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Tag: pazienza

Lo Pterodattilo Volas e Tonko il Brontolone 🦖

Serve sempre la forza per superare un ostacolo… o a volte basta solo cambiare punto di vista?

Tonko, un Anchilosauro grande e corazzato, risolvere tutto… a colpi di coda!
Ma cosa succede quando la sua forza lo mette nei guai e un sasso troppo grosso finisce proprio dove non dovrebbe?

In questa favola colorata e divertente, ritroveremo anche Volas, lo Pterodattilo saggio e curioso, che con il suo spirito riflessivo aiuterà Tonko a vedere le cose in modo diverso.

Tra spruzzi d’acqua, risate e piccoli disastri, nascerà una lezione preziosa: a volte, per andare avanti, non serve spingere più forte… ma pensare un po’ meglio.

Preparatevi a sorridere assieme ai dinosauri e scoprire che anche i più testardi possono imparare a usare la testa!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Lo Pterodattilo Volas e Tonko il Brontolone 🦖“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Lo Pterodattilo Volas e Tonko il Brontolone 🦖


Nella verdeggiante Valle di Rocciaverde, il sole splendeva alto, e l’aria profumava di felci e bacche dolci.
Volas lo Pterodattilo svolazzava tranquillo nel cielo, godendosi le correnti d’aria. Da lassù, la valle sembrava un enorme tappeto verde, interrotto solo da qualche ruscello scintillante.

Mentre volteggiava, Volas sentì un rumore pesante e arrabbiato.
TUM! TUM! TUM!
Volas abbassò lo sguardo e vide un enorme Anchilosauro che avanzava sbuffando tra i cespugli, scuotendo la coda corazzata.

– Ehi, ciao amico, come ti chiami? – chiese Volas, atterrando su un ramo vicino.
– Sono Tonko! – rispose il dinosauro con voce burbera – E sono stufo di tutti questi sassi fastidiosi!

Volas lo osservò incuriosito.
– Sassi? Ma la valle è piena di sassi! Perché ti danno tanto fastidio?
Tonko sbuffò – Perché sono sempre sul mio cammino! Li calpesto, inciampo e mi fanno cadere! Guarda questo! – e con un colpo di coda, lanciò via un grosso masso che rotolò giù per la collina.

Volas ridacchiò.
– Beh, forse invece di arrabbiarti, potresti aggirarli o usarli in qualche altro modo!
Tonko alzò il muso, offeso.
– Io non aggiro niente! Io sposto!

E con un altro TUMP!, colpì un sasso enorme con la coda, facendolo rimbalzare… dritto dentro un ruscello!
L’acqua schizzò dappertutto, bagnando Tonko dalla testa alla coda.

Volas si coprì il becco con l’ala per non scoppiare a ridere.
– Beh… direi che quel sasso ha deciso di farti il bagno!
Tonko borbottò, scrollandosi l’acqua di dosso.
– Uffa! Non è giusto! Io sono forte, quindi sposto tutto quello che mi dà fastidio!

Volas scosse la testa.
– Ma sei sicuro che sia sempre la soluzione giusta? A volte basta guardare le cose da un’altra prospettiva!
Tonko grugnì – Bah! Io non ho bisogno di prospettive! Ho questa coda e la userò!
Proprio davanti a lui ora c’era un sasso gigante che gli bloccava il sentiero. Con un gran respiro, Tonko alzò la coda e…
BOOOOM!

Il sasso rotolò via con un tonfo… e finì dritto davanti all’ingresso della sua caverna!
Tonko spalancò gli occhi.
– Oh no! Ora come faccio a entrare?!

Volas, che svolazzava lì vicino, rise.
– Forse adesso capisci che non sempre spostare le cose a caso è una buona idea!
Tonko rimase in silenzio per un momento, poi sbuffò.
– Forse hai ragione… ma come faccio ora a spostarlo?

Volas sorrise.
– Vedi? Ora hai capito! Se ci pensiamo insieme, troveremo una soluzione!
Con un po’ di aiuto e usando leve fatte di rami robusti, Tonko e Volas riuscirono a far rotolare il masso di lato, liberando l’ingresso della caverna.

Tonko tirò un sospiro di sollievo e guardò Volas.
– Okay, forse dovrei smetterla di colpire tutto con la coda… e pensare un po’ di più!
Volas annuì.
– Bravo! A volte basta usare un po’ di testa invece che troppa forza!

E così, da quel giorno, Tonko imparò che non tutto si risolve a colpi di coda.
E quando si trovava davanti un problema, invece di arrabbiarsi, si fermava a pensare prima di agire!

Morale della storia: La forza è utile, ma è l’intelligenza che aiuta a risolvere i problemi nel modo giusto!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Vess il Distratto e lo Pterodattilo Volas 🦖

Può un dinosauro imparare a volare… senza ali? La strampalata lezione di Vess il Velociraptor

Vess, il Velociraptor più veloce e più sbadato della valle, sempre di corsa, sempre distratto, ha un sogno grande come il cielo: volare come uno Pterodattilo. Ma quando tenta il grande salto, finisce in un cespuglio appiccicoso!

E se vi dicessimo che da quell’atterraggio buffo nasce un’amicizia inaspettata e una sfida ancora più grande?
Con l’aiuto di Volas, un simpatico Pterodattilo saggio, Vess scoprirà che correre veloce non basta per imparare qualcosa di nuovo.
Serve pazienza, pratica e… orecchie ben aperte.

Pronti a spiccare un balzo tra le rocce e le nuvole, per seguire una storia di voli mancati, atterraggi acrobatici e piccole grandi lezioni?
Allacciate le cinture… si parte!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Vess il Distratto e lo Pterodattilo Volas 🦖“!

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Vess il Distratto e lo Pterodattilo Volas 🦖


Nella rigogliosa Valle di Rocciaverde, tra le alte felci e i tronchi nodosi degli alberi giganti, viveva Vess il Distratto, un velocissimo Velociraptor… ma anche il dinosauro più sbadato della valle!

Un giorno, mentre Vess saltellava tra i sassi lungo il Fiume Serpeggiante, sentì un’ombra passargli sopra la testa.
Alzò lo sguardo e vide un grande Pterodattilo librarsi nel cielo con le sue enormi ali, disegnando cerchi eleganti tra le nuvole.

Vess rimase a bocca aperta.
– Ehi, che bello volare! Deve essere facilissimo! – esclamò, agitando le zampette per l’entusiasmo.

Lo Pterodattilo, che stava cercando un posto per atterrare, lo sentì e ridacchiò. Con un battito d’ali, planò con grazia su una roccia.
– Facile? Ah! Ci vogliono equilibrio, pratica e soprattutto tanta attenzione!

Ma Vess, come sempre, non ascoltò.
– Macché! Se tu ci riesci, posso farlo anch’io! Guarda!
E senza pensarci due volte, si arrampicò su un grosso masso e spiccò un grande salto nel vuoto…
…solo per cadere dritto dentro un cespuglio di bacche appiccicose!

– Bleah! Ma che schifo! – borbottò, mentre cercava di liberarsi dalle foglie che gli si erano attaccate dappertutto.

Lo Pterodattilo scoppiò a ridere e lo aiutò a rialzarsi.
– Te l’avevo detto! Volare non è solo questione di saltare nel vuoto!

Vess sbuffò, ripulendosi le zampe.
– Forse hai ragione… Ma posso almeno provare a imparare?
Lo Pterodattilo sorrise.
– Non posso di certo insegnarti a volare, visto che non hai le ali, ma posso insegnarti a fare grandi salti e atterrare senza farti del male, ma mi devi ascoltare!

Così, nei giorni successivi, Volas insegnò a Vess come bilanciarsi e, dopo tanto esercizio, Vess riuscì a fare un grande balzo da un’alta roccia e, con una bella capriola, atterrare in piedi senza farsi male!

– Ce l’ho fatta! – gridò felice Vess.
Volas annuì.
– Vedi? Serve pazienza per imparare davvero qualcosa!
Da quel giorno, Vess capì che per imparare qualcosa di nuovo, non bastava essere veloce… ci voleva anche attenzione, tanta pratica e ascoltare i consigli giusti!

Morale della storia: Prima di buttarsi in qualcosa di nuovo, è importante imparare con pazienza e attenzione!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖

Velocità o saggezza?
Tito il Triceratopo e Vess il Velociraptor affrontano un pericolo preistorico in questa avvincente fiaba sulla vera forza dell’amicizia.

Nella rigogliosa Valle di Rocciaverde vivono due amici inseparabili: Tito il Triceratopo, forte e saggio, e Vess il Velociraptor, velocissimo ma… un po’ distratto!

Quando un gigantesco T-Rex minaccia la loro tranquillità, Vess impara a sue spese che non basta essere veloci per cavarsela: servono attenzione, prudenza e, soprattutto, ascoltare i consigli di chi ti vuole bene.

Un’avventura preistorica piena di emozioni, amicizia e una lezione preziosa per grandi e piccini.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖“!

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Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖


Tanto tempo fa, nella rigogliosa Valle di Rocciaverde, vivevano due amici inseparabili: Tito il Triceratopo e Vess il Distratto, un giovane Velociraptor.

Tito era forte, saggio e paziente. Aveva una pelle color terra bruciata, tre corna affilate e un enorme collare osseo che usava per proteggersi dai pericoli.

Vess, invece, era minuto, veloce come il vento e… terribilmente sbadato. Dimenticava sempre tutto: dove aveva nascosto il pranzo, quale strada portava alla grotta e, soprattutto, i saggi consigli di Tito.

Un giorno, mentre passeggiavano lungo il Sentiero delle Felci Giganti, Tito sospirò:
– Vess, devi fare più attenzione! La giungla è piena di pericoli!
Vess rispose ridacchiando.
– Ma dai, Tito! Io sono il dinosauro più veloce della Valle di Rocciaverde! Se c’è un problema… scappo!

Tito scosse la testa. Conosceva bene il suo amico: sempre troppo sicuro di sé e mai attento a dove metteva le zampe!

Proprio in quel momento, un Tyrannosaurus Rex, enorme e dal respiro pesante, sbucò dagli alberi con un GRAAAAR! spaventoso.

Gli uccelli preistorici volarono via spaventati, mentre il terreno tremò sotto i passi del gigantesco predatore.

Vess spalancò gli occhi e fece quello che sapeva fare meglio: corse via a tutta velocità!
Solo che… corse nella direzione sbagliata!

