, ma non un principe qualunque, lui era un Principe felice.
Durante il suo regno ci fu pace e prosperità, tanto che alla sua morte tutta gli abitanti della città decisero di erigere in suo onore una statua tutta d’oro, con zaffiri per occhi e rubini sull’elsa della spada.
Così da quel giorno la statua del Principe felice fece sempre compagnia alla gente della città.

Ma passarono molti anni, talmente tanti che le persone quasi non si ricordavano più del perché quella statua si chiamasse “il Principe felice”.
Una sera di fine estate una rondine, che stava volando verso sud per passare l’inverno al caldo, decise di riposarsi ai piedi della statua.

– Qui troverò un po’ di riparo – pensò la rondine.
Stava per mettere la testolina sotto l’ala per dormire quando una goccia le cadde addosso. Guardò il cielo, ma lo vide tutto stellato e senza una nuvola.
– Che strana cosa, piove col cielo sereno – e rimise la testa sotto l’ala.
Ma un’altra goccia le cadde addosso, alzò la testa e non vide nulla di strano.
– Ma guarda te, questa statua non riesce a ripararmi nemmeno dalla pioggia, disse guardando verso il viso del principe felice, e fu allora che cadde un’altra goccia, proprio sulla sua testa.

La rondine capì: quelle non erano gocce di pioggia, erano lacrime che cadevano dagli occhi della statua. Spiccò il volo e andò a vedere meglio.
– Cosa ti succede statua, perché piangi? – chiese la rondine.
– Sono il Principe felice, e piango perché da qui posso vedere tutte le miserie del mio popolo, e il mio cuore anche se di piombo, è molto triste.

– Mi spiace molto – disse la rondine, colpita dall’espressione addolorata della statua.
– Cara rondine, tu potresti aiutarmi. Giù in quella casa c’è una donna molto povera, il suo lavoro di ricamatrice non le permette di guadagnare abbastanza soldi per curare il suo bambino malato. Le porteresti il rubino che ho incastonato nella spada? – disse il Principe felice.
– Ma io devo volare verso sud… – replicò la rondine.
Ma lo sguardo pieno di lacrime del principe la commosse.
– Va bene, solo per questa notte rimarrò qui e ti aiuterò.

La rondine prese il rubino e lo portò alla donna, e quando vide suo figlio a letto con la febbre alta si fermò un attimo sopra il suo viso a rinfrescarlo col suo battito d’ali.
Poi tornò dal Principe felice e riposò.
La sera seguente la rondine disse al principe che sarebbe partita.

– Rondine mia, resta ancora una notte. Vedo un giovane che è affamato e vive al freddo in quella casa, prendi uno degli zaffiri che mi fanno da occhi e portaglielo.
La rondine sul momento protestò, ma il principe insistette, e il buon cuore della rondine lo accontentò e portò lo zaffiro al giovane.
Il giorno dopo la rondine cercò di salutare il Principe, ma lui le chiese di rimanere un’ultima notte: c’era una piccola fiammiferaia da aiutare, non aveva venduto nemmeno un fiammifero, e di certo non avrebbe passato una bella notte se non avesse ricevuto aiuto.

– Portale l’altro zaffiro che ho per occhio – la disse il Principe felice.
– Ma così rimarrai cieco! – esclamò la rondine.
– Non importa.
Così la rondine prese lo zaffiro e lo portò alla piccola fiammiferaia, che non sapeva come ringraziarla dalla gioia.
La rondine tornò dal principe, e notò che il suo viso era più sereno. Ma ora era cieco e non poteva lasciarlo così da solo.

– Tu ora non puoi più vedere la gente della tua città… rimarrò io al tuo fianco, e sarò i tuoi occhi – gli disse.
– Ma rondine mia, tu devi andare al caldo verso sud!
Ma la rondine non volle lasciarlo e iniziò a volare per tutta la città e raccontargli tutto quello che vedeva. Quando incontrava un mendicante, un povero o un bisognoso, prendeva una fogliolina d’oro dal corpo della statua del Principe felice e andava a portargliela.

Finché la statua del Principe felice divenne tutta grigia e spoglia, senza più neanche una fogliolina d’oro sopra.
Ma nonostante questo, ora gli abitanti della città erano tutti un po’ più felici.
Finalmente sul viso del Principe c’era un gran sorriso, e la rondine non smise mai di fargli compagnia.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La Sirenetta 🧜‍♀️🌊

Ariel la sirenetta, per realizzare il proprio sogno è disposta a rischiare il tutto per tutto…

La Sirenetta è la fiaba del “cambiamento” per raggiungere i propri desideri, una sorta di crescita interiore, dove bisogna prima perdere qualcosa di molto importante prima di a provare ad inseguire i propri sogni.

E’ forse la fiaba più conosciuta scritta da Hans Christian Andersen, e in essa sono contenute tutte le emozioni che il grande scrittore ha saputo regalarci con i suoi racconti.

⚠️ ATTENZIONE!
Questa è la versione rielaborata da fabulinis, NON c’entra quasi nulla col famoso film della Disney, ma ricalca abbastanza fedelmente la versione originale di Andersen, discostandosene solo per il finale.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La Sirenetta 🧜‍♀️🌊“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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La Sirenetta 🧜‍♀️🌊


Indice dei capitoli

  1. CAPITOLO 1
  2. CAPITOLO 2
  3. CAPITOLO 3

La Sirenetta 🧜‍♀️🌊 CAPITOLO 1


C’era una volta, in fondo al mare, un regno magico governato dal Re del Mare.

Il Re del Mare era rimasto vedovo, e a curare le sue sei figlie sirene c’era l’anziana nonna, che non faceva mancare loro nulla e le riempiva di amore e attenzioni.

La più piccola delle principesse sirene, Ariel, era anche la più bella di tutte e, oltre alla bellezza, aveva ricevuto in dono anche una voce capace di incantare chiunque la ascoltasse.

Ariel e le sue sorelle giocavano tutto il giorno sul fondo del mare e nei giardini del Castello, pieni di fiori e piante acquatiche, mentre la sera amavano ascoltare le storie degli uomini che vivevano in superficie e solcavano i mari, raccontate dalla loro cara nonna.

Ad Ariel queste storie piacevano molto, e la facevano sognare ad occhi aperti, immaginandosi avventure incredibili ed emozionanti.
Così non smetteva mai di chiedere sempre maggiori particolari all’anziana nonna, che alla fine ripeteva sempre a lei e le sue sorelle:
– Alla vostra maggiore età, potrete nuotare fino alla superficie, e vedere con i vostri occhi il mondo degli esseri umani.
Ariel non vedeva l’ora, ma era la più piccolina tra le sorelle e avrebbe dovuto aspettare a lungo…

Finalmente la più grande delle sorelle giunse alla maggiore età, e con enorme emozione intraprese il suo viaggio verso la superficie. Quando tornò aveva mille cose da raccontare, ma la cosa più bella di tutte era l’esser stata sdraiata al chiaro di luna su una spiaggetta riparata, guardando in lontananza la città piena di luci e rumori degli uomini.

Ariel l’ascoltava rapita, e ne avrebbe voluto sapere sempre di più, ma per ora doveva accontentarsi della sua immaginazione…
L’anno successivo fu il turno della seconda sorella, che al ritorno dal suo viaggio in superficie raccontò del tramonto infuocato e del cielo color oro che le aveva incantato gli occhi.

E poi toccò alla terza sorella, che più coraggiosa di tutte volle risalire il fiume per vedere palazzi, castelli, campi coltivati e vigneti immersi in uno splendido bosco dove cantavano gli uccellini.

La quarta sorella invece non era tanto coraggiosa, e quando toccò a lei risalire in superficie, era rimasta in alto mare a vedere le navi che passavano lontane e a giocare insieme ai delfini.

E l’anno dopo ancora toccò alla quinta sorella, era inverno e quando arrivò in superficie incontrò dei grandi blocchi di ghiaccio, grandi come isole, su cui si poteva passare il tempo ad ammirare i maestosi cieli grigio azzurri invernali.

Mancava solo Ariel, che la sera guardava con un velo di tristezza le sorelle prendersi per mano e nuotare lentamente verso la superficie.

Finalmente arrivò il grande momento anche per Ariel e il giorno della sua maggiore età abbracciò forte le sue sorelle, la nonna e il padre prima di nuotare leggiadra verso la superficie.

Quando uscì dall’acqua il sole stava tramontando e in lontananza c’era una grande nave piena di marinai che andavano e venivano. Decise di andare a guardare più da vicino.

Sul ponte della nave i marinai vociavano e cantavano, mentre attraverso i finestrini della nave si vedevano molte persone vestite elegantemente. Si stavano tutti preparando alla grande festa per il compleanno del Principe che si sarebbe tenuta quella sera stessa.

Non appena fu buio iniziarono i balli e poi, finalmente, il Principe uscì sul ponte. In quel momento furono sparati dei razzi che fecero mille fuochi colorati nel cielo. Ariel non aveva mai visto una cosa simile.

Com’era bello il giovane Principe! Stringeva la mano di tutti i suoi amici, e sorrideva mentre la musica suonava nella notte incantevole. Ariel lo guardava mentre il suo cuore batteva sempre più forte.

Ad un tratto però il vento iniziò a soffiare forte, nere nubi cariche di lampi e fulmini si stavano avvicinando velocemente. Tra non molto sarebbe arrivata una tempesta.

I marinai ammainarono in fretta le vele mentre il mare si ingrossava e le onde si facevano sempre più alte e forti. La nave gemeva e scricchiolava. L’albero maestro si spezzò sotto il forte vento e la nave iniziò velocemente ad imbarcare acqua; in pochi minuti era praticamente già affondata.

Ariel capì che tutto l’equipaggio era in pericolo, anche il giovane Principe!
Iniziò a nuotare cercando di evitare i pericolosi rottami che avrebbero potuto ferirla. Si tuffava giù sotto l’acqua, poi ricompariva in superficie guardandosi velocemente intorno, e poi ancora giù finché non trovò il suo Principe.

Lo prese che era già svenuto e lo portò il più rapidamente possibile fino a riva, dove lo depose sulla sabbia in attesa che rinvenisse e passasse la tempesta. Mentre Ariel lo vegliava e gli carezzava la testa arrivò prima l’alba e poi il giorno.

Non molto distante dalla spiaggia c’era una costruzione che ad Ariel sembrò un luogo di culto, da lì stava pian piano arrivando camminando in silenzio una ragazza col volto coperto da un cappuccio. Ariel che era una sirena, non poteva farsi vedere da lei e, a malincuore, dovette abbandonare il suo Principe.

Gli diede un bacio sulla fronte prima di tuffarsi nell’acqua del mare e nascondersi dietro ad uno scoglio per osservare cosa sarebbe accaduto.

Non appena la ragazza vide il Principe svenuto a terra, gridò e corse in suo soccorso, gli sollevò la testa tra le braccia e lo scosse leggermente. Poco dopo il Principe si risvegliò, Ariel notò che dopo un attimo di smarrimento, sul suo volto si dipinse un sorriso e probabilmente stava ringraziando profondamente la ragazza col cappuccio per averlo salvato da morte certa.

Se solo il Principe avesse saputo chi davvero era stata a salvarlo!

Ariel guardò tra le lacrime il suo Principe allontanarsi camminando aiutato dalla ragazza col cappuccio, e solo quando furono ormai troppo lontani dalla sua vista si rituffò nel mare, dove le sue lacrime non si sarebbero più potute vedere…

…continua nel CAPITOLO 2

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Curiosità sulla Sirenetta

● “La Sirenetta” è probabilmente il racconto più autobiografico scritto da Hans Christian Andersen, dove il tema della “diversità” è molto sentito. Dovete sapere che Andersen era omosessuale, e vivendo nella Danimarca del 1800, gli era completamente precluso di poter liberamente amare un altro uomo, cosa che lo rendeva particolarmente infelice.

● “La Sirenetta” è stata il film che a fine anni ’90 ha rilanciato la Disney che, dopo una serie di incredibili flop, era in grande crisi.

● Nel racconto originale di Andersen, nessuno dei personaggi ha un nome proprio, quelli usati nella nostra fiaba sono stati presi in “prestito” dalla versione realizzata dalla Disney, diventata ormai un classico dell’animazione.

● In Danimarca Andersen e il suo racconto “la Sirenetta” sono talmente famosi che all’ingresso del porto di Copenaghen, è stata realizzata una statua in onore della protagonista della fiaba

Pinocchio 🤥 Storia di un burattino

“Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi, è una delle favole per bambini più famose al mondo, e ci parla di come ognuno di noi, crescendo, possa diventare un meraviglioso essere umano e non essere più un burattino che si lascia trasportare dagli eventi.

Chi non conosce Pinocchio? Ma siete sicuri di conoscerlo davvero? Eh sì, perché spesso, quando pensiamo a Pinocchio, ci viene in mente il cartone animato che Walt Disney ci regalò molti anni fa, ma che ha davvero poco in comune con il libro originale di Collodi…

Anche noi di fabulinis abbiamo deciso di proporre una nostra versione di questo meraviglioso racconto, ma il più fedele possibile alla versione di Collodi.

La nostra versione è più breve dell’originale e un po’ semplificata, perfetta quindi se vuoi avvicinare i tuoi bimbi a questo capolavoro o se la versione originale ti sembra troppo lunga o complicata…


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Pinocchio 🤥 Storia di un burattino“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Pinocchio 🤥 Storia di un burattino


Indice dei capitoli

  1. Mastro Ciliegia regala a Geppetto un pezzo di legno…
  2. Il grillo parlante.
  3. Mangiafuoco e il teatro dei burattini.
  4. Il gatto e la volpe.
  5. La fata turchina.
  6. Il Campo dei Miracoli.
  7. Pinocchio va a scuola.
  8. Il Paese dei Balocchi.
  9. Pinocchio diventa un bambino.
  10. EXTRA: Curiosità su Pinocchio.

1) Mastro Ciliegia regala a Geppetto un pezzo di legno…


C’era una volta un pezzo di legno. Era tenuto in un angolo della bottega di Mastro Ciliegia, che un giorno si decise di farne una gamba per un tavolino. Lo prese e lo mise sul tavolo per iniziare a tagliarlo, quando sentì una vocina che lo implorava:

– Ti prego, non farmi del male!
Mastro ciliegia si guardò intorno ma non vide nessuno, così riprese a lavorare il legno dandogli un bel colpo.
– Hai! Mi hai fatto male!

Mastro Ciliegia, spaventato dalla voce che proveniva dal pezzo di legno, lasciò cadere gli arnesi, e scivolò per terra dalla paura.

Proprio in quel momento, passava a trovarlo Geppetto, suo amico falegname, che lo trovò disteso a terra. Geppetto gli chiese cosa fosse successo, ma Mastro Ciliegia non voleva fare brutta figura, e come nulla fosse, chiese a Geppetto cosa fosse passato a fare nella sua bottega.

– Mi servirebbe un pezzo di legno, stamattina mi è venuta l’idea di costruirmi un bel burattino.
Mastro Ciliegia alzò un sopracciglio, guardò il pezzo di legno che stava ancora sul banco di lavoro e pensò che fosse un’ottima occasione per disfarsene.

– Guarda guarda, caro mio Geppetto, ho proprio quel che fa per te! – prese il pezzo di legno e glielo mise tra le mani.
Geppetto ringraziò e tornò verso casa. Decise che, una volta finito il burattino, lo avrebbe chiamato Pinocchio e, messo sul tavolo da lavoro il pezzo di legno, iniziò a intagliarlo.

Dopo alcune ore, finalmente, anche gli occhi e il naso erano finiti, mancava solo la bocca e non appena Geppetto si mise a realizzarla, questa iniziò a sghignazzare e a prenderlo in giro.
– Smetti di ridere boccaccia! – esclamò Geppetto, pensando che i morsi della fame gli stessero facendo un brutto scherzo.
La bocca del burattino smise di ridere, ma le sue mani veloci presero la parrucca di Geppetto e se la misero in testa.

– Birba d’un burattino, non sei ancora finito che già manchi di rispetto a tuo padre…
Pinocchio a quel punto saltò giù dal tavolo e cominciò a correre fuori di casa, mentre Geppetto gli correva dietro gridando di fermarsi.

Per fortuna sulla via c’era un carabiniere, che pigliò Pinocchio per il nasone e lo riconsegnò a Geppetto.
– Adesso andiamo a casa, poi faremo i conti! – disse Geppetto.

Pinocchio si buttò a terra e iniziò a piangere e far tanto fracasso da attirare l’attenzione di molte persone.
– Povero burattino – dicevano alcuni – ha ragione a non voler tornare a casa, chissà come lo picchierà Geppetto!…

Il carabiniere poco a poco si convinse che Pinocchio fosse scappato da Geppetto proprio perché lo voleva picchiare, e così lasciò andare Pinocchio e arrestò Geppetto.

– Sciagurato figliolo! E pensare che mi sono impegnato tanto per fare un burattino per bene… ma mi sta bene, dovevo pensarci prima… – disse tra sé Geppetto mentre veniva portato via dal carabiniere.

… continua nel CAPITOLO 2

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Curiosità su Pinocchio

● Carlo Lorenzini, vero nome di Carlo Collodi, scrisse Pinocchio in un momento di difficoltà della sua vita.

● In realtà il vero Pinocchio era lui stesso, sempre pronto a far “bambinate” e pieno di debiti al gioco d’azzardo, si mise così a scrivere una storiella per bambini per guadagnare qualche soldo. Ma già dopo pochi capitoli si era stancato e aveva scritto la parola fine del suo racconto più o meno quando i due banditi appendono Pinocchio all’albero.

● Ma ormai Pinocchio aveva iniziato a viver di vita propria dentro l’entusiasmo e l’immaginazione dei bambini tanto che, a furor di popolo, fu costretto a tirar giù Pinocchio dall’albero e rimetterlo di corsa a vagabondare per la sua strada. Una strada piena di avventure e di crescita interiore che lo porterà a diventare finalmente un bambino in carne ed ossa.

● La verità è che dentro le pagine del libro, ognuno di noi può immedesimarsi in Pinocchio, perchè racconta con parole semplici e senza troppi giri di parole, il birbante che si nasconde dentro tutti i bambini.

● Pinocchio è anche stato un racconto da cui poi sono stati ripresi concetti e modi di dire che oggi sono di uso comune, come:

  • “le bugie dal naso lungo o dalle gambe corte” per indicare chi mente;
  • “il paese dei balocchi” per indicare un luogo immaginario e fantastico dove non si fa nulla dalla mattina alla sera;
  • “Sono fritto!” che si riferisce ad un momento non presente nella nostra versione della fiaba, dove Pinocchio rischia di essere messo in padella e mangiato da un pescatore.
  • “Il Gatto e la Volpe” per indicare una coppia di persone poco affidabili

● Il libro divenne talmente famoso in tutto il mondo (è il libro in lingua italiana più venduto nella storia e vanta ben 240 traduzioni in lingua estera) che anche Tolstoj nel 1936, ne scrisse una versione molto simile.

● Di Pinocchio si sono fatti film di animazione (il più famoso è sicuramente quello della Walt Disney) che dal vero (come non ricordare il Pinocchio interpretato da Benigni nel 2002 o, l’ultimo del 2019, con alla regia Garrone in cui sempre lo stesso Benigni interpreta Geppetto?)

● E la canzone di Edoardo Bennato sul Gatto e la Volpe chi può scordarla?
ascoltatela su youtube 😉

Il piccolo principe 💫

Il piccolo principe non è un racconto, ma una poesia che insegna soprattutto una cosa: l’essenziale è invisibile agli occhi.

Il capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry tocca le emozioni più profonde che tutti noi portiamo dentro, fa riflettere sul significato dell’amore, dell’amicizia e della vita.

Il piccolo principe è un viaggio dentro ciascuno di noi, e proprio per questo è diventato un classico della letteratura mondiale, per grandi e piccini.

Qui su fabulinis abbiamo creato la nostra versione del racconto, cercando di interpretare al meglio lo spirito della storia, siamo sicuri che vi piacerà!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il piccolo principe 💫“!

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Indice dei capitoli

Il Piccolo Principe 💫 CAPITOLO 1


Quando avevo sei anni una volta vidi una bella immagine in un libro sulla jungla intitolato “Storie vissute”. Raffigurava un serpente boa che ingoiava un animale.

Ho pensato molto alle avventure della jungla e, a mia volta, sono riuscito con una matita colorata a fare il mio primo disegno e mostravo il mio capolavoro ai grandi.

Ma loro, invece di un serpente boa che digeriva un elefante, vedevano qualcosa di simile a un cappello da uomo.

Poi ho disegnato l’interno del serpente boa, in modo che gli adulti potessero capirlo, ma loro mi consigliavano di lasciar stare i disegni di serpenti boa e di concentrarmi invece su geografia, storia, aritmetica e grammatica.

È così che ho rinunciato, all’età di sei anni, a una magnifica carriera nella pittura.

Ero stato scoraggiato dal fallimento del mio primo e secondo disegno.

I grandi non capiscono mai niente da soli, e per i bambini è stancante dare sempre spiegazioni.

Così ho imparato a pilotare gli aerei. Ho volato in tutto il mondo. E la geografia, è vero, mi è stata molto utile.

Ho conosciuto molte persone nella mia vita. Ho vissuto molto con gli adulti, li ho visti molto da vicino, e non ho per niente migliorato la mia opinione.

