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Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖

Velocità o saggezza?
Tito il Triceratopo e Vess il Velociraptor affrontano un pericolo preistorico in questa avvincente fiaba sulla vera forza dell’amicizia.

Nella rigogliosa Valle di Rocciaverde vivono due amici inseparabili: Tito il Triceratopo, forte e saggio, e Vess il Velociraptor, velocissimo ma… un po’ distratto!

Quando un gigantesco T-Rex minaccia la loro tranquillità, Vess impara a sue spese che non basta essere veloci per cavarsela: servono attenzione, prudenza e, soprattutto, ascoltare i consigli di chi ti vuole bene.

Un’avventura preistorica piena di emozioni, amicizia e una lezione preziosa per grandi e piccini.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Tito il Triceratopo e Vess il Distratto 🦖


Tanto tempo fa, nella rigogliosa Valle di Rocciaverde, vivevano due amici inseparabili: Tito il Triceratopo e Vess il Distratto, un giovane Velociraptor.

Tito era forte, saggio e paziente. Aveva una pelle color terra bruciata, tre corna affilate e un enorme collare osseo che usava per proteggersi dai pericoli.

Vess, invece, era minuto, veloce come il vento e… terribilmente sbadato. Dimenticava sempre tutto: dove aveva nascosto il pranzo, quale strada portava alla grotta e, soprattutto, i saggi consigli di Tito.

Un giorno, mentre passeggiavano lungo il Sentiero delle Felci Giganti, Tito sospirò:
– Vess, devi fare più attenzione! La giungla è piena di pericoli!
Vess rispose ridacchiando.
– Ma dai, Tito! Io sono il dinosauro più veloce della Valle di Rocciaverde! Se c’è un problema… scappo!

Tito scosse la testa. Conosceva bene il suo amico: sempre troppo sicuro di sé e mai attento a dove metteva le zampe!

Proprio in quel momento, un Tyrannosaurus Rex, enorme e dal respiro pesante, sbucò dagli alberi con un GRAAAAR! spaventoso.

Gli uccelli preistorici volarono via spaventati, mentre il terreno tremò sotto i passi del gigantesco predatore.

Vess spalancò gli occhi e fece quello che sapeva fare meglio: corse via a tutta velocità!
Solo che… corse nella direzione sbagliata!

Con un gran tonfo, finì dritto dentro una pozza di fango, rimanendo impantanato fino al collo.
Scalciò, si agitò, cercò di liberarsi… ma più si muoveva, più affondava!

Il T-Rex avanzava, mostrando i suoi denti affilati. Tito, senza perdere la calma, piantò le zampe nel terreno, abbassò la testa e puntò le sue enormi corna.
– Indietro, dentone! Se vuoi il mio amico, dovrai batterti con me! – ruggì il Triceratopo.

Il T-Rex si fermò osservando Tito. Un Triceratopo ben piazzato non era una preda facile… e nemmeno conveniente!
Il T-Rex grugnì infastidito, poi con un ultimo sguardo minaccioso si voltò e sparì nella foresta.

Tito si avvicinò a Vess e, con una zampata decisa, lo aiutò a uscire dal fango.
Il Velociraptor era sporco da testa a piedi, con una foglia enorme appiccicata sulla testa.

– Vess, hai capito la lezione?
Vess sputò un po’ di fango e annuì:
– Sì, sì… la prossima volta ti ascolterò! Anche perché il fango ha un sapore orribile!

Tito rise e insieme si incamminarono verso casa, mentre il sole tramontava dietro le montagne.

Morale della storia: Essere veloci è utile, ma ascoltare i consigli degli amici, e stare attenti, lo è ancora di più!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il pifferaio magico 🎼

Il Pifferaio di Hamelin: una melodia che nasconde un segreto

Hamelin è una città infestata da un esercito di topi.

Un misterioso pifferaio però, con il suo flauto incantato, promette di risolvere il problema.

Ma in questa fiaba, nulla è come sembra: la musica può incantare non solo i topi… Una storia antica che continua a far riflettere ancora oggi.

Il pifferaio Magico, anche conosiuto come il pifferaio di Hamelin, è una leggenda tedesca ripresa sia dai fratelli Grimm che da Goethe, e che probabilmente si basa su fatti realmente accaduti nel XVI secolo nella regione della Bassa Sassonia.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il pifferaio magico 🎼“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Il pifferaio magico 🎼


C’era una volta la piccola cittadina di Hamelin, che da qualche tempo era stata infestata dai topi.

Erano ovunque, nei granai, nelle dispense delle case e nei campi coltivati, e naturalmente divoravano tutto quello che capitava loro sotto i baffi.

Gli abitanti erano disperati, avevano ormai provato di tutto ma senza mai riuscire a cacciarli via:
I gatti, portati a centinaia anche dai paesi vicini, scappavano via a gambe levate perchè i topi erano inferociti; le trappole per topi venivano sempre trovate vuote e spesso erano gli stessi abitanti a rimetterci un dito, toccandole per sbaglio; mentre il veleno per topi sembrava non fare nessun tipo di effetto…

Il borgomastro della città decise allora di proclamare un bando:
– Chiunque sia in grado di liberare Hamelin dalla piaga dei topi, sarà ricompensato con 100 monete d’oro!

Il giorno seguente si presentò alla porta del borgomastro uno strano individuo, tutto vestito di colori sgargianti e con in mano un piffero.

Il borgomastro lo squadrò dalla testa ai piedi, pensando di aver davanti uno di quei saltimbanchi che cercano solo un tozzo di pane per tirar sera, e gli chiese:
– Cosa volete?
– Ho saputo che la città è infestata dai topi e che offrite una lauta ricompensa, io posso liberarvi dai topi – rispose il pifferaio.
– Tu? Liberarci dai topi? E come pensi di fare?! – gli rispose sgarbatamente il borgomastro mettendosi a ridere sonoramente.
– Col mio piffero magico – disse sicuro di sé il pifferaio.
– … ma certo! Col piffero…! – rispose il borgomastro asciugandosi le lacrime dalle risate – va bene va bene, fai pure, se lo dici tu… – e lo liquidò senza minimamente pensare che il pifferaio facesse sul serio.
Il pifferaio allora prese a camminare per la via principale e iniziò a suonare una dolce melodia. La gente del paese incantata uscì per la strada e si affacciò alle finestre per sentirlo.

Quello che videro subito dopo i cittadini di Hamelin aveva dell’incredibile: i topi a poco a poco sbucarono fuori dai loro nascondigli e iniziarono a mettersi tutti in fila ordinatamente dietro al pifferaio.

Il pifferaio si diresse fuori dalle mura, e i topi lo seguirono fino al fiume, dove come per magia si buttarono dentro lasciandosi trasportare via dalla corrente.

Il buffo pifferaio aveva liberato la città dai topi!
Il borgomastro però non era per niente felice, perchè ora avrebbe dovuto pagare 100 monete d’oro allo strambo pifferaio, a cui in realtà non voleva dare neppure un soldo.

– Ho liberato la città dai topi, ora pretendo la mia ricompensa – disse il pifferaio al borgomastro.
– Ma di quale ricompensa vai dicendo, per aver suonato un piffero?! Al massimo posso darti una moneta d’oro per l’esibizione… e fattela bastare! – gli grugnì contro il borgomastro facendo saltare la moneta in mano al pifferaio.

Il pifferaio, anche se evidentemente contrariato, non disse però nulla, si congedò e con passo tranquillo tornò sulla via principale del paese, dove riprese a suonare il suo piffero e la sua dolce melodia.

Questa volta però a mettersi in fila dietro di lui furono tutti i bambini del paese. Sembravano come rapiti da una magia che li ipnotizzava e li faceva marciare educatamente dietro al pifferaio.

A nulla valsero le suppliche e i tentativi dei genitori di trattenerli ed impedire loro di uscire dalla città dietro al pifferaio, loro si divincolavano e continuavano a cantare e camminare felici dietro di lui.

Fu una lunga marcia, prima attraverso i boschi, poi nella foresta fino ai piedi delle montagne, dove il pifferaio si fermò e si mise a suonare una melodia molto differente dalla precedente.

Nella parete della montagna si aprì un varco dove il pifferaio entrò continuando a suonare la sua melodia, e con lui entrarono tutti i bambini. Quando anche quello che sembrava l’ultimo bambino fu entrato, il varco si richiuse.

Ma dei bambini in realtà ne mancava ancora uno, che era zoppo ad una gamba e non era riuscito a tenere il passo dell’allegra comitiva. Quando finalmente anche lui si ritrovò davanti al varco nella roccia e lo trovò chiuso, cominciò a battere i pugni contro le pietre disperato.
– Fatemi entrare! Fatemi entrare! – gridava con tutto il fiato che aveva in corpo, ma nessuno dall’altra parte gli rispondeva.

Tornò quindi triste ed abbattuto ad Hamelin, dove l’intero paese era disperato per la perdita di tutti i suoi bambini. Tutti gli adulti avevano provato invano ad aprire un varco nella roccia della montagna, ma non riuscivano a scalfirne neppure un centimetro, doveva essere sicuramente protetta da una magia.

Al bambino invece non interessava nient’altro che poter anche lui inseguire il pifferaio magico per ricongiungersi con tutti i suoi amici.

Poi un giorno ebbe un’idea: costruì un piffero e iniziò a suonarlo.
Gli ci vollero parecchi giorni per imparare a suonarlo come si deve, e altrettanti per ritrovare la melodia che suonava il pifferaio, ma alla fine ci riuscì.

Camminò quindi più veloce che poteva fino al varco nella montagna e cominciò a suonare la melodia: magicamente il varco si aprì.
Con passo incerto e zoppicante, pieno di emozione mista a paura il bambino entrò.

Dentro lo aspettava il pifferaio che con un gran sorriso gli disse:
– Tu hai trovato dentro di te la magica melodia capace di incantare le persone e gli animali! Tieni ora il mio piffero magico, è tuo.

Il bambino prese tra le mani il meraviglioso piffero di legno, lo guardò con occhi lucenti, e quando rialzò lo sguardo il pifferaio non c’era più, ma tutt’intorno aveva i suoi cari amici bambini!

Il bambino iniziò quindi a suonare il piffero e si incamminò fuori dalla grotta nella montagna. Dietro di lui si formò un’allegra colonna festante che poco dopo entrò trionfalmente in città.

Ci fu una gran festa che durò giorni e giorni per celebrare il bambino eroe. Nessuno però seppe mai che cosa avessero fatto i bambini dentro il varco nella montagna, perché nessuno si ricordava nulla…

Il borgomastro, che con la sua avarizia aveva di fatto creato tutta quella disavventura, fu cacciato dal paese.
Con i soldi della mancata ricompensa fu eretta in piazza del paese una statua in onore del pifferaio magico, che aveva liberato la città dai topi, e portato la magica melodia nelle vite e nei cuori di tutti i cittadini di Hamelin.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Pinocchio 🤥 Storia di un burattino

Da burattino a bambino vero: il viaggio di Pinocchio tra errori, crescita e magia.

“Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” di Carlo Collodi è una delle fiabe più celebri al mondo, un capolavoro senza tempo che insegna come, attraverso le esperienze e gli errori, si possa crescere e trasformarsi da burattini in esseri umani maturi e responsabili.

Molti conoscono Pinocchio grazie al celebre cartone animato Disney, ma la storia originale di Collodi è molto più ricca e profonda.

La nostra versione, fedele allo spirito del libro ma più breve e semplificata, è ideale per avvicinare i bambini a questo intramontabile racconto, perfetta per chi cerca una narrazione accessibile senza rinunciare alla magia della fiaba.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Pinocchio 🤥 Storia di un burattino“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Pinocchio 🤥 Storia di un burattino


Indice dei capitoli

  1. Mastro Ciliegia regala a Geppetto un pezzo di legno…
  2. Il grillo parlante.
  3. Mangiafuoco e il teatro dei burattini.
  4. Il gatto e la volpe.
  5. La fata turchina.
  6. Il Campo dei Miracoli.
  7. Pinocchio va a scuola.
  8. Il Paese dei Balocchi.
  9. Pinocchio diventa un bambino.
  10. EXTRA: Curiosità su Pinocchio.

1) Mastro Ciliegia regala a Geppetto un pezzo di legno…


C’era una volta un pezzo di legno. Era tenuto in un angolo della bottega di Mastro Ciliegia, che un giorno si decise di farne una gamba per un tavolino. Lo prese e lo mise sul tavolo per iniziare a tagliarlo, quando sentì una vocina che lo implorava:

– Ti prego, non farmi del male!
Mastro ciliegia si guardò intorno ma non vide nessuno, così riprese a lavorare il legno dandogli un bel colpo.
– Hai! Mi hai fatto male!

Mastro Ciliegia, spaventato dalla voce che proveniva dal pezzo di legno, lasciò cadere gli arnesi, e scivolò per terra dalla paura.

Proprio in quel momento, passava a trovarlo Geppetto, suo amico falegname, che lo trovò disteso a terra. Geppetto gli chiese cosa fosse successo, ma Mastro Ciliegia non voleva fare brutta figura, e come nulla fosse, chiese a Geppetto cosa fosse passato a fare nella sua bottega.

– Mi servirebbe un pezzo di legno, stamattina mi è venuta l’idea di costruirmi un bel burattino.
Mastro Ciliegia alzò un sopracciglio, guardò il pezzo di legno che stava ancora sul banco di lavoro e pensò che fosse un’ottima occasione per disfarsene.

– Guarda guarda, caro mio Geppetto, ho proprio quel che fa per te! – prese il pezzo di legno e glielo mise tra le mani.
Geppetto ringraziò e tornò verso casa. Decise che, una volta finito il burattino, lo avrebbe chiamato Pinocchio e, messo sul tavolo da lavoro il pezzo di legno, iniziò a intagliarlo.

Dopo alcune ore, finalmente, anche gli occhi e il naso erano finiti, mancava solo la bocca e non appena Geppetto si mise a realizzarla, questa iniziò a sghignazzare e a prenderlo in giro.
– Smetti di ridere boccaccia! – esclamò Geppetto, pensando che i morsi della fame gli stessero facendo un brutto scherzo.
La bocca del burattino smise di ridere, ma le sue mani veloci presero la parrucca di Geppetto e se la misero in testa.

– Birba d’un burattino, non sei ancora finito che già manchi di rispetto a tuo padre…
Pinocchio a quel punto saltò giù dal tavolo e cominciò a correre fuori di casa, mentre Geppetto gli correva dietro gridando di fermarsi.