Con un gran tonfo, finì dritto dentro una pozza di fango, rimanendo impantanato fino al collo.
Scalciò, si agitò, cercò di liberarsi… ma più si muoveva, più affondava!

Il T-Rex avanzava, mostrando i suoi denti affilati. Tito, senza perdere la calma, piantò le zampe nel terreno, abbassò la testa e puntò le sue enormi corna.
– Indietro, dentone! Se vuoi il mio amico, dovrai batterti con me! – ruggì il Triceratopo.

Il T-Rex si fermò osservando Tito. Un Triceratopo ben piazzato non era una preda facile… e nemmeno conveniente!
Il T-Rex grugnì infastidito, poi con un ultimo sguardo minaccioso si voltò e sparì nella foresta.

Tito si avvicinò a Vess e, con una zampata decisa, lo aiutò a uscire dal fango.
Il Velociraptor era sporco da testa a piedi, con una foglia enorme appiccicata sulla testa.

– Vess, hai capito la lezione?
Vess sputò un po’ di fango e annuì:
– Sì, sì… la prossima volta ti ascolterò! Anche perché il fango ha un sapore orribile!

Tito rise e insieme si incamminarono verso casa, mentre il sole tramontava dietro le montagne.

Morale della storia: Essere veloci è utile, ma ascoltare i consigli degli amici, e stare attenti, lo è ancora di più!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il racconta fiabe 👦

L’avventura di Matteo alla ricerca della fantasia perduta.

C’è un tempo in cui le fiabe sembrano tutte già raccontate e ogni storia è una vecchia melodia.

È quello che accade a Matteo, un giovane narratore un po’ smarrito, che scoprirà come dietro ogni parola possa nascondersi un nuovo incanto, basta saperlo cercare nel posto giusto.

In questa fiaba ritroverete tanti personaggi familiari e un insegnamento: le storie più belle non vengono da un libro, ma dal cuore e dagli occhi di chi ascolta.

Sei pronto a seguir Matteo in questo viaggio tra boschi, incantesimi e fiabe mai sentite prima?

Questa fiaba si ispira al racconto popolare napoletano scritto da Luigi Capuana, noi di fabulinis l’abbiamo rielaborata e un po’ semplificata per essere raccontata anche ai bambini più piccoli


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il racconta fiabe 👦“!


Guarda la videofiaba

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il racconta fiabe 👦


C’era una volta Matteo, un giovanotto che aveva cambiato tanti lavori, ma con scarsi risultati.

Un giorno gli venne l’idea di andare in giro a raccontare fiabe ai bambini. Gli sembrava un lavoro facile, perciò andò nella città vicina e cominciò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti, spinti dalla curiosità.

Lui cominciò:
– C’era una volta un Re e una Regina, che non avevano figli, e non sapevano più…
– Ma questa la sappiamo! – dissero i bambini – E’ “La Bella addormentata nel bosco”. Un’altra! Un’altra!
– Va bene, ve ne dirò un’altra – disse sospirando, e cominciò:
– C’era una volta una bambina, che abitava nel bosco e aveva la nonna malata…
– Ma anche questa la sappiamo: è “Cappuccetto Rosso”! Un’altra! Un’altra!
Matteo, un po’ seccato, ricominciò da capo:
– C’era una volta un signore che aveva una figlia. La moglie era morta e si era risposato con una vedova che aveva due figlie…
– Ma è “Cenerentola”… sappiamo a memoria anche questa!
E visto che Matteo sapeva soltanto fiabe vecchie, i bambini si alzarono e andarono via.

Matteo partì e andò in un’altra città. Appena arrivato, cominciò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti, spinti dalla curiosità. Ma ogni volta che l’uomo cominciava una fiaba, i bambini gridavano:
– La sappiamo! La sappiamo!
E visto che sapeva soltanto fiabe vecchie, i bambini si alzarono e andarono via.

Cambiò parecchie città, sempre con poco successo, perciò alla fine Matteo si perse d’animo.
Triste e sconfortato, continuò a camminare, e, senza accorgersene, si perse in mezzo a un bosco.
Arrivata la notte, cercò un posto per dormire, ma aveva una gran paura e non riusciva a chiudere occhio.

A mezzanotte in punto vide una gran luce nel bosco: da ogni pianta sbucava gente che rideva, cantava e ballava.
Era capitato in mezzo alla fiera delle Fate!
Gli venne in mente che le Fate potevano vendergli delle fiabe nuove nuove, e così incuriosito, si fece coraggio e si avvicinò.

Si fermò davanti a una Fata che vendeva fiori e domandò:
– Avete fiabe nuove?
– No, fiabe nuove non se ne trovano più… – disse la Fata sollevando le spalle.
Allora Matteo domandò a quella vicina:
– Avete fiabe nuove?
– Fiabe nuove non se ne trovano più! – disse ridendo la seconda Fata.

E andò avanti così con tante altre Fate, finché l’ultima, vedendolo triste e sconsolato, gli disse:
– Sai dove le puoi trovare? Da una vecchia Fata, si chiama Fata Fantasia. Ma attento: non le vuole dare a nessuno! Vive da sola in una grotta, e dovresti andare da lei in compagnia della Bella addormentata nel bosco, di Cappuccetto rosso, di Cenerentola, di Pollicino e gente simile, altrimenti si arrabbia… Tu prova, però sarà un’impresa difficile.
– Non importa, ci proverò. Grazie!

Così iniziò a cercare nel bosco i suoi compagni di viaggio:
– Bella addormentata, ti prego, vieni con me da Fata Fantasia?
– Volentieri!
– Cappuccetto rosso, verresti anche tu con me? Vado da Fata Fantasia…
– Va bene!
– O Cenerentola, ti prego, vieni anche tu!
– Ma certo!
Riuscì a radunarli tutti, e così partirono. Arrivarono alla grotta dove la vecchia Fata Fantasia viveva rinchiusa, e bussarono alla porta.

– Chi è?
– Siamo noi! – dissero tutti insieme.
Fata Fantasia, sentendo quelle voci familiari, venne ad aprire.
– Che bello vedervi! – disse sorridente, ma appena vide Matteo si arrabbiò:
– E tu chi sei? Come osi venire da me!
E voleva cacciarlo via.

Ma gli altri la tranquillizzarono e le raccontarono il motivo della loro visita:
– Matteo è molto triste. È un racconta fiabe, ma i bambini, che già sanno a memoria le nostre storie, ora vogliono delle fiabe nuove! E lui non sa come fare… Fata Fantasia, aiutalo tu!
– Fiabe nuove non ce ne sono più! – sorrise la Fata.
– Fata Fantasia, aiutami, ti prego! – disse Matteo piangendo.
Sentendosi pregare con le lacrime agli occhi, Fata Fantasia s’intenerì:
– Torno subito. – disse.

Rientrò nella grotta, e dopo un po’ si ripresentò con il grembiule pieno di oggetti strani:
– Tieni, queste cose forse ti aiuteranno.
E gli diede un biscotto, un ranocchio, un fiocco di neve… insomma tante cose strane.
– Cosa ci faccio?
– Portali con te e vedrai.
Matteo, anche se poco convinto, ringraziò comunque Fata Fantasia, accompagnò gli altri a casa e, arrivato nella prima città, iniziò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti.

Lui prese in mano il biscotto e cominciò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. E raccontò la fiaba de “L’omino di pan pepato”, che fu un successo!
– Un’altra! Un’altra! – gridarono i bimbi.
E Matteo, preso a caso dalla borsa uno dei regali della Fata, cominciò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. E raccontò la fiaba de “Il Principe ranocchio”, un altro successo!
– Un’altra! Un’altra! – gridarono i bimbi.

Matteo alla fine ne raccontò un sacco, e si divertiva anche più dei bambini.
Poi cambiò città:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
E ricominciò da capo. I bambini erano contentissimi.

Ma, passato poco tempo, le fiabe erano sempre le stesse: L’omino di pan pepato, Il Principe ranocchio, Nevina e Solleone… finché i bambini piano piano si stufarono, e appena cominciava:
– C’era una volta… – lo interrompevano:
– La sappiamo, la sappiamo a memoria!
Cosa poteva fare Matteo di quelle fiabe, ora che i bambini non volevano più sentirle?

Triste e sconsolato, pensò di regalarle al Mago Merigio, un mago che collezionava fiabe vecchie che nessuno voleva più sentire.
Decise di andare a trovarlo.
Il Mago Merigio, col suo barbone e gli occhi neri come il carbone, gridò:
– Chi sei? Che vuoi?
– Nulla, Mago; vengo solo a farti un regalo. Queste fiabe sono nuove e tu non le hai. Però i bambini ormai le sanno a memoria e non le vogliono più sentire, perciò ho pensato di regalartele per la tua collezione.

Il mago, stupito, si fece raccontare tutta la storia. Quando Matteo finì, il Mago Merigio gli sorrise con dolcezza e disse:
– Ah, sciocco! Non hai capito cosa ti è successo? Fata Fantasia ti ha aiutato con i suoi regali, ma la magia l’hai fatta tu: le fiabe sono uscite dal tuo cuore e come sono nate queste ne possono nascere altre mille.
– Non capisco… – disse Matteo.
– Vai nella città vicina e ricomincia a raccontare fiabe, ma non dimenticare di guardare bene i bambini negli occhi: la loro magia ti guiderà e andrà tutto bene.

Matteo ringraziò e partì. Arrivato in città iniziò a gridare:
– Fiabe, bambini, fiabe! Chi vuol sentire le fiabe?
I bambini accorsero da tutte le parti.
Guardandoli bene negli occhi iniziò:
– C’era una volta…
Non sapeva cosa avrebbe raccontato, ma, aperta la bocca, le parole uscirono come se lui le avesse sempre sapute. Aveva ritrovato la sua fantasia di bambino, che da quel momento non lo abbandonò mai più.

Così continuò a fare il racconta fiabe, per molto molto tempo, per la gioia di tanti bambini!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Tremotino 😈

Tra inganni e promesse, la fiaba di Tremotino: quando l’avidità incontra il suo destino.

Tremotino, il nanetto astuto e avido, è pronto a tutto pur di ottenere ciò che desidera.

Questa famosa fiaba, raccolta dai fratelli Grimm, racconta di come Tremotino aiuti la giovane Elga solo in cambio di doni e promesse, ma il suo piano non andrà come previsto.

Conosciuto anche come antagonista nel film “Shrek – e vissero felici e contenti”, Tremotino incarna l’inganno e l’avidità, ma la storia insegna che la furbizia non sempre vince.

Un racconto senza tempo che unisce magia, astuzia e una morale profonda.