Così ho vissuto da solo, senza nessuno con cui parlare veramente, fino a quando ebbi un incidente nel deserto del Sahara, sei anni fa. Qualcosa si era rotto nel motore del mio aereo e, poiché ero solo nel deserto, provai a ripararlo.
Era questione di vita o di morte, perché avevo a malapena acqua da bere per circa una settimana.

La prima sera mi addormentai sulla sabbia, a mille miglia da qualsiasi terra abitata, e quindi potete immaginare la mia sorpresa quando, all’alba, una vocina buffa mi ha svegliato dicendo:

– Per favore… mi disegni una pecora?
– Eh!?
– Disegnami una pecora…

Balzai in piedi come se fossi stato colpito da un fulmine, mi strofinai gli occhi, guardai bene e vidi un ometto piuttosto strano che mi guardava con aria seria.

Lo guardavo con gli occhi sbarrati per lo stupore: quel piccoletto sembrava un bambino, e non mi sembrava né perso, né morto di fatica, di fame, di sete o di paura.
Non assomigliava per niente a un bambino perso in mezzo al deserto.

Quando finalmente riuscii a parlare, gli chiesi:

– Ma che ci fai qui?

Ma lui ignorando la mia domanda, mi ripetè molto seriamente:

– Ti prego… disegnami una pecora…

Non osai disobbedire, premettendo però che non sapevo disegnare. Ma a lui non importava, voleva solo che disegnassi una pecora.

Quando finii, lui la guardò attentamente e disse che non voleva una pecora malata.

In effetti il disegno non era il massimo, così ne feci un’altro, ma mi rispose sorridendo che quella non era una pecora ma un montone perché aveva le corna.

Feci un altro disegno, rifiutato anch’esso perché la pecora era troppo vecchia.

Iniziai però a perdere la pazienza, volevo riparare il motore del mio aereo, e quindi scarabocchiai al volo una scatola con dei buchi:

– Questa è una cassetta, la tua pecora è lì dentro.

Rimasi piuttosto sorpreso nel vedere il suo viso illuminarsi:

– È esattamente come la volevo! Pensi che questa pecora abbia bisogno di molta erba?
– Perché? – chiesi io.
– Perché dove vivo io è tutto molto piccolo…
– Basta sicuramente, ti ho dato una piccola pecorella.

E fu così che conobbi il piccolo principe.

Mi ci è voluto molto tempo per capire da dove venisse.

Il piccolo principe mi fece molte domande, e sembrava non sentire per nulla le mie.

Quando vide il mio aereo mi chiese:

– Cos’è quella cosa?
– Quella cosa vola. È un aeroplano. È il mio aereo.

Ero orgoglioso di fargli sapere che volavo, poi esclamò:

– Ma sei caduto dal cielo!?
– Sì – risposi modestamente.
– Ah! È divertente… – e scoppiò in una grossa risata che mi irritò molto, poi aggiunse:

– Allora anche tu vieni dal cielo! Da che pianeta vieni?
Intravidi una luce nel mistero della sua presenza, e chiesi bruscamente:
– Quindi tu vieni da un altro pianeta?

Non mi rispose. Scosse dolcemente la testa guardando il mio aereo e sprofondò in una lunga meditazione. Poi, tirò fuori dalla tasca i disegni delle mie pecore, e contemplò il suo tesoro.

Cercai di saperne di più:
– Da dove vieni, ometto mio? Dov’è casa tua? Dove vuoi portare le mie pecore?

Mi rispose dopo un silenzio meditativo:
– La scatola che mi hai dato, di notte, farà da casa alla pecora.
– Certo, se vuoi disegno anche una corda per legarla durante la giornata.

La proposta sembrò stupire il piccolo principe:
– Legarla? Che idea divertente!
– Ma se non la leghi, andrà ovunque, e si perderà…

E il mio amico scoppiò di nuovo a ridere:
– Dove vuoi che vada!?
– Ovunque riuscirà a camminare…

Allora il piccolo principe osservò seriamente:
– Non importa, da me è tutto molto piccolo! – e, con un po’ di malinconia, aggiunse:
– Non si può andare molto lontano…

Avevo così capito una seconda cosa molto importante: il suo pianeta d’origine era appena più grande di una casa!

Ho seri motivi per credere che il pianeta da cui proveniva il piccolo principe fosse l’asteroide B 612.

Questo asteroide fu visto una sola volta attraverso un telescopio, nel 1909, da un astronomo turco.

Fece una grande dimostrazione della sua scoperta in un Congresso Astronomico Internazionale, ma nessuno gli credette per via del suo abbigliamento alla turca, bizzarro per gli occidentali.

Gli adulti sono così.

L’astronomo ripeté la sua dimostrazione nel 1920, vestito con un abito occidentale molto elegante. E questa volta tutti gli credettero.

Agli adulti piacciono i numeri.

Non ti chiedono mai l’essenziale, non ti chiedono mai “Come suona la tua voce?”, oppure “Quali sono i giochi che ti piacciono di più?” o anche “Collezioni farfalle?”…

No, ti chiedono “Quanti anni hai?”, “Quanti fratelli hai?”, “Quanto pesi?”… Solo così pensano di conoscerti.

Se ai grandi dici: “Ho visto una bella casa di mattoni rosa, con i gerani alle finestre e le colombe sul tetto…” non possono immaginare questa casa. Devi dire loro: “Ho visto una casa che vale centomila euro”.
Solo allora esclamano: “Che bella!”

Quindi, se dici loro: “La prova che il piccolo principe è esistito è, che era adorabile e che voleva una pecora, e quando vuoi una pecora è la prova che esisti”, ti guarderanno alzando le spalle e ti chiameranno “bambino”!

Ma se dici loro: “Il pianeta da cui è venuto è l’asteroide B 612”, allora saranno convinti e ti lasceranno in pace con le loro domande.

Sono fatti così. Non devi arrabbiarti. I bambini devono essere molto indulgenti con gli adulti.

… continua nel CAPITOLO 2

Note al piccolo principe

La versione del piccolo principe che avete appena letto non è una rielaborazione di una fiaba o racconto classico come di solito facciamo, ma una vera e propria traduzione/riduzione dall’originale francese.

Il piccolo principe in realtà e un’unica lunga, magnifica e immensa poesia, che se fosse stata riassunta in forma di racconto avrebbe perso tutto il significato e la magia che contiene.

Non si può arrivare alla frase “l’essenziale è invisibile agli occhi” senza aver raccontato e descritto tutti i passaggi che sono serviti al piccolo principe per arrivare fin lì…

Il piccolo principe è un’opera abbastanza inscindibile dai dolci acquarelli dello stesso Saint-Exupery, molte parti del racconto originale fanno direttamente riferimento ai disegni che bisogna guardare e “inserire” all’interno della storia. Non potendo inserirli su fabulinis, è qui che abbiamo deciso di rimaneggiare più “pesantemente” il piccolo principe, descrivendo dove possibile i disegni in modo che entrassero a far parte del racconto, facendo in modo di poterli immaginare anche senza poterli vedere.

Speriamo che questo adattamento vi sia piaciuto!

😊

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Tremotino 😈

Si può essere più avidi e infidi del nanetto Tremotino? Forse no…

Tremotino è una famosa fiaba raccolta in diverse versioni dai fratelli Grimm, e lo strano ometto è presente anche nel film “Shrek – e vissero felici e contenti” come uno dei cattivi antagonisti.

Questa fiaba narra di come l’avido Tremotino aiuterà la povera Elga solo in cambio di continui doni e promesse. Ma non tutto andrà come lui avrebbe voluto…


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Tremotino 😈“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

⚜️

Tremotino 😈


C’era una volta un povero mugnaio, era vedovo e viveva con la sua figliola che si chiamava Elga.

Un giorno capitò al suo mulino il re e il mugnaio, per ingraziarselo e vantarsi un po’, gli disse:
– Ho una figlia che sa tramutare la paglia in fili d’oro.
Il re, stupito, disse al mugnaio:
– Se tua figlia è veramente capace di trasformare la paglia in fili d’oro, portala al mio castello, e io la metterò alla prova.

Il mugnaio, colto di sorpresa, non si azzardò a contrariare il re e, seppur a malincuore, condusse Elga al castello.
Il re fece rinchiudere la ragazza in una stanza ricolma di paglia e le disse:
– Ora mettiti al lavoro, se non avrai trasformato questa paglia in oro entro domani mattina, ti farò passare a miglior vita.

Elga rimase sola. Non sapeva cosa fare, men che meno come si potesse trasformare la paglia in oro e, per la disperazione, si mise a piangere.

Improvvisamente, da una fessura nel muro della stanza, entrò un ometto che disse:
– Buonasera fanciulla, perché piangi così tanto?
– Devo trasformare la paglia in oro e non so come fare! – disse la ragazza in lacrime.
– Se io ti aiuto, cosa mi darai in cambio?
– La mia collana! – disse Elga senza pensarci.

L’omino prese la collana e se la mise in tasca. Dopodiché prese tra le mani alcune manciate di paglia, le sfregò ben bene e ripose per terra un mucchietto d’oro.

Elga non credeva ai propri occhi. Il piccolo ometto andò avanti così per tutta la notte, finché all’alba tutta la paglia fu tramutata in oro. L’omino fece quindi un inchino a Elga e, come era apparso, scomparì nella fessura del muro.

Poco dopo arrivò il re e, quando vide tutta la paglia trasformata, ne rimase stupito e deliziato, ma il suo cuore divenne ancora più avido di oro.
Fece portare Elga in un’altra stanza piena di paglia, molto più grande della precedente, e le ordinò di trasformarla tutta in oro entro il giorno seguente, se ci teneva alla vita.

La ragazza non riuscì a trattenersi dal piangere. Poi come la notte precedente, da un’altra fessura del muro riapparve l’omino che le disse:
– Se io ti aiuto, cosa mi darai in cambio?
– Il mio anello! – rispose Elga disperata.

L’omino prese l’anello, iniziò a canticchiare e si mise al lavoro. Alle prime luci del mattino aveva trasformato tutta la paglia in oro scintillante.
Finito il lavoro l’omino fece un inchino a Elga e sparì di nuovo.

Il re fu felicissimo di trovare ancora tutta quella paglia trasformata in oro, ma non era ancora soddisfatto, ne voleva ancora di più.
Fece portare la figlia del mugnaio in una stanza ancora più grande con ancora più paglia e disse a Elga:
– Se tramuterai anche tutta questa paglia in oro, allora ti sposerò e diventerai regina! – “anche se è la figlia di un mugnaio”, pensò, “non troverò una donna al mondo che mi possa rendere più ricco.”

Quando la ragazza fu sola, l’ometto tornò per la terza volta e le disse:
– Se ti aiuto anche questa volta, cosa mi darai in cambio?
– Non ho più nulla da darti… – rispose in lacrime Elga.
– Allora promettimi che, quando sarai regina, mi affiderai il tuo primo figlio! – disse l’ometto.
Elga, non sapendo che altro fare, promise che avrebbe rispettato il patto.

L’omino allora trasformò di nuovo tutta la paglia in oro, e quando il re al mattino dopo trovò tutto come aveva desiderato, mantenne la sua promessa: sposò la bella figlia del mugnaio e Elga divenne regina.

Un anno dopo Elga partorì un bel bambino. Si era completamente dimenticata della promessa fatta all’omino, ma, il giorno successivo, lui le si presentò davanti dicendo:
– Ora dammi ciò che mi hai promesso! – e cercò di afferrare il piccolo.

Elga si spaventò – ti offro tutte le ricchezze del regno, ma lasciami il mio bambino!
– No! Un bambino è uno dei tesori più importanti al mondo.

Elga si mise a piangere disperata stringendo forte a sé il piccolo.
A quella scena l’omino ebbe un moto di compassione e le disse:
– Ti darò tre giorni per stare con tuo figlio e ti do una possibilità: se per allora indovinerai il mio nome, potrai tenerlo con te – e svanì nel nulla.

Per tutta la notte Elga non dormì tentando di ricordare tutti i nomi sentiti nella sua vita. Mandò anche un messaggero in tutto il reame, per chiedere in lungo e in largo se qualcuno conoscesse l’omino e quale fosse il suo nome. Purtroppo nessuno lo sapeva…

Ma il terzo giorno il messaggero tornò e le disse:
– Mia regina, non riuscivo a trovare nessuno che conoscesse il nome di questo omino, finché non sono arrivato su un’alta montagna. Nel folto della foresta ho visto un fuoco ardere davanti all’uscio di una casetta, e intorno al fuoco danzava un ometto bizzarro che cantava così:

“Oggi preparo frittelle e bignè
che domani c’è qui il figlio del re
perchè non lo sa nemmeno l’indovino
che il mio nome è Tremotino!”

Potete solo immaginare la felicità della regina quando udì quel nome, e quando l’ometto si ripresentò chiedendo:
– Ebbene, mia signora Regina, come mi chiamo?
Lei rispose sicura:
– Il tuo nome è Tremotino!

– Com’è possibile che tu lo sappia?! Te l’ha detto il diavolo, te l’ha detto il diavolo! – esclamò l’ometto, e per la rabbia pestò i piedi per terra con tanta forza che si formò una crepa sul pavimento.
Senza accorgersene Tremotino cadde dentro la fessura nel terreno, sparendo laggiù, e da quel giorno nessuno lo vide mai più.

La regina Elga e il suo figlioletto invece vissero per sempre felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La bella addormentata nel bosco 👸

Il Segreto del Castello Addormentato

C’era una volta un regno avvolto nel mistero, dove un castello dormiva da cent’anni, avvolto da una foresta impenetrabile di rovi e leggende. Nessuno osava avvicinarsi, ma si diceva che dietro quelle mura silenziose giacesse un segreto…

Un incantesimo che ha trasformato il tempo in un sonno profondo e il cuore del regno in un enigma. Solo chi possiede il coraggio di sfidare le tenebre e un cuore puro può tentare di spezzare l’incantesimo.

Preparatevi a scoprire una fiaba ricca di mistero e magia.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La bella addormentata nel bosco 👸“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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La bella addormentata nel bosco 👸


C’era una volta un re, che viveva in un magnifico castello insieme alla regina e alla figlia, la piccola Aurora.
La bimba era nata da poco e i due sovrani erano così felici, che decisero di organizzare una grande festa per il suo battesimo.

Invitarono anche le fate che abitavano nel bosco, le quali arrivarono cariche di sorprese speciali per la piccola principessa.
Fu così che Aurora ricevette in dono bellezza, intelligenza, simpatia e tante altri doti che la rendessero una bambina davvero unica.

Purtroppo, però, il re non aveva invitato alla festa la fata più anziana del regno. Da tempo non si avevano sue notizie e tutti credevano che fosse morta.
Non sapevano quanto avrebbero pagato caro questo errore.

La fata venne a sapere della festa e si presentò al castello, più arrabbiata che mai.
– Vedo che state festeggiando senza di me – disse con sarcasmo. – E vedo che la principessa ha già ricevuto molti doni. Nessuno si offenderà se le offrirò anche il mio.
Così dicendo, alzò la sua bacchetta verso la culla di Aurora e tuonò:
– Sarai anche la più bella e la più intelligente di questo reame, ma ciò non ti servirà: prima del tuo diciottesimo compleanno, ti pungerai con l’ago di un fuso per filare e morirai.
E la fata svanì, lasciando il palazzo nello scompiglio più totale.

La regina era disperata, mentre il re dava ordine alle guardie di catturare questa fata malvagia. Ma era tutto inutile: di fronte ad una maledizione non si poteva fare nulla.

Si fece però avanti la fata più giovane, la quale cercò di consolare la regina e poi disse:
– Non posso annullare la maledizione della fata anziana, non ho tanto potere. Ma posso provare a renderla meno terribile, se me lo permettete.
La regina annuì speranzosa, e la fata alzò la bacchetta verso Aurora:
– Piccolina, una brutta maledizione ti ha colpito, un fuso ti pungerà ma non me morirai. Cadrai in un sonno profondo finché un principe, baciandoti, ti risveglierà e diventerà il tuo sposo.
Il Re e la Regina ebbero un piccolo sospiro di sollievo, perlomeno il nuovo incantesimo della giovane fata aveva allontanato lo spettro della morte dalla bambina.

Fu così che Aurora crebbe felice, amata e circondata da persone che le volevano bene.
In tutto il reame però erano stati vietati tutti gli attrezzi per filare: aghi, fusi, arcolai non potevano nemmeno essere nominati, nella speranza che così la maledizione non si avverasse.

Aurora stava ormai per compiere diciotto anni. Mancavano pochi giorni e i suoi genitori avevano deciso di organizzare una sontuosa festa: ormai credevano che il pericolo fosse scampato.

Ma la fata cattiva non poteva permettere che la sua maledizione fallisse. E così, una sera si intrufolò nel castello senza farsi vedere, e fece un piccolo sortilegio che impedì ad Aurora di dormire, rendendola nervosa.
La principessa non riuscendo a chiudere occhio, decise di fare una passeggiata nel castello per provare a rilassarsi. Ma, dal fondo di un corridoio, vide una strana luce azzurrognola filtrare da una porta.

Curiosa, si avvicinò per vedere meglio. Entrò nella stanza e si ritrovò davanti una vecchietta che filava la lana usando un misterioso attrezzo: un fuso. Aurora non ne aveva mai visti, e chiese: – Che cos’è? A cosa serve?
– Toccalo e ti spiegherò tutto – rispose la vecchietta, che era la fata cattiva travestita.
Aurora allungò la mano, toccò il fuso, si punse e… cadde svenuta.

Una risata malefica si levò dalla stanza e svegliò tutti. Il re e la regina accorsero e trovarono solo la loro ragazza svenuta.
Disperati, la portarono nel salone delle feste e chiamarono le fate per chiedere loro di fare qualcosa, ma quelle non potevano più nulla: bisognava solo aspettare che un principe passasse di lì e baciasse la principessa.

La fata che aveva addolcito la maledizione, provava molta pena nel vedere il dolore di quei genitori. Decise, quindi, di fare un incantesimo su tutto il castello: tutti avrebbero dormito fino a quando Aurora non si fosse svegliata.

E così fu, per cento anni. Nel castello tutto si fermò, e il bosco prese il suo posto: gli alberi crescevano dappertutto e tanti animaletti avevano fatto lì la loro tana.

Un giorno un giovane principe, durante una battuta di caccia, passò proprio vicino a quel castello che sembrava ormai in rovina. Incuriosito decise di avventurarsi per scoprire cosa nascondeva al suo interno.
– Magari sono le rovine di cui parla la leggenda… – si disse. Aveva infatti sentito parlare di una principessa bellissima che giaceva addormentata in un bosco, ma pensava fosse solo un racconto di fantasia.

Iniziò ad esplorare sale e corridoi ormai invasi dagli alberi, finché si ritrovò nel salone delle feste e… non credette ai suoi occhi. Distesi a terra giacevano servitori, dame e cavalieri, tutti profondamente addormentati. Riconobbe il re e la regina dalle loro corone e, in mezzo a loro, vide Aurora. Era bellissima, ancora di più di quanto non narrasse la leggenda.
Si avvicinò e pensò: “E’ così bella che non posso resistere: le darò un bacio”, e così fece.

Il principe sobbalzò nell’accorgersi che, dopo il suo bacio, Aurora iniziò a muovere la bocca per poi sbadigliare e aprire gli occhi.
Anche il re e la regina e tutte le persone distese a terra iniziarono a svegliarsi e ad alzarsi. Piano piano anche le rovine del castello si ricomponevano e gli alberi sparivano, mostrando tutto il loro splendore originario.

Il principe era frastornato dall’accaduto, non riusciva a capire cosa stava succedendo finché il re non gli prese le mani e gli disse:
– Grazie cavaliere, hai salvato mia figlia Aurora da un terribile sortilegio che la teneva addormentata da anni. Qualunque cosa tu desideri, la riceverai come dono in cambio di ciò che hai fatto.
Il principe guardò Aurora, già innamorato e disse: – Sono felice di avervi salvato e vorrei tanto poter sposare la principessa Aurora.

Il Re guardò Aurora, che, visti i buoni propositi del principe acconsentì, felice. Le nozze vennero organizzate immediatamente e fu una festa memorabile.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La guardiana delle oche 🦆

La Guardiana delle Oche: il segreto del vento

Una giovane principessa, costretta a scambiare il proprio ruolo con quello della sua domestica, si ritrova a fare la guardiana delle oche.

Ma dietro il suo silenzio si nasconde un segreto che solo il vento sembra conoscere.

Tra inganni, promesse infrante e l’eco di parole non dette, questa fiaba racconta di una verità che nessuno può nascondere per sempre.

Questa fiaba ispirata dai fratelli Grimm ci accompagnerà nell’avventura di Caterina, principessa derubata del suo ruolo da una perfida e ingrata domestica.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “La guardiana delle oche 🦆“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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La guardiana delle oche 🦆


C’era una volta una vecchia Regina rimasta vedova. Aveva però una bella figlia, Caterina, che aveva ormai raggiunto l’età per sposarsi. Fu quindi combinato il matrimonio con un principe di un paese lontano.

L’anziana Regina preparò un ricchissimo corredo nuziale per la figlia e, per accompagnarla nel lungo viaggio, la affidò ad una delle sue più fidate domestiche.