Per fortuna sulla via c’era un carabiniere, che pigliò Pinocchio per il nasone e lo riconsegnò a Geppetto.
– Adesso andiamo a casa, poi faremo i conti! – disse Geppetto.

Pinocchio si buttò a terra e iniziò a piangere e far tanto fracasso da attirare l’attenzione di molte persone.
– Povero burattino – dicevano alcuni – ha ragione a non voler tornare a casa, chissà come lo picchierà Geppetto!…

Il carabiniere poco a poco si convinse che Pinocchio fosse scappato da Geppetto proprio perché lo voleva picchiare, e così lasciò andare Pinocchio e arrestò Geppetto.

– Sciagurato figliolo! E pensare che mi sono impegnato tanto per fare un burattino per bene… ma mi sta bene, dovevo pensarci prima… – disse tra sé Geppetto mentre veniva portato via dal carabiniere.

… continua nel CAPITOLO 2

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Curiosità su Pinocchio

● Carlo Lorenzini, vero nome di Carlo Collodi, scrisse Pinocchio in un momento di difficoltà della sua vita.

● In realtà il vero Pinocchio era lui stesso, sempre pronto a far “bambinate” e pieno di debiti al gioco d’azzardo, si mise così a scrivere una storiella per bambini per guadagnare qualche soldo. Ma già dopo pochi capitoli si era stancato e aveva scritto la parola fine del suo racconto più o meno quando i due banditi appendono Pinocchio all’albero.

● Ma ormai Pinocchio aveva iniziato a viver di vita propria dentro l’entusiasmo e l’immaginazione dei bambini tanto che, a furor di popolo, fu costretto a tirar giù Pinocchio dall’albero e rimetterlo di corsa a vagabondare per la sua strada. Una strada piena di avventure e di crescita interiore che lo porterà a diventare finalmente un bambino in carne ed ossa.

● La verità è che dentro le pagine del libro, ognuno di noi può immedesimarsi in Pinocchio, perchè racconta con parole semplici e senza troppi giri di parole, il birbante che si nasconde dentro tutti i bambini.

● Pinocchio è anche stato un racconto da cui poi sono stati ripresi concetti e modi di dire che oggi sono di uso comune, come:

  • “le bugie dal naso lungo o dalle gambe corte” per indicare chi mente;
  • “il paese dei balocchi” per indicare un luogo immaginario e fantastico dove non si fa nulla dalla mattina alla sera;
  • “Sono fritto!” che si riferisce ad un momento non presente nella nostra versione della fiaba, dove Pinocchio rischia di essere messo in padella e mangiato da un pescatore.
  • “Il Gatto e la Volpe” per indicare una coppia di persone poco affidabili

● Il libro divenne talmente famoso in tutto il mondo (è il libro in lingua italiana più venduto nella storia e vanta ben 240 traduzioni in lingua estera) che anche Tolstoj nel 1936, ne scrisse una versione molto simile.

● Di Pinocchio si sono fatti film di animazione (il più famoso è sicuramente quello della Walt Disney) che dal vero (come non ricordare il Pinocchio interpretato da Benigni nel 2002 o, l’ultimo del 2019, con alla regia Garrone in cui sempre lo stesso Benigni interpreta Geppetto?)

● E la canzone di Edoardo Bennato sul Gatto e la Volpe chi può scordarla?
ascoltatela su youtube 😉

La Sirenetta 🧜‍♀️🌊

Tra amore e sacrificio: il viaggio della Sirenetta verso i suoi sogni più profondi.

Ariel, la coraggiosa sirenetta, è pronta a rischiare tutto pur di realizzare i suoi sogni.

“La Sirenetta” di Hans Christian Andersen è una fiaba che parla di trasformazione, crescita interiore e sacrificio, mostrando come a volte sia necessario perdere qualcosa di prezioso per inseguire ciò che si desidera.

Questa storia, tra le più celebri dello scrittore danese, è un viaggio emozionante tra amore, coraggio e il prezzo da pagare per cambiare il proprio destino. Un racconto senza tempo che continua a incantare grandi e piccini.

⚠️ ATTENZIONE!
Questa è la versione rielaborata da fabulinis, NON c’entra quasi nulla col famoso film della Disney, ma ricalca abbastanza fedelmente la versione originale di Andersen, discostandosene solo per il finale.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La Sirenetta 🧜‍♀️🌊“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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La Sirenetta 🧜‍♀️🌊


Indice dei capitoli

  1. CAPITOLO 1
  2. CAPITOLO 2
  3. CAPITOLO 3

La Sirenetta 🧜‍♀️🌊 CAPITOLO 1


C’era una volta, in fondo al mare, un regno magico governato dal Re del Mare.

Il Re del Mare era rimasto vedovo, e a curare le sue sei figlie sirene c’era l’anziana nonna, che non faceva mancare loro nulla e le riempiva di amore e attenzioni.

La più piccola delle principesse sirene, Ariel, era anche la più bella di tutte e, oltre alla bellezza, aveva ricevuto in dono anche una voce capace di incantare chiunque la ascoltasse.

Ariel e le sue sorelle giocavano tutto il giorno sul fondo del mare e nei giardini del Castello, pieni di fiori e piante acquatiche, mentre la sera amavano ascoltare le storie degli uomini che vivevano in superficie e solcavano i mari, raccontate dalla loro cara nonna.

Ad Ariel queste storie piacevano molto, e la facevano sognare ad occhi aperti, immaginandosi avventure incredibili ed emozionanti.
Così non smetteva mai di chiedere sempre maggiori particolari all’anziana nonna, che alla fine ripeteva sempre a lei e le sue sorelle:
– Alla vostra maggiore età, potrete nuotare fino alla superficie, e vedere con i vostri occhi il mondo degli esseri umani.
Ariel non vedeva l’ora, ma era la più piccolina tra le sorelle e avrebbe dovuto aspettare a lungo…

Finalmente la più grande delle sorelle giunse alla maggiore età, e con enorme emozione intraprese il suo viaggio verso la superficie. Quando tornò aveva mille cose da raccontare, ma la cosa più bella di tutte era l’esser stata sdraiata al chiaro di luna su una spiaggetta riparata, guardando in lontananza la città piena di luci e rumori degli uomini.

Ariel l’ascoltava rapita, e ne avrebbe voluto sapere sempre di più, ma per ora doveva accontentarsi della sua immaginazione…
L’anno successivo fu il turno della seconda sorella, che al ritorno dal suo viaggio in superficie raccontò del tramonto infuocato e del cielo color oro che le aveva incantato gli occhi.

E poi toccò alla terza sorella, che più coraggiosa di tutte volle risalire il fiume per vedere palazzi, castelli, campi coltivati e vigneti immersi in uno splendido bosco dove cantavano gli uccellini.

La quarta sorella invece non era tanto coraggiosa, e quando toccò a lei risalire in superficie, era rimasta in alto mare a vedere le navi che passavano lontane e a giocare insieme ai delfini.

E l’anno dopo ancora toccò alla quinta sorella, era inverno e quando arrivò in superficie incontrò dei grandi blocchi di ghiaccio, grandi come isole, su cui si poteva passare il tempo ad ammirare i maestosi cieli grigio azzurri invernali.

Mancava solo Ariel, che la sera guardava con un velo di tristezza le sorelle prendersi per mano e nuotare lentamente verso la superficie.

Finalmente arrivò il grande momento anche per Ariel e il giorno della sua maggiore età abbracciò forte le sue sorelle, la nonna e il padre prima di nuotare leggiadra verso la superficie.

Quando uscì dall’acqua il sole stava tramontando e in lontananza c’era una grande nave piena di marinai che andavano e venivano. Decise di andare a guardare più da vicino.

Sul ponte della nave i marinai vociavano e cantavano, mentre attraverso i finestrini della nave si vedevano molte persone vestite elegantemente. Si stavano tutti preparando alla grande festa per il compleanno del Principe che si sarebbe tenuta quella sera stessa.

Non appena fu buio iniziarono i balli e poi, finalmente, il Principe uscì sul ponte. In quel momento furono sparati dei razzi che fecero mille fuochi colorati nel cielo. Ariel non aveva mai visto una cosa simile.

Com’era bello il giovane Principe! Stringeva la mano di tutti i suoi amici, e sorrideva mentre la musica suonava nella notte incantevole. Ariel lo guardava mentre il suo cuore batteva sempre più forte.

Ad un tratto però il vento iniziò a soffiare forte, nere nubi cariche di lampi e fulmini si stavano avvicinando velocemente. Tra non molto sarebbe arrivata una tempesta.

I marinai ammainarono in fretta le vele mentre il mare si ingrossava e le onde si facevano sempre più alte e forti. La nave gemeva e scricchiolava. L’albero maestro si spezzò sotto il forte vento e la nave iniziò velocemente ad imbarcare acqua; in pochi minuti era praticamente già affondata.

Ariel capì che tutto l’equipaggio era in pericolo, anche il giovane Principe!
Iniziò a nuotare cercando di evitare i pericolosi rottami che avrebbero potuto ferirla. Si tuffava giù sotto l’acqua, poi ricompariva in superficie guardandosi velocemente intorno, e poi ancora giù finché non trovò il suo Principe.

Lo prese che era già svenuto e lo portò il più rapidamente possibile fino a riva, dove lo depose sulla sabbia in attesa che rinvenisse e passasse la tempesta. Mentre Ariel lo vegliava e gli carezzava la testa arrivò prima l’alba e poi il giorno.

Non molto distante dalla spiaggia c’era una costruzione che ad Ariel sembrò un luogo di culto, da lì stava pian piano arrivando camminando in silenzio una ragazza col volto coperto da un cappuccio. Ariel che era una sirena, non poteva farsi vedere da lei e, a malincuore, dovette abbandonare il suo Principe.

Gli diede un bacio sulla fronte prima di tuffarsi nell’acqua del mare e nascondersi dietro ad uno scoglio per osservare cosa sarebbe accaduto.

Non appena la ragazza vide il Principe svenuto a terra, gridò e corse in suo soccorso, gli sollevò la testa tra le braccia e lo scosse leggermente. Poco dopo il Principe si risvegliò, Ariel notò che dopo un attimo di smarrimento, sul suo volto si dipinse un sorriso e probabilmente stava ringraziando profondamente la ragazza col cappuccio per averlo salvato da morte certa.

Se solo il Principe avesse saputo chi davvero era stata a salvarlo!

Ariel guardò tra le lacrime il suo Principe allontanarsi camminando aiutato dalla ragazza col cappuccio, e solo quando furono ormai troppo lontani dalla sua vista si rituffò nel mare, dove le sue lacrime non si sarebbero più potute vedere…

…continua nel CAPITOLO 2

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Curiosità sulla Sirenetta

● “La Sirenetta” è probabilmente il racconto più autobiografico scritto da Hans Christian Andersen, dove il tema della “diversità” è molto sentito. Dovete sapere che Andersen era omosessuale, e vivendo nella Danimarca del 1800, gli era completamente precluso di poter liberamente amare un altro uomo, cosa che lo rendeva particolarmente infelice.

● “La Sirenetta” è stata il film che a fine anni ’90 ha rilanciato la Disney che, dopo una serie di incredibili flop, era in grande crisi.

● Nel racconto originale di Andersen, nessuno dei personaggi ha un nome proprio, quelli usati nella nostra fiaba sono stati presi in “prestito” dalla versione realizzata dalla Disney, diventata ormai un classico dell’animazione.

● In Danimarca Andersen e il suo racconto “la Sirenetta” sono talmente famosi che all’ingresso del porto di Copenaghen, è stata realizzata una statua in onore della protagonista della fiaba

La Regina delle Nevi ❄️

Un’avventura magica tra ghiaccio e coraggio, dove l’amore supera ogni ostacolo.

Kay è stato portato via dalla misteriosa Regina delle Nevi, e solo Gerda, con il suo coraggio e amore, potrà salvarlo.

Questa fiaba senza tempo di Hans Christian Andersen ha ispirato capolavori come il celebre film Disney “Frozen”.

Segui Gerda in un’avventura emozionante, tra prove difficili e incontri magici, mentre lotta per riportare Kay a casa.

Un racconto profondo che celebra l’amicizia, la determinazione e la forza dell’amore.


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La Regina delle Nevi ❄️


Indice dei capitoli


La Regina delle Nevi ❄ CAPITOLO 1 – Lo specchio e le schegge


C’era una volta un perfido folletto che si dilettava a fare il mago e costruì uno specchio magico. Quel giorno era proprio di buon umore perchè aveva creato uno specchio capace di far sparire tutte le cose belle e buone che vi si specchiavano dentro.

Anche il paesaggio più incantevole, dentro lo specchio appariva come abbandonato e privo di bellezza. I volti delle persone venivano deformati e diventavano irriconoscibili, e anche le più belle persone apparivano repellenti.

E se lo specchio rifletteva qualcosa di brutto, lo rendeva persino orribile.

Il perfido folletto si divertiva un mondo a fare scherzi e a spaventare le persone, mostrando loro quello che lo specchio rifletteva.

E lui rideva, rideva così tanto che un giorno, per tenersi la pancia con le mani a causa delle troppe risate, fece scivolare lo specchio, che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi.

Il perfido folletto gridò di rabbia. Il suo gioco preferito era ormai andato perduto.

Le schegge dello specchio erano così piccole e leggere che diventarono una piccola nuvola fatta di mille pezzettini scintillanti, grandi non più di un granello di sabbia, e il vento le sparse per tutto il mondo.

La più grande sfortuna era che ogni singola scheggia di specchio frantumato possedeva il medesimo malefico potere che aveva lo specchio intero.

Alcune schegge si conficcarono negli occhi delle persone, facendo sì che vedessero il mondo come un posto triste e insopportabile in cui dover vivere per forza. Altre schegge si posarono dentro i cuori, trasformando quelle povere persone in esseri privi di sentimenti e di amore.

Quando si rese conto di cosa i frammenti del suo specchio erano stati in grado di fare, il malefico folletto rise ancora di più e continuò a ridere per tutta la sua vita, perché sapeva che tutte quelle schegge sarebbero volate per il mondo e avrebbero portato la tristezza nelle persone per chissà quanto tempo ancora.