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Tremotino 😈


C’era una volta un povero mugnaio, era vedovo e viveva con la sua figliola che si chiamava Elga.

Un giorno capitò al suo mulino il re e il mugnaio, per ingraziarselo e vantarsi un po’, gli disse:
– Ho una figlia che sa tramutare la paglia in fili d’oro.
Il re, stupito, disse al mugnaio:
– Se tua figlia è veramente capace di trasformare la paglia in fili d’oro, portala al mio castello, e io la metterò alla prova.

Il mugnaio, colto di sorpresa, non si azzardò a contrariare il re e, seppur a malincuore, condusse Elga al castello.
Il re fece rinchiudere la ragazza in una stanza ricolma di paglia e le disse:
– Ora mettiti al lavoro, se non avrai trasformato questa paglia in oro entro domani mattina, ti farò passare a miglior vita.

Elga rimase sola. Non sapeva cosa fare, men che meno come si potesse trasformare la paglia in oro e, per la disperazione, si mise a piangere.

Improvvisamente, da una fessura nel muro della stanza, entrò un ometto che disse:
– Buonasera fanciulla, perché piangi così tanto?
– Devo trasformare la paglia in oro e non so come fare! – disse la ragazza in lacrime.
– Se io ti aiuto, cosa mi darai in cambio?
– La mia collana! – disse Elga senza pensarci.

L’omino prese la collana e se la mise in tasca. Dopodiché prese tra le mani alcune manciate di paglia, le sfregò ben bene e ripose per terra un mucchietto d’oro.

Elga non credeva ai propri occhi. Il piccolo ometto andò avanti così per tutta la notte, finché all’alba tutta la paglia fu tramutata in oro. L’omino fece quindi un inchino a Elga e, come era apparso, scomparì nella fessura del muro.

Poco dopo arrivò il re e, quando vide tutta la paglia trasformata, ne rimase stupito e deliziato, ma il suo cuore divenne ancora più avido di oro.
Fece portare Elga in un’altra stanza piena di paglia, molto più grande della precedente, e le ordinò di trasformarla tutta in oro entro il giorno seguente, se ci teneva alla vita.

La ragazza non riuscì a trattenersi dal piangere. Poi come la notte precedente, da un’altra fessura del muro riapparve l’omino che le disse:
– Se io ti aiuto, cosa mi darai in cambio?
– Il mio anello! – rispose Elga disperata.

L’omino prese l’anello, iniziò a canticchiare e si mise al lavoro. Alle prime luci del mattino aveva trasformato tutta la paglia in oro scintillante.
Finito il lavoro l’omino fece un inchino a Elga e sparì di nuovo.

Il re fu felicissimo di trovare ancora tutta quella paglia trasformata in oro, ma non era ancora soddisfatto, ne voleva ancora di più.
Fece portare la figlia del mugnaio in una stanza ancora più grande con ancora più paglia e disse a Elga:
– Se tramuterai anche tutta questa paglia in oro, allora ti sposerò e diventerai regina! – “anche se è la figlia di un mugnaio”, pensò, “non troverò una donna al mondo che mi possa rendere più ricco.”

Quando la ragazza fu sola, l’ometto tornò per la terza volta e le disse:
– Se ti aiuto anche questa volta, cosa mi darai in cambio?
– Non ho più nulla da darti… – rispose in lacrime Elga.
– Allora promettimi che, quando sarai regina, mi affiderai il tuo primo figlio! – disse l’ometto.
Elga, non sapendo che altro fare, promise che avrebbe rispettato il patto.

L’omino allora trasformò di nuovo tutta la paglia in oro, e quando il re al mattino dopo trovò tutto come aveva desiderato, mantenne la sua promessa: sposò la bella figlia del mugnaio e Elga divenne regina.

Un anno dopo Elga partorì un bel bambino. Si era completamente dimenticata della promessa fatta all’omino, ma, il giorno successivo, lui le si presentò davanti dicendo:
– Ora dammi ciò che mi hai promesso! – e cercò di afferrare il piccolo.

Elga si spaventò – ti offro tutte le ricchezze del regno, ma lasciami il mio bambino!
– No! Un bambino è uno dei tesori più importanti al mondo.

Elga si mise a piangere disperata stringendo forte a sé il piccolo.
A quella scena l’omino ebbe un moto di compassione e le disse:
– Ti darò tre giorni per stare con tuo figlio e ti do una possibilità: se per allora indovinerai il mio nome, potrai tenerlo con te – e svanì nel nulla.

Per tutta la notte Elga non dormì tentando di ricordare tutti i nomi sentiti nella sua vita. Mandò anche un messaggero in tutto il reame, per chiedere in lungo e in largo se qualcuno conoscesse l’omino e quale fosse il suo nome. Purtroppo nessuno lo sapeva…

Ma il terzo giorno il messaggero tornò e le disse:
– Mia regina, non riuscivo a trovare nessuno che conoscesse il nome di questo omino, finché non sono arrivato su un’alta montagna. Nel folto della foresta ho visto un fuoco ardere davanti all’uscio di una casetta, e intorno al fuoco danzava un ometto bizzarro che cantava così:

“Oggi preparo frittelle e bignè
che domani c’è qui il figlio del re
perchè non lo sa nemmeno l’indovino
che il mio nome è Tremotino!”

Potete solo immaginare la felicità della regina quando udì quel nome, e quando l’ometto si ripresentò chiedendo:
– Ebbene, mia signora Regina, come mi chiamo?
Lei rispose sicura:
– Il tuo nome è Tremotino!

– Com’è possibile che tu lo sappia?! Te l’ha detto il diavolo, te l’ha detto il diavolo! – esclamò l’ometto, e per la rabbia pestò i piedi per terra con tanta forza che si formò una crepa sul pavimento.
Senza accorgersene Tremotino cadde dentro la fessura nel terreno, sparendo laggiù, e da quel giorno nessuno lo vide mai più.

La regina Elga e il suo figlioletto invece vissero per sempre felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La bella addormentata nel bosco 👸

Un incantesimo millenario racchiude il segreto del Castello Addormentato

C’era una volta un regno avvolto nel mistero, dove un castello dormiva da cent’anni, avvolto da una foresta impenetrabile di rovi e leggende. Nessuno osava avvicinarsi, ma si diceva che dietro quelle mura silenziose giacesse un segreto…

Un incantesimo che ha trasformato il tempo in un sonno profondo e il cuore del regno in un enigma. Solo chi possiede il coraggio di sfidare le tenebre e un cuore puro può tentare di spezzare l’incantesimo.

Preparatevi a scoprire una fiaba ricca di mistero e magia.


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La bella addormentata nel bosco 👸


C’era una volta un re, che viveva in un magnifico castello insieme alla regina e alla figlia, la piccola Aurora.
La bimba era nata da poco e i due sovrani erano così felici, che decisero di organizzare una grande festa per il suo battesimo.

Invitarono anche le fate che abitavano nel bosco, le quali arrivarono cariche di sorprese speciali per la piccola principessa.
Fu così che Aurora ricevette in dono bellezza, intelligenza, simpatia e tante altri doti che la rendessero una bambina davvero unica.

Purtroppo, però, il re non aveva invitato alla festa la fata più anziana del regno. Da tempo non si avevano sue notizie e tutti credevano che fosse morta.
Non sapevano quanto avrebbero pagato caro questo errore.

La fata venne a sapere della festa e si presentò al castello, più arrabbiata che mai.
– Vedo che state festeggiando senza di me – disse con sarcasmo. – E vedo che la principessa ha già ricevuto molti doni. Nessuno si offenderà se le offrirò anche il mio.
Così dicendo, alzò la sua bacchetta verso la culla di Aurora e tuonò:
– Sarai anche la più bella e la più intelligente di questo reame, ma ciò non ti servirà: prima del tuo diciottesimo compleanno, ti pungerai con l’ago di un fuso per filare e morirai.
E la fata svanì, lasciando il palazzo nello scompiglio più totale.

La regina era disperata, mentre il re dava ordine alle guardie di catturare questa fata malvagia. Ma era tutto inutile: di fronte ad una maledizione non si poteva fare nulla.

Si fece però avanti la fata più giovane, la quale cercò di consolare la regina e poi disse:
– Non posso annullare la maledizione della fata anziana, non ho tanto potere. Ma posso provare a renderla meno terribile, se me lo permettete.
La regina annuì speranzosa, e la fata alzò la bacchetta verso Aurora:
– Piccolina, una brutta maledizione ti ha colpito, un fuso ti pungerà ma non me morirai. Cadrai in un sonno profondo finché un principe, baciandoti, ti risveglierà e diventerà il tuo sposo.
Il Re e la Regina ebbero un piccolo sospiro di sollievo, perlomeno il nuovo incantesimo della giovane fata aveva allontanato lo spettro della morte dalla bambina.

Fu così che Aurora crebbe felice, amata e circondata da persone che le volevano bene.
In tutto il reame però erano stati vietati tutti gli attrezzi per filare: aghi, fusi, arcolai non potevano nemmeno essere nominati, nella speranza che così la maledizione non si avverasse.

Aurora stava ormai per compiere diciotto anni. Mancavano pochi giorni e i suoi genitori avevano deciso di organizzare una sontuosa festa: ormai credevano che il pericolo fosse scampato.

Ma la fata cattiva non poteva permettere che la sua maledizione fallisse. E così, una sera si intrufolò nel castello senza farsi vedere, e fece un piccolo sortilegio che impedì ad Aurora di dormire, rendendola nervosa.
La principessa non riuscendo a chiudere occhio, decise di fare una passeggiata nel castello per provare a rilassarsi. Ma, dal fondo di un corridoio, vide una strana luce azzurrognola filtrare da una porta.

Curiosa, si avvicinò per vedere meglio. Entrò nella stanza e si ritrovò davanti una vecchietta che filava la lana usando un misterioso attrezzo: un fuso. Aurora non ne aveva mai visti, e chiese: – Che cos’è? A cosa serve?
– Toccalo e ti spiegherò tutto – rispose la vecchietta, che era la fata cattiva travestita.
Aurora allungò la mano, toccò il fuso, si punse e… cadde svenuta.

Una risata malefica si levò dalla stanza e svegliò tutti. Il re e la regina accorsero e trovarono solo la loro ragazza svenuta.
Disperati, la portarono nel salone delle feste e chiamarono le fate per chiedere loro di fare qualcosa, ma quelle non potevano più nulla: bisognava solo aspettare che un principe passasse di lì e baciasse la principessa.