Ad entrambe diede un cavallo, ma quello della Principessa era speciale, si chiamava Falada e sapeva parlare.
Prima di salutarle la Regina prese un fazzoletto bianco, con un coltello si ferì il dito e vi versò sopra delle gocce di sangue, poi lo diede a Caterina.
– Tieni figlia mia – le disse – ne avrai bisogno lungo il viaggio – e la salutò.

La Principessa e la domestica si misero quindi in cammino. Dopo circa un’ora di viaggio a Caterina venne sete.
– Avrei sete, potresti andare al ruscello qui vicino e prendermi dell’acqua? – chiese alla domestica.
– Se avete sete, scendete da cavallo e andate voi stessa a prendervi l’acqua! – rispose stizzita la domestica.

Sorpresa dalla risposta e dal tono, la Principessa, che aveva veramente sete, scese da cavallo e si recò al ruscello per bere.
“Se lo sapesse tua madre, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, mormorarono le gocce di sangue custodite nel fazzoletto. Caterina, che era di buon cuore ignorò la voce, risalì a cavallo e ripartì con la domestica.

Il viaggio era molto lungo e la giornata era veramente calda. Dopo un po’ a Caterina venne nuovamente sete e poco lontano si intravedeva un fiume.
– Avrei sete, potresti andare al fiume qui vicino e prendermi dell’acqua? – chiese alla domestica.
– Se avete sete, andate voi stessa a prendervi l’acqua, io da serva non vi faccio più! – rispose ancora più stizzita la domestica.

Caterina, con le lacrime agli occhi per il trattamento ricevuto, si incamminò al fiume e bevve.
“Se lo sapesse tua madre, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, mormorarono nuovamente le gocce di sangue custodite nel fazzoletto.
La Principessa allora prese tra le mani il fazzoletto per trovare conforto, ma una folata di vento glielo fece cadere tra le correnti del fiume, e il fazzoletto sparì.

La domestica, che era poco distante, vide la scena e se ne rallegrò “ora la Principessa è in mio pieno potere, non c’è più nulla che la protegga!” pensò malignamente.
Quando Caterina tornò indietro trovò la domestica in groppa al suo Falada.
– Ora il tuo cavallo lo prendo io, e dammi i tuoi vestiti, che all’altare col principe ci andrò io. Se dirai a qualcuno dello scambio e non farai come ti dico, ti ucciderò! – e le mostrò un pugnale che teneva nascosto sotto la giubba.

Caterina, temendo per la sua vita, accettò, ma Falada osservò tutto in silenzio. Le due si scambiarono i vestiti e proseguirono il viaggio.

Arrivarono quindi al castello dove il principe accolse la domestica come se fosse la sua promessa sposa. Mentre Caterina, per decisione del vecchio Re, fu messa a fare la guardiana delle oche insieme ad un ragazzetto di nome Corradino.

La falsa principessa, per paura che Falada rivelasse a tutti cosa aveva fatto a Caterina, ordinò di portare il cavallo al macello: – durante il viaggio si è comportato molto male – disse.

Caterina lo venne a sapere e promise al macellaio alcune monete d’oro se avesse salvato il suo Falada. Lo avrebbe dovuto poi nascondere in una cascina lungo la strada che lei percorreva al mattino e alla sera per far passeggiare le sue oche. Il Macellaio, non vedendoci nulla di male, fece come lei chiedeva.

Il mattino seguente Caterina e le sue oche passarono davanti alla cascina, lei si avvicinò a Falada e lo salutò, ricambiata dal cavallo che sottovoce le disse:
– Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!
Ma Caterina continuò silenziosamente il suo lavoro di guardiana, insieme a Corradino.

Arrivata al prato vicino allo stagno, Caterina sciolse dal nastro i suoi capelli d’oro. Corradino ogni giorno la guardava incantato, i capelli di Caterina gli piacevano molto e avrebbe tanto voluto aiutarla a pettinarli e a rifare il nodo col nastro. Stava per avvicinarsi quando Caterina, che si era accorta delle attenzioni del giovane, pronunciò delle parole magiche:

Soffia forte venticello
porta lontano il suo cappello
così che a lungo lui debba cercare
e io da sola possa restare.

E all’improvviso ci fu una folata di vento che strappò dalla testa di Corradino il suo cappello, e lui si mise a rincorrerlo per i campi.
Quando Corradino tornò, Caterina si era già pettinata e aveva rifatto il nodo ai capelli. Il ragazzo ci rimase molto male.

Il giorno seguente, passarono ancora per la cascina, Caterina salutò Falada, che sottovoce diceva: “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”. Intanto, Corradino la seguiva in silenzio aspettando il momento in cui sul prato lei si sarebbe sciolta i capelli.

Ma Caterina pronunciò ancora le magiche parole:

Soffia forte venticello
porta lontano il suo cappello
così che a lungo lui debba cercare
e io da sola possa restare.

Ci fu una folata di vento che strappò dalla testa di Corradino il suo cappello, e lui si mise a rincorrerlo per i campi.
Quando Corradino tornò, Caterina si era già pettinata e aveva rifatto il nodo ai capelli. Il ragazzo ci rimase molto male.

E fu così anche il giorno successivo. Corradino, infuriato per via del comportamento di Caterina, andò dal vecchio Re e gli disse che non voleva più custodire le oche insieme a quella ragazza.

Meravigliato, il Re chiese come mai, e Corradino gli raccontò tutto:
– Ogni volta che passiamo per la vecchia cascina lei saluta un cavallo, che le risponde sempre “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, poi arrivati al prato vicino allo stagno si scioglie i capelli d’oro e arriva sempre una folata di vento che mi fa volare via il cappello, così io devo passare la mattinata a rincorrerlo! Non ne posso più!

Il Re, molto incuriosito, chiese al ragazzo di accompagnare Caterina ancora una volta, poi avrebbe provveduto a sistemare le cose.

Il giorno dopo il Re, volendo capire cosa stesse succedendo, si nascose in un angolo riparato della vecchia cascina e aspettò che arrivassero i due ragazzi. Vide Caterina che salutava Falada, e questo che le rispondeva con le parole “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”

Insospettito, il Re li seguì a debita distanza fino al prato, dove Caterina si sciolse i capelli. La vide sussurrare delle parole e subito si alzò un forte vento che fece volare via il cappello di Corradino, costringendolo a rincorrerlo.
Infine vide la ragazza pettinarsi i capelli e riannodare il nastro.
Soddisfatto il Re tornò senza essere visto al castello.

Quella sera Caterina fu convocata dal Re. Quando lei si trovò al suo cospetto, il Re le chiese:
– Ragazza mia, come mai parli ad un cavallo che ti risponde “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, e poi pronunci magiche parole che fanno alzare il vento?
Colta di sorpresa Caterina rispose:
– Non posso dirlo a persona alcuna, ho giurato e se non mantengo la promessa perderò la vita…

Il Re la guardò pensieroso, quando gli balenò per la testa un’idea:
– Non puoi dirlo a me nè a nessun’altra persona, ma penso che un forno per il pane potrà ascoltarti volentieri – e condusse la ragazza in cucina dove la invitò a infilare la testa nel forno spento e confidargli tutta la sua storia.

Caterina non sapeva che il forno aveva anche una seconda apertura, dalla quale il Re stava ascoltando ogni parola. Quindi raccontò tutto, dalla partenza del viaggio a come la sua domestica l’aveva trattata e dell’inganno di cui era stata vittima.

Udite quelle parole il Re convocò subito una dama di corte e ordinò di far vestire Caterina come si conviene ad una principessa. Poi chiamò suo figlio e gli rivelò che era stato ingannato anche lui, la sua promessa sposa era solo una domestica, la vera Principessa era Caterina.

Il giovane Principe, affascinato dalla bellezza di Caterina, fu molto felice di non dover sposare quella falsa principessa di una domestica, che oltretutto era antipatica e sempre piena di incredibili richieste.

La domestica fu quindi smascherata e cacciata dal castello, mentre per Caterina e il suo Principe, si preparò la festa per il banchetto nuziale.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il Soldatino di Piombo 💞

Il Soldatino di Piombo si è innamorato della dolce Ballerina ma…

Il perfido diavoletto è molto geloso del rapporto che si sta formando tra due e fa di tutto pur di impedire che il loro sogno d’amore si realizzi, ma dovrà arrendersi al fatto che l’amore trionfa sempre su tutto!

Questo è il nostro adattamento della famosa fiaba “Il soldatino di stagno” di Hans Christian Andersen, in cui lo struggente finale racchiude in sè un bellissimo messaggio di speranza e amore.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il Soldatino di Piombo 💞“!

Il Soldatino di Piombo 💞


Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il Soldatino di Piombo 💞


C’erano una volta venticinque soldatini di piombo, tutti uguali. La loro uniforme era rossa e blu, imbracciavano il fucile e guardavano dritto davanti a loro.

Quando fu tolto il coperchio della scatola in cui giacevano, le prime parole che udirono in questo mondo furono:
– Evviva, i soldatini di piombo! – dette da un bambino che batteva le mani.

Tutto felice il bambino cominciò a sistemarli sulla tavola. Ogni soldatino era esattamente uguale all’altro, tutti tranne uno, a cui mancava una gamba; forse era stato fatto per ultimo quando il metallo ormai stava finendo.

Eppure stava fermo su una gamba sola, come gli altri stavano fermi su due, ed è per questo che attirò subito l’attenzione del bambino.

Sul tavolo però c’erano anche altri giocattoli, tra cui un grazioso castello tutto fatto di cartone. Davanti al castello, sempre ritagliati nella carta, c’erano degli alberelli e vicino al portone una Ballerina, che stava con la gamba sollevata così in alto che sembrava anche lei avere una gamba sola.
Ad adornare i suoi capelli di carta c’era una piccola rosellina di metallo dorato.

Una volta fuori dalla scatola il Soldatino di Piombo notò subito la bellissima Ballerina, e se ne innamorò all’istante.
“E’ la donna più bella del mondo!” pensò, “ma è così delicata, e vive in un castello, mentre io possiedo solo una scatola con dentro altri ventiquattro soldati uguali a me… devo comunque conoscerla!”

Si nascose quindi dietro una strana scatoletta di legno tutta intarsiata, che stava anch’essa sul tavolo. Da lì poteva osservare la graziosa Ballerina, che continuava a stare su una gamba sola senza perdere l’equilibrio.

Il Soldatino di Piombo non se ne accorse, ma anche la Ballerina lo guardò di sfuggita, rimanendo colpita dal suo aspetto fiero e dignitoso.

Quando fu notte, e tutte le persone nella casa furono andati a dormire, i giocattoli iniziarono a vivere la loro vita, giocando ballando e combattendo.

I soldatini di piombo fremevano nella loro scatola perché volevano uscire anche loro, ma non riuscivano ad alzare il coperchio, gli schiaccianoci giocavano saltando qua e là, mentre i gessetti correvano su e giù per la lavagna di ardesia.

Gli unici due che non si mossero dai loro posti furono il Soldatino di Piombo e la piccola Ballerina. Lei ferma in punta di piedi, con entrambe le braccia tese, lui fermo su una gamba sola, senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso.

Il tempo passò, l’orologio a cucù suonò la mezzanotte e d’improvviso, dalla scatoletta intarsiata poggiata sul tavolo, volò via il coperchio: dal suo interno balzò fuori un piccolo diavoletto che si guardò intorno furtivo e, per primo, vide il Soldatino di Piombo.

– Ciao Soldatino di Piombo! – disse il diavoletto – cosa stai guardando con quella faccia imbambolata? – seguì il suo sguardo e si accorse che guardava la Ballerina.
Ma il Soldatino di Piombo non fece caso al diavoletto e sembrò non sentirlo proprio.

– Ciao Soldatino di Piombo! – ripeté il diavoletto, ma il Soldatino di Piombo ancora rimase immobile e non disse nulla.
– Come osi ignorarmi in questo modo! – disse furioso il diavoletto verso il Soldatino di Piombo – Vedrai domani cosa ti combino, vedrai!
E detto questo se ne ritornò nella sua scatoletta intarsiata.

Quando fu mattina, il bambino giocò un poco col Soldatino di Piombo, poi lo poggiò sul davanzale della finestra. D’un tratto la finestra si spalancò e il Soldatino di Piombo cadde giù sulla strada, infilandosi tra due pietre del selciato e rimanendo così nascosto alla vista.
Una perfida vocina, dentro la scatola di legno intarsiata sul tavolo, ridacchiava felice…

Il bambino scese subito a cercare il Soldatino di Piombo, ma, sebbene gli passò così vicino quasi da calpestarlo, non lo vide.
Presto cominciò a piovere e il bambino tornò dentro casa.

Poco dopo passarono di lì due ragazzini, stavano anche loro correndo a casa per la pioggia e notarono il Soldatino di Piombo.

– Guarda! – gridò uno dei due – un Soldatino di Piombo!
Lo presero, lo guardarono ed ebbero un’idea: visto che, a causa della pioggia, al lato della strada si era formato un rigagnolo d’acqua, decisero di provare a farlo navigare su una barchetta di carta.

Così presero un foglio di giornale e fecero una barchetta, vi misero sopra il Soldatino di Piombo e lo fecero navigare giù per la strada.
La barchetta di carta iniziò a sballottare veloce su e giù in mezzo al ruscello, andava così veloce che il Soldatino di Piombo per la paura tremò. Ma rimase fermo, non mostrò emozione e continuò a guardare dritto davanti a sé, impugnando il fucile, perché lui era un soldato.

Sbandando, la barchetta finì in un canale di scolo dell’acqua, buio e maleodorante.
– Dove mai sarò adesso? – si chiese il Soldatino di Piombo – se almeno fosse qui con me la dolce Ballerina, avrei meno paura, e del buio non m’importerebbe…

La corrente divenne più veloce e forte, la barchetta girò su sé stessa tre, quattro volte, e si riempì d’acqua fino all’orlo: stava per affondare!
Il Soldatino di Piombo era in piedi con l’acqua fino al collo e pensò alla sua bella Ballerina di cui, probabilmente, non avrebbe mai più rivisto il dolce viso.

La barchetta si sfasciò proprio quando il canale di scolo si immetteva nel fiume con una piccola cascatella, e lì il Soldatino di Piombo si inabissò.
Ma proprio in quel momento passò di lì un grosso pesce che pensando di fare un buon pasto, lo inghiottì.

Com’era buio lì dentro, ancora più buio che nel tunnel, ma il tenace Soldatino di Piombo rimase fermo e impettito, con il fucile bene in spalla.

Il pesce nuotò su e giù per il fiume, ma il giorno seguente venne pescato e venduto al mercato. Fu poi portato in una cucina, dove la cuoca lo aprì con un grosso coltello.

La donna, stupita, vi trovò dentro il Soldatino di Piombo, lo prese tra l’indice e il pollice, lo sciacquò e lo portò nella sala da pranzo per farlo vedere al suo bambino.

Lo mise sul tavolo, e… non ci crederete, a volte succedono cose incredibili: il Soldatino di Piombo era nella stessa casa da dove era partito il giorno prima!

Vide lo stesso bambino e gli stessi giocattoli, e c’era ancora lo stesso grande castello con la graziosa Ballerina.
Era ancora lì in piedi su una gamba sola e con l’altra alta in aria.
Lui la guardò e lei ricambiò il suo sguardo; il suo cuore di carta, infranto per averlo perso di vista il giorno precedente, era ora pieno di gioia nel rivederlo.

Dentro la scatola intarsiata invece si sentì un grugnito e delle parole confabulate con rabbia: era il diavoletto, che non poteva sopportare di rivedere ancora il Soldatino di Piombo in quella casa.

– Adesso ti sistemo io… – disse il diavoletto, e pronunciò delle strane e magiche parole.

Improvvisamente e senza nessun motivo il bambino prese il Soldatino di Piombo e lo gettò nella stufa!
Sicuramente era stato il piccolo diavoletto a consigliare quel gesto sconsiderato al bambino…

Il Soldatino di Piombo dentro la stufa sentiva un calore davvero terribile, non sapeva se soffriva di più per il fuoco, o per la perdita della sua dolce Ballerina.
Lui guardò la sua piccola signora, lei guardò lui con le lacrime disegnate sugli occhi.

Il Soldatino di Piombo sentì che si stava sciogliendo, ma rimase saldo e fermo col fucile in spalla.

Il diavoletto voleva vederlo sciogliersi il più rapidamente possibile, così,
con una magia aprì la finestra per far entrare più aria.

Ma con la finestra aperta una folata di vento raggiunse la piccola Ballerina che, essendo fatta di carta iniziò a volare nell’aria, dolce e leggera come solo le ballerine possono fare.

Volò via, verso il suo Soldatino di Piombo fin dentro la stufa, dove divenne un’unica piccola ma scintillante fiamma…
Poco dopo anche il Soldatino di Piombo era ormai sciolto in un piccolo grumo di metallo.

Quando la mattina dopo il papà raccolse le ceneri della stufa, vi trovò dentro una piccola forma di cuore fatta di piombo, con incastonata al centro una minuscola rosa d’oro.

Posò lo strano cuoricino sul tavolo, proprio vicino alla scatoletta di legno intarsiato, dal cui interno una vocina irritata oltre misura non la finiva più di brontolare…

Senza volerlo, il diavoletto, aveva unito per sempre l’amore del fiero Soldatino di Piombo e della dolce Ballerina.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

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La Regina delle Nevi ❄️

Kay é stato rapito dalla Regina delle Nevi, solo Gerda riuscità a riportarlo a casa.

Anche la Disney si è lasciata ispirare da questo bellissimo e profondo racconto di Andersen per realizzare il famosissimo film “Frozen”.

Seguite Gerda nel suo lungo viaggio per ritrovare il suo caro Kay, e scoprirete come riuscirà a superare tutte le dure prove che dovrà affrontare per raggiungerlo e riportarlo finalmente a casa.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “La Regina delle Nevi ❄️“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

⚜️

La Regina delle Nevi ❄️


Indice dei capitoli


La Regina delle Nevi ❄ CAPITOLO 1 – Lo specchio e le schegge


C’era una volta un perfido folletto che si dilettava a fare il mago e costruì uno specchio magico. Quel giorno era proprio di buon umore perchè aveva creato uno specchio capace di far sparire tutte le cose belle e buone che vi si specchiavano dentro.

Anche il paesaggio più incantevole, dentro lo specchio appariva come abbandonato e privo di bellezza. I volti delle persone venivano deformati e diventavano irriconoscibili, e anche le più belle persone apparivano repellenti.

E se lo specchio rifletteva qualcosa di brutto, lo rendeva persino orribile.

Il perfido folletto si divertiva un mondo a fare scherzi e a spaventare le persone, mostrando loro quello che lo specchio rifletteva.

E lui rideva, rideva così tanto che un giorno, per tenersi la pancia con le mani a causa delle troppe risate, fece scivolare lo specchio, che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi.

Il perfido folletto gridò di rabbia. Il suo gioco preferito era ormai andato perduto.

Le schegge dello specchio erano così piccole e leggere che diventarono una piccola nuvola fatta di mille pezzettini scintillanti, grandi non più di un granello di sabbia, e il vento le sparse per tutto il mondo.

La più grande sfortuna era che ogni singola scheggia di specchio frantumato possedeva il medesimo malefico potere che aveva lo specchio intero.

Alcune schegge si conficcarono negli occhi delle persone, facendo sì che vedessero il mondo come un posto triste e insopportabile in cui dover vivere per forza. Altre schegge si posarono dentro i cuori, trasformando quelle povere persone in esseri privi di sentimenti e di amore.

Quando si rese conto di cosa i frammenti del suo specchio erano stati in grado di fare, il malefico folletto rise ancora di più e continuò a ridere per tutta la sua vita, perché sapeva che tutte quelle schegge sarebbero volate per il mondo e avrebbero portato la tristezza nelle persone per chissà quanto tempo ancora.

Ma non poteva immaginare l’avventura che i suoi frammenti di specchio avrebbero fatto affrontare a due bravi e cari bambini, il giovane Kay e la dolce Gerda…

… continua nel CAPITOLO 2: Kay e Gerda

Note alla Regina delle Nevi

La Regina delle Nevi è forse il racconto più lungo e complesso scritto da Hans Christian Andersen.

Racconta la storia di crescita e maturità di due ragazzi, Kay e Gerda, che dovranno affrontare le loro paure più profonde per poter alla fine essere finalmente felici insieme.

Il significato profondo di questa storia lo si intuisce già daslla suddvisione in sette capitoli, che in realtà possono essere letti quasi come storie assolutamente indipendenti tra loro, ma che insieme formano una elaborata storia in cui Gerda dimostrerà di riuscire ad affrontare il mondo contando solo sulle proprie forze, e un pizzico di fortuna (che non guasta mai).
In fondo Gerda ha sempre avuto tutte le capacità di cui aveva bisogno, solo non sapeva ancora di possederle.

Mentre Kay, grazie all’amore di Gerda, solo alla fine si renderà conto di quanto illusorie e pericolose siano state le sue ambizioni.

Questo racconto è stato alla base dell’ispirazione per il famoso film della Disney “Frozen”.

Una precisazione, nel racconto originale di Andersen, Gerda incontra prima la donna di Lapponia e poi la donna di Finlandia, che però è un controsenso in quanto, ipotizzando un viaggio verso nord, si incontra prima la Finlandia e poi la Lapponia (che è una regione della stessa Finlandia).
Per essere il più coerenti possibile con la geografia, abbiamo volutamente scambiato i nomi dei due personaggi.