Ma non poteva immaginare l’avventura che i suoi frammenti di specchio avrebbero fatto affrontare a due bravi e cari bambini, il giovane Kay e la dolce Gerda…

… continua nel CAPITOLO 2: Kay e Gerda

Note alla Regina delle Nevi

La Regina delle Nevi è forse il racconto più lungo e complesso scritto da Hans Christian Andersen.

Racconta la storia di crescita e maturità di due ragazzi, Kay e Gerda, che dovranno affrontare le loro paure più profonde per poter alla fine essere finalmente felici insieme.

Il significato profondo di questa storia lo si intuisce già daslla suddvisione in sette capitoli, che in realtà possono essere letti quasi come storie assolutamente indipendenti tra loro, ma che insieme formano una elaborata storia in cui Gerda dimostrerà di riuscire ad affrontare il mondo contando solo sulle proprie forze, e un pizzico di fortuna (che non guasta mai).
In fondo Gerda ha sempre avuto tutte le capacità di cui aveva bisogno, solo non sapeva ancora di possederle.

Mentre Kay, grazie all’amore di Gerda, solo alla fine si renderà conto di quanto illusorie e pericolose siano state le sue ambizioni.

Questo racconto è stato alla base dell’ispirazione per il famoso film della Disney “Frozen”.

Una precisazione, nel racconto originale di Andersen, Gerda incontra prima la donna di Lapponia e poi la donna di Finlandia, che però è un controsenso in quanto, ipotizzando un viaggio verso nord, si incontra prima la Finlandia e poi la Lapponia (che è una regione della stessa Finlandia).
Per essere il più coerenti possibile con la geografia, abbiamo volutamente scambiato i nomi dei due personaggi.

Speriamo che la nostra versione vi piaccia!

😊

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Jack e il fagiolo magico 🌱

Jack e il fagiolo magico: un’avventura tra le nuvole

Jack scambia la sua mucca per un fagiolo magico e, incredulo, assiste alla crescita di una pianta gigante che lo porta in un mondo sospeso tra le nuvole.

Qui dovrà sfidare un terribile gigante per salvare sé stesso e la sua mamma.

Un classico senza tempo che parla di coraggio, astuzia e un pizzico di magia, perfetto per far sognare grandi e piccini.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Jack e il fagiolo magico 🌱“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Jack e il fagiolo magico 🌱


C’era una volta una povera vedova che viveva in una casetta sperduta in una valle con il suo unico figlio Jack, uno scavezzacollo dal cuore molto gentile e affettuoso.

Era appena finito un duro inverno e la mamma, che era rimasta malata per molto tempo, mandò Jack a vendere la loro unica mucca al mercato. Contava così di avere un po’ di denaro per andare avanti, in attesa di rimettersi in sesto e poter riprendere a lavorare.

Jack si recò quindi a vendere la mucca al mercato. La sua attenzione fu attirata da un vecchio mercante con una lunga barba bianca, che gli si avvicinò con in mano qualcosa.

Erano degli strani fagioli e raccontò al ragazzo che erano magici:
– Se li pianti oggi, domani avrai una pianta così alta da toccare il cielo! – gli disse, e persuase Jack a scambiare la mucca con quei fagioli.

Quando sua madre, invece dei soldi che si aspettava per la mucca, vide in mano a Jack solo dei fagioli, andò su tutte le furie. Li prese e li gettò in giardino e per punizione mandò Jack a letto senza cena.

All’alba Jack si svegliò e d’istinto uscì in giardino, dove scoprì con stupore che uno dei fagioli era cresciuto durante la notte, ed era così alto che scompariva tra le nuvole!

“Sarebbe facile scalarlo” si disse Jack e, senza pensarci due volte, iniziò immediatamente a salire. Salì finchè persino l’alto campanile della chiesa sembrava piccolo, e ancora non riusciva a vedere la cima della pianta di fagioli!

Finalmente raggiunse la cima della pianta e si ritrovò in un bosco con al centro un grande castello.

Jack decise di entrare. Bussò forte e, poco dopo, la porta fu aperta da una spaventosa Gigantessa che, sorpresa, gli disse:
– E tu da dove sbuchi fuori?

Non appena Jack la vide cercò di scappare, ma lei fulminea lo prese per la collottola e lo trascinò nel castello tutta felice.

– Oh che bello, finalmente ho trovato un nuovo sguattero e io sarò libera da tutte le faccende domestiche! Pulirai la casa, sistemerai il giardino e farai tutto quello che ti dico quando il Gigante mio marito è fuori dal castello – poi si fermò e lo guardò dritto negli occhi – però, quando lui è a casa, devo nasconderti, perché finora ha divorato tutti i miei sguatteri e tu saresti un boccone molto delizioso, ragazzino – e trascinò Jack fino alle cucine.

Il povero ragazzo era spaventato a morte…
– Sono pronto ad aiutarvi e a fare tutto il possibile per servirvi, mia signora – disse – solo vi prego di nascondermi bene da vostro marito, perché non mi piacerebbe affatto essere mangiato…

– Sei un ragazzo molto intelligente – disse la gigantessa, annuendo – ora devo nasconderti, tra poco mio marito arriverà per colazione – e lo rinchiuse in un grande armadio con un’enorme serratura, da cui Jack poteva vedere cosa succedeva nella stanza.

Poco dopo si sentirono dei passi pesanti avvicinarsi alla cucina, e poi una grossa voce tuonare:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a colazione!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di una bella bistecca di elefante… siediti e fai una buona colazione – e gli mise davanti un piatto enorme di carne saporita e fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Jack osservava tutto dal buco della serratura.

Finita la colazione ordinò alla moglie di portargli la sua gallina che deponeva le uova d’oro. La Gigantessa tornò presto con una gallinella marrone, che posò sulla tavola davanti al marito che disse:
– Deponi! – e immediatamente la gallina depose un uovo d’oro.

Jack non credeva ai suoi occhi, se avesse avuto una gallina del genere lui e sua madre non avrebbero mai più patito la fame…

Poco dopo il Gigante posò la gallina sul pavimento, e subito dopo si addormentò profondamente, la moglie invece aveva preso alcuni panni ed era andata al fiume per lavarli.

Jack allora aprì l’anta dell’armadio e sgattaiolò fuori con molta cautela, prese in braccio la gallina, e si affrettò a lasciare il castello il più velocemente possibile, scendendo dal gigantesco tronco del fagiolo magico come un fulmine.

Quando sua madre lo vide ritornare pianse di gioia, perché aveva temuto che Jack fosse scappato di casa per colpa della punizione della sera precedente.

Ma Jack posò la gallina marrone davanti a lei e le raccontò della scalata sul fagiolo magico, di come era entrato nel castello del Gigante e tutte le sue avventure. La madre fu molto contenta di vedere la gallina, che li avrebbe certamente tolti dalla povertà.

Passavano i giorni e il fagiolo magico era sempre lì, gigantesco e alto fino al cielo. Jack lo guardava e pensava a quali altri tesori poteva trovare dentro il castello del Gigante, così un giorno ebbe un’idea.

Si tinse i capelli e si travestì, risalì il tronco del fagiolo e bussò alla porta del castello. La Gigantessa non lo riconobbe, lo prese e lo trascinò dentro come aveva fatto la prima volta per farsi aiutare a fare i lavori di casa. Quando arrivò il marito lo nascose nell’armadio, senza pensare che fosse lo stesso ragazzo che aveva rubato la gallina.

Il Gigante entrò dicendo:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a pranzo!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di un arrosto succulento… siediti e fai un buon pranzo – e gli mise davanti un piatto enorme, pieno di arrosto fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Jack osservava tutto dal buco della serratura.

Finito il pranzo ordinò alla moglie di portargli i sacchi con i denari, che voleva contarli. La Gigantessa tornò presto con due grandi sacchi, che posò sulla tavola davanti al marito.

– Tieni – disse la Gigantessa – questo è tutto ciò che resta del denaro del barone che viveva nel castello, quando l’avrai speso tutto dovremo andare a prendere il castello di qualcun’altro – e uscì dalla stanza.

Il Gigante scrollò le spalle, tirò fuori mucchi e mucchi di monete d’oro, e iniziò a contarle finché non fu stanco. Poi rimise tutto nei sacchi e, appoggiandosi allo schienale della sedia, si addormentò profondamente.

Jack sgusciò fuori piano piano dall’armadio e, prendendo i sacchi di denaro, corse via. Ridiscese dal fagiolo magico e corse da sua madre.

– Guarda madre, ti ho portato due sacchi pieni d’oro!
– Oh, Jack… tu sei un bravissimo ragazzo, ma non devi più mettere a rischio la tua preziosa vita nel castello del Gigante! Non devi andarci mai più!
Jack annuì per far felice sua madre, ma era deciso a tornare ancora nel castello del Gigante.

Così, qualche giorno dopo, si arrampicò ancora una volta, entrò nel castello senza farsi vedere e si nascose dentro l’armadio.

Poco dopo il Gigante tornò a casa, e appena varcò la soglia ruggì:
– Moglie! Sento profumo di giovanotto nel castello! Fammelo mangiare a cena!

– Sei invecchiato caro mio – gli rispose la gigantessa a voce alta – È solo il profumo di un porcellino grigliato… siediti e fai un buona cena – e gli mise davanti un piatto enorme con sopra un porcellino fumante, cosa che gli fece molto piacere e gli fece dimenticare la sua idea di un giovanotto nel castello.

Quando ebbe mangiato tutto il Gigante disse:
– Moglie, portami la mia arpa farò un po’ di musica mentre tu farai la tua passeggiata.

La Gigantessa obbedì e tornò con una bella arpa tutta scintillante di diamanti e rubini e con le corde d’oro.

Il Gigante disse rivolgendosi all’arpa – suona! – e l’arpa, che era magica, si mise a suonare una dolce melodia che ben presto lo fece addormentare.

Jack sgattaiolò fuori dall’armadio, controllò che la Gigantessa fosse uscita, afferrò l’arpa dalle mani del Gigante e corse via come il vento.
Ma proprio mentre stava per uscire dal castello, l’arpa magica gridò:
– Aiuto! Aiuto!

Il Gigante si svegliò, con un tremendo ruggito balzò dalla sedia e in due passi raggiunse il portone. Voleva acciuffare il ladro che stava cercando di rubargli l’arpa magica.

E stava per riuscirci! Jack, però, era molto agile, sfuggì alle grinfie del Gigante e corse giù dal tronco del fagiolo magico.

Il Gigante cercò di inseguirlo ma, data la sua stazza, si muoveva in modo molto lento e goffo.
Jack fece quindi in tempo ad arrivare a casa e prendere l’ascia, con la quale diede tre colpi ben assestati al tronco del fagiolo magico. La pianta, abbattuta, cadde a terra ma, non appena il tronco del fagiolo magico toccò il terreno, svanì come per magia, e con esso sparirono il Gigante, la Gigantessa e il loro Castello.

Jack e sua madre non credevano ai loro occhi.
Si misero a cantare e ballare dalla gioia di essersi liberati del Gigante cattivo, e grazie alla gallina dalle uova d’oro, i sacchi di denaro e l’arpa magica che gli avevano sottratto, vissero per sempre felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Il principe ranocchio 🐸

Il Principe Ranocchio: una fiaba di magia, trasformazione e promesse mantenute

Un ranocchio aiuta una principessa, ma lei non vuole ricambiare il favore. Questa antica fiaba, resa celebre dai fratelli Grimm, racconta di un incantesimo che può essere spezzato solo da un bacio.

Tra promesse infrante, magia e colpi di scena, il ranocchio dovrà conquistare la fiducia della principessa per tornare ad essere un principe.

Una storia che insegna il valore della parola data e dell’apparenza che spesso inganna.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il principe ranocchio 🐸“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Il principe ranocchio 🐸


C’era una volta un re che aveva tre figlie, tutte bellissime, ma la più giovane era la più bella e dolce di tutte.

La principessina passava le sue giornate vicino alla pozza d’acqua fresca che si trovava all’interno delle mura del castello.

Il suo passatempo preferito era giocare con una palla dorata: la lanciava in aria e la riprendeva, e pareva non si stancasse mai di questo divertimento.

Un giorno però la palla le scivolò di mano e finì proprio in mezzo alla pozza d’acqua lì vicino.

La principessina, non riuscendo a recuperarla, cominciò a piangere disperata perché era molto affezionata a quella palla.

Ad un tratto però sentì una voce:
– Come mai piangi, principessina mia?

La principessina si guardò intorno, per vedere da dove provenisse quella voce, ma vide solo la testa di un grosso ranocchio che spuntava dall’acqua.

– Sei tu che mi hai parlato? – chiese la principessina.
Il ranocchio annuì e le disse:
– Se vuoi posso aiutarti a recuperare la tua palla d’oro. Tu in cambio cosa mi dai?
– Tutto quello che vuoi, anche la mia corona d’oro, basta che me la riporti! – rispose la principessina.

– Del tuo oro non me ne faccio nulla, voglio piuttosto essere tuo amico, passare le giornate con te, mangiare alla tua tavola e dormire nella tua stanzetta – propose il ranocchio.
– Va bene! – esclamò la principessina, che però fra sé e sé pensava “che cosa passa per la testa a quel ranocchio? essere mio amico? Starà scherzando!”

Il ranocchio, con un tuffo, raggiunse la palla d’oro e la riportò alla principessina.
La principessina, piena di gioia, prese la palla fra le mani e corse via senza nemmeno ringraziare.

Il ranocchio le gridò:
– Aspettami! Se corri così veloce non riesco a starti dietro! – ma la principessina era ormai talmente lontana che nemmeno lo sentiva più.

Il giorno dopo, mentre la principessina era a tavola col re, la regina e le sue sorelle, si sentì battere forte al portone del palazzo, e una voce disse:
– Principessina, sono il ranocchio che ti ha recuperato la palla d’oro dalla pozza d’acqua, ora devi mantenere la tua promessa!

Il re guardò la figlioletta e le chiese di cosa si trattasse. La principessina raccontò quindi tutta la vicenda del giorno precedente, e alla fine il re sentenziò:
– Le promesse vanno mantenute figlia mia, fate entrare il ranocchio!

Così il ranocchio fu fatto sedere di fianco alla principessina, che lo guardava con disgusto.
– Avvicinami il tuo piattino d’oro, così che io possa mangiare assieme a te – disse il ranocchio, che mangiò tutto con buon appetito.
La principessina, arrabbiata, invece non mangiò nulla.

Dopo il pasto il ranocchio disse che era molto stanco e avrebbe gradito dormire nella stanzetta della principessina.