La fata che aveva addolcito la maledizione, provava molta pena nel vedere il dolore di quei genitori. Decise, quindi, di fare un incantesimo su tutto il castello: tutti avrebbero dormito fino a quando Aurora non si fosse svegliata.

E così fu, per cento anni. Nel castello tutto si fermò, e il bosco prese il suo posto: gli alberi crescevano dappertutto e tanti animaletti avevano fatto lì la loro tana.

Un giorno un giovane principe, durante una battuta di caccia, passò proprio vicino a quel castello che sembrava ormai in rovina. Incuriosito decise di avventurarsi per scoprire cosa nascondeva al suo interno.
– Magari sono le rovine di cui parla la leggenda… – si disse. Aveva infatti sentito parlare di una principessa bellissima che giaceva addormentata in un bosco, ma pensava fosse solo un racconto di fantasia.

Iniziò ad esplorare sale e corridoi ormai invasi dagli alberi, finché si ritrovò nel salone delle feste e… non credette ai suoi occhi. Distesi a terra giacevano servitori, dame e cavalieri, tutti profondamente addormentati. Riconobbe il re e la regina dalle loro corone e, in mezzo a loro, vide Aurora. Era bellissima, ancora di più di quanto non narrasse la leggenda.
Si avvicinò e pensò: “E’ così bella che non posso resistere: le darò un bacio”, e così fece.

Il principe sobbalzò nell’accorgersi che, dopo il suo bacio, Aurora iniziò a muovere la bocca per poi sbadigliare e aprire gli occhi.
Anche il re e la regina e tutte le persone distese a terra iniziarono a svegliarsi e ad alzarsi. Piano piano anche le rovine del castello si ricomponevano e gli alberi sparivano, mostrando tutto il loro splendore originario.

Il principe era frastornato dall’accaduto, non riusciva a capire cosa stava succedendo finché il re non gli prese le mani e gli disse:
– Grazie cavaliere, hai salvato mia figlia Aurora da un terribile sortilegio che la teneva addormentata da anni. Qualunque cosa tu desideri, la riceverai come dono in cambio di ciò che hai fatto.
Il principe guardò Aurora, già innamorato e disse: – Sono felice di avervi salvato e vorrei tanto poter sposare la principessa Aurora.

Il Re guardò Aurora, che, visti i buoni propositi del principe acconsentì, felice. Le nozze vennero organizzate immediatamente e fu una festa memorabile.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La guardiana delle oche 🦆

La Guardiana delle Oche: il segreto del vento

Una giovane principessa, costretta a scambiare il proprio ruolo con quello della sua domestica, si ritrova a fare la guardiana delle oche.

Ma dietro il suo silenzio si nasconde un segreto che solo il vento sembra conoscere.

Tra inganni, promesse infrante e l’eco di parole non dette, questa fiaba racconta di una verità che nessuno può nascondere per sempre.

Questa fiaba ispirata dai fratelli Grimm ci accompagnerà nell’avventura di Caterina, principessa derubata del suo ruolo da una perfida e ingrata domestica.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “La guardiana delle oche 🦆“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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La guardiana delle oche 🦆


C’era una volta una vecchia Regina rimasta vedova. Aveva però una bella figlia, Caterina, che aveva ormai raggiunto l’età per sposarsi. Fu quindi combinato il matrimonio con un principe di un paese lontano.

L’anziana Regina preparò un ricchissimo corredo nuziale per la figlia e, per accompagnarla nel lungo viaggio, la affidò ad una delle sue più fidate domestiche.

Ad entrambe diede un cavallo, ma quello della Principessa era speciale, si chiamava Falada e sapeva parlare.
Prima di salutarle la Regina prese un fazzoletto bianco, con un coltello si ferì il dito e vi versò sopra delle gocce di sangue, poi lo diede a Caterina.
– Tieni figlia mia – le disse – ne avrai bisogno lungo il viaggio – e la salutò.

La Principessa e la domestica si misero quindi in cammino. Dopo circa un’ora di viaggio a Caterina venne sete.
– Avrei sete, potresti andare al ruscello qui vicino e prendermi dell’acqua? – chiese alla domestica.
– Se avete sete, scendete da cavallo e andate voi stessa a prendervi l’acqua! – rispose stizzita la domestica.

Sorpresa dalla risposta e dal tono, la Principessa, che aveva veramente sete, scese da cavallo e si recò al ruscello per bere.
“Se lo sapesse tua madre, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, mormorarono le gocce di sangue custodite nel fazzoletto. Caterina, che era di buon cuore ignorò la voce, risalì a cavallo e ripartì con la domestica.

Il viaggio era molto lungo e la giornata era veramente calda. Dopo un po’ a Caterina venne nuovamente sete e poco lontano si intravedeva un fiume.
– Avrei sete, potresti andare al fiume qui vicino e prendermi dell’acqua? – chiese alla domestica.
– Se avete sete, andate voi stessa a prendervi l’acqua, io da serva non vi faccio più! – rispose ancora più stizzita la domestica.

Caterina, con le lacrime agli occhi per il trattamento ricevuto, si incamminò al fiume e bevve.
“Se lo sapesse tua madre, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, mormorarono nuovamente le gocce di sangue custodite nel fazzoletto.
La Principessa allora prese tra le mani il fazzoletto per trovare conforto, ma una folata di vento glielo fece cadere tra le correnti del fiume, e il fazzoletto sparì.

La domestica, che era poco distante, vide la scena e se ne rallegrò “ora la Principessa è in mio pieno potere, non c’è più nulla che la protegga!” pensò malignamente.
Quando Caterina tornò indietro trovò la domestica in groppa al suo Falada.
– Ora il tuo cavallo lo prendo io, e dammi i tuoi vestiti, che all’altare col principe ci andrò io. Se dirai a qualcuno dello scambio e non farai come ti dico, ti ucciderò! – e le mostrò un pugnale che teneva nascosto sotto la giubba.

Caterina, temendo per la sua vita, accettò, ma Falada osservò tutto in silenzio. Le due si scambiarono i vestiti e proseguirono il viaggio.

Arrivarono quindi al castello dove il principe accolse la domestica come se fosse la sua promessa sposa. Mentre Caterina, per decisione del vecchio Re, fu messa a fare la guardiana delle oche insieme ad un ragazzetto di nome Corradino.

La falsa principessa, per paura che Falada rivelasse a tutti cosa aveva fatto a Caterina, ordinò di portare il cavallo al macello: – durante il viaggio si è comportato molto male – disse.

Caterina lo venne a sapere e promise al macellaio alcune monete d’oro se avesse salvato il suo Falada. Lo avrebbe dovuto poi nascondere in una cascina lungo la strada che lei percorreva al mattino e alla sera per far passeggiare le sue oche. Il Macellaio, non vedendoci nulla di male, fece come lei chiedeva.

Il mattino seguente Caterina e le sue oche passarono davanti alla cascina, lei si avvicinò a Falada e lo salutò, ricambiata dal cavallo che sottovoce le disse:
– Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!
Ma Caterina continuò silenziosamente il suo lavoro di guardiana, insieme a Corradino.

Arrivata al prato vicino allo stagno, Caterina sciolse dal nastro i suoi capelli d’oro. Corradino ogni giorno la guardava incantato, i capelli di Caterina gli piacevano molto e avrebbe tanto voluto aiutarla a pettinarli e a rifare il nodo col nastro. Stava per avvicinarsi quando Caterina, che si era accorta delle attenzioni del giovane, pronunciò delle parole magiche:

Soffia forte venticello
porta lontano il suo cappello
così che a lungo lui debba cercare
e io da sola possa restare.

E all’improvviso ci fu una folata di vento che strappò dalla testa di Corradino il suo cappello, e lui si mise a rincorrerlo per i campi.
Quando Corradino tornò, Caterina si era già pettinata e aveva rifatto il nodo ai capelli. Il ragazzo ci rimase molto male.

Il giorno seguente, passarono ancora per la cascina, Caterina salutò Falada, che sottovoce diceva: “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”. Intanto, Corradino la seguiva in silenzio aspettando il momento in cui sul prato lei si sarebbe sciolta i capelli.

Ma Caterina pronunciò ancora le magiche parole:

Soffia forte venticello
porta lontano il suo cappello
così che a lungo lui debba cercare
e io da sola possa restare.

Ci fu una folata di vento che strappò dalla testa di Corradino il suo cappello, e lui si mise a rincorrerlo per i campi.
Quando Corradino tornò, Caterina si era già pettinata e aveva rifatto il nodo ai capelli. Il ragazzo ci rimase molto male.

E fu così anche il giorno successivo. Corradino, infuriato per via del comportamento di Caterina, andò dal vecchio Re e gli disse che non voleva più custodire le oche insieme a quella ragazza.

Meravigliato, il Re chiese come mai, e Corradino gli raccontò tutto:
– Ogni volta che passiamo per la vecchia cascina lei saluta un cavallo, che le risponde sempre “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, poi arrivati al prato vicino allo stagno si scioglie i capelli d’oro e arriva sempre una folata di vento che mi fa volare via il cappello, così io devo passare la mattinata a rincorrerlo! Non ne posso più!

Il Re, molto incuriosito, chiese al ragazzo di accompagnare Caterina ancora una volta, poi avrebbe provveduto a sistemare le cose.

Il giorno dopo il Re, volendo capire cosa stesse succedendo, si nascose in un angolo riparato della vecchia cascina e aspettò che arrivassero i due ragazzi. Vide Caterina che salutava Falada, e questo che le rispondeva con le parole “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”

Insospettito, il Re li seguì a debita distanza fino al prato, dove Caterina si sciolse i capelli. La vide sussurrare delle parole e subito si alzò un forte vento che fece volare via il cappello di Corradino, costringendolo a rincorrerlo.
Infine vide la ragazza pettinarsi i capelli e riannodare il nastro.
Soddisfatto il Re tornò senza essere visto al castello.

Quella sera Caterina fu convocata dal Re. Quando lei si trovò al suo cospetto, il Re le chiese:
– Ragazza mia, come mai parli ad un cavallo che ti risponde “Se sapesse tua madre la Regina cosa ti è accaduto, il suo cuore si spezzerebbe dal dolore!”, e poi pronunci magiche parole che fanno alzare il vento?
Colta di sorpresa Caterina rispose:
– Non posso dirlo a persona alcuna, ho giurato e se non mantengo la promessa perderò la vita…

Il Re la guardò pensieroso, quando gli balenò per la testa un’idea:
– Non puoi dirlo a me nè a nessun’altra persona, ma penso che un forno per il pane potrà ascoltarti volentieri – e condusse la ragazza in cucina dove la invitò a infilare la testa nel forno spento e confidargli tutta la sua storia.