Speriamo che la nostra versione vi piaccia!

😊

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Jack e il fagiolo magico 🌱

Jack ha trovato un fagiolo magico, ma ancora non sa quali avventure gli toccherà affrontare per salvare sè stesso e la sua mamma dal terribile gigante!

Jack e il fagiolo magico, conosciuto anche come Jack e la pianta di fagioli, è un racconto popolare di origine inglese ma famoso anche da noi, a volte in italiano “Jack” viene tradotto come “Giacomino”.

Ne esistono molte varianti tra cui una molto elaborata scritta da Andrew Lang, noi di fabulinis abbiamo voluto renderla il più semplice e scorrevole possibile, così che anche i più piccoli possano divertirsi a leggerla!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Jack e il fagiolo magico 🌱“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Jack e il fagiolo magico 🌱


C’era una volta una povera vedova che viveva in una casetta sperduta in una valle con il suo unico figlio Jack, uno scavezzacollo dal cuore molto gentile e affettuoso.

Era appena finito un duro inverno e la mamma, che era rimasta malata per molto tempo, mandò Jack a vendere la loro unica mucca al mercato. Contava così di avere un po’ di denaro per andare avanti, in attesa di rimettersi in sesto e poter riprendere a lavorare.

Jack si recò quindi a vendere la mucca al mercato. La sua attenzione fu attirata da un vecchio mercante con una lunga barba bianca, che gli si avvicinò con in mano qualcosa.

Erano degli strani fagioli e raccontò al ragazzo che erano magici:
– Se li pianti oggi, domani avrai una pianta così alta da toccare il cielo! – gli disse, e persuase Jack a scambiare la mucca con quei fagioli.

Quando sua madre, invece dei soldi che si aspettava per la mucca, vide in mano a Jack solo dei fagioli, andò su tutte le furie. Li prese e li gettò in giardino e per punizione mandò Jack a letto senza cena.

All’alba Jack si svegliò e d’istinto uscì in giardino, dove scoprì con stupore che uno dei fagioli era cresciuto durante la notte, ed era così alto che scompariva tra le nuvole!

“Sarebbe facile scalarlo” si disse Jack e, senza pensarci due volte, iniziò immediatamente a salire. Salì finchè persino l’alto campanile della chiesa sembrava piccolo, e ancora non riusciva a vedere la cima della pianta di fagioli!

Finalmente raggiunse la cima della pianta e si ritrovò in un bosco con al centro un grande castello.

Jack decise di entrare. Bussò forte e, poco dopo, la porta fu aperta da una spaventosa Gigantessa che, sorpresa, gli disse:
– E tu da dove sbuchi fuori?

Non appena Jack la vide cercò di scappare, ma lei fulminea lo prese per la collottola e lo trascinò nel castello tutta felice.

– Oh che bello, finalmente ho trovato un nuovo sguattero e io sarò libera da tutte le faccende domestiche! Pulirai la casa, sistemerai il giardino e farai tutto quello che ti dico quando il Gigante mio marito è fuori dal castello – poi si fermò e lo guardò dritto negli occhi – però, quando lui è a casa, devo nasconderti, perché finora ha divorato tutti i miei sguatteri e tu saresti un boccone molto delizioso, ragazzino – e trascinò Jack fino alle cucine.

Il povero ragazzo era spaventato a morte…
– Sono pronto ad aiutarvi e a fare tutto il possibile per servirvi, mia signora – disse – solo vi prego di nascondermi bene da vostro marito, perché non mi piacerebbe affatto essere mangiato…

– Sei un ragazzo molto intelligente – disse la gigantessa, annuendo – ora devo nasconderti, tra poco mio marito arriverà per colazione – e lo rinchiuse in un grande armadio con un’enorme serratura, da cui Jack poteva vedere cosa succedeva nella stanza.

Poco dopo si sentirono dei passi pesanti avvicinarsi alla cucina, e poi una grossa voce tuonare:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a colazione!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di una bella bistecca di elefante… siediti e fai una buona colazione – e gli mise davanti un piatto enorme di carne saporita e fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Jack osservava tutto dal buco della serratura.

Finita la colazione ordinò alla moglie di portargli la sua gallina che deponeva le uova d’oro. La Gigantessa tornò presto con una gallinella marrone, che posò sulla tavola davanti al marito che disse:
– Deponi! – e immediatamente la gallina depose un uovo d’oro.

Jack non credeva ai suoi occhi, se avesse avuto una gallina del genere lui e sua madre non avrebbero mai più patito la fame…

Poco dopo il Gigante posò la gallina sul pavimento, e subito dopo si addormentò profondamente, la moglie invece aveva preso alcuni panni ed era andata al fiume per lavarli.

Jack allora aprì l’anta dell’armadio e sgattaiolò fuori con molta cautela, prese in braccio la gallina, e si affrettò a lasciare il castello il più velocemente possibile, scendendo dal gigantesco tronco del fagiolo magico come un fulmine.

Quando sua madre lo vide ritornare pianse di gioia, perché aveva temuto che Jack fosse scappato di casa per colpa della punizione della sera precedente.

Ma Jack posò la gallina marrone davanti a lei e le raccontò della scalata sul fagiolo magico, di come era entrato nel castello del Gigante e tutte le sue avventure. La madre fu molto contenta di vedere la gallina, che li avrebbe certamente tolti dalla povertà.

Passavano i giorni e il fagiolo magico era sempre lì, gigantesco e alto fino al cielo. Jack lo guardava e pensava a quali altri tesori poteva trovare dentro il castello del Gigante, così un giorno ebbe un’idea.

Si tinse i capelli e si travestì, risalì il tronco del fagiolo e bussò alla porta del castello. La Gigantessa non lo riconobbe, lo prese e lo trascinò dentro come aveva fatto la prima volta per farsi aiutare a fare i lavori di casa. Quando arrivò il marito lo nascose nell’armadio, senza pensare che fosse lo stesso ragazzo che aveva rubato la gallina.

Il Gigante entrò dicendo:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a pranzo!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di un arrosto succulento… siediti e fai un buon pranzo – e gli mise davanti un piatto enorme, pieno di arrosto fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Jack osservava tutto dal buco della serratura.

Finito il pranzo ordinò alla moglie di portargli i sacchi con i denari, che voleva contarli. La Gigantessa tornò presto con due grandi sacchi, che posò sulla tavola davanti al marito.

– Tieni – disse la Gigantessa – questo è tutto ciò che resta del denaro del barone che viveva nel castello, quando l’avrai speso tutto dovremo andare a prendere il castello di qualcun’altro – e uscì dalla stanza.

Il Gigante scrollò le spalle, tirò fuori mucchi e mucchi di monete d’oro, e iniziò a contarle finché non fu stanco. Poi rimise tutto nei sacchi e, appoggiandosi allo schienale della sedia, si addormentò profondamente.

Jack sgusciò fuori piano piano dall’armadio e, prendendo i sacchi di denaro, corse via. Ridiscese dal fagiolo magico e corse da sua madre.

– Guarda madre, ti ho portato due sacchi pieni d’oro!
– Oh, Jack… tu sei un bravissimo ragazzo, ma non devi più mettere a rischio la tua preziosa vita nel castello del Gigante! Non devi andarci mai più!
Jack annuì per far felice sua madre, ma era deciso a tornare ancora nel castello del Gigante.

Così, qualche giorno dopo, si arrampicò ancora una volta, entrò nel castello senza farsi vedere e si nascose dentro l’armadio.

Poco dopo il Gigante tornò a casa, e appena varcò la soglia ruggì:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a cena!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di un porcellino grigliato… siediti e fai un buona cena – e gli mise davanti un piatto enorme con sopra un porcellino fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Quando ebbe mangiato tutto il Gigante disse:
– Moglie, portami la mia arpa farò un po’ di musica mentre tu farai la tua passeggiata.

La Gigantessa obbedì e tornò con una bella arpa tutta scintillante di diamanti e rubini e con le corde d’oro.

Il Gigante disse rivolgendosi all’arpa – suona! – e l’arpa, che era magica, si mise a suonare una dolce melodia che ben presto lo fece addormentare.

Jack sgattaiolò fuori dall’armadio, controllò che la Gigantessa fosse uscita, afferrò l’arpa dalle mani del Gigante e corse via come il vento.
Ma proprio mentre stava per uscire dal castello, l’arpa magica gridò:
– Aiuto! Aiuto!

Il Gigante si svegliò, con un tremendo ruggito balzò dalla sedia e in due passi raggiunse il portone. Voleva acciuffare il ladro che stava cercando di rubargli l’arpa magica.

E stava per riuscirci! Jack, però, era molto agile, sfuggì alle grinfie del Gigante e corse giù dal tronco del fagiolo magico.

Il Gigante cercò di inseguirlo ma, data la sua stazza, si muoveva in modo molto lento e goffo.
Jack fece quindi in tempo ad arrivare a casa e prendere l’ascia, con la quale diede tre colpi ben assestati al tronco del fagiolo magico. La pianta, abbattuta, cadde a terra ma, non appena il tronco del fagiolo magico toccò il terreno, svanì come per magia, e con esso sparirono il Gigante, la Gigantessa e il loro Castello.

Jack e sua madre non credevano ai loro occhi.
Si misero a cantare e ballare dalla gioia di essersi liberati del Gigante cattivo, e grazie alla gallina dalle uova d’oro, i sacchi di denaro e l’arpa magica che gli avevano sottratto, vissero per sempre felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Biancaneve e i sette nani 🍎

Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?

C’era una volta una ragazza, Biancaneve, la cui bellezza non era soltanto nel candore della sua pelle, ma nell’integrità di un cuore capace di fidarsi anche quando il mondo la tradiva.

Ogni gesto che riceveva, ogni sorriso, lei lo accoglieva come un dono, anche quando il mondo intorno a lei sembrava fatto solo di spine. E così, la sua purezza, così rara e disarmante, divenne la sua forza e la sua debolezza.

Ma cosa succede quando il cuore più puro è quello che viene colpito più duramente?

Questa fiaba non racconta solo di un confronto tra bellezza e invidia, ma di una lotta tra la vulnerabilità e la capacità di risorgere dalle ceneri del proprio destino.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Biancaneve e i sette nani 🍎“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Biancaneve e i sette nani 🍎 racconto completo


C’era una volta Biancaneve, una principessa che viveva con suo padre il Re e una matrigna tanto bella quanto cattiva.
Grimilde, la matrigna di Biancaneve, era riuscita a sposare il Re perché era in realtà una strega, e gli aveva fatto un sortilegio.

Da quel giorno, alla corte del castello tutto era diventato più triste.
Grimilde pretendeva di essere servita e riverita in ogni cosa, e aveva fatto in modo che Biancaneve fosse considerata poco più di una serva qualunque.
Ma Biancaneve sopportava anche le peggiori scortesie perché, per tornare felice, le bastava ricordare la sua cara mamma che ora non c’era più.

Grimilde, poi, aveva uno specchio magico, che poteva rispondere a tutte le sua domande, ma lei ne faceva una sola soltanto:
– Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? – chiedeva ogni mattina appena sveglia.
E lo specchio, che era uno specchio magico serio, le rispondeva la verità.
– Mia signora, voi siete la più bella di tutte.
E Grimilde sorrideva maligna…

Ma Biancaneve diventava ogni giorno più bella e Grimilde era invidiosa, per questo le faceva fare i lavori più umili, sperando che così rimanesse meno bella di lei.
Finché un giorno, dopo la solita domanda di Grimilde, lo specchio rispose:
– Mia signora, è Biancaneve la più bella del reame…
Grimilde iniziò a gridare infuriata e per poco non ruppe lo specchio dall’ira.
Quella notte non chiuse occhio, e pensò ad un piano per far sparire Biancaneve, così da rimanere la più bella del reame.

Al mattino chiamò il cacciatore, suo servitore, e gli ordinò di portare Biancaneve nel bosco e riportarle il suo cuore, come prova per averla uccisa.
Il povero cacciatore a malincuore obbedì.

– Dove mi portate signor cacciatore? – chiedeva Biancaneve, ma il cacciatore rimaneva zitto e con lo sguardo basso.
Quando furono finalmente nel bosco profondo, si fermarono. Il cacciatore avrebbe dovuto prendere il fucile, ma voleva troppo bene a Biancaneve per poterle fare del male.
– Cosa succede signor cacciatore? – chiese Biancaneve?
– Grimilde vuole essere la più bella del reame, e quindi mi ha dato l’ordine di portarti qui nel bosco e…

Ma il cacciatore non riuscì a finire la frase. Pensò che bastava lasciare la ragazza da sola lì nel bosco, al resto ci avrebbero pensato i lupi.
Salutò Biancaneve con un cenno della mano, e con le lacrime agli occhi scappò via.

Biancaneve, che ancora non aveva ben compreso cosa fosse successo e perché fosse stata portata lì, iniziò a guardarsi attorno impaurita, non era mai stata da sola nel profondo bosco.
Iniziò a correre a destra e sinistra, senza riuscire a ritrovare il sentiero che portava al castello, finché non si imbatté in un una piccola casetta.

Impaurita e stanca bussò alla porta, ma nessuno aprì. Scostò lentamente la porta chiedendo il permesso, ma nessuno rispose.
Si ritrovò dentro ad una minuscola cucina, con un piccolo tavolo e sette piccole sedie tutt’intorno.
Sulla tavola c’erano del pane e dell’acqua. Biancaneve ne prese un pochino per placare la fame e la sete, e poi si mise a curiosare per la casetta.

Si ritrovò in una stanza da letto con sette piccoli lettini. Era veramente meravigliata e si sedette su uno di questi, ma per la stanchezza si appisolò.

A svegliarla ci pensò un gran fracasso proveniente dalla cucina. Era già sera e dall’altra stanza arrivavano voci di uomini che si chiedevano chi mai fosse entrato nella loro casa.
Così Biancaneve corse in cucina.
– E tu chi sei?! – Esclamarono i sette piccoli ometti quando la videro arrivare.
– Io sono Biancaneve, dovete scusarmi per essere entrata in casa vostra senza permesso ma… – e Biancaneve raccontò loro tutta la sua triste storia.

Quando ebbe finito, i sette nani si guardarono e sentenziarono all’unanimità:
– Non preoccuparti Biancaneve, rimani pure a casa nostra, sei la benvenuta. Ti offriremo riparo e protezione dalla matrigna cattiva.
– Vi ringrazio miei cari ometti – disse Biancaneve – mi saprò sdebitare, non dubitate! – e prese subito a preparare la cena e sistemare casa.
I sette nani, che si chiamavano Brontolo, Cucciolo, Dotto, Eolo, Gongolo, Mammolo e Pisolo, non potevano essere più felici.

Il giorno dopo Grimilde si alzò tutta felice pensando di essersi liberata di Biancaneve, e chiese al suo specchio:
– Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Ma lo specchio rispose:
– Mia signora, è Biancaneve la più bella del reame, e ora vive nel bosco insieme a sette piccoli nani.

– Non è possibile! – gridò Grimilde – l’ho fatta portare nel bosco dal cacciatore, guarda, questo è il suo cuore! – e mostrò un cofanetto di legno.
– Quello nel cofanetto, è il cuore di un capretto! – le rispose lo specchio.
Grimilde gridò furiosa contro lo specchio ed il cacciatore infedele, e decise che avrebbe risolto lei personalmente la questione.
Corse nelle segrete del castello dove nascondeva il suo laboratorio di pozioni magiche e iniziò a fare stregonerie.

Biancaneve intanto era tutta felice che i sette nani la avessero accolta come una sorella. Mentre loro di giorno andavano a lavorare nella vicina miniera, lei preparava il pranzo, rassettava la casa e lavava i panni.
E la sera si divertivano un sacco a raccontarsi storie e filastrocche.

Ma un giorno alla porta della casetta bussò una vecchia signora dai capelli bianchi e vestita di cenci.
– Buongiorno vecchina, cosa posso fare per lei?
– Buongiorno mia cara fanciulla, sono una povera vecchia che vende mele, ne vuoi una? – disse la vecchia.
– Le vostre mele rosse sono bellissime, ma io non ho soldi per pagarvi… – rispose Biancaneve.

La vecchia sorrise e le disse:
– Siete così bella mia giovane fanciulla che ve ne regalo una, tenete, mangiatela pure.
Biancaneve prese la mela e la portò alla bocca…
Ma non appena ne morse un pezzettino, Biancaneve cadde svenuta a terra!

La vecchia allora si mise a ridere, ridere e ridere, e poco dopo in un “puff” si tramutò in Grimilde che si era camuffata da vecchia e aveva avvelenato la mela.
Così, mentre Grimilde spariva nel bosco, Biancaneve giaceva a terra come morta.
La sera i sette nani tornarono a casa, e vedendola così si disperarono e piansero tutta la notte.

Il giorno dopo, non ebbero il coraggio di seppellirla tanto era ancora bella, e prepararono per lei una bara di cristallo che sistemarono in una piccola radura. Piangendo la lasciarono lì in compagnia di scoiattoli e uccellini.
Verso sera passò di lì il principe del reame vicino, Florian, che tornava a casa dalla battuta di caccia.
Incuriosito da quella teca di cristallo con dentro una ragazza si avvicinò, e quando vide la bellezza di Biancaneve se ne innamorò subito.

Lui non sapeva che Biancaneve era stata avvelenata da Grimilde e pensava stesse solo riposando di un sonno profondo.
Così la prese tra le braccia. Ma proprio in quel momento il piccolo pezzo di mela avvelenata che Biancaneve aveva ancora in bocca, cadde a terra.
Il principe Florian la baciò, e Biancaneve che non aveva più il veleno in bocca poco a poco rinvenne e si risvegliò.
Anche Florian era un bel giovane e Biancaneve fu felice di ritrovarsi fra le sue braccia.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il Mago di Oz 🌪️🌈

“Il Mago di Oz” vi porterà in terre lontane abitate da strani personaggi, tutti in cerca di qualcosa che in realtà già hanno, ma non sono ancora riusciti a trovare dentro di sè.

è una delle più straordinarie favole moderne, capace di incantare ancora oggi, raccontando di un paese lontano e magico, dove persone, streghe e maghi, convivono per meravigliare e divertire i bambini che leggeranno le fantastiche avventure di Dorothy, lo Spaventapasseri, il Boscaiolo di Latta, il Leone Codardo e il cagnolino Toto.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il Mago di Oz 🌪️🌈“!

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Il Mago di Oz 🌪️🌈


Indice dei capitoli

  1. Il tornado
  2. Dorothy incontra lo Spaventapasseri, il Boscaiolo di Latta e il Leone.
  3. Il viaggio verso Oz.
  4. La Città di Smeraldo.
  5. Alla ricerca della Strega Cattiva dell’Ovest.
  6. Il ritorno dal Mago di Oz.
  7. La Strega Buona del Sud.

Il Mago di Oz 🌪️🌈 CAPITOLO 1:
Il tornado


Dorothy viveva in una fattoria nelle grandi praterie del kansas col suo cane Toto, lo zio Henry e la zia Em. La casa era piccola, formata da un’unica stanza che faceva da cucina, soggiorno e camera da letto. Non c’erano né soffitte né cantine, e l’unico posto dove potevano rifugiarsi in caso dell’arrivo di un tornado, era una buca stretta e buia fatta nel terreno a cui si accedeva tramite una botola nel pavimento della casa.

Quando Dorothy guardava fuori casa, poteva vedere solo la sterminata e piatta prateria fatta di terra e sterpaglie, non c’era un solo albero e anche l’erba non era verde, ma di colore quasi grigiastro. Non c’era nulla di gioioso in quel posto.
Solo Toto, il suo cagnolino, riusciva a portare un po’ di sorriso in quel posto grazie alle sue feste e i suoi salti.

Quel giorno zio Henry era seduto fuori dalla porta e guardava preoccupato il cielo più grigio del solito, Dorothy era lì vicino a lui con Toto in braccio. Poco dopo il vento iniziò ad alzarsi e in un attimo l’aria diventò gelida.

– Em! C’è un tornado in arrivo! – gridò zio Henry – vado a sistemare le bestie.
E così corse al capanno dove c’erano le mucche e i cavalli. Zia Em corse fuori casa a vedere.

– Svelta Dorothy, scendi nel rifugio! – gridò alla bambina, ma proprio in quel momento Toto le scappò dalle braccia e si nascose sotto il letto, Dorothy gli corse dietro mentre zia Em corse alla botola sul pavimento, la aprì e vi si calò dentro.

Finalmente Dorothy acchiappò Toto e fece per scendere nel rifugio, ma la casa colpita dalle raffiche di vento iniziò a tremare, Dorothy perse l’equilibrio e si ritrovò seduta sul pavimento.
A quel punto accadde qualcosa di straordinario.

La casa iniziò a girare su sé stessa e poi si alzò lentamente in aria, quasi fosse una mongolfiera. I venti del nord e del sud si erano incontrati proprio sopra casa sua, creando quello che si chiama l’occhio del ciclone.

La casa continuava a fluttuare dolcemente nell’aria, Toto abbaiava e correva per la stanza e quasi cadde giù per quello che era il buco della botola del rifugio, ma Dorothy lo afferrò per un orecchio e lo riportò vicino a sé.

Il tempo passava, la casa continuava a fluttuare dolce al centro del tornado, e lo spavento iniziale piano piano iniziò a passare. Alla fine, stanca e cullata dal dondolio della casa, la bambina si trascinò fino al suo lettino e si addormentò con Toto accanto.