La principessina all’idea di dover dormire a fianco di un ranocchio freddo e viscido scoppiò a piangere disperata, ma il re la riprese:
– Non si deve disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno!

Con due dita la principessina prese il ranocchio e lo portò in camera, ma quando furono in stanza il ranocchio disse:
– Sono molto stanco e ho deciso di dormire insieme a te. Se non lo farai, lo dirò a tuo padre.

La principessina, al colmo della collera, lo prese per le zampine e lo scagliò con forza contro la parete.
– Adesso tacerai, brutto ranocchio! – urlò.

Il ranocchio cadde a terra privo di sensi. Solo allora la principessina si rese conto di quello che aveva fatto; corse dal ranocchio, lo prese in braccio e lo strinse forte a sè.

– Oh no ranocchio mio, scusami tanto, non volevo… se potessi fare qualcosa per salvarti la vita…

La bocca del ranocchio sussurrò qualcosa, che però la principessina non riuscì ad udire, così accostò meglio l’orecchio alla sua bocca e alla fine riuscì a sentire le parole del ranocchio:
– … un bacio… solo un bacio… – diceva con un filo di voce.

La principessina, spinta dal rimorso di aver fatto del male ad una povera creatura, sconfisse il disgusto per il freddo e viscido rospo, chiuse gli occhi e gli diede un bacio.

Un istante dopo, nella stanza ci fu un caldo bagliore e, quando la principessina riaprì gli occhi, davanti a lei c’era un bel ragazzo che si sfregava un grosso bernoccolo sulla testa.

– E tu chi sei?! – esclamò la principessina.
– Sono il ranocchio, ma il mio vero nome è principe Enrico! Sono stato vittima di un incantesimo di una strega e solo il bacio di una principessa avrebbe potuto spezzarlo… grazie!

La principessina, ancora attonita per lo stupore, gli sorrise e corse a medicargli la ferita.

I due ragazzi iniziarono così una bella amicizia, che nel tempo si tramutò in amore. E un bel giorno si sposarono, proprio di fronte alla pozza d’acqua dove tanto tempo prima si erano incontrati.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Pollicino 👦⚪⚪⚪

Pollicino: una fiaba di astuzia, coraggio e avventura

Piccolo ma ingegnoso, Pollicino riesce a sfuggire ai pericoli e a salvare i suoi fratelli dall’orco cattivo.

Questa fiaba classica di Charles Perrault, tradotta anche da Carlo Collodi, racconta la difficile avventura di sette fratelli abbandonati nel bosco, costretti ad affrontare insidie e pericoli.

Grazie all’astuzia di Pollicino e agli stivali magici delle sette leghe, i bambini riusciranno a tornare sani e salvi a casa, dimostrando che l’intelligenza è più forte della forza.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Pollicino 👦⚪⚪⚪“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Pollicino 👦⚪⚪⚪


C’era una volta, tanto tempo fa, un casotto isolato e vicino alla Foresta Nera, dove vivevano un povero boscaiolo, sua moglie e i loro sette figli, tutti maschi.

Era stato un anno di carestia e ultimamente il boscaiolo non riusciva a guadagnare abbastanza da portare cibo a sufficienza per sfamare tutta la famiglia.

Il boscaiolo era un uomo rude e molto irascibile. Una sera, capendo che il giorno successivo non avrebbe avuto di che sfamare se stesso e di conseguenza tutta la famiglia, prese la moglie e le disse:

– Non abbiamo in casa più cibo nemmeno per arrivare a sera. Ho deciso che domani porteremo nel bosco i bambini e li abbandoneremo, così almeno noi due ce la caveremo.

La moglie inorridita per quella dura e crudele sentenza si mise a piangere disperata, cercò di convincere il marito a non abbandonare i loro figli, ma l’uomo fu irremovibile.

I due non si accorsero però che, sotto al tavolo della misera cucina, stava rannicchiato Pollicino, il più piccolo dei loro figli che era talmente minuscolo da potersi nascondere ovunque senza essere scoperto. Pollicino sentendo discutere animatamente i genitori volle scoprire di cosa stavano parlando.

Nel sentire quelle terribili parole, Pollicino che era tanto piccolo quanto intelligente, capì che doveva fare qualcosa per salvare se stesso e i suoi fratelli.

Corse fuori di casa fino al vicino ruscello e iniziò a prendere tanti piccoli sassolini bianchi fino a riempire il tascapane che portava sempre con sé, poi tornò a casa e si mise a dormire nel suo lettino.

Il mattino seguente il boscaiolo e la moglie, presero tutti i loro bambini e li portarono nel bosco con la scusa di farsi aiutare a raccogliere della legna.

I bambini, che non immaginavano le reali intenzioni dei genitori, partirono entusiasti. Tutti tranne Pollicino, che si mise in coda al gruppo.

Pollicino, senza farsi vedere, ogni tanto lasciava cadere sul sentiero uno dei piccoli sassolini bianchi raccolti sul greto del fiume, certo che l’avrebbero aiutato a ritrovare la strada di casa una volta abbandonati nel bosco.

Dopo una lunga camminata fin dentro il cuore della Foresta Nera, il boscaiolo e la moglie dissero ai bambini di fermarsi a raccogliere tutte le frasche e rametti che potevano, mentre loro sarebbero andati a raccogliere legna lì vicino.

– Non muovetevi da qui – disse con voce ferma il loro padre – noi torneremo presto a prendervi.

E così il boscaiolo e la moglie sparirono tra gli alberi della foresta.
I bambini che non sospettavano nulla iniziarono felici a fare il loro dovere, finchè non arrivò quasi sera, e i loro genitori non si erano ancora fatti vivi…

Tutti i fratellini a poco a poco iniziarono ad avere paura, poi alcuni di loro iniziarono a piangere, finché non intervenne Pollicino:

– Fratelli miei, non preoccupatevi, io so come riportarvi tutti a casa, seguitemi! – e con sicurezza iniziò a camminare spedito nel bosco seguendo la traccia dei sassolini lasciati a terra.

Prima che il buio impedisse loro di vedere il sentiero, furono di nuovo a casa.

La madre, non appena li vide, corse ad abbracciarli tutti, piena di gioia. Il padre invece sbuffò e inventò la scusa che si erano persi pure loro nella foresta, e non erano più riusciti a ritrovarli.

Ma dopo aver aspettato che tutti i bambini fossero a letto a dormire, il boscaiolo riprese la moglie e le disse nuovamente:

– Non possiamo assolutamente permetterci di mantenere tutti quei bambini, domani li porteremo in un’altro punto della foresta, più lontano ancora, e li abbandoneremo!

La donna spense tutta la gioia che aveva provato nel riabbracciare i suoi piccoli e, chinando il capo, cercò di nascondere le lacrime che scendevano sul suo viso.

Pollicino, che aveva sospettato una nuova decisione del genere da parte del padre, era rimasto sveglio e si era messo ad origliare dall’altra parte della stanza.

Sentendo quelle parole, decise di ritornare al fiume a riempire il tascapane di sassolini, ma purtroppo trovò la porta di casa sprangata e non poté uscire. L’unica cosa che trovò fu un piccolo pezzo di pane raffermo, con quello poteva fare piccole briciole per segnare il sentiero.

Il mattino seguente, con un’altra scusa i genitori presero i loro figli e li portarono ancora più in fondo nella Foresta Nera, in un punto in cui anche la luce faceva fatica a passare tra le fronde degli alberi. E li abbandonarono di nuovo.

Come il giorno precedente, i bambini in un primo momento rimasero sereni, ma non ci misero molto a comprendere che erano stati di nuovo lasciati soli.

Pollicino, sicuro di sé, li radunò tutti e li tranquillizzò dicendo che li avrebbe ricondotti a casa, e si mise a cercare le bricioline che aveva lasciato sul sentiero.

Ma non riuscì a trovarle perché gli uccellini si erano mangiati tutte le bricioline di pane!

Impauriti e disperati i sette fratelli iniziarono a vagare per la foresta.
Stava arrivando la sera, quando a Pollicino venne un’idea. Si arrampicò fino in cima ad un albero per vedere meglio la direzione da prendere.

Con sorpresa, vide che poco distante c’era una casa con le luci accese e il comignolo fumante.
– Ho trovato una casa fratelli! Andiamo a chiedere ospitalità per la notte! – esclamò Pollicino.
E così si incamminarono.

Giunti alla casa, Pollicino bussò. Poco dopo aprì la porta un’orchessa che guardandoli con meraviglia chiese:
– Cosa ci fate qui bambini?!

– Ci siamo persi nel bosco, abbiamo freddo e fame e non sappiamo dove passare la notte… – rispose Pollicino.
– Ma questa è la casa di un orco ghiotto di bambini, se vi trova vi mangia! – disse preoccupata l’orchessa.

– Moriremo comunque di stenti qui nel bosco se lei non ci aiuta… a questo punto meglio essere mangiati da un orco… – concluse Pollicino.

L’orchessa, impietosita dagli sguardi spauriti dei bambini disse:
– …e va bene, entrate, svelti, vi darò da mangiare e vi nasconderò – e così fece.

Poco dopo l’orco rientrò a casa annusando l’aria con soddisfazione:
– Senti senti che bell’odorino di bambini paffuti e grassottelli che c’è nell’aria… moglie, volevi farmi una sorpresa? – e si precipitò subito ad aprire la porta del ripostiglio dove erano nascosti tutti i fratellini.

L’orchessa tentennante rispose:
– … sì caro mio, ma li mangerai domani, per stasera ti ho già preparato un’abbondante cena…
L’orco sorrise beffardo e si mise a cenare.

L’orchessa prese Pollicino e i suoi fratelli e li accompagnò a dormire.

Nella camera erano presenti due enormi letti, in uno stavano dormendo le sette figlie degli orchi, nell’altro avrebbero dormito i sette fratelli.

Le piccole figlie degli orchi erano amate dal loro padre come fossero principesse, tanto che ognuna di loro aveva in testa una graziosa coroncina intrecciata. Pollicino notò la cosa e la tenne a mente.

Dopo averli messi tutti a letto l’orchessa chiuse la porta della stanza. Pollicino aveva un brutto presentimento e chiese ai suoi fratelli di scambiare i loro berretti con le coroncine delle piccole orchette.

Le preoccupazioni di Pollicino erano ben fondate perchè, quando ormai stavano tutti dormendo, sentì aprirsi piano la porta della stanza. Era l’orco che nel buio era venuto a prenderli!

L’orco ben sapeva che le sue bimbe portavano una coroncina in testa, quindi nel buio si mise a tastare le testoline dei sette fratelli, e sentendo le coroncine si spostò spedito verso l’altro letto, aprì un sacco e credendo di prendere i bambini, vi gettò dentro invece tutte le sue figlie. Poi uscì dalla stanza.

Pollicino svegliò i suoi fratelli.
– Svelti! Svelti! E’ il momento di scappare!
I bimbi fuggirono via dalla finestra, per fortuna c’era la luna piena ad illuminare il sentiero nella foresta.

Non passò molto tempo che l’orco, aprendo il sacco, si accorse di aver preso per sbaglio le sue bambine. Infuriato come non mai si infilò i magici stivali delle sette leghe e partì all’inseguimento di Pollicino e i suoi fratelli.

Gli stivali delle sette leghe consentivano di fare decine di metri per ogni passo fatto, e in breve l’orco si era avvicinato moltissimo a Pollicino e i suoi fratelli senza però raggiungerli.

Purtroppo gli stivali erano tanto portentosi quanto stancanti e l’orco, dopo aver corso per alcuni minuti, si fermò stremato a riposare appoggiato al tronco di un albero, e siccome era notte fonda, si addormentò.

Pollicino, sentendo russare sonoramente l’orco, decise di rubargli gli enormi stivali e indossarli. Siccome erano stivali magici si adattarono subito ai piccoli piedi di Pollicino.
– Fratelli ho avuto un’idea, aspettatemi qui! – disse, e poi si precipitò a casa dell’orchessa.

– Signora orchessa, è successa una disgrazia! – gridò Pollicino – suo marito l’orco è stato rapito dai banditi, e se non avranno tutto il vostro oro, lo uccideranno!
L’orchessa senza farselo ripetere due volte prese tutto quello che aveva in casa e lo consegnò a Pollicino, che corse di nuovo dai suoi fratelli.

– Con tutto quest’oro e con questi stivali non avremo più preoccupazioni fratelli miei! – disse entusiasta Pollicino. Tutti i suoi fratelli gli fecero festa.

Ripresero il cammino verso casa, dove arrivarono alle prime luci dell’alba.

Entrando Pollicino trovò la loro madre che piangeva disperata.
– Mamma, siamo tornati! – esclamò.
La madre si voltò e corse ad abbracciarli tutti quanti, riempiendoli di baci.

Pollicino chiese dov’era il loro padre e la madre raccontò loro che avevano litigato furiosamente a causa del loro abbandono, così lui aveva deciso di andarsene via per sempre, in cerca di fortuna da qualche altra parte.

I bambini mostrarono alla madre tutto l’oro sottratto agli orchi e Pollicino, il giorno stesso, si presentò dal re, ottenendo un incarico come messaggero privato grazie agli stivali delle sette leghe.

La madre era incredula che le loro sorti potessero essere cambiate così tanto in così poco tempo, ma era felice di poter essere riunita ai suoi bambini, e la loro famiglia visse per sempre felice e contenta.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Cappuccetto Rosso 🐺

Cappuccetto Rosso: quando ascoltare la mamma è una buona idea…

C’era una volta una bambina con un mantellino rosso che si avventurò nel bosco, senza sapere che tra gli alberi si nascondeva un astuto lupo in agguato.

Questa fiaba classica, tramandata nei secoli, racconta di scelte, pericoli e insegnamenti preziosi. Tra promesse infrante e coraggio ritrovato, Cappuccetto Rosso impara che ascoltare i consigli di chi ci vuole bene può fare la differenza.

Una storia senza tempo che ci ricorda come l’astuzia e la prudenza siano alleati preziosi lungo il cammino della vita.

P.S. Siccome ci piacciono tutti gli animali, nella versione di fabulinis il lupo cattivo non fa una brutta fine 😉


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Cappuccetto Rosso 🐺“!


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Cappuccetto Rosso 🐺


C’era una volta una bimba tanto carina. Tutti le volevano bene, specialmente la nonna che la coccolava e passava sempre un sacco di tempo con lei.
Un giorno la nonna le regalò una mantellina di velluto rosso e, siccome i suoi regali erano importantissimi, non voleva mai toglierla.
In paese iniziarono quindi a chiamarla Cappuccetto Rosso.