Caterina non sapeva che il forno aveva anche una seconda apertura, dalla quale il Re stava ascoltando ogni parola. Quindi raccontò tutto, dalla partenza del viaggio a come la sua domestica l’aveva trattata e dell’inganno di cui era stata vittima.

Udite quelle parole il Re convocò subito una dama di corte e ordinò di far vestire Caterina come si conviene ad una principessa. Poi chiamò suo figlio e gli rivelò che era stato ingannato anche lui, la sua promessa sposa era solo una domestica, la vera Principessa era Caterina.

Il giovane Principe, affascinato dalla bellezza di Caterina, fu molto felice di non dover sposare quella falsa principessa di una domestica, che oltretutto era antipatica e sempre piena di incredibili richieste.

La domestica fu quindi smascherata e cacciata dal castello, mentre per Caterina e il suo Principe, si preparò la festa per il banchetto nuziale.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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La volpe con la pancia piena 🦊

La Volpe con la Pancia Piena: la favola di Esopo sulla pazienza per la risoluzione dei problemi

Una volpe affamata trova del pane e del formaggio nascosti dentro un tronco cavo, ma riuscirà a mangiarli?

La favola della Volpe con la Pancia Piena di Esopo ci insegna che a volte la soluzione ai problemi non arriva subito: è solo con la pazienza e il tempo che possiamo risolvere certe difficoltà, soprattutto quando nessuno può aiutarci.

Un racconto che invita alla riflessione e alla calma.


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La volpe con la pancia piena 🦊


C’era una volta una volpe che aveva molta fame ed era in cerca di un leprotto da mangiare per il bosco.

Dopo un po’ sentì un buon odorino nell’aria, cominciò a cercare tra le foglie e i cespugli finché non vide un bel tronco cavo con all’interno del pane e del formaggio.

“Deve averli lasciato lì il cacciatore pensò” e con circospezione si avvicinò. Accertatasi che non c’era il cacciatore nei paraggi, decise di infilarsi dentro per mangiare tutto.

Il tronco del legno era molto stretto, ma con un paio di giuste contorsioni riuscì a raggiungere il pane e divorarlo insieme al formaggio.

Quando la volpe ebbe la pancia piena per il bel pasto, cercò di uscire dal tronco cavo, ma purtroppo la sua pancia era talmente gonfia che si era incastrata!

La povera volpe iniziò a sospirare e sbuffare, ma niente, non riusciva a liberarsi.

Poco tempo dopo passò di lì una sua amica volpe, la volpe incastrata la chiamò:
– Ti prego, sono incastrata qua dentro e non riesco più ad uscire!
– E come mai non riesci più ad uscire? – chiese l’altra.
– Perchè dopo aver mangiato del pane e del formaggio la pancia mi si è riempita tanto…

L’amica volpe la guardò con compassione, non potendola aiutare in nessun modo alla fine le disse:
– Cara amica, ma se ti sei incastrata per aver mangiato a sazietà, basta aspettare che dopo aver digerito la tua pancia ritorni come prima!

E detto questo l’amica volpe se ne andò via lasciando la volpe incastrata a sospirare e sbuffare.

Morale: lo scorrere del tempo spesso risolve molte difficoltà.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Il vento e il sole 💨☀️

Il Vento e il Sole: la favola di Esopo sulla forza e la gentilezza

Chi è più forte, il Vento o il Sole?
I due si sfidano per dimostrare il loro potere, ma la favola di Esopo ci insegna che la gentilezza vince sempre sulla forza.

Un racconto senza tempo che mostra ai bambini l’importanza della pazienza e della persuasione, più efficaci della prepotenza.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il vento e il sole 💨☀️“!

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Il vento e il sole 💨☀️


C’erano una volta il Vento e il Sole che iniziarono a litigare su chi dei due fosse il più forte.
– Il più forte sono io, che con il mio soffio spazzo via le chiome degli alberi! – esclamava il Vento
– No! Il più forte sono io che coi miei raggi brucio le sabbie del deserto! – rispondeva il Sole

Decisero allora di fare una gara per stabilire chi fosse realmente il più forte dei due.
– Facciamo così mio caro Sole, vediamo chi per primo riesce a togliere i vestiti a quel viandante – disse il Vento.
– Ci sto! – rispose il Sole.

Il vento allora prese a soffiare impetuosamente contro un povero viandante che passava vicino a loro. Ma l’uomo si strinse più forte nelle sue vesti.

Il Vento allora soffiò ancora più forte e più freddo, ma il viandante tirò fuori dalla sua bisaccia un mantello e si coprì ulteriormente.
Prova e riprova per il Vento non ci fu nulla da fare…

– Ora, se permetti, vorrei provare io… – disse il Sole mentre il Vento gli cedeva di malavoglia il posto.
Il Sole iniziò a splendere timidamente, il viandante sentendo i tiepidi raggi del sole risplendere sul suo viso si tolse la mantella e la ripose nella bisaccia.

Il Sole sorrise e piano piano aumentò l’intensità dei suoi dolci raggi. Il viandante dapprima si allargò il collo della giacca, poi tolse anche quella iniziando a sudare.
Il Vento che si vedeva ormai sconfitto, non era per nulla contento.

Il Sole continuò a scaldare il viandante finché questo non si tolse tutti i vestiti, e non appena scorse un fiume lì vicino vi si buttò dentro per rinfrescarsi.

Il Sole fece un largo sorriso nei confronti del Vento, che indispettito per aver perso la scommessa, se ne andò via senza farsi più vedere per mesi e mesi.

Morale: è più efficace convincere le persone con la persuasione e la dolcezza che con la forza.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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La volpe e l’uva 🦊🍇

La Volpe e l’Uva: la favola di Esopo sul desiderio e il fallimento

La volpe vuole acchiappare l’uva matura sul tralcio, ma non ci riesce.
Alla fine, si convince che non ne valeva la pena.

La favola della Volpe e l’Uva, scritta da Esopo ed arrivata a noi grazie anche a Fedro, insegna ai bambini (e non solo) che non bisogna disprezzare ciò che non si può ottenere.

Accettare i fallimenti con umiltà e migliorarsi è la vera lezione di questa storia senza tempo!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La volpe e l’uva 🦊🍇“!


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La volpe e l’uva 🦊🍇


C’era una volta una volpe che vagava tranquilla per il bosco. Aveva appena bevuto ad un ruscello e si stava avventurando in cerca di cibo verso i campi coltivati, appena fuori dal paesello vicino.

Era già mattina inoltrata, e la fame iniziava a farsi sentire con sonori brontolii provenienti dal pancino.
Ad un certo punto, dopo aver camminato per un po’, vide una bella vigna piena di bellissimi grappoli d’uva.

La volpe controllò che non ci fossero pericoli in vista e si avvicinò furtiva ad uno dei grappoli, quello che le sembrava più vicino.
Non c’era nessuno nelle vicinanze. Era il momento perfetto per fare un bel salto e prendersi il grappolo d’uva!

La volpe quindi prese la rincorsa e… hop! Fece un balzo cercando di afferrare coi denti il grappolo, ma niente: non ci arrivò.
La volpe allora prese un po’ più di rincorsa e hop! Fece un altro balzo, ma anche questo non era abbastanza alto per riuscire ad arrivare al grappolo d’uva.
La volpe allora provò a prendere una rincorsa ancora più lunga e hop! Niente, non arrivò a prendere il grappolo d’uva.
Intanto il suo pancino brontolava sempre più dalla fame.

La volpe provò e riprovò. Le mancava sempre un soffio per prendere il grappolo d’uva ma non c’era verso, non riusciva ad arrivarci.
Stremata dalla fatica e dalla fame, la povera volpe guardò se nella vigna c’erano altri grappoli, magari più bassi, da poter prendere. Ma niente, erano tutti più in alto di quel grappolo che lei aveva cercato con tutte le sue forze di acciuffare.

La volpe diede un ultimo lungo sguardo al bel grappolo d’uva che tanto aveva sognato di mangiare, e per non ammettere di non essere riuscita nella sua impresa, si disse:
– Meglio così, tanto di sicuro quel grappolo era ancora acerbo e mangiarlo mi avrebbe solo fatto venire mal di pancia! – anche se sapeva benissimo che non era vero.

Così, sconsolata e ancora più affamata, ritornò con la coda tra le gambe nel suo boschetto. Si mise a caccia di qualcos’altro da mangiare, cercando questa volta di adocchiare qualcosa che avrebbe sicuramente preso.

Morale della favola: è facile e tipico di chi è arrogante disprezzare ciò che non si può avere. Meglio impegnarsi con molta umiltà per ottenerlo o trovare un’altra soluzione.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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La cicala e la formica 🐜

La Cicala e la Formica: la favola di Esopo sull’impegno e la previdenza

Mentre la cicala canta e balla, la formica lavora duramente per prepararsi all’inverno.
Chi delle due sarà pronta ad affrontare il freddo?

La favola della Cicala e della Formica, scritta da Esopo e resa celebre da Jean de La Fontaine, insegna ai bambini l’importanza del lavoro e della previdenza.

Un racconto senza tempo che dimostra come l’impegno ripaghi sempre!

Questa è la versione di fabulinis, ma ci piace citare anche Gianni Rodari che ha una diversa “visione” della morale della favola:

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “La cicala e la formica 🐜“!


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La cicala e la formica 🐜


C’era una volta un’estate calda calda, e una cicala a cui non piaceva né sudare né far fatica. L’unica cosa che le piaceva fare era cantare tutto il giorno.

Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala, passava avanti e indietro una formica, tutta indaffarata a portare sulla sua schiena un sacco di cose: pezzetti di cibo, sassolini, legnetti ecc.
La cicala, vedendo quanto era sudata la formica, iniziò a prenderla in giro:
– Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone – e, così dicendo, iniziò a cantare.

– Grazie mille per l’invito, signora cicala, ma io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà – e, così dicendo, continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata.
– Ma l’estate è ancora lunga – continuò la cicala – e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per mettere via le provviste!

La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala.
– Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a riposare – e la cicala riprese a cantare un’altra canzone.

Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci, ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio.
La cicala vagava per i campi e i prati arrabattandosi come poteva, recuperando qua e là qualcosa da mangiare e riparandosi dal freddo dove capitava.

Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata. La cicala aveva tanta fame e tanto freddo, così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate, dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio e un odorino di cibo molto invitante.

– Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?
– Buonasera signora formica – rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso. – Ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte.

La formica guardò la cicala con compassione.
– Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima estate mi aiuterai a far provviste.

La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto.

Morale: chi non fa nulla, non ottiene niente, è per questo che bisogna impegnarsi.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Giovannin senza paura 😱

Nel cuore di un paese avvolto dal silenzio delle leggende, esiste una storia che pochi osano raccontare…

Parlano di un ragazzo strano, diverso dagli altri, che non conosceva il significato di quella parola che fa tremare il mondo: paura.

Ma cosa nasconde davvero questa mancanza di paura?
E fino a dove lo avrebbe portato la sua ricerca dell’ignoto?
Nelle ombre di un castello abbandonato, tra corridoi infestati e segreti sepolti, attende un destino che nessuno avrebbe mai immaginato…”

Questa è una fiaba popolare di origine incerta, ma molto conosciuta sia Nel Friuli Venezia Giulia che nelle Marche


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Giovannin senza paura 😱



C’era una volta un ragazzo di nome Giovannino, che in tutto il paese veniva sempre preso in giro perché sembrava non stupirsi mai di nulla, sembrava non avesse mai paura di niente.E non è che fosse coraggioso, tutt’altro, Giovannino proprio non riusciva a capire cosa fosse la paura. Tutti i suoi amici gli parlavano di “brividi”, “pelle d’oca” e “tremiti”, ma Giovannino non riusciva ad avere nè brividi, nè pelle d’oca nè tantomeno tremiti…

Un giorno, stufo di essere preso sempre in giro, Giovannino disse a tutti quanti che sarebbe partito per un lungo viaggio:
– Vado per il mondo a cercare la paura, prima o poi la troverò!
Tra le risa generali, Giovannino fece fagotto e partì.

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L’oca d’oro 🪿

La divertente fiaba del giovane Sempliciotto e di una processione incantata

Quando un giovane di buon cuore trova un’oca dalle piume d’oro, la sua vita cambia in modo inaspettato.

Ogni persona che tenta di prendere una piuma rimane magicamente incollata all’oca, e ben presto il giovane si ritrova a condurre un’insolita processione di persone legate tra loro.

Questa strana scena suscita risate e sconcerto, ma alla fine porta il giovane davanti al re e alla sua figlia triste, che nessuno riesce a far sorridere.
Riuscirà l’oca d’oro e la sua strana magia a conquistare il cuore della principessa e a donare al giovane Baggiano una felicità inattesa?


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Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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L’oca d’oro 🪿



C’era una volta un uomo che aveva tre figli, il più giovane dei quali veniva da tutti chiamato “Baggiano” e veniva disprezzato, deriso e mortificato in ogni occasione.
Ma Baggiano non era stupido, era solo un ragazzo semplice e di buon cuore che aiutava tutti senza chiedere nulla in cambio.

Un giorno suo fratello maggiore decise di andare nel bosco a tagliare la legna. Prima di partire, sua madre gli diede una bella fetta di focaccia e una bottiglia d’acqua, così da mantenerlo in forze per il duro lavoro.

Dopo un po’ che camminava nella foresta, il ragazzo incontrò un vecchio omino tutto grigio.
L’omino lo salutò e gli augurò una buona giornata, poi gli disse:
– Ho molta fame e molta sete, potresti darmi un pezzo della tua focaccia e un sorso d’acqua dalla tua bottiglia?

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Il Tamburino 🥁

Un tamburino coraggioso e una principessa prigioniera: un’avventura su una montagna di vetro

In un mondo dove il coraggio si nasconde nei gesti più semplici e la gentilezza apre la strada ai miracoli, un giovane tamburino si trova coinvolto in un’impresa straordinaria.

Tutto ha inizio con una camicia di lino abbandonata sulla riva di un fiume. Senza sapere che l’indumento appartiene a una principessa prigioniera di una strega malvagia, il tamburino decide di riportarglielo, dando il via a un’avventura epica.

Tra giganti, selle magiche e oscure magie, il giovane dovrà affidarsi alla sua astuzia e al suo coraggio per superare ogni sfida e restituire la libertà a chi l’ha persa.


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Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Il Tamburino 🥁



C’era una volta un giovane suonatore di tamburo che stava passeggiando lungo le rive di un lago.
Guardando verso la riva vide una bella camicia di lino bianco stesa sulla spiaggetta, si guardò intorno ma non vide anima viva.
“Che strano trovare una così bella camicia abbandonata sulla riva del lago” pensò, così le prese e se la mise nella bisaccia.

Tornato a casa, senza minimamente pensare alla camicetta, se ne andò a letto. Mentre stava per addormentarsi, gli parve che qualcuno pronunciasse il suo nome. Ascoltò con più attenzione e sentì una voce delicata che lo chiamava: “Tamburino, Tamburino, svegliati!”

Nel buio della notte gli sembrava che una figura femminile fluttuasse su e giù davanti al suo letto.
Con un groppo in gola per la paura, il Tamburino chiese:
– Cosa vuoi?!
– Ridammi la camicetta che hai trovato al lago – rispose la voce.

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I vestiti nuovi dell’imperatore 🩲

I vestiti nuovi dell’imperatore: quando la vanità ci rende ciechi

In un regno governato dalla vanità, un imperatore sfila senza vestiti per le strade della città.

Ma come è possibile che tutti facciano finta di non accorgersene?

Scopriamo insieme la verità dietro questa affascinante fiaba, tratta dai racconti di Hans Christian Andersen.


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I vestiti nuovi dell’imperatore 🩲



C’era una volta un imperatore, che aveva come unico pensiero quello di vestire sempre abiti nuovi, sfarzosi e alla moda, tanto da spendere tutti i soldi che aveva in vestiti.

La sua unica ambizione era quella di essere sempre ben vestito, non gli importava dei suoi cittadini, e nemmeno dei divertimenti e grandi feste che gli altri nobili organizzavano.

Aveva un cappotto diverso per ogni ora del giorno, e se si chiedeva alle sue guardie dove fosse, loro rispondevano rassegnate: “L’imperatore è nel suo camerino”.

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La principessa del mare 🌊

Il segreto della principessa del mare: un amore che unisce due mondi

L’amore, si sa, può sbocciare nei luoghi più inaspettati. E così accadde al re Shazaman, un sovrano solitario alla ricerca della felicità.

Il suo destino incroca quello di Gulnare, una giovane donna dal passato misterioso.

Ma il loro amore era destinato a essere messo alla prova da un segreto che Gulnare porta nel cuore: un legame speciale con il mare…


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La principessa del mare 🌊


C’era una volta nella terra dei Persiani un re chiamato Shazaman, che non aveva avuto la fortuna in tutta la sua vita di avere un figlio.
Non aveva quindi nessun erede a cui lasciare il regno alla sua morte, e questo gli causava grande tristezza.

Un giorno, uno dei suoi servitori, gli disse che due persone chiedevano la sua udienza:
– O mio signore, alla porta c’è un mercante con una ragazza e chiedono di voi.
– Portatemeli qui – rispose Shazaman.

Non appena ebbe davanti il mercante e la ragazza, Shazaman rimase così affascinato dalla misteriosa fanciulla che se ne innamorò all’istante.

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La lepre e la tartaruga 🐇🐢

La Lepre e la Tartaruga: la favola di Esopo sulla perseveranza e l’umiltà

“Chi va piano va sano e va lontano,” recita il proverbio, e nella favola della Lepre e della Tartaruga, Esopo ci offre due lezioni fondamentali:

1: Non bisogna mai sottovalutare gli altri, anche se sembrano inferiori.

2: Con calma e perseveranza si possono raggiungere traguardi importanti.

Anche se scritta secoli fa, questa favola rimane un insegnamento senza tempo che ci invita a riflettere sull’umiltà e sulla forza della pazienza.


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La lepre e la tartaruga 🐇🐢


C’era una volta una lepre che si vantava di correre più veloce di tutti quanti, e ogni volta che poteva prendeva in giro la povera tartaruga, che invece camminava sempre piano piano.
– Guarda come sei lenta! – le gridava – nel tempo in cui tu fai un passo, io sono già dall’altra parte del bosco!
La tartaruga non faceva troppo caso alle parole della lepre, e continuava tranquilla per la sua strada.

Un giorno la lepre era più antipatica del solito, e anche la buona e brava tartaruga alla fine si decise a risponderle.
– Non vantarti troppo, anche la lepre più veloce del mondo può essere battuta, sai?
– Ah sì? E da chi mai potrei essere battuta? Vuoi provare a battermi tu?
– Perché no?! – rispose la tartaruga.
– Allora ti sfido! – disse la lepre mettendosi a ridere di gusto.

Il giorno dopo, al mattino presto, i due si incontrano, si misero d’accordo sul percorso da fare e, dopo uno sguardo di sfida, partirono come due missili verso il traguardo.
Solo che la lepre, dopo un paio di balzi, si rese conto di essere talmente avanti rispetto alla tartaruga che decise di fermarsi: la tartaruga aveva fatto solo pochi centimetri.
La lepre quindi, vedendo quanto era lenta la sua avversaria, decise di fare un sonnellino, tanto in un paio di balzi l’avrebbe sicuramente ripresa.

Dopo un po’ si risvegliò di soprassalto: aveva sognato che la tartaruga era già al traguardo! Cercò subito con lo sguardo la sua avversaria ma la vide pochi metri più in là, nemmeno a un terzo del percorso. La lepre si rilassò subito e, certa ormai che la tartaruga non avrebbe mai potuto vincere vista la sua lentezza, pensò di andare a fare uno spuntino.
Ogni tanto seguiva con lo sguardo la tartaruga, ma era già mezzogiorno e la tartaruga era a poco più di metà del percorso.

La lepre decise, quindi, di andare a pranzare da alcuni suoi amici. Mangiò e si divertì a parlare con loro del più e del meno senza preoccuparsi: la tartaruga era ancora molto lontana dall’arrivo…
Dopo mangiato, e tranquillizzata dalla grande lentezza dell’avversario, la lepre decise di fare un altro sonnellino, decisamente più tranquillo del precedente.

Anche fin troppo tranquillo, perché quando si svegliò stiracchiandosi, era già il tramonto!
Venne presa dal panico. Cercò disperata la tartaruga, ed eccola là: era a pochi centimetri dal traguardo!
La lepre partì come una furia, correndo disperata per riagguantare la tartaruga, ma ormai era troppo tardi: quando arrivò al traguardo la tartaruga era già lì ad aspettarla.