Dorothy fu svegliata da un colpo improvviso, si mise a sedere sul lettino e si accorse che la casa non si muoveva più. Saltò giù dal letto e corse fuori.

La casa era stata depositata con delicatezza dal tornado in mezzo a una campagna con fiori, prati e alberi verdi, come non aveva mai visto.

Mentre contemplava quella meraviglia di paesaggio, si accorse che un gruppetto di persone vestite in modo alquanto bizzarro, le stava venendo incontro.

Erano tre uomini e una donna di bassa statura, alti quasi come lei, vestiti con cappelli a cono da cui pendevano dei campanellini che tintinnavano ad ogni passo. Gli uomini erano vestiti tutti di blu, mentre la donna di un bianco candido. Tutti e quattro parlavano tra di loro sottovoce.

L’anziana donna infine le si avvicinò facendo un inchino, e con voce dolce ed emozionata disse:
– Benvenuta o nobile maga nel paese dei Munchkin, ti siamo infinitamente grati per aver ucciso la Strega Cattiva dell’Est e aver liberato questo popolo dalla schiavitù.

Dorothy ascoltava senza capire e le rispose:
– La ringrazio gentile signora, ma dev’esserci un errore, io non ho ucciso nessuno!
– Ma la tua casa si! – rispose la donna indicando una parte dell’abitazione da cui sbucavano fuori dei piedi calzati da scarpette d’argento.

Dorothy sobbalzò spaventata – Povera me! La casa deve esserle caduta addosso… ma io non ne ho colpa è stato il tornado…
– Non devi preoccuparti, anzi! Te l’ho detto era la Strega Cattiva dell’Est, e tu ci hai fatto un grosso favore liberandoci dalla sua schiavitù!

Dorothy era ancora molto confusa, ma l’anziana signora continuò.
– Io sono la Strega del Nord, ma sono buona e benvoluta dai Munchkin. Purtroppo non sono mai stata potente come la Strega dell’Est e non sono mai riuscita ad aiutarli con i miei poteri…

Dorothy rimase sorpresa.
– Ma io ho sempre creduto che tutte le streghe fossero cattive! – le disse.
– Oh no! In tutto il paese di Oz solo le streghe dell’Est e dell’Ovest sono cattive, io del Nord e la Strega del Sud siamo buone! Adesso grazie a te rimane una sola strega cattiva! – Rispose felice la Strega del Nord.

Dorothy rimase un attimo in silenzio, poi uno dei tre Munchkin gridò indicando là dove spuntavano le gambe della Strega Cattiva dell’Ovest: la strega si era dissolta in una nuvola di fumo ed erano rimaste solo le sue scarpette d’argento!

La Strega del Nord si accovacciò a prendere le scarpette e le pose gentilmente in mano a Dorothy.
– Ora queste scarpette sono tue. – le disse.

Dorothy guardò meravigliata le scarpette e subito le indossò, poi aggiunse quasi sottovoce:
– Devo tornare a casa da zia Em e zio Henry…
– E dove si trova casa tua?
– Nel Kansas…

La Strega del Nord la guardò dispiaciuta piena di tenerezza.
– Non ho idea di dove si trovi il Kansas… non so come aiutarti…
Dorothy stava per scoppiare a piangere, poi la Strega del Nord aggiunse:
– Ma forse il potente Mago di Oz saprà farti tornare a casa! Devi solo andare alla città di Smeraldo, là potrai chiedergli udienza, sono certa che lui saprà aiutarti a ritrovare la strada di casa.

Sul viso di Dorothy si dipinse un sorriso.
– E come faccio ad arrivare alla città di Smeraldo?!
– Devi solo seguire il sentiero di mattoni dorati che inizia proprio dietro quella collinetta.
– Potete accompagnarmi? – chiese speranzosa Dorothy.
– Oh no, purtroppo no, non possiamo venire con te, però posso darti il mio bacio, nessuno oserà mai fare del male a chi ha ricevuto il bacio della Strega del Nord – e così prese la sua testa fra le mani e la baciò sulla fronte.

I tre Munchkin e la strega fecero un profondo inchino salutandola, Dorothy prese in braccio Toto e si incamminò verso il sentiero di mattoni dorati con ai piedi le magiche scarpette argentate della Strega dell’Est.

… continua nel CAPITOLO 2

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Curiosità sul Mago di Oz

● “Il Mago di Oz” fu solo il primo di una lunga serie di episodi (in tutto 13) che Baum scrisse sul paese incantato di Oz.

● Il libro è stato tradotto in oltre 50 lingue nel mondo.

● Del racconto fu realizzato nel 1939 uno dei film più amato di tutti i tempi: “The Wizard of Oz” interpretato da Judy Garland che è anche la cantante della famosissima canzone della colonna sonora “Over the Rainbow”. Se non la conoscete e volete ascoltare uno dei brani più belli della storia della musica seguite questo link su youtube.

● Nel film le scarpette di Dorothy non sono d’argento ma rosse, il cambiamento fu fatto per farle spiccare meglio sul grande schermo (Il Mago di Oz fu uno dei primi grandi film realizzato a colori)

● Sempre nel film il finale è stato cambiato: Dorothy alla fine si sveglia, il mondo di Oz era solo stato un lungo magnifico sogno…

Il lupo e i sette capretti 🐺🐐

Il lupo vuole mangiare i sette capretti ed escogiterà un furbo piano pur di riuscirci.

Il lupo e i sette capretti è una famosa fiaba dei fratelli Grimm che racconta come l’ingordo lupo si vuol mangiare tutti i caprettini.

Ma il lupo non ha fatto i conti con la mamma capra, che saprà come riprendersi i suoi piccoli e far passare una brutta avventura al lupo!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il lupo e i sette capretti 🐺🐐“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Il lupo e i sette capretti 🐺🐐


C’era una volta mamma capra con i suoi sette caprettini, a cui voleva tanto bene.

Un giorno disse ai caprettini che sarebbe andata al mercato a far compere e aggiunse di stare molto attenti al lupo, di non farlo entrare in casa per nessun motivo, che sennò li avrebbe mangiati in un sol boccone.

I capretti risposero che avrebbero fatto molta attenzione, la mamma uscì quindi di casa e i capretti chiusero la porta col chiavistello.

Come aveva previsto la mamma, di lì a poco si sentì qualcuno bussare forte. Era il lupo cattivo che gridava con voce roca:

– Apritemi la porta cari figli miei, sono la vostra mammina!

I capretti, però, capirono subito dalla voce che quella non era la loro mamma e risposero prontamente:

– Non ti apriremo la porta! Tu non sei la mamma, sei il lupo cattivo!

Il lupo cattivo capì che doveva presentarsi con una voce più dolce, allora prese due cucchiai di miele e tornò a bussare con voce gentile:

– Apritemi la porta cari figli miei, sono la vostra mammina!

Ma il lupo aveva commesso l’errore di appoggiare la sua zampaccia nera sul davanzale della finestra accanto alla porta. I capretti la videro e risposero prontamente:

– Non ti apriremo la porta! Tu non sei la mamma, sei il lupo cattivo!

Il lupo, accortosi del suo errore, corse dal fornaio e infilò le sue zampe nella bianca farina, facendole diventare candide come quelle di mamma capretta.

Così torno dai caprettini, appoggiò la zampa sul davanzale e disse con voce dolce:

– Apritemi la porta cari figli miei, sono la vostra mammina!

I capretti, vista la zampa imbiancata del lupo, credettero veramente che fosse la loro mamma, e aprirono la porta.

Ma invece della mamma i capretti si trovarono davanti il lupo cattivo!

Corsero tutti a nascondersi dove poterono, chi sotto il tavolo, chi dietro il divano, un altro sotto al letto, uno dentro la stufa, l’altro nell’armadio, uno dietro la tenda e l’ultimo dentro la cassa del grande orologio a pendolo in soggiorno.

Ma il lupo ben presto iniziò a trovarli e, ingordo, li mangiava in un sol boccone.

Solo un capretto non riuscì a mangiare perché non lo trovò, si era nascosto dentro la cassa del grande orologio a pendolo.

Sazio e contento, il lupo andò a riposarsi facendo un sonnellino sotto un albero non troppo distante.

Quando la mamma ritornò dal mercato, trovò la porta aperta… disperata iniziò a chiamare per nome tutti i suoi capretti, ma solo uno le rispose, mentre usciva dalla cassa dell’orologio.

La mamma gli corse incontro abbracciandolo, e il caprettino le raccontò tutto.

La mamma, infuriata col lupo, corse fuori casa alla sua ricerca, finché non lo trovò che ancora dormiva beato sotto l’albero.

Il caprettino osservò che qualcosa dentro l’enorme pancia piena del lupo si muoveva e si dimenava.

– Sono i capretti miei fratelli che si muovono! Il lupo ingordo li ha mangiati in un sol boccone e sono ancora vivi! – esclamò il piccolo.

La mamma capra corse a prendere la sua forbiciona da cucito e tagliò la pancia del lupo. Con un balzo, uscirono ad uno ad uno tutti i suoi caprettini, in perfetta salute.

Poi, mente il lupo ancora dormiva, mamma capra prese dei bei sassi grossi dal fiume vicino e li mise dentro la sua pancia. Ricucì quindi il tutto, senza che il lupo si accorgesse di nulla.

Finalmente mamma capra e i suoi caprettini poterono tornare a casa tutti assieme e gustarsi la golosa merenda che la mamma aveva preso al mercato per i suoi piccoli.

E vissero tutti felici e contenti.

… e il lupo?
Il lupo si svegliò di lì a poco con una forte pesantezza di stomaco e un gran bruciore alla pancia, assolutamente insopportabile.
Da quel giorno non cercò mai più di mangiare capretti, capì che per lui erano indigesti!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il brutto anatroccolo 🐣

Il brutto anatroccolo è la fiaba che insegna a credere in sè stessi e non perdere mai la fiducia nelle proprie capacità.

Questa favola scritta in origine da Andersen aiuta a spiegare al tuo piccolo che col tempo diventerà un magnifico cigno, anche se al momento c’è qualcuno che al momento gli dice il contrario.

Soprattutto puoi spiegargli che non è l’aspetto esteriore che conta, ma la fiducia in sè stessi e la forza di non perdere mai la speranza che domani sarà un giorno migliore.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il brutto anatroccolo 🐣“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il brutto anatroccolo 🐣


C’era una volta un’anatra che stava aspettando la schiusa delle sue uova, poste nel nido fatto sulla riva di un laghetto all’interno del campo di una fattoria.
Poco a poco le uova si schiusero tutte, e ne uscirono dei bellissimi pulcini tutti dorati. Però mancava ancora un uovo, quello più grande di tutti, lui tardava a schiudersi.

Finalmente l’uovo si aprì e… Che sorpresa! Mamma anatra e i suoi fratellini videro uscire da quell’uovo più grande del normale uno strano anatroccolo, tutto grigio e goffo!
I suoi fratellini lo ribattezzarono subito “Brutto Anatroccolo” e non mancavano mai di prenderlo in giro e fargli gli scherzi.

Mamma anatra cercava di difenderlo come poteva, e quando era triste il Brutto Anatroccolo correva da lei a farsi stringere e coccolare.
Ma purtroppo anche le altre anatre che abitavano il laghetto lo deridevano e lo prendevano in giro, tanto che il poverino tornava sempre a casa con i lacrimoni agli occhi.

Un giorno il Brutto Anatroccolo decise che ne aveva abbastanza di tutte quelle stupide anatre che lo trattavano male.
– Andrò dove troverò delle anatre che mi sapranno apprezzare per quello che sono – si disse, e spiccò un volo incerto con le sue piccole alette.

Non riuscì ad andare molto lontano, e per la stanchezza si fermò in uno stagno lì vicino, dove vide arrivare uno stormo di anatre selvatiche.
– Forse loro mi accetteranno meglio di come mi hanno accettato le anatre della fattoria – pensò.

Il Brutto Anatroccolo si avvicinò piano piano allo stormo che stava riposando sulle acque dello stagno, e quando fu abbastanza vicino si presentò facendo la riverenza.
– Salve a tutte signore anatre selvatiche io sono…

Ma non fece in tempo a finire la frase che già le anatre selvatiche lo stavano additando e deridendo.

– E cosa saresti tu? Un anatroccolo mostriciattolo? – e continuarono a ridere.
Il povero anatroccolo, deluso, amareggiato e pieno di lacrime, scappò via anche da lì, finché stremato dal volo non si fermò sulle rive di un altro stagno non molto lontano.

Lì vide degli splendidi e candidi cigni che nuotavano con grazia ed eleganza sullo specchio d’acqua.
Erano così belli che il Brutto Anatroccolo ne rimase incantato.
Più li guardava e più pensava: “quanto vorrei essere bello come loro…”

Così, senza nemmeno accorgersene, aveva nuotato verso di loro, fino ad arrivare praticamente in mezzo al gruppo.
“Forse mi beccheranno e mi cacceranno anche loro” pensò l’anatroccolo “ma preferisco che siano a farlo loro, che sono bellissimi davvero, piuttosto che quelle stupide anatre vanitose…”

Ma invece che deriderlo e cacciarlo, i cigni gli corsero tutti incontro, salutandolo e abbracciandolo.
Il Brutto Anatroccolo non capiva, e chiese: – come mai non mi deridete e non mi prendete in giro per quanto sono brutto?
Una di loro gli rispose – brutto tu?! Ma se stai per diventare uno splendido cigno!

– Cigno io?! – rispose sbalordito il Brutto Anatroccolo
Tutti i cigni si misero a far di sì con la testa e gli sorrisero con calore.
– Aspetta qualche giorno e vedrai…

E fu così che dopo pochi giorni il Brutto Anatroccolo si svegliò, ed andatosi a specchiare nello stagno vide che tutte le sue piume grigiastre erano diventate bianche come il latte, e la sua goffaggine si era trasformata in un portamento elegante ed aggraziato: era diventato un cigno!

E quanto era bello, il più bello di tutto lo stagno!
– Quando ero ancora un Brutto Anatroccolo, non avrei mai immaginato che un giorno sarei stato così felice!
E spiccò il volo insieme a tutti i suoi nuovi amici.

Morale della favola: solo credendo sempre in sè stessi e nelle proprie capacità alla fine si riesce a diventare grandi accettandosi per quello che si è.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il principe ranocchio 🐸

Il principe ranocchio ha aiutato la principessina, ma lei non lo ringrazia nemmeno…

Il principe ranocchio è una fiaba della tradizione europea, arrivata fino a noi nella famosa versione dei fratelli Grimm.

Per ritornare un principe in carne ed ossa, il ranocchio dovrà dovrà riuscire a farsi dare un bacio dalla principessina, che non sembra per nulla affascinata dal verde anfibio…


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il principe ranocchio 🐸“!

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Il principe ranocchio 🐸


C’era una volta un re che aveva tre figlie, tutte bellissime, ma la più giovane era la più bella e dolce di tutte.

La principessina passava le sue giornate vicino alla pozza d’acqua fresca che si trovava all’interno delle mura del castello.

Il suo passatempo preferito era giocare con una palla dorata: la lanciava in aria e la riprendeva, e pareva non si stancasse mai di questo divertimento.

Un giorno però la palla le scivolò di mano e finì proprio in mezzo alla pozza d’acqua lì vicino.

La principessina, non riuscendo a recuperarla, cominciò a piangere disperata perché era molto affezionata a quella palla.

Ad un tratto però sentì una voce:
– Come mai piangi, principessina mia?

La principessina si guardò intorno, per vedere da dove provenisse quella voce, ma vide solo la testa di un grosso ranocchio che spuntava dall’acqua.

– Sei tu che mi hai parlato? – chiese la principessina.
Il ranocchio annuì e le disse:
– Se vuoi posso aiutarti a recuperare la tua palla d’oro. Tu in cambio cosa mi dai?
– Tutto quello che vuoi, anche la mia corona d’oro, basta che me la riporti! – rispose la principessina.

– Del tuo oro non me ne faccio nulla, voglio piuttosto essere tuo amico, passare le giornate con te, mangiare alla tua tavola e dormire nella tua stanzetta – propose il ranocchio.
– Va bene! – esclamò la principessina, che però fra sé e sé pensava “che cosa passa per la testa a quel ranocchio? essere mio amico? Starà scherzando!”

Il ranocchio, con un tuffo, raggiunse la palla d’oro e la riportò alla principessina.
La principessina, piena di gioia, prese la palla fra le mani e corse via senza nemmeno ringraziare.

Il ranocchio le gridò:
– Aspettami! Se corri così veloce non riesco a starti dietro! – ma la principessina era ormai talmente lontana che nemmeno lo sentiva più.

Il giorno dopo, mentre la principessina era a tavola col re, la regina e le sue sorelle, si sentì battere forte al portone del palazzo, e una voce disse:
– Principessina, sono il ranocchio che ti ha recuperato la palla d’oro dalla pozza d’acqua, ora devi mantenere la tua promessa!

Il re guardò la figlioletta e le chiese di cosa si trattasse. La principessina raccontò quindi tutta la vicenda del giorno precedente, e alla fine il re sentenziò:
– Le promesse vanno mantenute figlia mia, fate entrare il ranocchio!

Così il ranocchio fu fatto sedere di fianco alla principessina, che lo guardava con disgusto.
– Avvicinami il tuo piattino d’oro, così che io possa mangiare assieme a te – disse il ranocchio, che mangiò tutto con buon appetito.
La principessina, arrabbiata, invece non mangiò nulla.

Dopo il pasto il ranocchio disse che era molto stanco e avrebbe gradito dormire nella stanzetta della principessina.

La principessina all’idea di dover dormire a fianco di un ranocchio freddo e viscido scoppiò a piangere disperata, ma il re la riprese:
– Non si deve disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno!

Con due dita la principessina prese il ranocchio e lo portò in camera, ma quando furono in stanza il ranocchio disse:
– Sono molto stanco e ho deciso di dormire insieme a te. Se non lo farai, lo dirò a tuo padre.

La principessina, al colmo della collera, lo prese per le zampine e lo scagliò con forza contro la parete.
– Adesso tacerai, brutto ranocchio! – urlò.

Il ranocchio cadde a terra privo di sensi. Solo allora la principessina si rese conto di quello che aveva fatto; corse dal ranocchio, lo prese in braccio e lo strinse forte a sè.

– Oh no ranocchio mio, scusami tanto, non volevo… se potessi fare qualcosa per salvarti la vita…

La bocca del ranocchio sussurrò qualcosa, che però la principessina non riuscì ad udire, così accostò meglio l’orecchio alla sua bocca e alla fine riuscì a sentire le parole del ranocchio:
– … un bacio… solo un bacio… – diceva con un filo di voce.

La principessina, spinta dal rimorso di aver fatto del male ad una povera creatura, sconfisse il disgusto per il freddo e viscido rospo, chiuse gli occhi e gli diede un bacio.

Un istante dopo, nella stanza ci fu un caldo bagliore e, quando la principessina riaprì gli occhi, davanti a lei c’era un bel ragazzo che si sfregava un grosso bernoccolo sulla testa.

– E tu chi sei?! – esclamò la principessina.
– Sono il ranocchio, ma il mio vero nome è principe Enrico! Sono stato vittima di un incantesimo di una strega e solo il bacio di una principessa avrebbe potuto spezzarlo… grazie!

La principessina, ancora attonita per lo stupore, gli sorrise e corse a medicargli la ferita.

I due ragazzi iniziarono così una bella amicizia, che nel tempo si tramutò in amore. E un bel giorno si sposarono, proprio di fronte alla pozza d’acqua dove tanto tempo prima si erano incontrati.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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I musicanti di Brema 🐎🐕🐈🐓

I musicanti di Brema voglio entrare a far parte della banda cittadina, ma sul loro cammino incontreranno una banda di briganti!

I musicanti di Brema è una fiaba raccolta in origine dai fratelli Grimm, famosa per l’allegra combriccola (un asino, un cane, un gatto ed un gallo) che vogliono andare fino a Brema per scappare al loro triste destino di animali senza più valore agli occhi dei loro padroni.

Ma anche se vecchi ed acciaccati, con l’ingegno e l’astuzia, riusciranno a mettere nel sacco anche i briganti!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “I musicanti di Brema 🐎🐕🐈🐓“!

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I musicanti di Brema 🐎🐕🐈🐓


C’era una volta un vecchio asino che ormai faceva fatica ad alzarsi, camminare e trasportare i sacchi di farina che il suo padrone gli caricava sulla schiena ogni giorno.

– Ormai sei diventato inutile! – disse l’uomo – Domani ti porterò al macello!

Il povero asino pensò tra sè e sè: “che razza di ingrato, dopo tutto il lavoro che ho fatto per te…”
Così gli venne un’idea: non appena il padrone si allontanò, scappò via dalla stalla e si incamminò verso la vicina città di Brema, in cerca di fortuna.

Mentre camminava l’asino pensava a cosa avrebbe fatto una volta arrivato a Brema, e decise che sarebbe entrato a far parte della banda cittadina.
Lungo la strada l’asino incontrò un cane accucciato, che si lamentava borbottando.

– Cos’hai da lamentarti, cane? – chiese l’asino.
– Son vecchio e malandato, così non riesco più ad andare a caccia col mio padrone. Ha pure cercato di accopparmi ma io sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con me a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il cane, trovando l’idea interessante, decise di seguirlo.