La nonna però si ammalò, e un giorno la mamma di Cappuccetto Rosso disse alla bimba:
– La nonna è debole e malata. Portale questa focaccia e questa tisana alle erbe, così si rimetterà in forze. Salutala per me, e mi raccomando: segui la strada che attraversa i campi di grano e non entrare nel bosco, altrimenti rischi di finire nei guai.
– Sì, mamma, farò come mi dici – promise la bimba alla mamma, dandole un bacio.

Ma la nonna abitava in una casetta a una mezz’ora buona di cammino dal villaggio, e Cappuccetto rosso sapeva che prendendo la scorciatoia dentro il bosco sarebbe arrivata prima.
“Cosa potrà mai succedermi? Ho fatto tante volte quel sentiero in compagnia del papà” pensò la bimba.
Cappuccetto Rosso, quindi, prese la scorciatoia. Camminava con passo spedito e, man mano che andava avanti, il bosco diventava sempre più fitto e buio.

Finché ad un certo punto, proprio in mezzo alla strada, incontrò un lupo che sembrava quasi la stesse aspettando.
Cappuccetto Rosso non ebbe paura: non sapeva che quella era una bestia tanto cattiva.
– Buon giorno bimba – disse il lupo.
– Buon giorno a te – rispose Cappuccetto Rosso
– Dove vai così di fretta?
– Vado dalla nonna che è malata.
– E che cos’hai nel cestino? – continuò il lupo.
– Una tisana e una focaccia, la aiuteranno a guarire –
– Ma che brava bimba! Ma dimmi, dove abita la tua nonna? –
– Vicino al mulino, dove ci sono gli alberi di noccioli – disse Cappuccetto Rosso.

Il lupo pensò: “Questa bimba è proprio ingenua…” – Se vuoi ti faccio compagnia fino dalla nonna, qui nel bosco si possono fare dei brutti incontri sai?
Cappuccetto Rosso annuì e sorrise felice.
Il lupo iniziò a camminarle a fianco ma sembrava pensieroso, finché all’improvviso sorrise tra sé e sé. Aveva escogitato un diabolico piano.

Aspettò di arrivare appena fuori dal bosco e le disse:
– Ecco bimba mia, da qui in avanti puoi continuare da sola, spero di rivederti presto!
– Grazie mille signor lupo, a presto! – rispose Cappuccetto Rosso.
– Ma guarda quanti bei fiori ci sono laggiù! – disse il lupo – non sarebbe bello raccoglierne un mazzo per la nonna?
Cappuccetto Rosso guardò i fiori: erano stupendi e corse a raccoglierne un bel mazzetto per la nonna.

Il lupo approfittò del momento di distrazione di Cappuccetto Rosso e corse dritto alla casa della nonna.
– Chi è? – chiese la nonna quando sentì bussare alla porta.
– Cappuccetto Rosso, nonna. Aprimi! – disse il lupo con la vocina più dolce che poteva.
– Devi solo spostare il chiavistello – rispose la nonna, – io sono troppo debole per alzarmi.
Il lupo spostò il chiavistello ed entrò, andò dritto verso il letto della nonna e… gnam! se la mangiò in un sol boccone.
Poi indossò i suoi vestiti e la sua cuffia e si nascose sotto le coperte ad attendere.

Cappuccetto Rosso, dopo aver raccolto un bel mazzolino di fiori, corse dalla nonna.
Stranamente trovò la porta spalancata e, entrando piano piano nella stanza, ebbe una sensazione così cupa che pensò: “c’è un silenzio strano qui oggi, mi vien quasi voglia di andare via… davvero strano, di solito sto così volentieri con la nonna…”
Si avvicinò al letto e spostò la coperta: la nonna aveva la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.

– Nonna, che orecchie grandi che hai! – disse la bimba
– Per sentirti meglio, bambina mia! – rispose il lupo
– E che occhi grossi che hai!
– Per vederti meglio, bambina mia!
– Nonna, ma anche le tue mani sono così grandi! – disse Cappuccetto, sempre più spaventata.
– Per afferrarti meglio! – iniziò a ghignare il lupo.
– Ma, nonna, e che bocca spaventosa che hai! – gridò Cappuccetto Rosso.
– Per divorarti meglio! – E dicendo queste parole, il lupo balzò dal letto e… gnam! Mangiò la povera Cappuccetto Rosso in un sol boccone.
Poi, con la pancia bella piena, il lupo si rimise a letto, si addormentò e incominciò a russare sonoramente.

Solo che la nonna e Cappuccetto Rosso, dentro la pancia del lupo, stavano veramente strette.
Cappuccetto Rosso allora iniziò a fare il solletico dentro la pancia del lupo, e subito anche la nonna cominciò a farlo.
Il sonno del lupo iniziò a essere molto disturbato, si girava di qua e di là dal fastidio, finché non si svegliò di soprassalto.
Iniziò a tossire così forte che anche le mura della casa tremavano, finché fece due colpi talmente forti che dalla bocca gli uscirono fuori sia Cappuccetto Rosso che la Nonna!

Caso vuole che proprio il quel momento passasse di lì il cacciatore, il quale, sentito tutto quel trambusto, non poté fare a meno di affacciarsi alla finestra a guardare tutta la scena.
Il lupo, che si teneva la pancia con le mani per il dolore provocatogli dai forti colpi di tosse, quando vide il cacciatore affacciarsi alla finestra, gridò di paura e corse veloce fuori dalla casa della nonna.

Il cacciatore non fece in tempo ad imbracciare il fucile che il lupo era ormai già lontano. Ma andava bene così, lo avrebbe acciuffato un altro giorno. L’importante era che Cappuccetto Rosso e la nonna stessero bene.
Le due, un po’ frastornate per l’accaduto, stavano comunque bene e ringraziarono il cacciatore per aver fatto scappare il lupo.

Poi Cappuccetto Rosso guardò la nonna, e si scusò dicendole:
– Scusami nonnina, è tutta colpa mia se il lupo è entrato in casa tua e ha cercato di mangiarci… sono stata una sciocca ad inoltrarmi nel bosco da sola, e a fidarmi di un lupo cattivo. Prometto che non lo farò mai più!

La nonna, visto che Cappuccetto rosso aveva compreso bene i suoi sbagli, la abbracciò forte forte, la baciò in fronte e le disse di ascoltare sempre quello che diceva la mamma, che era solo per il suo bene.
Così Cappuccetto Rosso tornò a casa, ma per la strada che attraversava i campi di grano, mica attraverso il sentiero del bosco!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Hänsel e Gretel 👦👧🏡

Hänsel e Gretel: una fiaba di coraggio, astuzia e speranza

Persi in un fitto bosco, Hänsel e Gretel si ritrovano davanti a una casetta fatta di marzapane, senza sapere che al suo interno si nasconde una strega malvagia.

Grazie all’astuzia, al coraggio e al legame che li unisce, i due fratellini affrontano le insidie, trasformando il pericolo in una straordinaria prova di forza e ingegno.

Questa fiaba classica dei fratelli Grimm ci insegna che, anche nelle situazioni più difficili, la determinazione e la speranza possono aprire la strada verso la salvezza.

Nella fiaba descritta dai fratelli Grimm un ruolo molto importante lo gioca la “cattiva matrigna” dei due bambini. Nella nostra versione di fabulinis abbiamo preferito omettere questo stereotipo tipico della matrigna cattiva.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Hänsel e Gretel 👦👧🏡“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

⚜️

Hänsel e Gretel 👦👧🏡


C’era una volta, ai margini della foresta della Turingia, una piccola casetta dove vivevano due fratellini, Hänsel e Gretel.

Il loro papà faceva il taglialegna e la loro mamma, oltre ad occuparsi di tutte le faccende domestiche, spesso lo aiutava nel lavoro.
Era stato un anno difficile, poche persone avevano avuto bisogno del lavoro del taglialegna, e nelle ultime settimane il cibo sulla loro tavola scarseggiava.

Spesso la sera, Hänsel e Gretel dalla loro cameretta, sentivano il loro povero papà piangere per la paura di non riuscire a guadagnare abbastanza da poter sfamare la sua famiglia.

Hänsel e Gretel si rannicchiavano sotto le coperte, tristi e con gli occhi lucidi.
– Dobbiamo fare qualcosa – mormorò Hänsel.
– Ma cosa possiamo fare noi due piccoli bambini? – rispose Gretel.
Dopo un lungo silenzio di riflessione, Hänsel propose:
– Possiamo andare nel bosco insieme al papà e aiutarlo nel raccogliere la legna.
– E’ una bella idea – rispose entusiasta Gretel.

Così il mattino seguente i due bambini si presentarono pronti per accompagnare nel bosco il loro papà, che li guardò orgoglioso per aver due bambini così volenterosi.
Si incamminarono quindi per il bosco, fino ad arrivare ad una grande catasta di legna. Il papà si fermò e con la sua ascia riprese il lavoro che aveva interrotto il giorno precedente.

Disse ai suoi ragazzi di raccogliere i rami più piccoli e ammucchiarli in un punto lì vicino.
I due piccoli iniziarono subito a correre di qua e di là raccogliendo tutti i rami che trovavano per terra. Il papà taglialegna, con la coda dell’occhio, li guardava felice e allo stesso tempo divertito.

Hänsel e Gretel svolgevano il loro compito in maniera molto diligente, finchè ad un certo punto Hänsel gridò:
– Guardate, una lepre!
Gretel e il loro papà si girarono verso di lui, era proprio una bella lepre che si era fermata sulle due zampe a guardarli incuriosita.
– Posso rincorrerla papà? – chiese Hänsel.
– Anche io! – aggiunse Gretel
Il loro papà li guardò, sorrise e disse:
– Va bene, ma non allontanatevi troppo! – “chissà mai che non la acchiappino così stasera mangiamo un bel leprotto arrosto” pensò rimettendosi al lavoro.

I due scattarono subito verso la lepre che immediatamente si mise a correre a zig zag tra gli alberi. Anche Hänsel e Gretel erano veloci ma ben presto la lepre svanì dalla loro vista.
I due bambini, senza rendersene conto, per qualche tempo credettero pure di starle dietro, cercando di indovinare la strada che aveva percorso, poi di colpo Gretel si fermò.
– Dove siamo Hänsel? – disse con la voce ansimante per la corsa.

Hänsel si fermò anche lui, spaesato, si guardava intorno cercando di ritrovare la direzione da dove erano venuti, ma non riusciva a riconoscere niente intorno a sè, nessun albero, nessun arbusto.
– Siamo… siamo… – Hänsel cercava di dire qualcosa di rassicurante alla sua piccola sorellina mentre con lo sguardo perlustrava i dintorni, quando finalmente gli parve di riconoscere uno scorcio familiare – andiamo di là – disse con convinzione.

I due camminarono tra la fitta vegetazione fino ad un tronco abbattuto a terra, lo scavalcarono e si ritrovarono su un piccolo sentiero battuto. I loro cuori si riempirono di sollievo, certi che quel sentiero li avrebbe riportati a casa.

Camminavano spediti, l’uno accanto all’altra, pensando alla lepre sfuggita e alle risate che si sarebbe fatto il papà quando li avrebbe rivisti tornare a mani vuote, finché non arrivarono ad un bivio.

Si guardarono in faccia incerti, poi decisero per il sentiero di destra. Accelerarono il passo e si presero per mano. La giornata stava volgendo al termine, e la grande foresta silenziosa diventava sempre più buia.

Nell’aria iniziava a spargersi uno strano odore dolciastro e senza accorgersene finirono per seguirlo d’istinto.
Gretel iniziava ad avere paura – ci siamo persi… – mormorava al fratello, ma quando ormai stavano entrambi perdendo la speranza di riuscire a ritornare a casa, intravidero un grande slargo nella foresta.

Al centro di questo slargo c’era una buffa casetta azzurra, dal tetto rosa confetto e la porta e le finestre cicciotte come salsicce.
Hänsel e Gretel si avvicinarono di corsa e quando erano ormai praticamente sulla soglia della porta, si accorsero che l’intera casa era fatta di dolcissimo marzapane!

Presi dai morsi della fame, i due staccarono un piccolo pezzetto dal muro e iniziarono a mangiarlo, piano, con timore. Quando furono certi che il marzapane era vero ed era anche buonissimo, ne presero manciate sempre più grosse.
Ne mangiarono fino a riempirsi le pance e stavano per afferrarne un altro pezzetto quando la porta di cioccolato della casa si aprì.

Una vecchietta con gli occhi socchiusi, probabilmente miope, disse con voce forte e minacciosa:
– Chi siete, cosa volete?!
Hänsel e Gretel spaventati fecero un balzo all’indietro e si abbracciarono forte.
– Ci scusi tanto signora, siamo solo due poveri bambini che si sono persi nella foresta, e spinti dalla fame abbiamo dato qualche morso alla sua casa di marzapane… ci perdoni… – disse Hänsel.

La vecchietta sentendo queste parole cambiò subito espressione, e la sua voce si fece molto dolce – Oh poveri miei bambini, vi siete persi! Potevate bussare, vi avrei offerto una calda zuppa fumante… ma venite, venite vi prego, non vorrete passare la notte qua fuori al freddo… questa sera potrete dormire da me.

I due bambini, immensamente grati per la cortesia della vecchina, entrarono. La casa era piccola ma accogliente e riccamente decorata, piena di suppellettili d’oro e d’argento, e molti altri ornamenti avevano addirittura pietre preziose incastonate.
Si accorsero subito che la vecchietta non ci vedeva molto bene, perchè per trovare e dare loro un pezzo di pane e del latte andava cercando a tastoni per tutta la cucina.

Dopo la cena li accompagnò in una piccola stanzetta con due lettini, dove Hänsel e Gretel si coricarono e la vecchina diede loro la buonanotte. I due bambini, dopo quella lunga e stancante giornata, caddero in un sonno profondo.

Al mattino seguente Hänsel si svegliò, si stiracchiò un poco ma si accorse subito che non riusciva a muoversi bene. Poi, aperti meglio gli occhi, capì che qualcosa non andava: era rinchiuso dentro ad una grossa gabbia appesa sopra la cucina. Subito prese a gridare.
– Gretel! Gretel!