La lepre capì di aver sottovalutato quella sfida, e che in realtà avrebbe dovuto impegnarsi di più. Per essere davvero sicura di vincere, avrebbe dovuto arrivare subito al traguardo, così poi poteva andarsene dove voleva.
– Non essere triste amica mia – le disse la tartaruga – tutti possiamo perdere una volta nella vita, e comunque ricordati che chi va piano, va sano e va lontano!

Morale: se si è troppo presuntuosi e si crede di essere migliori degli altri, si rischia di restare senza niente in mano… ma c’è un altro insegnamento: a volte ci vuole molta calma per ottenere ciò che si desidera.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Alice nel Paese delle Meraviglie 🐇🕓🎩🐱🧡

“In tutto c’è una morale, se si sa trovarla.”

Alice nel paese delle meraviglie, scritto da Lewis Carroll, è un classico della letteratura per l’infanzia che vi trasporterà in un mondo straordinario e surreale.

La storia inizia quando la curiosa Alice, inseguendo uno strano coniglio bianco si infila in una buca nel terreno, precipitando in un regno fantastico popolato da personaggi eccentrici e situazioni assurde.

Attraverso avventure straordinarie e incontri unici, esplorerete insieme ad Alice questo mondo incantato, affrontando enigmi e scoprendo la sua straordinaria abilità di adattarsi a un regno dalle regole mutevoli e spesso incomprensibili.


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Alice nel Paese delle Meraviglie 🐇🕓🎩🐱🧡


Indice dei capitoli


CAPITOLO 1 – Nella tana del Bianconiglio.


Alice cominciava a stancarsi di stare seduta accanto alla sorella sulla riva del fiume senza fare niente. Una o due volte aveva sbirciato nel libro che sua sorella stava leggendo, ma non c’erano né immagini né fumetti, “e a che serve un libro”, pensò Alice, “senza immagini o fumetti?”

Alice, annoiata e assonnata, stava riflettendo se alzarsi a cogliere delle margherite, quando all’improvviso un coniglio bianco dagli occhi rosa le passò davanti.

Non c’era niente di strano in questo, né Alice trovò così strano sentire il Coniglio dire a se stesso: “Oh cielo! Oh cielo! È tardi!”
Ma quando il Coniglio tirò fuori un orologio dal taschino del panciotto, Alice balzò in piedi, perché le balenò in mente che non aveva mai visto prima un coniglio con un orologio nel taschino del panciotto.

Alice, incuriosita, gli corse dietro attraverso il campo. Fece appena in tempo a vederlo sparire in una grande tana sotto la siepe che, senza rendersene conto, ci cadde dentro anche lei!

La tana del coniglio era molto profonda, oppure lei cadeva molto lentamente, perché aveva tutto il tempo per guardarsi intorno, mentre scendeva.

Poi guardò ai lati del pozzo e notò che le pareti erano piene di armadi e di scaffali per libri, qua e là vedeva appese mappe e quadri.
Mentre scendeva, prese un barattolo da uno degli scaffali. C’era scritto sopra “MARMELLATA DI ARANCE”, ma, con suo grande disappunto, era vuoto. Rimise quindi il barattolo in uno degli armadi mentre ci cadeva accanto.

Giù, giù, giù!
Sarebbe mai finita la discesa?
Non c’era nient’altro da fare, quindi Alice iniziò presto a parlare da sola.

– Dinah mi mancherà molto stasera, immagino! – (Dinah era la sua gatta.) – Spero che si ricordino del suo piattino di latte all’ora del tè. Dinah,vorrei che tu fossi qui con me!

Alice si stava appisolando, quando all’improvviso… BUMP! Si adagiò sopra un mucchio di rami e foglie secche. La discesa era finita.

Alice in un attimo balzò in piedi, alzò lo sguardo ma in alto era tutto buio. Davanti a lei c’era un altro lungo passaggio e il Bianconiglio era là in fondo che lo percorreva di corsa.

Alice cominciò a correre e fece appena in tempo a sentirlo dire:
– Oh, come si è fatto tardi! – che il Bianconiglio svoltò l’angolo e non si vide più.

Alice si ritrovò in un corridoio lungo e basso, tutt’intorno al corridoio c’erano tante porte tutte chiuse. Dopo che Alice ebbe provato ad aprirle tutte senza successo si chiese come avrebbe fatto a uscire di lì.

All’improvviso si imbatté in un tavolino su cui c’era solo una minuscola chiave d’oro. Alice pensò che potesse aprire una delle porte del corridoio ma, o le serrature erano troppo grandi, oppure la chiave era troppo piccola, tanto che non ne apriva nessuna.

Tuttavia questa volta, vide una porticina alta circa quaranta centimetri che prima non c’era. Provò la piccola chiave d’oro nella serratura e, con sua grande gioia, la porta si aprì!

Alice si inginocchiò e guardò attraverso la porta: vide il giardino più bello che avesse mai visto. Purtroppo non riusciva nemmeno a mettere la testa oltre la soglia, tanto era piccola quella porta.
– Oh, come vorrei potermi accorciare come un telescopio! – si disse Alice.

Tornò quindi al tavolo, sperando quasi di trovarvi un’altra chiave. Questa volta però vi trovò sopra una piccola bottiglia (“che certamente prima non c’era”, pensò Alice), sulla quale c’era un’etichetta con su scritto “BEVIMI”.

– No, prima controllerò, e vedrò se c’è scritto ‘veleno’ oppure no – si disse Alice, perché non aveva mai dimenticato che, se si beve da una bottiglia con la scritta ‘veleno’, quasi sicuramente le avrebbe fatto male.

Ma su questa bottiglia non c’era scritto ‘veleno’ così Alice si azzardò ad assaggiare il contenuto, e, trovandolo molto buono (il sapore era un misto di crostata di ciliegie, crema pasticcera, ananas, tacchino arrosto e pane tostato imburrato), lo bevve tutto.

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– Che sensazione curiosa! – disse Alice. – Mi sembra di accorciarmi proprio come un telescopio!

E infatti era così!
Adesso era alta solo 25 centimetri e il suo viso si illuminò al pensiero di avere le dimensioni giuste per varcare la piccola porticina, ma quando ci arrivò davanti la trovò chiusa e si accorse di aver dimenticato la piccola chiave d’oro sopra il tavolino!

Quando tornò al tavolino per prenderla si rese conto che non poteva raggiungerla perché ora era troppo piccola. Alice si sedette sconfortata ai piedi del tavolino piangendo.

Il suo sguardo però cadde su una scatoletta di vetro che giaceva proprio lì sotto, l’aprì e vi trovò una piccolissima torta, sulla quale era scritto “MANGIAMI”.

– Se questa torta mi fa crescere potrò raggiungere la chiave, e se invece mi fa rimpicciolire potrò infilarmi sotto la porta, così in ogni caso riuscirò ad andare nel giardino, non mi importa cosa succederà!

Mangiò un po’ della torta e con ansia si tenne la mano sulla testa per sentire se stava crescendo. Fu piuttosto delusa di scoprire che rimaneva della stessa dimensione.

Così si mise all’opera e in breve tempo finì la torta…

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… continua nel CAPITOLO 2: La pozza delle lacrime.

Note ad Alice nel Paese delle Meraviglie

Alice nel Paese delle Meraviglie è un racconto veramente famoso, forse uno dei più famosi racconti per bambini.

Ne hanno fatto film, cartoni animati ed adattamenti teatrali.

Alice nel Paese delle Meraviglie è anche un racconto molto particolare dal punto di vista dello svolgimento, pieno di situazioni surreali e senza senso (il cui motivo fondamentalmente viene svelato nel finale) e anche soprattutto per i dialoghi tra i personaggi, non sempre semplici o immediatamente comprensibili.

Una delle più grandi sfide infatti, per chi vuole tradurre Alice nel Paese delle meraviglie, è cercare di ricondurre ad un senso molti dei “giochi di parole” e “nonsense” usati da Lewis Carroll, che ben si prestano ad essere usati nella lingua inglese, ma che subiscono un forte “lost in traslation” e perdita totale di significato quando si cerca di adattarli in altre lingue.

E’ per questo motivo che nel nostro adattamento troverete solo una delle tante filastrocche e parti in rima presenti nel testo originale. La storia rimane comunque completamente comprensibile e godibile anche senza quelle parti.

In questa versione sono stati volutamente tralasciati due capitoli (quelli sulla tartaruga ed il grifone) per rendere la storia più scorrevole e non troppo lunga. Nonostante la mancanza di questi due capitoli, la storia non perde la sua magia ed il magnifico significato.

Speriamo che questa nostra versione vi piaccia quanto è piaciuta a noi riscriverla!

P.S. Alice è esistita veramente e si chiamava Alice Liddel, figlia di amici di famiglia di Lewis Carroll

😊

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La storia di Rudolph la renna 🦌 🎅

Sapete che Babbo Natale ha una renna col naso rosso? Ed è anche la più famosa nonostante sia la più giovane di tutte… Ma questo non è importante, perché la renna Rudolph ha un naso davvero speciale!

Rudolph la renna è stata creata da Robert L. May nel 1939, e da quel momento non ha mai smesso di essere la renna che col suo naso rosso è a capo della slitta di Babbo Natale.

Noi di fabulinis abbiamo preparato la nostra versione della sua storia, ascoltala o leggila qui con noi mentre aspetti il Natale!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La storia di Rudolph la renna 🦌 🎅“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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La storia di Rudolph la renna 🦌 🎅


Le renne abitano lassù a nord, dove le notti d’inverno sono lunghissime e la neve è bianchissima. Babbo Natale va sempre lì a cercare quelle più forti e più veloci: gli servono per far volare la sua slitta.

Lì a nord viveva una famiglia di renne che aveva cinque piccoli. Il più giovane si chiamava Rudolph ed era un cucciolo particolarmente vivace e curioso.
Lui infilava il suo naso dappertutto. Ed era un naso veramente particolare. Infatti, quando Rudolph era felice, arrabbiato o si emozionava, il naso si illuminava e diventava rosso come un pomodoro.

I suoi genitori ed i suoi fratelli lo trovavano adorabile e lo amavano per questa sua particolarità, ma fin dall’asilo era diventato lo zimbello dei compagni.
“Rudolph ha il naso rosso! Rudolph ha il naso rosso!” lo prendevano in giro.
E alla scuola elementare andò anche peggio! Rudolph cercava con tutti i mezzi di nascondere il suo naso ma non ci riusciva.