Proseguendo per la strada, i due incontrarono un gatto sdraiato per terra, che si lamentava borbottando.

– Cos’hai da lamentarti, gatto? – chiese l’asino.
– Son vecchio e malandato, poi oggi ho graffiato il sofà della mia padrona, e lei ha cercato di tirarmi il collo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il gatto, trovando l’idea interessante, decise di seguirli.

Poco dopo si trovarono tutti nei pressi di una fattoria, dove incontrarono un gallo che, appollaiato sopra la staccionata, si lamentava cantando a squarciagola.

– Cos’hai da lamentarti, gallo? – chiese l’asino.

– Son vecchio e malandato, poi domani arriveranno ospiti e la mia padrona ha deciso di cucinarmi in brodo, quindi sono scappato… solo che adesso non so cosa fare…

– Allegro, vecchio mio! Vieni con noi a Brema, entreremo nella banda cittadina e vivremo bene! – disse l’asino.
Il gallo, trovando l’idea interessante, decise di seguirli.

Ma Brema era lontana e iniziava a fare buio. La compagnia era ormai stanca e affamata e voleva fermarsi a dormire sotto gli alberi del bosco.

L’asino, scrutando in mezzo agli alberi, vide una casetta con una luce accesa e propose di andare a vedere. Tutti lo seguirono.

Avvicinandosi piano, sbirciarono da una delle finestre, e videro che dentro c’era una banda di briganti seduti attorno ad una tavola riccamente imbandita.
Vedendo tutto quel cibo, ai quattro gli si strinse lo stomaco dalla fame.
– Quanto vorrei anch’io poter mangiare tutto quel ben di Dio… – disse il cane.
– Quella tavola imbandita farebbe proprio al caso nostro – continuò il gatto.
– Già, ma come facciamo a prendere quel cibo? – continuò il gallo.
– Forse mi è venuta un’idea… – concluse l’asino, che si mise a spiegare sottovoce il suo piano.

Dopo che furono tutti d’accordo, l’asino puntò le zampe anteriori sul davanzale della finestra, sul suo dorso salì il cane, sulla groppa del cane salì il gatto e sulla schiena del gatto salì il gallo.

Al segnale dell’asino iniziarono tutti a far rumore a più non posso: l’asino ragliava, il cane abbaiava, il gatto miagolava e il gallo cantava a squarciagola.

L’asino diede un colpo al vetro della finestra, che si frantumò, e con un balzo entrarono in casa.

I briganti, terrorizzati da quel frastuono infernale, credettero che fosse entrato in casa uno spettro maligno e se la diedero a gambe, scappando di corsa nel bosco.

Finalmente l’asino, il cane, il gatto e il gallo avevano di che mangiare a sazietà. Dopo che ebbero riempito per bene le loro pance, decisero che era giunta l’ora di dormire.

Spensero la luce. L’asino si sistemò fuori casa vicino al letamaio, il cane dietro la porta sul retro, il gatto nella calda cenere del camino e il gallo sulla trave più alta del tetto.

Intanto i briganti, nascosti nel bosco, vedendo che nella casa era tutto buio, decisero di tornare a riprendersi il loro bottino nascosto in un baule. Il più fifone tra loro fu estratto a sorte per andare a controllare se nella casa fosse tutto tranquillo.

Il brigante fifone entrò senza far rumore, e volendo accendere una lampada accostò un fiammifero vicino ai carboni ardenti del camino.

Ma quelli che credeva essere carboni ardenti, erano in realtà gli occhi del gatto, sfavillanti al buio!

Il gatto, profondamente infastidito, gli saltò addosso graffiandogli tutta la faccia.

Il brigante si spaventò a morte e cercò di fuggire dalla porta sul retro, dove inciampò nel cane che prontamente lo morse ad una gamba.

Sempre più terrorizzato, cercò allora di attraversare il cortile passando per il letamaio dove, svegliato dal trambusto, lo stava aspettando l’asino, che gli sferrò un bel calcio nel sedere.

Il gallo, svegliato di soprassalto, gridò a squarciagola “chicchirichì!”. Il brigante, sgomento, scappò via di corsa nel bosco e tornò a raccontare ai suoi compari:

– Nella casa c’è un’orribile strega che mi ha graffiato tutta la faccia! E poi sulla porta c’è un uomo col coltello che mi ha ferito alla gamba! E nel cortile c’è un mostro che mi ha colpito con un bastone di legno! E in cima al tetto c’era un giudice che diceva “portatemi quel brigante!”.

Tutti i briganti si guardarono in faccia atterriti, e si dissero che non valeva la pena rischiare la vita per il bottino nascosto nella casa. E così fuggirono via e non si fecero mai più vivi.

Intanto i quattro musicanti di Brema, contenti di aver finalmente trovato un posto tutto per loro, non vollero più andare a Brema a far parte della banda, ma restarono per tutta la vita in quella comoda casetta.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Pollicino 👦⚪⚪⚪

Pollicino è tanto piccolo quanto furbo, e riuscirà a salvarsi dall’orco cattivo insieme a tutti i suoi fratelli!

Pollicino è una famosa fiaba di Charles Perrault, tradotta in italiano anche da Carlo Collodi, che narra la brutta avventura di sette fratelli abbandonati nel bosco e catturati da un orco cattivo.

Ma grazie all’astuzia di Pollicino e anche all’aiuto dei magici stivali delle sette leghe, tutto finirà per il meglio e i bimbi potranno far ritorno a casa dalla loro mamma. 😊


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Pollicino 👦⚪⚪⚪“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Pollicino 👦⚪⚪⚪


C’era una volta, tanto tempo fa, un casotto isolato e vicino alla Foresta Nera, dove vivevano un povero boscaiolo, sua moglie e i loro sette figli, tutti maschi.

Era stato un anno di carestia e ultimamente il boscaiolo non riusciva a guadagnare abbastanza da portare cibo a sufficienza per sfamare tutta la famiglia.

Il boscaiolo era un uomo rude e molto irascibile. Una sera, capendo che il giorno successivo non avrebbe avuto di che sfamare se stesso e di conseguenza tutta la famiglia, prese la moglie e le disse:

– Non abbiamo in casa più cibo nemmeno per arrivare a sera. Ho deciso che domani porteremo nel bosco i bambini e li abbandoneremo, così almeno noi due ce la caveremo.

La moglie inorridita per quella dura e crudele sentenza si mise a piangere disperata, cercò di convincere il marito a non abbandonare i loro figli, ma l’uomo fu irremovibile.

I due non si accorsero però che, sotto al tavolo della misera cucina, stava rannicchiato Pollicino, il più piccolo dei loro figli che era talmente minuscolo da potersi nascondere ovunque senza essere scoperto. Pollicino sentendo discutere animatamente i genitori volle scoprire di cosa stavano parlando.

Nel sentire quelle terribili parole, Pollicino che era tanto piccolo quanto intelligente, capì che doveva fare qualcosa per salvare se stesso e i suoi fratelli.

Corse fuori di casa fino al vicino ruscello e iniziò a prendere tanti piccoli sassolini bianchi fino a riempire il tascapane che portava sempre con sé, poi tornò a casa e si mise a dormire nel suo lettino.

Il mattino seguente il boscaiolo e la moglie, presero tutti i loro bambini e li portarono nel bosco con la scusa di farsi aiutare a raccogliere della legna.

I bambini, che non immaginavano le reali intenzioni dei genitori, partirono entusiasti. Tutti tranne Pollicino, che si mise in coda al gruppo.

Pollicino, senza farsi vedere, ogni tanto lasciava cadere sul sentiero uno dei piccoli sassolini bianchi raccolti sul greto del fiume, certo che l’avrebbero aiutato a ritrovare la strada di casa una volta abbandonati nel bosco.

Dopo una lunga camminata fin dentro il cuore della Foresta Nera, il boscaiolo e la moglie dissero ai bambini di fermarsi a raccogliere tutte le frasche e rametti che potevano, mentre loro sarebbero andati a raccogliere legna lì vicino.

– Non muovetevi da qui – disse con voce ferma il loro padre – noi torneremo presto a prendervi.

E così il boscaiolo e la moglie sparirono tra gli alberi della foresta.
I bambini che non sospettavano nulla iniziarono felici a fare il loro dovere, finchè non arrivò quasi sera, e i loro genitori non si erano ancora fatti vivi…

Tutti i fratellini a poco a poco iniziarono ad avere paura, poi alcuni di loro iniziarono a piangere, finché non intervenne Pollicino:

– Fratelli miei, non preoccupatevi, io so come riportarvi tutti a casa, seguitemi! – e con sicurezza iniziò a camminare spedito nel bosco seguendo la traccia dei sassolini lasciati a terra.

Prima che il buio impedisse loro di vedere il sentiero, furono di nuovo a casa.

La madre, non appena li vide, corse ad abbracciarli tutti, piena di gioia. Il padre invece sbuffò e inventò la scusa che si erano persi pure loro nella foresta, e non erano più riusciti a ritrovarli.

Ma dopo aver aspettato che tutti i bambini fossero a letto a dormire, il boscaiolo riprese la moglie e le disse nuovamente:

– Non possiamo assolutamente permetterci di mantenere tutti quei bambini, domani li porteremo in un’altro punto della foresta, più lontano ancora, e li abbandoneremo!

La donna spense tutta la gioia che aveva provato nel riabbracciare i suoi piccoli e, chinando il capo, cercò di nascondere le lacrime che scendevano sul suo viso.

Pollicino, che aveva sospettato una nuova decisione del genere da parte del padre, era rimasto sveglio e si era messo ad origliare dall’altra parte della stanza.

Sentendo quelle parole, decise di ritornare al fiume a riempire il tascapane di sassolini, ma purtroppo trovò la porta di casa sprangata e non poté uscire. L’unica cosa che trovò fu un piccolo pezzo di pane raffermo, con quello poteva fare piccole briciole per segnare il sentiero.

Il mattino seguente, con un’altra scusa i genitori presero i loro figli e li portarono ancora più in fondo nella Foresta Nera, in un punto in cui anche la luce faceva fatica a passare tra le fronde degli alberi. E li abbandonarono di nuovo.

Come il giorno precedente, i bambini in un primo momento rimasero sereni, ma non ci misero molto a comprendere che erano stati di nuovo lasciati soli.

Pollicino, sicuro di sé, li radunò tutti e li tranquillizzò dicendo che li avrebbe ricondotti a casa, e si mise a cercare le bricioline che aveva lasciato sul sentiero.

Ma non riuscì a trovarle perché gli uccellini si erano mangiati tutte le bricioline di pane!

Impauriti e disperati i sette fratelli iniziarono a vagare per la foresta.
Stava arrivando la sera, quando a Pollicino venne un’idea. Si arrampicò fino in cima ad un albero per vedere meglio la direzione da prendere.

Con sorpresa, vide che poco distante c’era una casa con le luci accese e il comignolo fumante.
– Ho trovato una casa fratelli! Andiamo a chiedere ospitalità per la notte! – esclamò Pollicino.
E così si incamminarono.

Giunti alla casa, Pollicino bussò. Poco dopo aprì la porta un’orchessa che guardandoli con meraviglia chiese:
– Cosa ci fate qui bambini?!

– Ci siamo persi nel bosco, abbiamo freddo e fame e non sappiamo dove passare la notte… – rispose Pollicino.
– Ma questa è la casa di un orco ghiotto di bambini, se vi trova vi mangia! – disse preoccupata l’orchessa.

– Moriremo comunque di stenti qui nel bosco se lei non ci aiuta… a questo punto meglio essere mangiati da un orco… – concluse Pollicino.

L’orchessa, impietosita dagli sguardi spauriti dei bambini disse:
– …e va bene, entrate, svelti, vi darò da mangiare e vi nasconderò – e così fece.

Poco dopo l’orco rientrò a casa annusando l’aria con soddisfazione:
– Senti senti che bell’odorino di bambini paffuti e grassottelli che c’è nell’aria… moglie, volevi farmi una sorpresa? – e si precipitò subito ad aprire la porta del ripostiglio dove erano nascosti tutti i fratellini.

L’orchessa tentennante rispose:
– … sì caro mio, ma li mangerai domani, per stasera ti ho già preparato un’abbondante cena…
L’orco sorrise beffardo e si mise a cenare.

L’orchessa prese Pollicino e i suoi fratelli e li accompagnò a dormire.

Nella camera erano presenti due enormi letti, in uno stavano dormendo le sette figlie degli orchi, nell’altro avrebbero dormito i sette fratelli.

Le piccole figlie degli orchi erano amate dal loro padre come fossero principesse, tanto che ognuna di loro aveva in testa una graziosa coroncina intrecciata. Pollicino notò la cosa e la tenne a mente.

Dopo averli messi tutti a letto l’orchessa chiuse la porta della stanza. Pollicino aveva un brutto presentimento e chiese ai suoi fratelli di scambiare i loro berretti con le coroncine delle piccole orchette.

Le preoccupazioni di Pollicino erano ben fondate perchè, quando ormai stavano tutti dormendo, sentì aprirsi piano la porta della stanza. Era l’orco che nel buio era venuto a prenderli!

L’orco ben sapeva che le sue bimbe portavano una coroncina in testa, quindi nel buio si mise a tastare le testoline dei sette fratelli, e sentendo le coroncine si spostò spedito verso l’altro letto, aprì un sacco e credendo di prendere i bambini, vi gettò dentro invece tutte le sue figlie. Poi uscì dalla stanza.

Pollicino svegliò i suoi fratelli.
– Svelti! Svelti! E’ il momento di scappare!
I bimbi fuggirono via dalla finestra, per fortuna c’era la luna piena ad illuminare il sentiero nella foresta.

Non passò molto tempo che l’orco, aprendo il sacco, si accorse di aver preso per sbaglio le sue bambine. Infuriato come non mai si infilò i magici stivali delle sette leghe e partì all’inseguimento di Pollicino e i suoi fratelli.

Gli stivali delle sette leghe consentivano di fare decine di metri per ogni passo fatto, e in breve l’orco si era avvicinato moltissimo a Pollicino e i suoi fratelli senza però raggiungerli.

Purtroppo gli stivali erano tanto portentosi quanto stancanti e l’orco, dopo aver corso per alcuni minuti, si fermò stremato a riposare appoggiato al tronco di un albero, e siccome era notte fonda, si addormentò.

Pollicino, sentendo russare sonoramente l’orco, decise di rubargli gli enormi stivali e indossarli. Siccome erano stivali magici si adattarono subito ai piccoli piedi di Pollicino.
– Fratelli ho avuto un’idea, aspettatemi qui! – disse, e poi si precipitò a casa dell’orchessa.

– Signora orchessa, è successa una disgrazia! – gridò Pollicino – suo marito l’orco è stato rapito dai banditi, e se non avranno tutto il vostro oro, lo uccideranno!
L’orchessa senza farselo ripetere due volte prese tutto quello che aveva in casa e lo consegnò a Pollicino, che corse di nuovo dai suoi fratelli.

– Con tutto quest’oro e con questi stivali non avremo più preoccupazioni fratelli miei! – disse entusiasta Pollicino. Tutti i suoi fratelli gli fecero festa.

Ripresero il cammino verso casa, dove arrivarono alle prime luci dell’alba.

Entrando Pollicino trovò la loro madre che piangeva disperata.
– Mamma, siamo tornati! – esclamò.
La madre si voltò e corse ad abbracciarli tutti quanti, riempiendoli di baci.

Pollicino chiese dov’era il loro padre e la madre raccontò loro che avevano litigato furiosamente a causa del loro abbandono, così lui aveva deciso di andarsene via per sempre, in cerca di fortuna da qualche altra parte.

I bambini mostrarono alla madre tutto l’oro sottratto agli orchi e Pollicino, il giorno stesso, si presentò dal re, ottenendo un incarico come messaggero privato grazie agli stivali delle sette leghe.

La madre era incredula che le loro sorti potessero essere cambiate così tanto in così poco tempo, ma era felice di poter essere riunita ai suoi bambini, e la loro famiglia visse per sempre felice e contenta.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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I tre porcellini 🐷🐷🐷

Per salvarsi dal lupo cattivo non bisogna essere pigri, ma bisogna impegnarsi e fare le cose fatte per bene, e questo i tre porcellini lo impareranno sicuramente!

I 3 porcellini è una fiaba classica che si racconta ai bambini per una ragione molto valida, non solo insegna a stare attenti al lupo cattivo, ma anche a fare le cose per bene e senza fretta.

L’unica casetta che infatti resiste alla furia del lupo è quella costruita con calma e con solidi e resistenti mattoni!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “I tre porcellini 🐷🐷🐷“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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I tre porcellini 🐷🐷🐷


C’erano una volta tre porcellini, Timmy, Tommy e Gimmy che abitavano tutti ancora nella casa della mamma.

Un giorno la mamma disse loro – siete ormai grandicelli ragazzi miei, penso sia ora che prendiate ognuno di voi la vostra strada e costruiate ognuno la propria casetta!

I tre porcellini, seppur a malincuore, sapevano che era la cosa giusta da fare, erano diventati finalmente grandi e così si fecero forza e prepararono ognuno il proprio bagaglio.

Timmy fece un fagotto con tutti i suoi dolci e il flauto che amava tanto suonare.
Tommy riempì di giocattoli una borsa assieme al suo caro violino.
Gimmy invece preparò la sua cassetta degli attrezzi con tutto ciò che gli sarebbe servito per costruire una solida casetta.

Così si prepararono, salutarono la mamma che augurò loro buona fortuna, e si incamminarono allegri e felici per il sentiero.
– Fate attenzione al lupo cattivo! – si raccomandò tanto la mamma mentre li salutava con una lacrimuccia agli occhi.

I tre porcellini sorrisero, la salutarono ancora e proseguirono nel loro cammino.
Ma dalla collina, nascosto tra i cespugli, qualcuno stava osservando la scena, qualcuno a cui piacevano tanto i porcellini, soprattutto con contorno di patate arrosto… era il Lupo Cattivo!

Dopo un po’ che i tre porcellini camminavano allegramente Gimmy disse:
– Io mi fermerò qui per costruire la mia casetta, qui vicino c’è un ruscello e questi begli alberi mi faranno ombra nei mesi caldi.
– Va bene – risposero gli altri due – noi continuiamo a camminare!
Gimmy li salutò e cominciò a costruire la sua casetta.

Poco dopo Anche Tommy decise di fermarsi – io costruirò la mia casetta qui, dove ci sono tutti questi rami di legno già pronti per essere tagliati, così costruirò la mia casetta di legno!
– Va bene fratellino mio, io proseguo sul sentiero, a presto!

Timmy quindì salutò Tommy e continuò a camminare, finché non vide un bel covone di paglia dorata essiccata al sole.
– Potrei costruire la mia casetta con quella paglia, ci metterei pochissimo così poi potrei subito andare a giocare! – disse, e così fece.

In quattro e quattr’otto, con qualche rametto qua e là, la casetta di paglia era pronta, così potè subito uscire in giardino e mettersi a suonare il suo amato flauto.

Anche Tommy ormai aveva ultimato la sua casetta. Non era molto robusta perché per fare presto e poter andare a divertirsi nei prati, aveva deciso di inchiodare le assi di legna in fretta e furia, giusto per arrivare al tetto e ripararsi dalla pioggia in caso di intemperie.
Non appena finì, prese il violino e cominciò a suonare.

L’ultimo a finire il suo lavoro fu Gimmy, che lavorò fino a sera per costruirsi la sua robusta casetta di mattoni con una bella porta in legno e una grossa serratura.
Ci fece perfino un bel caminetto, per non patire il freddo nelle lunghe giornate invernali.
Solo allora si godette il meritato riposo.

Il giorno seguente, il Lupo Cattivo, che aveva spiato i tre porcellini per tutto il giorno precedente, si presentò alla casetta di paglia di Timmy e disse con la sua vociona:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?

Ma Timmy, che si ricordava bene delle parole della mamma guardò fuori dalla finestra e disse:
– Non sono mica matto! Tu sei il Lupo Cattivo! – e chiuse anche la finestra pensando così di essere al sicuro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e preso un gran respiro si mise a soffiare così forte sulla casetta di Timmy, che la paglia volò via, e della casetta non rimase nulla…
Timmy corse via più forte che poteva e raggiunse Tommy nella sua casetta di legno.

– Il Lupo Cattivo con un gran soffio ha fatto volar via la mia casetta!
– Non ti preoccupare – rispose Tommy – puoi rimanere nella mia casetta di legno.

Ma poco dopo il Lupo bussò anche lì:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
I due capirono subito che si trattava del Lupo Cattivo e risposero in coro:
– Non siamo mica matti! Tu sei il Lupo Cattivo!

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare così forte che anche la casetta di Tommy, con le assi di legno inchiodate in tutta velocità, volò via…

Timmy e Tommy corsero via a perdifiato e andarono da Gimmy, che li accolse subito.
– Tranquilli fratellini miei, questa è una solida casa di mattoni, e il Lupo non riuscirà a spazzarla via.

Infatti poco dopo arrivò il Lupo Cattivo.
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
– Non siamo mica matti! – risposero i tre in coro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare forte, ma così forte che… non successe nulla.
La casetta di mattoni era ancora lì.

Il lupo allora provò e riprovò, ma niente, neanche uno scricchiolio.
– Entrerò dal camino! – disse, e con un balzo era già sul tetto.
Gimmy capì cosa aveva in mente di fare il Lupo e quindi preparò un gran pentolone di acqua bollente sul fuoco del camino, così quando il Lupo Cattivo si calò giù dal camino finì dritto in pentola!