Un istante dopo comparve la vecchietta che spintonava Gretel fin sotto la gabbia di suo fratello.
– Tieni! Dai da mangiare a tuo fratello che deve diventare bello grassottello, così poi potrò farmi un bell’arrosto gustoso! – rise malignamente le vecchia, che uscì dalla stanza.

Gretel si avvicinò alla gabbia di Hänsel e gli passò un piatto con un bel pollo arrosto ancora fumante.
– La vecchietta è in realtà una strega cattiva… – mormorò Gretel – mi ha detto che vuole farti ingrassare per poi mangiarti… – continuò la piccola scoppiando a piangere.
– Non piangere sorellina mia, vedrai che riusciremo a cavarcela in qualche modo – cercò di rincuorarla Hänsel, prendendole e stringendole la mano attraverso le sbarre della gabbia. Poi osservò il pollo e gli venne un’idea…

La vecchia strega passava tutto il giorno a preparare deliziose pietanze da far mangiare ad Hänsel, mentre usava Gretel come sguattera per tenere in ordine la casa.
Ogni sera poi andava sotto la gabbia appesa di Hänsel e gli ordinava di porgerle il dito così da poterlo tastare e sentire se fosse ingrassato abbastanza da infilarlo nel forno e farci un bell’arrosto.

Ma Hänsel sapendo che la vecchia strega era quasi cieca, invece di porgere il suo dito, le porgeva un osso di pollo. La strega tastava l’osso e si rendeva conto che il bambino non era ingrassato per niente.
– Com’è possibile che non ingrassi mai con tutte le leccornie che ti cucino?! Vabbè, vedremo domani… – e se ne andava via sbuffando.

Continuò così quasi per un mese intero, finchè una sera, dopo aver tastato ancora il finto dito di Hänsel, la strega andò su tutte le furie:
– Non è possibile che non ingrassi mai bambino! Ora sono stufa! Ho deciso che ti mangerò lo stesso! – urlò.
E così riempì il forno di legna e lo accese mentre Gretel osservava la scena impietrita e terrorizzata.
– Tu! – gridò la strega rivolta a Gretel – infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo!

Gretel intuì al volo che se solo si fosse avvicinata al forno la strega avrebbe buttato dentro anche lei.
– Non ho capito cosa devo fare… – disse con un filo di voce Gretel.
– Infila la testa nel forno e controlla che sia ben caldo! – tuonò la strega.
– Ma io non so come si fa! – rispose Gretel.

La strega, in un impeto d’ira e al colmo della rabbia, la prese per il vestito, la strattonò fin davanti al forno e le disse:
– Guarda come si fa, incapace! – aprì lo sportello del forno infilandoci la testa.
Gretel come un fulmine diede un forte spintone alla strega, che barcollò e cadde dentro al forno, dopodichè chiuse con forza lo sportello.

Per la strega ormai non c’era più niente da fare.

Gretel corse da suo fratello e lo liberò dalla gabbia.
– Sei stata fantastica Gretel! – i due si abbracciarono forte.
Fecero un fagotto con del cibo e tutto l’oro e l’argento e le pietre preziose che riuscirono a portare via, dopo di che ripresero il sentiero per la foresta.

Camminarono per ore, senza sapere dove andassero realmente, quando all’improvviso sopra le loro teste comparve uno stormo d’anatre disposte a “V” come ad indicare una direzione.
– Guarda Hänsel! – gridò sorpresa Gretel.
– Sembra un segno, forse dovremmo seguirle! – rispose Hänsel.

E così fecero. Camminarono spediti fino ad arrivare ad un fiume.
– Questo fiume lo riconosco! – disse Hänsel.
– E’ vero, è il fiume che passa vicino casa nostra! – esclamò Gretel.

I due iniziarono a correre fino a raggiungere il sentiero che portava dritto a casa loro, dove sulla soglia della porta li stavano già aspettando la mamma e il papà che non avevano mai smesso di pregare per il loro ritorno.

Si abbracciarono tutti felici e pieni di gioia, i due bimbi raccontarono la loro terribile avventura, ma grazie a tutto l’oro e l’argento che avevano sottratto alla strega cattiva, non avrebbero mai più sofferto la fame.

E vissero tutti felici e contenti.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Note su Hänsel e Gretel

In questa versione di Hänsel e Gretel realizzata da fabulinis, molti di voi avranno notato che è stato completamente omesso il passaggio iniziale in cui Hänsel e Gretel, dopo essere stati abbandonati nella foresta dai genitori, ritrovano la strada di casa grazie ai sassolini lasciati lungo il sentiero da Hänsel.

Questa parte di storia è praticamente identica all’incipit di un’altra famosissima fiaba: “Pollicino” (leggi la nostra versione della fiaba di Pollicino 👈)

Ma mentre la fiaba di Pollicino viene ricordata soprattutto proprio per l’astuzia dei “sassolini” lasciati a segnare il sentiero per tornare a casa, Hänsel e Gretel viene ricordata maggiormente per la “Casetta di Marzapane” della strega cattiva.

Non volendo scrivere due fiabe con l’inizio identico, abbiamo deciso di differenziarle leggermente mantenendone però inalterato lo svolgimento globale.

Speriamo che questa nostra versione vi sia piaciuta!

Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻

Riccioli d’Oro e i tre Orsi: una fiaba sulla curiosità e le buone maniere

Cosa accade quando una bambina curiosa e un po’ birichina entra nella casa di tre orsi senza permesso? Riccioli d’Oro, attratta da ciò che la circonda, esplora ogni angolo, assaggia il porridge, prova le sedie e si sistema nei letti… fino a quando gli orsi tornano a casa!

Una fiaba classica che insegna ai bambini il valore del rispetto e delle buone maniere, con un pizzico di avventura e tanta dolcezza.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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Riccioli d’Oro e i tre Orsi 👱‍♀️🐻🐻🐻


C’era una volta, nel folto di un grande bosco, la casetta della famiglia degli orsi.
Dentro ci vivevano il papà orso, mamma orsa e il piccolo orsetto, che quel giorno erano tutti intenti a fare qualcosa:
Papà orso stava leggendo il giornale, mamma orsa stava preparando la zuppa per il pranzo e il piccolo orsetto stava giocando.

Ad un certo punto la mamma orsa esclamò:
‒ E’ pronta la zuppa!
Tutti si sedettero a tavola e presero la loro scodella, ma non appena l’assaggiarono si accorsero subito che era ancora troppo bollente per essere mangiata.

‒ Mentre aspettiamo che la zuppa si raffreddi, faremo una bella passeggiata nel bosco ‒ disse papà orso.
‒ Bella idea! ‒ rispose mamma orsa.
‒ Siiiii! ‒ esclamò il piccolo orsetto tutto felice.
Così i tre orsi uscirono di casa dimenticandosi di chiudere a chiave la porta.

Poco dopo, arrivò davanti la loro casa una bambina il cui nome era Riccioli d’Oro, per via dei suoi capelli ricci e dorati.
Riccioli d’oro bussò alla porta:
‒ C’è nessuno? ‒ disse, ma non ebbe risposta e, vedendo che la porta era aperta, decise di entrare a curiosare un po’.
Sentì subito un profumo delizioso di zuppa calda nell’aria e vide sul tavolo le tre scodelle. Siccome sentì arrivare un certo languorino allo stomaco, decise di assaggiare la zuppa.

Prese un cucchiaio di zuppa dalla scodella più grande ma si accorse subito che era troppo bollente per i suoi gusti, così assaggiò quella nella scodella media, che invece era troppo fredda! Infine prese la scodella più piccolina e, siccome la zuppa era perfetta, la mangiò tutta.

Poi Riccioli d’Oro, sentendo la pancia piena, decise di riposarsi un pochino su una delle poltrone del salotto. Cercò di salire su quella più grande, ma per lei era troppo alta. Così provò quella media, che però era troppo scomoda. Alla fine si sistemò sulla poltroncina piccolina, che era comodissima, ma Riccioli d’Oro iniziò a dondolarsi avanti e indietro, avanti e indietro, avanti e indietro… finchè la poltroncina non si ruppe in mille pezzi!

Stanca e infastidita per la poltroncina che si era rotta proprio nel momento in cui si stava divertendo di più, Riccioli d’Oro decise di salire a riposarsi al piano di sopra, dove si trovava la camera da letto dei tre orsi.

Si sdraiò sul letto più grande, che però era troppo alto! Provò allora il letto medio, ma era troppo largo! Alla fine si sdraiò sul lettino piccolino, che era perfetto per lei, e si addormentò.

I tre orsi finalmente tornarono dalla loro passeggiata e con sorpresa trovarono la porta di casa aperta.
Entrati, il papà orso esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
E mamma orsa a sua volta esclamò:
‒ Chi ha assaggiato la mia zuppa?!
Mentre il piccolo orsetto, con voce triste disse:
‒ Chi ha mangiato tutta la mia zuppa…?!

Poi papà orso si voltò verso il soggiorno e, notando tutti i cuscini della sua poltrona messi in disordine, disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Anche mamma orsa disse:
‒ Chi si è seduto sulla mia poltrona?!
Il povero orsetto invece, guardando la sua poltroncina rotta in mille pezzi, disse tristemente:
‒ Chi ha rotto la mia poltroncina…?!

I tre orsi decisero di andare al piano di sopra, da dove sentivano arrivare un sonoro russare…
Papà orso, vedendo il suo letto tutto sottosopra, esclamò:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
E mamma orsa disse anche lei:
‒ Chi ha dormito nel mio letto?!
Mentre il piccolo orsetto, tutto arrabbiato disse:
‒ Chi sta dormendo nel mio lettino!?

Mamma e papà orsi si girarono a guardare meravigliati la bimba che beatamente dormiva dentro il lettino del loro bambino ed esclamarono tutti all’unisono:
‒ E tu chi sei?!
Solo allora quella monella di Riccioli d’Oro si svegliò di soprassalto, guardando terrorizzata i tre orsi che le stavano attorno e, senza aspettare un attimo di più, prese a correre giù per le scale come un fulmine, infilò la porta di casa e corse via nel bosco senza mai farsi più rivedere.

I tre orsi si guardarono in faccia attoniti e senza parole, grattandosi la testa per l’accaduto.

Presto papà orso sistemò la poltroncina del piccolo orsetto, mentre la mamma prese un po’ della sua zuppa e quella del papà per metterla nella ciotolina del loro cucciolo, così finalmente mangiarono tutti la zuppa felici e contenti!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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L’omino di pan di zenzero 😄

Tra fughe e inseguimenti: le avventure dell’omino di pan di zenzero, una fiaba senza tempo.

“Son l’omino di pan di zenzero, e dal forno son scappato! Ora che sono in libertà, mai nessun mi piglierà!”

Questa divertente e antica fiaba, le cui origini risalgono al XVI secolo, narra le avventure di un biscotto animato che sfugge a tutti i suoi inseguitori.

Nata come tradizione culinaria alla corte della regina Elisabetta I d’Inghilterra, la storia dell’omino di pan di zenzero è diventata nel tempo una fiaba popolare con molte varianti e finali diversi.

Un racconto che unisce magia, humor e una morale sul valore della libertà e dell’astuzia.
La versione più famosa è quella che vi raccontiamo qui su fabulinis!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “L’omino di pan di zenzero 😄“!

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L’omino di pan di zenzero 😄


C’erano una volta una vecchina e un vecchietto che non avevano figli, lei badava alla casa mentre lui coltivava i campi.

Un giorno, quasi per gioco, la vecchina decise di preparare un dolcetto di pan di zenzero a forma di omino, forse pensando al bambino che non avevano mai avuto ma che avevano sempre tanto desiderato.

Così prese acqua, farina e spezie, stese la pasta e ritagliò con cura la sagoma dell’omino, lo decorò e finito il lavoro lo mise dentro il forno.

Ma una fatina un po’ maldestra stava sbirciando la scena di nascosto, e decise di esaudire il grande desiderio della donna di avere un bimbo. Recitò quindi una magia, di cui però non era molto sicura, e nel forno accadde qualcosa di magico.

Quando la vecchina aprì lo sportello del forno, l’omino di pan di zenzero era vivo!
Lui le sorrise beffardamente e saltò giù correndo via per la porta di casa.

Mentre correva e gridava dalla felicità, l’omino di pan di zenzero fu notato dal vecchino, che smise di coltivare la terra attirato anche dalle urla della moglie che rincorreva il buffo dolcetto.

L’omino di pan di zenzero cantava allegramente:
– Son l’omino di pan di zenzero e dal forno son scappato, ora che sono in libertà mai nessun mi piglierà!

Anche il vecchietto iniziò quindi a rincorrere il buffo omino insieme alla moglie, che gli urlava dietro:
– Dove vai birbante! Sei appena nato e già fai il monello!
Ma l’omino di pan di zenzero rideva allegro e correva più veloce.

I due vecchietti però dopo un po’ furono esausti e non ce la facevano più a correre, così chiesero a un loro amico agricoltore di rincorrerlo per loro.
L’agricoltore iniziò a correre dietro l’omino di pan di zenzero, e dopo un po’ anche lui chiese l’aiuto della mugnaia.

Ma anche la mugnaia dovette arrendersi al piccolo e veloce omino di pan di zenzero, chiese così aiuto al fabbro, che poi lo chiese al lattaio che lo chiese alla sarta…

In men che non si dica l’intero paese correva dietro all’omino di pan di zenzero, che sempre più beffardo continuava a cantar felice:
– Son l’omino di pan di zenzero e dal forno son scappato, ora che sono in libertà mai nessun mi piglierà!

Ad un certo punto però la corsa dell’omino di pan di zenzero si dovette interrompere davanti al letto del fiume.
Il povero omino di pan di zenzero si girò a guardare dietro di sé e vide l’intero paese che stava arrivando di corsa per prenderlo.

L’omino di pan di zenzero pensò quindi di essere spacciato, ma un fischio attirò la sua attenzione: era una volpe che stava sdraiata beata sotto l’ombra di un albero.
– Ti sei cacciato nei guai, eh!? – chiese la volpe all’omino di pan di zenzero.
Lui, disperato e senza via di fuga, disse allora alla volpe:
– Ti prego aiutami!

La volpe sorrise e gli disse:
– Certamente! Salta sul mio dorso, nuoterò fin sull’altra sponda del fiume e ti porterò in salvo.

Senza pensarci l’omino di pan di zenzero saltò in groppa alla volpe che si immerse nelle acque del fiume.
Poco dopo tutti gli abitanti del villaggio, vecchina e vecchino compresi, arrivarono sulla riva del fiume e si fermarono a guardare la scena.