Aveva provato a rimanere sempre serio, a metterci un cappuccio di gomma e addirittura a dipingerlo di nero, ma non c’era niente da fare. In qualche modo quel naso rosso e luminoso saltava sempre fuori e i suoi compagni ridevano a crepapelle. Rudolph ci restava molto male: piangeva amareggiato, e i suoi genitori e i suoi fratelli non riuscivano mai davvero a consolarlo.

Passarono gli anni e Rudolph divenne un giovane forte e agile. Finché fu abbastanza grande da poter partecipare alla selezione delle renne che avrebbero trainato la slitta di Babbo Natale.
Anche quell’anno, infatti, l’inverno era ormai alle porte e la visita di Babbo Natale visita si avvicinava. In vista di quell’appuntamento, le renne giovani e forti si facevano belle. Le loro pellicce venivano strigliate e spazzolate fino a brillare come il rame, le corna venivano lucidate fino a risplendere più della neve. Ed ecco che arrivò il gran giorno.

Tutte le renne si riunirono nel piazzale dove di solito atterrava Babbo Natale in quell’occasione e, nell’attesa, cercavano di intimorire e impressionare gli altri concorrenti. Ciascuno avrebbe infatti voluto essere scelto: trainare la slitta di Babbo Natale è un onore immenso!
Tra di loro c’era anche Rudolph, e bisogna ammettere che spiccava tra gli altri per bellezza e vigore.

Babbo Natale atterrò puntuale. Era partito da casa sua con la slitta leggera trainata solo da Donner, il suo fedele caporenna.
Babbo Natale si mise subito al lavoro ed esaminò ogni concorrente. Siccome le renne erano molte e Babbo Natale ne avrebbe scelte solo otto, ci volle molto tempo per guardarle tutte con attenzione e il tempo sembrava non passare mai. Anzi, a Rudolph sembrava un’eternità.

Quando finalmente toccò a lui, però, il suo naso diventò incandescente per l’agitazione, era quasi luminoso come il sole.
Babbo Natale lo guardò e sorrise amichevole, ma scosse la testa. – Sei grande e robusto. E sei un bellissimo giovanotto – disse – ma purtroppo non posso sceglierti. Il tuo naso rosso potrebbe spaventare i bambini.

Non potete immaginare la tristezza ed il dolore che queste parole diedero a Rudolph.
Corse nel bosco più veloce che poteva, scalpitando e ruggendo per la rabbia. A tutti gli scoiattoli che venivano a chiedergli cosa succedesse, rispondeva: – Guarda come brilla il mio naso. Nessuno ha bisogno di una renna con il naso rosso! – e piangeva per la tristezza.

Piano piano si calmò e tornò a casa, dove i suoi genitori e i suoi fratelli lo abbracciarono forte. Lui riprese le sue normali attività, cercando di non badare a quanto si vantavano i suoi compagni che erano stati scelti da Babbo Natale. Spesso tornava nel bosco a salutare gli scoiattoli che l’avevano aiutato quel giorno che era stato tanto triste.

Intanto il Natale si avvicinava e tutti erano così occupati con i preparativi per le feste, che nessuno si accorse che il tempo peggiorava ogni giorno di più.
Al punto che Babbo Natale, quando lesse le previsioni per la notte della Vigilia, disse preoccupato: – Come potrò trovare la strada per arrivare alle case dei bambini? Nevicherà così tanto che rischio di non vedere nemmeno le mie renne!

Quella notte non riuscì a dormire. Doveva trovare una soluzione. Perciò decise di tornare al paese delle renne, forse loro avrebbero potuto aiutarlo.
Ma nevicava così tanto che Babbo Natale non riusciva a vedere niente tranne una luce rossa. Tutto ciò che era intorno a lei era illuminato a giorno.

Babbo Natale si avvicinò e si accorse che quella luce proveniva dal naso della renna che lui aveva scartato. La ricordava benissimo.
– Ciao – le disse – mi ricordo ti te. Ti dissi che il tuo naso avrebbe spaventato i bambini, ma mi rendo conto che è eccezionale. Illumina a giorno la strada anche nella bufera. Ti va di essere la prima delle renne attaccate alla mia slitta e di mostrarmi così la strada per raggiungere i bambini?

Rudolph non credeva alle sue orecchie: per l’emozione inciampò nella neve e il suo naso divenne ancora più rosso.
Finalmente rispose: – Naturalmente, lo farò volentieri. Mi fa un enorme piacere.
– Allora ti aspetto domani sera con tutti gli altri. Dobbiamo partire puntuali per essere sicuri che i bambini ricevano i loro doni a mezzanotte.

Figuratevi la faccia dei compagni di Rudoplh quando lo videro a capo della squadra di renne. Loro l’avevano sempre preso in giro per il suo naso bizzarro, ma proprio quel naso si era rivelato indispensabile per permettere a Babbo Natale di portare a termine la sua missione.
Nonostante la bufera di neve, la slitta partì puntuale e fece tutto il suo giro senza intoppi. La luce del naso di Rudolph aveva guidato le renne sane e salve.

Il giorno dopo Rudolph venne festeggiato come un eroe. Le renne ballarono e cantarono felici perché una di loro era entrata nella storia.
Da allora Rudolph è sempre a capo della slitta di Babbo Natale, per illuminargli la strada e far sì che tutti i bambini ricevano il loro regalo di Natale.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il viandante 🚶

Le fiabe popolari sono piene di spunti e insegnano, tra le altre cose, ad aguzzare l’ingegno per riuscire a cavarsela in ogni situazione.

Il viandante è una rielaborazione dell’antica fiaba “La minestra di sassi” che noi di fabulinis abbiamo riscritto con la nostra fantasia. E’ una fiaba che fa capire cosa significa la condivisione: infatti, se si condivide ciò che si ha, alla fine si è tutti più felici.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il viandante raccontata da Silvia!

Il viandante 🚶 storia completa


C’era una volta un viandante che camminava per i boschi. Quel sentiero lo avrebbe riportato a casa dopo tanti anni trascorsi viaggiando.
Era sera e la stanchezza iniziava a farsi sentire. “Meglio cercare un posto dove poter fermarsi a riposare e mangiare qualcosa” pensò, ma di taverne o locande non ce n’era nemmeno l’ombra.
Finché, cammina cammina, vide una casetta con le luci accese. Si avvicinò: dentro c’era un bel fuocherello che ardeva scoppiettante. Bussò quindi alla porta.

Arrivò ad aprire una vecchietta che lo squadrò dalla testa ai piedi.
– Buonasera – disse il viandante.
– Cosa vuoi da me?! – rispose burbera la vecchietta.
– Cerco solo un po’ di caldo ed un riparo per la notte.

– Questa non è una locanda! E io non ospito estranei! – rispose ancora più arrabbiata la vecchietta.
– Non essere così scontrosa, mia signora, non pensi che sarebbe un mondo migliore se ci aiutassimo l’un con l’altro?
– Ah si? E chi aiuterà me? Io non ho nulla da darti, nemmeno un tozzo di pane…
– Mi basta poter dormire sotto un tetto, non chiedo altro…

Dopo un po’ di insistenza, finalmente, la vecchietta lo fece entrare. Quando fu dentro casa, il viandante si guardò attorno: la casa era pulita, ben tenuta e con dei bei mobili e lui si accorse che la vecchietta proprio povera non doveva essere. Così le domandò:
– Mia signora, lo so che ho chiesto solo un letto per dormire, ma possibile che non ci sia proprio nulla da mettere sotto i denti?
– Non ho da mangiare nemmeno per me, figurati se ho qualcosa da darti…

– Mi spiace molto per te, comunque se tu non hai nulla da dare a me, forse ho io qualcosa da dare a te.
La vecchietta lo guardò con aria interrogativa, così il viandante continuò.
– Viaggiando ho imparato alcuni trucchetti per preparare delle gustose zuppe usando solo alcuni sassi.
– Solo dei sassi? – chiese meravigliata la vecchietta.

– Certo, mi basta solo una pentola piena d’acqua e un mestolo, poi al resto ci penso io.
La vecchietta incuriosita corse a prendere la pentola, la riempì d’acqua e la mise sul fuoco.
A quel punto il viandante tirò fuori dalla tasca alcuni sassolini bianchi tutti lisci e tondi, li buttò nell’acqua della pentola e cominciò a mescolare.

La vecchietta guardava prima il viandante e poi la pentola curiosa e incredula.
– Sono proprio curiosa di vedere come fai a fare una zuppa con solo dei sassi – disse.
Il viandante sorrise continuando a mescolare – sassi di questa qualità fanno ottime zuppe, solo che stavolta non sono sicuro del risultato – disse con un’aria preoccupata – sai, li ho usati molte volte nei miei viaggi e penso che ormai non diano più il sapore di una volta… se avessi solo una tazza d’orzo per rendere più densa la zuppa…

– Ora che ci penso forse un po’ di orzo dovrei averlo – la vecchietta si alzò, andò alla dispensa e tornò con una tazza piena d’orzo, che il viandante versò nella pentola continuando a mescolare.
La vecchietta era sempre più incuriosita.

– Se avessimo anche qualche patata e qualche carota, questa zuppa uscirebbe veramente buona… ma inutile pensarci – continuò il viandante.
– Forse qualcosa in cantina dovrei avere – disse la vecchietta, che si alzò e tornò con alcune patate, delle carote e anche una cipolla.

Il viandante le buttò in pentola e continuò a mischiare – questa zuppa sarà proprio buona – disse – se ci fosse anche un pochino di carne avremmo un patto degno di una regina!
– Degno di una regina? – esclamò la vecchietta, che subito corse in dispensa e tornò con un bel pezzettino di carne tagliato a cubetti.
Il viandante prese e buttò nella pentola continuando a mescolare. Dopo un po’ disse che la zuppa era pronta, tolse i sassolini dalla pentola, e i due si misero a mangiare.

Fu una cena squisita, una delle migliori che la vecchietta avesse mai fatto.
– Non avrei mai pensato che da dei semplici sassolini potesse uscire una zuppa così buona! – esclamò alla fine la vecchietta.
Poco dopo andarono a dormire, entrambi passarono un’ottima notte, e al mattino il viandante trovò pure la colazione pronta!

Quando fu il momento di salutarsi, la vecchietta lo ringraziò immensamente per averle confidato il segreto della zuppa coi sassi.
Il viandante sorrise e le disse:
– Basta avere qualcosa per darle un po’ di gusto!
E si incamminò per il sentiero che lo avrebbe riportato a casa.

⚜ Fine della fiaba ⚜