Il Lupo gridò dal dolore e scappò via su per la canna fumaria del camino con la coda tutta scottata!

Da quel giorno nessuno dei 3 porcellini vide mai più il Lupo Cattivo. Anche Timmy e Tommy decisero di rimboccarsi le maniche e costruire ognuno una bella casa di mattoni proprio accanto a quella di Gimmy, così tutti i giorni potevano suonare e ballare:

“Siam tre piccoli porcellini
siamo tre fratellini.
Mai nessuno ci dividerà
tra-lalla-la-là”

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Cappuccetto Rosso 🐺

Cappuccetto Rosso: quando ascoltare la mamma è una buona idea…

C’era una volta una bambina il cui destino si sarebbe intrecciato con quello di una delle creature più temute della foresta.

Questa non è una semplice storia di una bambina che si perde nel bosco.

È un racconto di scelte, di promesse infrante e di coraggio ritrovato, dove l’innocenza incontra l’astuzia in un duello antico quanto l’umanità stessa.

E forse, proprio come i sentieri tortuosi della foresta, non tutto è come sembra a prima vista.

P.S. Siccome ci piacciono tutti gli animali, nella versione di fabulinis il lupo cattivo non fa una brutta fine 😉


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Cappuccetto Rosso 🐺“!

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Cappuccetto Rosso 🐺


C’era una volta una bimba tanto carina. Tutti le volevano bene, specialmente la nonna che la coccolava e passava sempre un sacco di tempo con lei.
Un giorno la nonna le regalò una mantellina di velluto rosso e, siccome i suoi regali erano importantissimi, non voleva mai toglierla.
In paese iniziarono quindi a chiamarla Cappuccetto Rosso.

La nonna però si ammalò, e un giorno la mamma di Cappuccetto Rosso disse alla bimba:
– La nonna è debole e malata. Portale questa focaccia e questa tisana alle erbe, così si rimetterà in forze. Salutala per me, e mi raccomando: segui la strada che attraversa i campi di grano e non entrare nel bosco, altrimenti rischi di finire nei guai.
– Sì, mamma, farò come mi dici – promise la bimba alla mamma, dandole un bacio.

Ma la nonna abitava in una casetta a una mezz’ora buona di cammino dal villaggio, e Cappuccetto rosso sapeva che prendendo la scorciatoia dentro il bosco sarebbe arrivata prima.
“Cosa potrà mai succedermi? Ho fatto tante volte quel sentiero in compagnia del papà” pensò la bimba.
Cappuccetto Rosso, quindi, prese la scorciatoia. Camminava con passo spedito e, man mano che andava avanti, il bosco diventava sempre più fitto e buio.

Finché ad un certo punto, proprio in mezzo alla strada, incontrò un lupo che sembrava quasi la stesse aspettando.
Cappuccetto Rosso non ebbe paura: non sapeva che quella era una bestia tanto cattiva.
– Buon giorno bimba – disse il lupo.
– Buon giorno a te – rispose Cappuccetto Rosso
– Dove vai così di fretta?
– Vado dalla nonna che è malata.
– E che cos’hai nel cestino? – continuò il lupo.
– Una tisana e una focaccia, la aiuteranno a guarire –
– Ma che brava bimba! Ma dimmi, dove abita la tua nonna? –
– Vicino al mulino, dove ci sono gli alberi di noccioli – disse Cappuccetto Rosso.

Il lupo pensò: “Questa bimba è proprio ingenua…” – Se vuoi ti faccio compagnia fino dalla nonna, qui nel bosco si possono fare dei brutti incontri sai?
Cappuccetto Rosso annuì e sorrise felice.
Il lupo iniziò a camminarle a fianco ma sembrava pensieroso, finché all’improvviso sorrise tra sé e sé. Aveva escogitato un diabolico piano.

Aspettò di arrivare appena fuori dal bosco e le disse:
– Ecco bimba mia, da qui in avanti puoi continuare da sola, spero di rivederti presto!
– Grazie mille signor lupo, a presto! – rispose Cappuccetto Rosso.
– Ma guarda quanti bei fiori ci sono laggiù! – disse il lupo – non sarebbe bello raccoglierne un mazzo per la nonna?
Cappuccetto Rosso guardò i fiori: erano stupendi e corse a raccoglierne un bel mazzetto per la nonna.

Il lupo approfittò del momento di distrazione di Cappuccetto Rosso e corse dritto alla casa della nonna.
– Chi è? – chiese la nonna quando sentì bussare alla porta.
– Cappuccetto Rosso, nonna. Aprimi! – disse il lupo con la vocina più dolce che poteva.
– Devi solo spostare il chiavistello – rispose la nonna, – io sono troppo debole per alzarmi.
Il lupo spostò il chiavistello ed entrò, andò dritto verso il letto della nonna e… gnam! se la mangiò in un sol boccone.
Poi indossò i suoi vestiti e la sua cuffia e si nascose sotto le coperte ad attendere.

Cappuccetto Rosso, dopo aver raccolto un bel mazzolino di fiori, corse dalla nonna.
Stranamente trovò la porta spalancata e, entrando piano piano nella stanza, ebbe una sensazione così cupa che pensò: “c’è un silenzio strano qui oggi, mi vien quasi voglia di andare via… davvero strano, di solito sto così volentieri con la nonna…”
Si avvicinò al letto e spostò la coperta: la nonna aveva la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.

– Nonna, che orecchie grandi che hai! – disse la bimba
– Per sentirti meglio, bambina mia! – rispose il lupo
– E che occhi grossi che hai!
– Per vederti meglio, bambina mia!
– Nonna, ma anche le tue mani sono così grandi! – disse Cappuccetto, sempre più spaventata.
– Per afferrarti meglio! – iniziò a ghignare il lupo.
– Ma, nonna, e che bocca spaventosa che hai! – gridò Cappuccetto Rosso.
– Per divorarti meglio! – E dicendo queste parole, il lupo balzò dal letto e… gnam! Mangiò la povera Cappuccetto Rosso in un sol boccone.
Poi, con la pancia bella piena, il lupo si rimise a letto, si addormentò e incominciò a russare sonoramente.

Solo che la nonna e Cappuccetto Rosso, dentro la pancia del lupo, stavano veramente strette.
Cappuccetto Rosso allora iniziò a fare il solletico dentro la pancia del lupo, e subito anche la nonna cominciò a farlo.
Il sonno del lupo iniziò a essere molto disturbato, si girava di qua e di là dal fastidio, finché non si svegliò di soprassalto.
Iniziò a tossire così forte che anche le mura della casa tremavano, finché fece due colpi talmente forti che dalla bocca gli uscirono fuori sia Cappuccetto Rosso che la Nonna!

Caso vuole che proprio il quel momento passasse di lì il cacciatore, il quale, sentito tutto quel trambusto, non poté fare a meno di affacciarsi alla finestra a guardare tutta la scena.
Il lupo, che si teneva la pancia con le mani per il dolore provocatogli dai forti colpi di tosse, quando vide il cacciatore affacciarsi alla finestra, gridò di paura e corse veloce fuori dalla casa della nonna.

Il cacciatore non fece in tempo ad imbracciare il fucile che il lupo era ormai già lontano. Ma andava bene così, lo avrebbe acciuffato un altro giorno. L’importante era che Cappuccetto Rosso e la nonna stessero bene.
Le due, un po’ frastornate per l’accaduto, stavano comunque bene e ringraziarono il cacciatore per aver fatto scappare il lupo.

Poi Cappuccetto Rosso guardò la nonna, e si scusò dicendole:
– Scusami nonnina, è tutta colpa mia se il lupo è entrato in casa tua e ha cercato di mangiarci… sono stata una sciocca ad inoltrarmi nel bosco da sola, e a fidarmi di un lupo cattivo. Prometto che non lo farò mai più!

La nonna, visto che Cappuccetto rosso aveva compreso bene i suoi sbagli, la abbracciò forte forte, la baciò in fronte e le disse di ascoltare sempre quello che diceva la mamma, che era solo per il suo bene.
Così Cappuccetto Rosso tornò a casa, ma per la strada che attraversava i campi di grano, mica attraverso il sentiero del bosco!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Hänsel e Gretel 👦👧🏡

Hänsel e Gretel, con l’astuzia e un pizzico di furbizia, vincono anche contro la strega cattiva!

Hänsel e Gretel è una fiaba dei fratelli Grimm molto famosa, dove i due bambini persi in un bosco oscuro, devono affrontare una strega malvagia che vive in una dolce casetta di marzapane.

Con astuzia, coraggio e il forte legame che li unisce, riescono a superare prove difficili, trasformando il pericolo in un momento di riscatto.

Questa fiaba classica ci insegna che anche nei momenti più bui, l’ingegno e la speranza possono illuminare il cammino.

Nella fiaba descritta dai fratelli Grimm un ruolo molto importante lo gioca la “cattiva matrigna” dei due bambini. Nella nostra versione di fabulinis abbiamo preferito omettere questo stereotipo tipico della matrigna cattiva.


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Hänsel e Gretel 👦👧🏡


C’era una volta, ai margini della foresta della Turingia, una piccola casetta dove vivevano due fratellini, Hänsel e Gretel.

Il loro papà faceva il taglialegna e la loro mamma, oltre ad occuparsi di tutte le faccende domestiche, spesso lo aiutava nel lavoro.
Era stato un anno difficile, poche persone avevano avuto bisogno del lavoro del taglialegna, e nelle ultime settimane il cibo sulla loro tavola scarseggiava.

Spesso la sera, Hänsel e Gretel dalla loro cameretta, sentivano il loro povero papà piangere per la paura di non riuscire a guadagnare abbastanza da poter sfamare la sua famiglia.

Hänsel e Gretel si rannicchiavano sotto le coperte, tristi e con gli occhi lucidi.
– Dobbiamo fare qualcosa – mormorò Hänsel.
– Ma cosa possiamo fare noi due piccoli bambini? – rispose Gretel.
Dopo un lungo silenzio di riflessione, Hänsel propose:
– Possiamo andare nel bosco insieme al papà e aiutarlo nel raccogliere la legna.
– E’ una bella idea – rispose entusiasta Gretel.

Così il mattino seguente i due bambini si presentarono pronti per accompagnare nel bosco il loro papà, che li guardò orgoglioso per aver due bambini così volenterosi.
Si incamminarono quindi per il bosco, fino ad arrivare ad una grande catasta di legna. Il papà si fermò e con la sua ascia riprese il lavoro che aveva interrotto il giorno precedente.

Disse ai suoi ragazzi di raccogliere i rami più piccoli e ammucchiarli in un punto lì vicino.
I due piccoli iniziarono subito a correre di qua e di là raccogliendo tutti i rami che trovavano per terra. Il papà taglialegna, con la coda dell’occhio, li guardava felice e allo stesso tempo divertito.

Hänsel e Gretel svolgevano il loro compito in maniera molto diligente, finchè ad un certo punto Hänsel gridò:
– Guardate, una lepre!
Gretel e il loro papà si girarono verso di lui, era proprio una bella lepre che si era fermata sulle due zampe a guardarli incuriosita.
– Posso rincorrerla papà? – chiese Hänsel.
– Anche io! – aggiunse Gretel
Il loro papà li guardò, sorrise e disse:
– Va bene, ma non allontanatevi troppo! – “chissà mai che non la acchiappino così stasera mangiamo un bel leprotto arrosto” pensò rimettendosi al lavoro.

I due scattarono subito verso la lepre che immediatamente si mise a correre a zig zag tra gli alberi. Anche Hänsel e Gretel erano veloci ma ben presto la lepre svanì dalla loro vista.
I due bambini, senza rendersene conto, per qualche tempo credettero pure di starle dietro, cercando di indovinare la strada che aveva percorso, poi di colpo Gretel si fermò.
– Dove siamo Hänsel? – disse con la voce ansimante per la corsa.

Hänsel si fermò anche lui, spaesato, si guardava intorno cercando di ritrovare la direzione da dove erano venuti, ma non riusciva a riconoscere niente intorno a sè, nessun albero, nessun arbusto.
– Siamo… siamo… – Hänsel cercava di dire qualcosa di rassicurante alla sua piccola sorellina mentre con lo sguardo perlustrava i dintorni, quando finalmente gli parve di riconoscere uno scorcio familiare – andiamo di là – disse con convinzione.

I due camminarono tra la fitta vegetazione fino ad un tronco abbattuto a terra, lo scavalcarono e si ritrovarono su un piccolo sentiero battuto. I loro cuori si riempirono di sollievo, certi che quel sentiero li avrebbe riportati a casa.

Camminavano spediti, l’uno accanto all’altra, pensando alla lepre sfuggita e alle risate che si sarebbe fatto il papà quando li avrebbe rivisti tornare a mani vuote, finché non arrivarono ad un bivio.

Si guardarono in faccia incerti, poi decisero per il sentiero di destra. Accelerarono il passo e si presero per mano. La giornata stava volgendo al termine, e la grande foresta silenziosa diventava sempre più buia.

Nell’aria iniziava a spargersi uno strano odore dolciastro e senza accorgersene finirono per seguirlo d’istinto.
Gretel iniziava ad avere paura – ci siamo persi… – mormorava al fratello, ma quando ormai stavano entrambi perdendo la speranza di riuscire a ritornare a casa, intravidero un grande slargo nella foresta.

Al centro di questo slargo c’era una buffa casetta azzurra, dal tetto rosa confetto e la porta e le finestre cicciotte come salsicce.
Hänsel e Gretel si avvicinarono di corsa e quando erano ormai praticamente sulla soglia della porta, si accorsero che l’intera casa era fatta di dolcissimo marzapane!

Presi dai morsi della fame, i due staccarono un piccolo pezzetto dal muro e iniziarono a mangiarlo, piano, con timore. Quando furono certi che il marzapane era vero ed era anche buonissimo, ne presero manciate sempre più grosse.
Ne mangiarono fino a riempirsi le pance e stavano per afferrarne un altro pezzetto quando la porta di cioccolato della casa si aprì.

Una vecchietta con gli occhi socchiusi, probabilmente miope, disse con voce forte e minacciosa:
– Chi siete, cosa volete?!
Hänsel e Gretel spaventati fecero un balzo all’indietro e si abbracciarono forte.
– Ci scusi tanto signora, siamo solo due poveri bambini che si sono persi nella foresta, e spinti dalla fame abbiamo dato qualche morso alla sua casa di marzapane… ci perdoni… – disse Hänsel.

La vecchietta sentendo queste parole cambiò subito espressione, e la sua voce si fece molto dolce – Oh poveri miei bambini, vi siete persi! Potevate bussare, vi avrei offerto una calda zuppa fumante… ma venite, venite vi prego, non vorrete passare la notte qua fuori al freddo… questa sera potrete dormire da me.

I due bambini, immensamente grati per la cortesia della vecchina, entrarono. La casa era piccola ma accogliente e riccamente decorata, piena di suppellettili d’oro e d’argento, e molti altri ornamenti avevano addirittura pietre preziose incastonate.
Si accorsero subito che la vecchietta non ci vedeva molto bene, perchè per trovare e dare loro un pezzo di pane e del latte andava cercando a tastoni per tutta la cucina.

Dopo la cena li accompagnò in una piccola stanzetta con due lettini, dove Hänsel e Gretel si coricarono e la vecchina diede loro la buonanotte. I due bambini, dopo quella lunga e stancante giornata, caddero in un sonno profondo.

Al mattino seguente Hänsel si svegliò, si stiracchiò un poco ma si accorse subito che non riusciva a muoversi bene. Poi, aperti meglio gli occhi, capì che qualcosa non andava: era rinchiuso dentro ad una grossa gabbia appesa sopra la cucina. Subito prese a gridare.
– Gretel! Gretel!

Un istante dopo comparve la vecchietta che spintonava Gretel fin sotto la gabbia di suo fratello.
– Tieni! Dai da mangiare a tuo fratello che deve diventare bello grassottello, così poi potrò farmi un bell’arrosto gustoso! – rise malignamente le vecchia, che uscì dalla stanza.

Gretel si avvicinò alla gabbia di Hänsel e gli passò un piatto con un bel pollo arrosto ancora fumante.
– La vecchietta è in realtà una strega cattiva… – mormorò Gretel – mi ha detto che vuole farti ingrassare per poi mangiarti… – continuò la piccola scoppiando a piangere.
– Non piangere sorellina mia, vedrai che riusciremo a cavarcela in qualche modo – cercò di rincuorarla Hänsel, prendendole e stringendole la mano attraverso le sbarre della gabbia. Poi osservò il pollo e gli venne un’idea…

La vecchia strega passava tutto il giorno a preparare deliziose pietanze da far mangiare ad Hänsel, mentre usava Gretel come sguattera per tenere in ordine la casa.
Ogni sera poi andava sotto la gabbia appesa di Hänsel e gli ordinava di porgerle il dito così da poterlo tastare e sentire se fosse ingrassato abbastanza da infilarlo nel forno e farci un bell’arrosto.

Ma Hänsel sapendo che la vecchia strega era quasi cieca, invece di porgere il suo dito, le porgeva un osso di pollo. La strega tastava l’osso e si rendeva conto che il bambino non era ingrassato per niente.
– Com’è possibile che non ingrassi mai con tutte le leccornie che ti cucino?! Vabbè, vedremo domani… – e se ne andava via sbuffando.

Continuò così quasi per un mese intero, finchè una sera, dopo aver tastato ancora il finto dito di Hänsel, la strega andò su tutte le furie:
– Non è possibile che non ingrassi mai bambino! Ora sono stufa! Ho deciso che ti mangerò lo stesso! – urlò.
E così riempì il forno di legna e lo accese mentre Gretel osservava la scena impietrita e terrorizzata.
– Tu! – gridò la strega rivolta a Gretel – infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo!

Gretel intuì al volo che se solo si fosse avvicinata al forno la strega avrebbe buttato dentro anche lei.
– Non ho capito cosa devo fare… – disse con un filo di voce Gretel.
– Infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo! – tuonò la strega.
– Ma io non so come si fa! – rispose Gretel.

La strega, in un impeto d’ira e al colmo della rabbia, la prese per il vestito, la strattonò fin davanti al forno e le disse:
– Guarda come si fa, incapace! – aprì lo sportello del forno infilandoci la testa.
Gretel come un fulmine diede un forte spintone alla strega, che barcollò e cadde dentro al forno, dopodichè chiuse con forza lo sportello.

Per la strega ormai non c’era più niente da fare.

Gretel corse da suo fratello e lo liberò dalla gabbia.
– Sei stata fantastica Gretel! – i due si abbracciarono forte.
Fecero un fagotto con del cibo e tutto l’oro e l’argento e le pietre preziose che riuscirono a portare via, dopo di che ripresero il sentiero per la foresta.

Camminarono per ore, senza sapere dove andassero realmente, quando all’improvviso sopra le loro teste comparve uno stormo d’anatre disposte a “V” come ad indicare una direzione.
– Guarda Hänsel! – gridò sorpresa Gretel.
– Sembra un segno, forse dovremmo seguirle! – rispose Hänsel.

E così fecero. Camminarono spediti fino ad arrivare ad un fiume.
– Questo fiume lo riconosco! – disse Hänsel.
– E’ vero, è il fiume che passa vicino casa nostra! – esclamò Gretel.

I due iniziarono a correre fino a raggiungere il sentiero che portava dritto a casa loro, dove sulla soglia della porta li stavano già aspettando la mamma e il papà che non avevano mai smesso di pregare per il loro ritorno.

Si abbracciarono tutti felici e pieni di gioia, i due bimbi raccontarono la loro terribile avventura, ma grazie a tutto l’oro e l’argento che avevano sottratto alla strega cattiva, non avrebbero mai più sofferto la fame.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Note su Hänsel e Gretel

In questa versione di Hänsel e Gretel realizzata da fabulinis, molti di voi avranno notato che è stato completamente omesso il passaggio iniziale in cui Hänsel e Gretel, dopo essere stati abbandonati nella foresta dai genitori, ritrovano la strada di casa grazie ai sassolini lasciati lungo il sentiero da Hänsel.

Questa parte di storia è praticamente identica all’incipit di un’altra famosissima fiaba: “Pollicino” (leggi la nostra versione della fiaba di Pollicino 👈)

Ma mentre la fiaba di Pollicino viene ricordata soprattutto proprio per l’astuzia dei “sassolini” lasciati a segnare il sentiero per tornare a casa, Hänsel e Gretel viene ricordata maggiormente per la “Casetta di Marzapane” della strega cattiva.

Non volendo scrivere due fiabe con l’inizio identico, abbiamo deciso di differenziarle leggermente mantenendone però inalterato lo svolgimento globale.

Speriamo che questa nostra versione vi sia piaciuta!

Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻

Cosa succede se una bimba un po’ monella entra in casa di una famiglia di orsi?

Riccioli d’oro è una bimba un po’ birbante che, senza permesso, entra nella casa della famiglia dei tre orsi.

Poveri i tre orsi che si ritroveranno tutta la casa sottosopra…!

Come se la caverà Riccioli d’oro?


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻


C’era una volta, nel folto di un grande bosco, la casetta della famiglia degli orsi.
Dentro ci vivevano il papà orso, mamma orsa e il piccolo orsetto, che quel giorno erano tutti intenti a fare qualcosa:
Papà orso stava leggendo il giornale, mamma orsa stava preparando la zuppa per il pranzo e il piccolo orsetto stava giocando.