L’omino di pan di zenzero faceva già le linguacce a tutti quando sentì la volpe dirgli:
– Mettiti sopra la mia testa se non vuoi bagnarti!
E l’omino di pan di zenzero si sistemò sulla sua testa.

Erano quasi a metà del fiume quando la volpe disse ancora:
– Se ti metti sulla punta del mio naso sarai ancora più comodo!
E l’omino di pan di zenzero si mise cavalcioni sulla punta del suo naso.

Ma proprio quando ormai erano arrivati a riva, con un fulmineo movimento del muso, la volpe lanciò in aria l’omino di pan di zenzero che, ricadendo andò a finire dritto dritto dentro la sua bocca spalancata!
– Gnammm! – disse la volpe.

E davanti agli attoniti sguardi di tutti i paesani, finiva così l’avventura dell’omino di pan di zenzero, che dalla furba volpe veniva mangiato.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Le volpi sul fiume 🦊🦊🦊

Le Volpi sul Fiume: la favola di Esopo sulla vanità e le conseguenze delle azioni impulsive

“Adesso vi faccio vedere io quanto sono brava!” 🤣

La favola di Esopo “Le Volpi sul Fiume” ci insegna una lezione importante sulla vanità e sulle conseguenze delle azioni impulsive.

In questa storia, una volpe cerca di impressionare le altre, ma finisce solo per cacciarsi nei guai.

Un insegnamento che mostra come l’orgoglio e il desiderio di mettersi in mostra possano portarci a fare scelte sbagliate.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Le volpi sul fiume 🦊🦊🦊“!

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Le volpi sul fiume 🦊🦊🦊


C’era una volta un branco di volpi che girava allegra per il bosco.
Cammina cammina venne a tutte una gran sete e si misero in cerca di un fiume dove abbeverarsi.

Finalmente lo trovarono, ma purtroppo il fiume era in fondo ad una scarpata molto ripida e piena di rovi da oltrepassare, e nessuna di loro se la sentiva di rischiare a scendere giù.

Iniziarono allora a prendersi in giro:
– Dai vai tu che sei la più agile! – disse una.
– Ma perchè non scendi tu che hai le zampette così forti? – rispose l’altra.
– Ma io ci andrei anche, è che in questo momento non ho poi così tanta sete… – disse un’altra ancora.

Dopo un po’ che andavano avanti così, una di loro che voleva farsi bella e svergognare le compagne (pensandosi anche decisamente più brava delle altre in quanto a intelligenza ed agilità) disse:
– Ci vado io a bere l’acqua, così vi faccio vedere quanto sono brava a discendere dai dirupi e trovare la strada giusta!

E così fece un gran balzo per superare i rovi e si ritrovò direttamente sulla riva del fiume.
Nel girarsi a ridere delle compagne però, fece un passo falso e mise una delle zampette in acqua.
Non trovando appoggio si sbilanciò e finì per ritrovarsi dentro alla corrente del fiume che piano piano la portò via.

Le altre volpi non vedendola più tornare indietro gridarono:
– Non abbandonarci qui cara amica! Torna indietro e facci vedere la strada per raggiungere il fiume!

La povera volpe, che stava a stento col muso sopra il pelo dell’acqua rispose:
– Devo andare a consegnare un messaggio importante a Mileto! Il sentiero ve lo mostro quando torno indietro!
E probabilmente la volpe arrivò veramente a Mileto, ma bagnata e fradicia lungo il fiume, e non per il sentiero…

Morale della favola: chi fa troppo lo spavaldo e ride degli altri, spesso si caccia nei guai da solo.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Il cavallo e l’asino 🐎🫏

Il Cavallo e l’Asino: la favola di Esopo sulla collaborazione e l’aiuto reciproco

“L’unione fa la forza” è un proverbio che si applica perfettamente alla favola di Esopo “Il Cavallo e l’Asino”, che insegna ai bambini il valore della collaborazione e dell’aiuto reciproco.

In questa storia, il cavallo e l’asino comprendono che, condividendo le fatiche, possono alleggerirsi il lavoro e prevenire sforzi più grandi in futuro.

Un’importante lezione per insegnare ai bambini che aiutare gli altri non solo è un bel gesto, ma porta anche benefici pratici.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il cavallo e l’asino 🐎🫏“!


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Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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Il cavallo e l’asino 🐎🫏


C’erano una volta un cavallo e un asino che vivevano nella tessa stalla.
Il loro padrone voleva bene ad entrambi, e non mancava mai di attenzioni verso ciascuno di loro.
Però, quando si trattava di portare i sacchi di farina da vendere giù al mercato, sulla groppa del cavallo, fiero ed altezzoso, ne caricava solo un paio, mentre sulla groppa dell’asino buono e mansueto, ne caricava molti di più.

All’asino andava bene così, lui ci era abituato e sapeva che quello era il suo lavoro. In più ammirava veramente la bellezza del cavallo, e quindi si era convinto che fosse giusto preservare il suo splendore non caricandolo di troppi pesi.

Un giorno però, andando al mercato, il loro padrone non si rese conto di aver caricato troppo l’asino, così che dopo pochi chilometri l’asino cominciò a camminare con fatica.

Il padrone purtroppo era tutto preso dal parlare con un suo amico che faceva la stessa strada, e non si rese conto di quanta fatica facesse l’asino, così l’asino si rivolse al cavallo.

– Cavallo, amico mio – disse l’asino – mi potresti dare una mano? Ho il fiato corto e faccio fatica a camminare, prenderesti uno dei miei sacchi di farina?
Il cavallo lo guardò a malapena e fece finta di non aver sentito.

L’asino continuò il suo faticoso cammino sbuffando.
Dopo un po’ però le gambe gli cominciarono a traballare.
– Cavallo, amico mio, ti prego dammi una mano, non ce la faccio a portar tutto questo peso, tra poco cadrò…
– Se il padrone ti ha caricato di tutti quei sacchi è perché sa che li puoi portare – rispose stizzito il cavallo.

L’asino abbassò la testa e continuò a camminare.
Ma non ce la faceva davvero più.

– Cavallo amico mio, ti supplico, prendi almeno uno dei miei sacchi e aiutami.
– No! – rispose secco il cavallo – tieniti i tuoi sacchi e non mi disturbare più!
E, per sottolineare il fatto che non lo avrebbe aiutato, allungò il passo distanziandolo di una decina di metri.

L’asino allora decise che ne aveva abbastanza e si lasciò cadere al suolo con un sordo tonfo.
Solo allora il padrone si accorse di quello che stava succedendo.

– Povera bestia mia, che stupido sono stato a caricarti di così tanti sacchi, aspetta ora te li tolgo di groppa – e così fece.
– Tieni anche un po’ d’acqua e riposati qui all’ombra dell’albero – continuò il padrone.
Finalmente l’asino aveva un po’ di pace e ristoro.

– Cavallo, vieni qua! – ordinò il padrone – ora i sacchi di farina li porterai tutti tu!
Il cavallo spazientito ed infuriato per la cosa non poté che obbedire al padrone che gli caricò sulla groppa tutti i sacchi di farina.
“Che stupido che sono stato” pensò il cavallo “Se avessi ascoltato l’asino e l’avessi aiutato prendendomi uno dei suoi sacchi di farina, adesso non farei tutta questa fatica…”

E proseguirono il viaggio, il cavallo sbuffando dalla fatica e della sua stupidaggine, e l’asino finalmente con la groppa libera e senza pesi godendosi la passeggiata fino al mercato.

Morale della favola: meglio condividere le fatiche con gli altri prima che tutte le fatiche ricadano solo su di noi.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Il topo di città e il topo di campagna 🐁🐀

Il Topo di Città e il Topo di Campagna: la favola di Esopo sui cambiamenti e il valore delle scelte

A volte non siamo mai contenti di ciò che abbiamo, ma chi lascia la via conosciuta per l’ignoto, sa cosa sta lasciando, ma non cosa troverà.

La favola del Topo di Città e il Topo di Campagna di Esopo (e successivamente di Orazio) racconta le avventure di due topini, uno abituato alla frenesia della città e l’altro alla tranquillità della campagna.

Stanchi della loro vita, decidono di scambiarsi casa, ma presto scopriranno che ogni scelta ha dei rischi e che l’ignoto nasconde difficoltà impreviste.

Un racconto che invita a riflettere sui cambiamenti e sulla bellezza di apprezzare ciò che si ha.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il topo di città e il topo di campagna 🐁🐀“!


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Il topo di città e il topo di campagna 🐁🐀


C’era una volta un topino che viveva in città, e che un giorno decise di fare una gita in campagna.
Era stufo della vita frenetica che faceva ogni giorno e voleva rilassarsi un po’ tra i prati verdi e all’ombra di qualche grande albero.

Mentre riposava tranquillo, passò di lì un topino di campagna.
– Buongiorno – gli disse il topino di campagna.
– Buongiorno a te! – rispose il topino di città. – Sei di queste parti?
– Certamente, abito con la mia famiglia un po’ più in là, vicino a quel boschetto.
– Come ti invidio… – gli disse il topino di città – tu stai qui tranquillo e sereno senza preoccupazioni, io invece devo correre tutto il giorno di qua e di là per non farmi prendere!

– Ma scusa, tu da dove vieni? – chiese incuriosito il topino di campagna.
– Vengo dalla città.
– Ma allora sei tu quello fortunato! Lì in città avete tutte le comodità del mondo e anche cibo in abbondanza! Qui ci sono periodi in cui si fa la fame…

– Guarda amico mio, ti propongo uno scambio. Io vengo a vivere qui in campagna e tu vai a vivere da me in città, ci stai?
– Va bene, ci sto! – rispose tutto contento il topino di campagna.
E così i due si avviarono alle rispettive nuove case.

Al topino di città non sembrava vero di poter finalmente stare tranquillo per un po’, senza dover correre dalla mattina alla sera. Per il topino di campagna, il solo pensiero di avere una dispensa piena di cibo, da poter usare a proprio piacimento, era più di un sogno che si realizzava.
Il topino di città, all’inizio, trovava anche divertente il dover andare a caccia ogni giorno di un piccolo pezzo di formaggio o il doversi ingegnare su come raccattare una briciola di pane. In città aveva messo su grasso in abbondanza e aveva un po’ di pancetta da smaltire.

Invece il topino di campagna, finalmente, non doveva più preoccuparsi di dover ogni giorno trovare un modo per riempirsi la pancia: bastava entrare in cucina e servirsi. L’unico inconveniente era il dover stare attento al padrone di casa, a sua moglie, ai due figli e ai tre terribili gatti che in ogni momento cercavano di fargli la pelle.

I giorni e le settimane passavano. Dopo un mese, il topino di città iniziò a rimpiangere le grandi abbuffate che faceva a tutte le ore del giorno. Adesso era già tanto se raggranellava qualche pezzettino di pane raffermo o una fetta di formaggio ammuffita.
Il topino di campagna, invece, non ne poteva più di rischiare la vita ogni volta che entrava in cucina per rubare un pezzettino di formaggio: il batticuore e la paura erano troppo per lui.

Così decisero entrambi di ritornare indietro da dove erano venuti e si incontrarono a metà strada.
– Ciao amico topo di campagna!
– Ciao amico topo di città!
I due si abbracciarono, e si ringraziarono per le esperienze che avevano potuto fare scambiandosi la casa. Soprattutto, avevano imparato ad apprezzare ciò che possedevano e che era inutile essere invidiosi l’uno dell’altro. Giurarono solennemente che sarebbero rimasti per sempre amici e ciascuno, felice, corse veloce a casa sua.

Morale: meglio una vita più semplice ma serena, che una vita brillante ma piena di pericoli.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Al lupo! Al lupo! 🐺

Al Lupo! Al Lupo!: la favola di Esopo sulla verità e le bugie

Gli scherzi possono essere divertenti, ma bisogna stare attenti a non esagerare!

Nella favola Al Lupo! Al Lupo!, anche conosciuta come Lo scherzo del pastore, Esopo ci insegna una lezione importante: chi dice troppe bugie perde credibilità, e alla fine nessuno lo crede nemmeno quando dice la verità.

Un racconto perfetto per spiegare ai bambini, a cui scappa qualche piccola bugia di troppo, l’importanza della sincerità e come le bugie possano avere conseguenze negative.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Al lupo! Al lupo! 🐺“!


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Al lupo! Al lupo! 🐺


C’era una volta, in un piccolo paesello in mezzo alla campagna, Loris, un pastorello un po’ monello. Lui si divertiva sempre a fare un sacco di scherzi.

Da qualche giorno, però, alcuni cacciatori avevano avvistato nel bosco vicino al paese un grosso lupo, che si aggirava in cerca di cibo. Quella notte, infatti, dal gregge di un vicino erano sparite delle pecore, molto probabilmente prese e mangiate dal lupo.

Il giorno seguente, suo papà decise che per Loris era giunto il momento di dare una mano al lavoro in fattoria. Gli disse quindi di fare la guardia al suo gregge di dieci pecore, durante la notte.
Non doveva far altro che stare nella parte alta del fienile, dove nessun lupo sarebbe potuto arrivare. Se per caso avesse sentito dei rumori strani o addirittura fosse riuscito a vederlo, avrebbe dovuto correre in strada e gridare “Al lupo! Al lupo!”. Così anche i vicini sarebbero accorsi e avrebbero dato una mano ad acciuffarlo.

Loris, da bravo ragazzo, quella sera si mise a guardia delle pecore, ma il tempo passava e non succedeva niente.
– Uffa! Io qui mi annoio…
Una pecora lo guardò belando: Beee…
Loris le fece la linguaccia, e continuò a sorvegliarle.

Le ore sembravano non passare mai, le pecore dormivano tranquille, ma del lupo non c’era nessuna traccia.
La noia era talmente tanta che si stava per addormentare, quando gli venne in mente uno scherzo che avrebbe divertito tutto il paese.

Scese giù dal fienile e corse in strada gridando – Al lupo! Al Lupo! – e in men che non si dica mezzo paese era già uscito dalle proprie case col forcone in mano, pronto a dar la caccia al lupo.
Suo papà gli corse incontro e gli chiese:
– Dimmi ragazzo mio, dove hai visto il lupo?
Loris, sorpreso da tanto trambusto, non sapeva cosa rispondere.
– Scusatemi tutti, mi stavo annoiando tanto a far la guardia alle pecore che ho pensato di farvi uno scherzo…

Gli abitanti del paese, un po’ arrabbiati per essere stati tirati giù dal letto a quell’ora della notte, ma sollevati dal sapere che non c’era il lupo, tornarono borbottando nelle loro case.
E Loris tornò a far la guardia alle pecore, tutto contento e divertito per lo scherzo ben riuscito.