Ad un certo punto la mamma orsa esclamò:
‒ E’ pronta la zuppa!
Tutti si sedettero a tavola e presero la loro scodella, ma non appena l’assaggiarono si accorsero subito che era ancora troppo bollente per essere mangiata.

‒ Mentre aspettiamo che la zuppa si raffreddi, faremo una bella passeggiata nel bosco ‒ disse papà orso.
‒ Bella idea! ‒ rispose mamma orsa.
‒ Siiiii! ‒ esclamò il piccolo orsetto tutto felice.
Così i tre orsi uscirono di casa dimenticandosi di chiudere a chiave la porta.

Poco dopo, arrivò davanti la loro casa una bambina il cui nome era Riccioli d’Oro, per via dei suoi capelli ricci e dorati.
Riccioli d’oro bussò alla porta:
‒ C’è nessuno? ‒ disse, ma non ebbe risposta e, vedendo che la porta era aperta, decise di entrare a curiosare un po’.
Sentì subito un profumo delizioso di zuppa calda nell’aria e vide sul tavolo le tre scodelle. Siccome sentì arrivare un certo languorino allo stomaco, decise di assaggiare la zuppa.

Prese un cucchiaio di zuppa dalla scodella più grande ma si accorse subito che era troppo bollente per i suoi gusti, così assaggiò quella nella scodella media, che invece era troppo fredda! Infine prese la scodella più piccolina e, siccome la zuppa era perfetta, la mangiò tutta.

Poi Riccioli d’Oro, sentendo la pancia piena, decise di riposarsi un pochino su una delle poltrone del salotto. Cercò di salire su quella più grande, ma per lei era troppo alta. Così provò quella media, che però era troppo scomoda. Alla fine si sistemò sulla poltroncina piccolina, che era comodissima, ma Riccioli d’Oro iniziò a dondolarsi avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro… finchè la poltroncina non si ruppe in mille pezzi!

Stanca e infastidita per la poltroncina che si era rotta proprio nel momento in cui si stava divertendo di più, Riccioli d’Oro decise di salire a riposarsi al piano di sopra, dove si trovava la camera da letto dei tre orsi.

Si sdraiò sul letto più grande, che però era troppo alto! Provò allora il letto medio, ma era troppo largo! Alla fine si sdraiò sul lettino piccolino, che era perfetto per lei, e si addormentò.

I tre orsi finalmente tornarono dalla loro passeggiata e con sorpresa trovarono la porta di casa aperta.
Entrati, il papà orso esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
E mamma orsa a sua volta esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
Mentre il piccolo orsetto, con voce triste disse:
‒ Chi ha mangiato tutta la mia zuppa…?!

Poi papà orso si voltò verso il soggiorno e, notando tutti i cuscini della sua poltrona messi in disordine, disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Anche mamma orsa disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Il povero orsetto invece, guardando la sua poltroncina rotta in mille pezzi, disse tristemente:
‒ Chi ha rotto la mia poltroncina…?!

I tre orsi decisero di andare al piano di sopra, da dove sentivano arrivare un sonoro russare…
Papà orso, vedendo il suo letto tutto sottosopra, esclamò:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
E mamma orsa disse anche lei:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
Mentre il piccolo orsetto, tutto arrabbiato disse:
‒ Chi sta dormendo nel mio lettino!?

Mamma e papà orsi si girarono a guardare meravigliati la bimba che beatamente dormiva dentro il lettino del loro bambino ed esclamarono tutti all’unisono:
‒ E tu chi sei?!
Solo allora quella monella di Riccioli d’Oro si svegliò di soprassalto, guardando terrorizzata i tre orsi che le stavano attorno e, senza aspettare un attimo di più, prese a correre giù per le scale come un fulmine, infilò la porta di casa e corse via nel bosco senza mai farsi più rivedere.

I tre orsi si guardarono in faccia attoniti e senza parole, grattandosi la testa per l’accaduto.

Presto papà orso sistemò la poltroncina del piccolo orsetto, mentre la mamma prese un po’ della sua zuppa e quella del papà per metterla nella ciotolina del loro cucciolo, così finalmente mangiarono tutti la zuppa felici e contenti!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il macinino magico 🌊

Perchè il mare è salato?

Il macinino magico è un racconto che si perde nella notte dei tempi e che cerca di dare una spiegazione fantastica al perchè il mare sia così tanto salato…

Noi di fabulinis abbiamo rielaborato un po’ la storia, così da spiegare con un pizzico di fantasia ai tuoi bimbi perché il mare è salato.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il macinino magico 🌊“!

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Cristina!

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Il macinino magico 🌊


C’erano una volta due fratelli, Enrico che era ricco ma antipatico, e Nicola che era simpatico, ma senza nemmeno un soldo bucato.
Una sera Nicola, aprendo la dispensa della cucina e vedendola ancora vuota, decise di andare dal fratello per chiedergli qualcosa da mangiare.

– Sempre qui a chiedere qualcosa tu…” – disse sbuffando Enrico – tieni, ti do questo bel pezzo di carne, ma che sia l’ultima volta che vieni qui a chiedere qualcosa, la prossima volta sarà meglio che tu vada al diavolo!

Nicola, prese la carne e si avviò verso casa tutto preoccupato, stava facendo buio, e tutto preso dai suoi pensieri non si accorse di aver sbagliato strada.
– Mi sa che questa volta ho fatto proprio arrabbiare Enrico… la prossima volta che non avrò nulla da mangiare farò meglio ad andare direttamente dal diavolo a chiedere qualcosa.

Caso vuole che proprio nei paraggi c’era un vecchietto con la barba lunga e bianca, che mentre si stava riposando dallo spaccar la legna, aveva ascoltato le parole di Nicola.
– Ho sentito le tue parole ragazzo mio, se vuoi ti posso aiutare e vedrai che non sarà necessario andare dal diavolo – disse il vecchietto.

– Veramente tu mi puoi aiutare? – rispose Nicola, e il vecchietto annuì.
– Dammi quel pezzo di carne e io in cambio ti darò un macinino magico.
– E cosa ci faccio con un macinino magico? – disse Nicola dubbioso.

Il vecchietto sorrise, entrò nella sua casetta e tornò con il mano il macinino.
– Guarda, puoi chiedergli tutto quello che vuoi.

Il vecchietto poggiò il macinino a terra e disse – macina della legna! – batté due volte le mani e il macinino iniziò a sputar fuori pezzi di legna a tutt’andare.
– Smetti di macinare! – batté di nuovo le mani e il macinino si fermò.
– Allora lo vuoi? – chiese il vecchietto a Nicola.

Nicola senza farselo dire due volte diede il pezzo di carne al vecchietto e prese in mano il macinino, ma quando rialzò lo sguardo per ringraziarlo, il vecchietto e la sua casetta non c’erano più.
Nicola corse a casa dalla moglie, che vedendolo rincasare col macinino in mano e senza nulla da mangiare lo rimproverò subito.
– Aspetta cara! – disse Nicola – guarda!

Nicola poggiò sulla tavola il macinino e disse battendo le mani.
– Macina una tavola imbandita piena di cibo! – e il macinino partì ad apparecchiare la tavola con ogni ben di dio.

Quando ebbe finito Nicola batté di nuovo le mani e il macinino si fermò.
Sua moglie era sbalordita, e da quella sera non ebbero più fame, anzi iniziarono ad invitare tutti i loro amici a cena preparando delle feste sempre più grandi e meravigliose.

Enrico, il fratello di Nicola, non riusciva a spiegarsi il motivo di tutta quella improvvisa fortuna. Così durante una delle cene di Nicola, Enrico si nascose in cucina per capire come mai Nicola aveva vietato a tutti di entrarci, e lì vide il macinino in azione.

Non appena Nicola uscì dalla cucina, Enrico prese il macinino e scappò via. Ma Enrico era talmente ricco che di quel macinino non sapeva bene che farsene, lo aveva rubato al fratello solo per fargli un dispetto e perché era invidioso del fatto che era diventato quasi più ricco di lui.

Così, per non farsi scoprire come il ladro che aveva rubato il macinino al fratello, Enrico decise di sbarazzarsene.
– Andrò al porto e lo darò a qualche capitano che se porti via con sé per i sette mari, così Nicola non lo troverà mai più e non saprà a chi dare la colpa.

Così Enrico andò al porto e chiamò vicino a sé il capitano di una nave.
Gli spiegò che con quel macinino avrebbe potuto macinare tutto quello che voleva.
– Macina anche il sale? – chiese il capitano.
– Si si, tutto quello che vi serve – rispose Enrico — funziona così…

Enrico batté le mani e disse macina del sale, il macinino cominciò e il capitano vedendo quel prodigio non capì più nulla, strappò dalle mani di Enrico il macinino e scappò via.

Il macinino continuava a produrre sale, e in men che non si dica il capitano riuscì a riempire la sua barca.
– Così non sarò più costretto a navigare per i mari più pericolosi in cerca del sale! – disse il capitano.

Ma il capitano non aveva aspettato di sapere come fermare il macinino, che continuava imperterrito a produrre sale.
Finché ogni angolo della nave fu piena, tanto che il capitano si ritrovava su una montagna di sale.
Il capitano disperato e preoccupato per la nave che stava per affondare, decise a malincuore di buttare il macinino nel mare.

Il macinino andò a posarsi sul fondo, ed è ancora lì che macina sale senza fermarsi mai.
Ecco perché il mare è salato.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La Bella e la Bestia 👧🦁

La Bella e la Bestia: mai giudicare dall’aspetto il buon cuore delle persone

Dietro le mura di un castello misterioso si cela una creatura spaventosa, la Bestia, e un incantesimo che solo il vero amore può spezzare.

Bella, giovane e coraggiosa, accetta di affrontare l’ignoto per salvare suo padre.

Ma ciò che trova va oltre ogni immaginazione: un mondo di magia, segreti nascosti e un cuore che attende di essere riscoperto.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La Bella e la Bestia 👧🦁“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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La Bella e la Bestia 👧🦁


C’era una volta un mercante a cui la fortuna aveva girato le spalle, ed era caduto in disgrazia insieme alla figlia dolce e gentile che si chiamava Bella.
Un giorno il mercante decise di andare a tentar fortuna in una lontana città, dove aveva sentito che al porto stavano arrivando delle navi piene di merci esotiche.

Prima di partire chiese a Bella cosa volesse per regalo di ritorno dal suo viaggio.
– A me basta solo una rosa, perché la cosa più importante è il bene che ti voglio, papà – rispose Bella.
Il padre commosso, partì per il lungo viaggio, ma purtroppo quando arrivò al porto non riuscì a combinare nessun affare, e riprese il cammino verso casa ancora più povero di prima.

Ma quando ormai mancava poco per arrivare a casa, il padre di Bella fu preso alla sprovvista da una forte bufera.
Si rifugiò dentro l’unico edificio che riuscì a vedere nelle vicinanze, un castello che pareva abbandonato.
Dentro al castello però c’era una bellissima e rigogliosa serra piena di piante e fiori, tra cui anche un roseto. Il padre di Bella si ricordò della promessa fatta alla figlia, e senza pensarci, prese una rosa da portarle in dono.

Ma non appena la colse si sentì afferrare da delle possenti braccia che lo immobilizzarono e lo legarono come un salame. Era il padrone del castello, e la sua faccia era simile a quella di una bestia feroce, come un leone!
– Come osi raccogliere le mie rose! – ruggì la Bestia.
– Mi scusi signore, mi sono rifugiato nel suo castello per ripararmi dalla bufera, e quando ho visto queste magnifiche rose mi son ricordato della promessa che ho fatto a mia figlia…

– Quale promessa? – ringhiò la Bestia.
– Che di ritorno dal mio lungo viaggio al porto le avrei portato una rosa in dono.
La Bestia grugnì.
– Così tu hai una figlia… dovrei ucciderti, ma se in cambio della tua vita, tu porterai la tua figlia qui, lei vivrà per sempre insieme a me e tu sarai libero!

Lì per lì il mercante, non sapendo cosa fare, disse di sì, ma uscito dal castello e imboccato il sentiero di casa si pentì di quello che aveva fatto:
– Saluterò Bella e le dirò quanto le voglio bene, poi tornerò dalla Bestia e affronterò il mio destino.
Così arrivò a casa, abbracciò la figlia e le diede in dono la rosa, dicendole anche che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.

Bella non capiva ed insisteva per farsi spiegare il perché, finché suo padre non le raccontò tutta la storia.
– Ma allora è tutta colpa mia! – disse Bella tra le lacrime.
– Come colpa tua? – le rispose il padre.
– Se io non ti avessi chiesto in dono questa rosa, tu adesso non saresti in questa situazione… non è giusto!
Bella insistette così tanto che alla fine costrinse suo padre ad accompagnarlo al castello della Bestia.
Quando arrivarono fu la stessa Bestia in persona ad aprire il portone.

– Vedo che hai mantenuto la promessa – disse rivolto al padre di Bella, poi con un gesto fulmineo prese con sé la ragazza e chiuse con forza il portone dietro di sé.
Il padre di Bella cercò con tutte le forze di entrare, batté forte i pugni sul portone, prese un lungo bastone cercando di forzare la serratura, ma niente, il portone non si aprì…
Bella ormai era prigioniera nel castello della Bestia, ma contrariamente a quello che pensava, la Bestia non trattò mai male Bella, anzi.

La bestia era molto premurosa nei suoi confronti, la trattava sempre con gentilezza, aveva sempre un pensiero carino per lei e non le faceva mancare niente.
Ascoltava con attenzione tutte le storie che Bella gli raccontava la sera e poi, con un inchino, si congedava e andava a dormire, per poi farle sempre trovare la colazione pronta al mattino.
Bella amava passeggiare per la stupenda serra fiorita, e la Bestia la accompagnava con piacere. Stare accanto a lei era veramente incantevole, tanto che senza nemmeno accorgersene, se ne innamorò.

Ma a Bella mancavano tanto la sua casa e il suo papà. Una sera la Bestia la vide piangere e le chiese il perché. Quando scoprì il motivo di tanto sconforto le regalò uno specchio magico.
Nello specchio Bella poteva vedere una stanza della sua casa, e di conseguenza come stava suo padre. Ma purtroppo suo padre non stava tanto bene. Si era ammalato e arrivò il giorno in cui Bella nello specchio lo vide immobile a letto.

Bella si disperò e decise di chiedere alla Bestia se poteva tornare a vedere suo padre almeno per l’ultima volta.
– E’ molto malato, vedi? – e fece vedere lo specchio alla Bestia, che grugnì di disappunto.
– E va bene, vai pure, ma se entro una settimana non tornerai, io morirò certamente di crepacuore.
Sentendo quelle parole, Bella capì cosa provava per lei la Bestia.

– Tornerò – disse sorridendo, poi prese le sue cose e uscì dal castello.
Che sorpresa fu per suo padre rivedere Bella, sana e salva e pure ben vestita! La visita di sua figlia gli fece talmente bene che già il giorno dopo stava meglio.
E così fu per tutti i giorni seguenti, tanto che alla fine della settimana il padre di Bella era tornato in piena forma.
– Ora che stai meglio papà, io dovrei tornare al castello.
– Non tornare figlia mia – le disse – se mi sono ammalato è per il dispiacere di non averti qui accanto a me! Rimani qui con me ancora un giorno, così da rimettermi ancora meglio.

Bella esitò un momento, ma non riuscì a lasciare da solo il padre che era così felice di rivederla.
Passò un giorno, poi due e poi tre, e ogni volta suo padre riusciva a trattenerla con la scusa di guarire sempre di più dalla sua malattia.
Ma a Bella la Bestia iniziava a mancare veramente. Solo ora che non era più con lui si era accorta di quanta gentilezza aveva avuto nei suoi confronti e di quanto buono fosse il suo cuore.
E poi il rimorso della promessa non mantenuta era troppo forte, e la sua coscienza non le dava pace. Così quella notte decise di scappare e tornare al castello.

Quando finalmente arrivò, Bella trovò la Bestia per terra agonizzante. Lo prese tra le sue braccia e lo sollevò, ma lui quasi non respirava più.
– Sono tornata! Sono tornata da te! Scusami se ci ho messo così tanto…
La Bestia riuscì ad aprire un poco gli occhi e la guardò con dolcezza.
– Cosa posso fare per aiutarti? – gli chiese con voce tremante Bella.
Bestia fece un lungo sospiro, esitò, finché in un sussurro disse:
– Un bacio… solo un ultimo bacio di addio.

Bella gli prese il viso, lo guardò negli occhi lacrimanti, si avvicinò e lo baciò, chiudendo gli occhi.
Un forte brivido scosse tutto il corpo della Bestia, tanto che Bella si spaventò. Ma la sorpresa fu davvero enorme quando vide che la Bestia si era trasformato in un bellissimo uomo.
– Ma cosa è successo? – domandò Bella incredula ma felice come non mai.
– Col tuo bacio hai spezzato l’incantesimo di una fata malvagia che mi aveva trasformato in Bestia per gelosia… grazie mia Bella…
Bella lo abbracciò forte, lui si sentiva già meglio.

Pochi giorni dopo il Principe che era stato trasformato in Bestia si era rimesso in perfetta salute. Finalmente poteva stare accanto alla sua Bella tenendola per mano senza doversi nascondere per il suo aspetto, e di lì a poco si sarebbero anche sposati.
E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il gigante egoista 😡

Chi allontana da sè i bambini non può che diventare solo, vecchio e triste; e nel suo cuore albergherà soltanto un freddo inverno…

Questa fiaba si ispira al racconto originale di Oscar Wilde semplificandola un poco per farla apprezzare anche ai bimbi più piccoli.

Noi di fabulinis siamo d’accordo con l’autore: i bambini ci faranno anche dannare, questo è certo, ma portano luce e gioia nella nostra vita. Portano la primavera.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “Il gigante egoista 😡“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il gigante egoista 😡


C’era una volta un gigante che era andato a trovare il suo amico orco e insieme avevano deciso di fare un lungo viaggio in giro per il mondo.
La casa del gigante aveva un grande giardino pieno di alberi e fiori, e tutti i bambini del paese, visto che lui non era più lì, avevano iniziato ad andarci a giocare ogni giorno.

Ma, dopo sette lunghi anni, il gigante ritornò. Vedendo tutti quei bambini giocare nel suo giardino, li cacciò via e decise di costruire un muro per impedire che tornassero di nuovo.
Una volta finito il muro, ci mise sopra un gran cartello con scritto “VIETATO ENTRARE” e si chiuse dentro casa.
Era inverno, e finalmente il gigante poteva godersi il suo bel giardino in santa pace e senza tutti gli schiamazzi dei bambini.

I bambini del paese ci rimasero molto male per il gesto egoista del gigante, ma non potevano farci nulla e dovevano trovare altri posti dove giocare. Ma nessun altro giardino era così bello come quello del gigante.

Arrivò la primavera e il gigante ogni giorno controllava che nel suo giardino non ci fossero bambini. Un giorno però si accorse di una cosa strana: fuori dal muro del suo giardino gli alberi e i fiori ricoprivano i prati e riempivano campi, mentre dentro al suo giardino pareva ancora inverno con ghiaccio e neve ovunque…

Il gigante, egoista com’era, fece finta di niente e continuò a vivere rinchiuso dentro le mura del suo giardino.
Ma anche l’estate arrivò e dentro il giardino del gigante imperversava ancora l’inverno. Senza i bambini il suo giardino si era rifiutato di tornare vivo e pieno di fiori!

Il gigante, con tutto quel continuo freddo finì per ammalarsi, e passava le sue giornate a letto, controllando sempre dalla finestra che nel suo giardino non ci fossero bambini.

E arrivò l’autunno e poi un altro inverno, finché il gigante, sempre più malato, sentì il canto di un uccellino.
Era quasi primavera e al gigante quello era sembrato il canto più bello del mondo.
Si alzò a fatica per vedere da dove arrivasse quella melodia e notò un uccellino fermo sul davanzale che cantava felice.

Il cuore del gigante si riempì di felicità: finalmente anche nel suo giardino gli uccellini erano tornati a cantare! Poi si sporse e guardò giù nel suo giardino.
C’erano tre bambini che giocavano felici, e ovunque correvano facevano sparire il ghiaccio e la neve dal suo giardino, riportando i fiori e l’allegria.

I tre bambini avevano fatto un buco nel muro e si erano intrufolati dentro, ma il gigante finalmente aveva capito: era solo grazie a loro se adesso anche nel suo giardino era tornata la primavera e gli uccellini avevano ripreso a cantare.
Il gigante scese in giardino. I bambini, quando lo videro, scapparono terrorizzati e si nascosero dietro il tronco di alcuni alberi.

Ma il gigante li rassicurò subito:
– Non voglio farvi del male bimbi miei, anzi, voglio ridarvi tutto il mio giardino!
E prese subito a buttare giù il muro che aveva costruito.
Man mano che lo buttava giù, invece di sentirsi stanco, si sentiva sempre più pieno di forza e vigore, ed il suo cuore si riempiva di gioia.

Tra i bambini del paese si sparse subito la voce che il gigante era diventato buono, e il suo splendido giardino si riempì di nuovo di bambini festanti.
Il gigante finalmente si sentiva felice passando le giornate a giocare insieme ai bambini. E da quel giorno in quel giardino fu sempre primavera.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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