La notte seguente fu uguale. Loris si annoiava talmente tanto che, ad un certo punto, decise di replicare lo scherzo della notte precedente. Corse di nuovo in strada gridando – Al lupo! Al Lupo! – e in men che non si dica mezzo paese era già uscito dalle proprie case col forcone in mano, pronto a dar la caccia al lupo.
– Dimmi ragazzo mio, dove hai visto il lupo? – gli chiese suo papà.
– Scusatemi tutti, mi stavo annoiando tanto a far la guardia alle pecore che ho pensato di farvi uno scherzo…

Questa volta gli abitanti del paese la presero meno bene, e il suo papà, dopo averlo sgridato sonoramente, lo rimandò di corsa a far la guardia al fienile.
Ma per Loris era troppo divertente veder uscire di casa in pigiama tutti i suoi vicini, così decise di continuare a fare lo scherzo ogni santa notte.

Solo che dopo un po’ la gente, stufa di questo stupido scherzo, non lo stava più ad ascoltare. Si girava nel letto e continuava a dormire.

Finché, una notte, Loris corse ancora in strada gridando – Al lupo! Al lupo! – ma nessuno si degnò di uscire di casa.
Così rimase triste e solo in mezzo alla strada, il suo scherzo ormai non funzionava più. Ritornò quindi al suo fienile e si mise comodo sulla paglia a far la guardia alle pecore.

Ma poco dopo sentì uno strano rumore provenire da fuori, si alzò per guardare meglio verso la porta e cosa vide? Il lupo! Era entrato nel suo fienile!

Loris finalmente poteva dare dimostrazione della sua bravura e del suo coraggio, scese dall’altra parte del fienile e corse in strada gridando – Al lupo! Al lupo! – con tutta l’aria che aveva nei polmoni, ma nessuno, anche stavolta, si degnò di uscire di casa.
– Al lupo! Al lupo! – continuò a gridare il povero Loris. Ma nessuno ormai credeva più alle sue parole.
– Al lupo! Al lupo! – si sgolò Loris.
– Loris, piantala! – gli gridò uno dei vicini.
Fu allora che Loris capì che nessuno lo avrebbe ascoltato, proprio ora che invece stava dicendo la verità.

Loris sapeva di averla fatta grossa questa volta, perché infatti quando tornò a controllare il fienile, le pecore non c’erano più! Il lupo le aveva portate via tutte!
E adesso chi lo sentiva il papà?!

La sgridata per Loris fu esemplare. Loris promise solennemente di non dire mai più bugie e di smetterla di fare scherzi di cattivo gusto come quello, perché, quando ci sono in giro i lupi, non si scherza!

Morale della favola: a forza di dire le bugie non si viene più creduti neanche quando dice la verità.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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La volpe con la pancia piena 🦊

La Volpe con la Pancia Piena: la favola di Esopo sulla pazienza per la risoluzione dei problemi

Una volpe affamata trova del pane e del formaggio nascosti dentro un tronco cavo, ma riuscirà a mangiarli?

La favola della Volpe con la Pancia Piena di Esopo ci insegna che a volte la soluzione ai problemi non arriva subito: è solo con la pazienza e il tempo che possiamo risolvere certe difficoltà, soprattutto quando nessuno può aiutarci.

Un racconto che invita alla riflessione e alla calma.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “La volpe con la pancia piena 🦊“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!

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La volpe con la pancia piena 🦊


C’era una volta una volpe che aveva molta fame ed era in cerca di un leprotto da mangiare per il bosco.

Dopo un po’ sentì un buon odorino nell’aria, cominciò a cercare tra le foglie e i cespugli finché non vide un bel tronco cavo con all’interno del pane e del formaggio.

“Deve averli lasciato lì il cacciatore pensò” e con circospezione si avvicinò. Accertatasi che non c’era il cacciatore nei paraggi, decise di infilarsi dentro per mangiare tutto.

Il tronco del legno era molto stretto, ma con un paio di giuste contorsioni riuscì a raggiungere il pane e divorarlo insieme al formaggio.

Quando la volpe ebbe la pancia piena per il bel pasto, cercò di uscire dal tronco cavo, ma purtroppo la sua pancia era talmente gonfia che si era incastrata!

La povera volpe iniziò a sospirare e sbuffare, ma niente, non riusciva a liberarsi.

Poco tempo dopo passò di lì una sua amica volpe, la volpe incastrata la chiamò:
– Ti prego, sono incastrata qua dentro e non riesco più ad uscire!
– E come mai non riesci più ad uscire? – chiese l’altra.
– Perchè dopo aver mangiato del pane e del formaggio la pancia mi si è riempita tanto…

L’amica volpe la guardò con compassione, non potendola aiutare in nessun modo alla fine le disse:
– Cara amica, ma se ti sei incastrata per aver mangiato a sazietà, basta aspettare che dopo aver digerito la tua pancia ritorni come prima!

E detto questo l’amica volpe se ne andò via lasciando la volpe incastrata a sospirare e sbuffare.

Morale: lo scorrere del tempo spesso risolve molte difficoltà.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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L’agnellino e il lupo 🐑🐺

L’Agnellino e il Lupo: la favola di Esopo sull’audacia e l’astuzia

Un agnellino si fa beffe del lupo, ma quando scivola dal tetto, si trova in serio pericolo.
Come riuscirà a salvarsi?

La favola dell’Agnellino e del Lupo di Esopo insegna ai bambini che l’audacia eccessiva può portare al pericolo, ma l’astuzia può aiutarci a risolvere anche le situazioni più difficili.

Un racconto che valorizza la prudenza e l’intelligenza!


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L’agnellino e il lupo 🐑🐺


C’era una volta un agnellino che giocava vicino al fienile, era molto furbo e scaltro e si era messo in testa di salire fin sul tetto della stalla.

Dopo vari tentativi e con alcuni accorgimenti, riuscì nella sua impresa.

L’agnellino era al colmo della felicità quando dal vicino bosco sbucò fuori un lupo!

Il lupo lo guardò con occhi famelici e fece un balzo per salire sul tetto, ma non ci riuscì. Prova e riprova al lupo non rimase altro da fare che ululare per le botte prese cadendo nei tentativi falliti.

L’agnellino, dapprima terrorizzato, una volta capito che il lupo non sarebbe riuscito a prenderlo iniziò a deriderlo sonoramente:
– Lupo cattivo, non mi prendi quassù! Sono troppo furbo per te! – e gli faceva pure le linguacce!

Ma mentre rideva a crepapelle, l’agnellino scivolò con una zampetta e ruzzolò giù dal tetto della stalla.

Adesso a ridere era il lupo, che si avvicinava lentamente al suo prossimo pranzo.

L’agnellino, che però era molto furbo, parlò allora al lupo:
– Caro lupo mio, so di essere un bocconcino prelibato per te, e mi scuso per averti deriso… ti chiedo però di morire con onore e prima che tu mi mangi, suona per favore il flauto e fammi danzare.

Il lupo preso da compassione decise di esaudire l’ultimo desiderio del piccolo agnellino e prese a suonare il flauto. L’agnellino iniziò a ballare.

Ma la dolce melodia del flauto fu udita anche dai cani di guardia del gregge, che corsero subito insospettiti a vedere cosa stava succedendo.

Il lupo non appena intravide arrivare i cani lanciati verso di sè, lasciò cadere il flauto e corse via nel bosco dicendo:
– Tutta colpa mia! Perchè mai mi son messo a suonare il flauto per quell’agnellino quando potevo mangiarmelo in un sol boccone?!

E per un bel po’ nessuno vide più il lupo, mentre l’agnellino poteva felicemente tornare a salire sul tetto della stalla tutte le volte che voleva.

Morale della favola: a volte essere troppo audaci ci fa cadere nel pericolo, ma con l’astuzia si può risolvere la situazione.

⚜️ Fine della favola ⚜️

Questa favola in realtà è l’unione di due diverse favole di Esopo, la numero 106 “il capretto sopra il tetto” e la 107 “il capretto e il lupo che suonava il flauto”, che essendo molto brevi ma parlando entrambe di un capretto e di un lupo, si sono prestate bene ad essere unite 😉

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Il corvo e la volpe 🐦🦊

Il Corvo e la Volpe: la favola di Esopo sulla vanità e l’astuzia

Attenzione ai troppi complimenti!

La favola del Corvo e della Volpe di Esopo insegna un’importante lezione: non bisogna lasciarsi ingannare dalla vanità.

La furba volpe loda la bellezza del corvo, ma il suo vero obiettivo è rubargli il formaggio!

Un racconto classico che aiuta i bambini a riconoscere le false adulazioni e a capire chi vuole tendergli un tranello.


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Il corvo e la volpe 🐦🦊


C’era una volta un corvo che, fermo su un ramo, si guardava intorno in cerca di qualcosa da mangiare.
L’occasione arrivò presto.

Non molto lontano, una famigliola stava facendo un bel picnic, e in un angolo, sopra il telo steso a terra, aveva messo un bel cesto pieno di pezzi di formaggio.
Il corvo si lanciò in picchiata, con una rapida mossa prese un pezzo di formaggio e volò via lontano, sopra il ramo di un alto albero. Era tutto contento.

Sotto il ramo dove si era posato il corvo, stava passando una volpe, che notò subito il pezzo di formaggio nel suo becco. Si sedette lì sotto e pensò: “Quanto mi piacerebbe mettere le zampe su quel pezzo di formaggio…”. Ma il corvo era su un ramo troppo alto e lei non ci sarebbe mai arrivata con un salto. Forse, però, poteva farcela usando la sua astuzia. Si sa, le volpi sono molto furbe.

– Buongiorno signor corvo, ma che belle penne che hai! – disse la volpe.
Il corvo, sentendo queste parole, guardò giù e la vide. Conoscendo il tipo, il corvo si fece subito sospettoso. “Come mai la volpe mi fa questi complimenti?” si chiese; ma la volpe continuò:
– Hai anche un gran bel portamento!

Al corvo iniziò a piacere tutta questa adulazione. “Be’, effettivamente ho delle bellissime penne nere” pensò, e iniziò a sbattere le ali per metterle bene in mostra.
– E che bel becco che hai, sembra proprio il becco di un re!
Al corvo non pareva vero di ricevere tanta attenzione. Sentir lodare il suo becco, poi, era una cosa bellissima.

– Se solo potessi sentire una dolce melodia provenire da quel becco… vorrei proprio sentire che meravigliose canzoni puoi cantare… – continuò la volpe con un tono sempre più adulatorio.
Il corvo era al settimo cielo per la felicità. Dopo così tanti complimenti doveva dimostrare alla volpe quanto bravo era nel canto, così aprì il becco e:
– Cra! Cra! Cra!

E mentre il corvo cercava di dare sfoggio delle sue abilità di cantante, il pezzo di formaggio scivolò via dal becco. La volpe, che aspettava lì sotto, aprì la bocca e il formaggio ci finì dritto dritto dentro.

La volpe, tutta contenta per essere riuscita a guadagnarsi il pranzo usando solo la sua astuzia, salutò con la zampa il corvo, ringraziò e se ne andò via per il sentiero del bosco.
Il corvo, poverino, era rimasto con le ali e il becco aperti per la sorpresa. “Dovevo stare più attento” pensò mentre guardava la volpe allontanarsi.

“La prossima volta che qualcuno mi farà così tanti complimenti non mi lascerò ingannare così facilmente. Cercherò di capire se sono complimenti sinceri o se sono solo un modo per ottenere qualcosa da me”. E volò via, in cerca di qualcos’altro da mangiare.

Morale: non bisogna mai fidarsi di chi fa troppi complimenti.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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La cicala e la formica 🐜

La Cicala e la Formica: la favola di Esopo sull’impegno e la previdenza

Mentre la cicala canta e balla, la formica lavora duramente per prepararsi all’inverno.
Chi delle due sarà pronta ad affrontare il freddo?

La favola della Cicala e della Formica, scritta da Esopo e resa celebre da Jean de La Fontaine, insegna ai bambini l’importanza del lavoro e della previdenza.

Un racconto senza tempo che dimostra come l’impegno ripaghi sempre!

Questa è la versione di fabulinis, ma ci piace citare anche Gianni Rodari che ha una diversa “visione” della morale della favola:

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!


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La cicala e la formica 🐜


C’era una volta un’estate calda calda, e una cicala a cui non piaceva né sudare né far fatica. L’unica cosa che le piaceva fare era cantare tutto il giorno.

Sotto il ramo dell’albero dove stava sdraiata comoda la cicala, passava avanti e indietro una formica, tutta indaffarata a portare sulla sua schiena un sacco di cose: pezzetti di cibo, sassolini, legnetti ecc.
La cicala, vedendo quanto era sudata la formica, iniziò a prenderla in giro:
– Vieni quassù con me, signora formica. Fa più fresco e, mentre ti riposi, cantiamo insieme qualche canzone – e, così dicendo, iniziò a cantare.

– Grazie mille per l’invito, signora cicala, ma io sono molto indaffarata a mettere via provviste per l’inverno e a sistemare la mia casetta per proteggermi dal freddo, quando arriverà – e, così dicendo, continuò ad andare avanti e indietro per il prato, indaffarata.
– Ma l’estate è ancora lunga – continuò la cicala – e l’inverno ancora lontano. Non preoccuparti adesso, ci sarà tempo più avanti per mettere via le provviste!

La formica scosse un po’ la testa e continuò imperterrita il suo lavoro, senza più badare alla cicala.
– Fai come vuoi, formica mia. Io intanto mi godo questa meravigliosa giornata standomene qui rilassata a riposare – e la cicala riprese a cantare un’altra canzone.

Ma i giorni e poi i mesi passarono veloci, ed ecco che, puntuale, arrivò l’inverno, col suo freddo e col suo ghiaccio.
La cicala vagava per i campi e i prati arrabattandosi come poteva, recuperando qua e là qualcosa da mangiare e riparandosi dal freddo dove capitava.

Vagando vagando, una sera in cui il buio era sceso molto presto, incontrò una piccola casetta con la finestrella illuminata. La cicala aveva tanta fame e tanto freddo, così bussò alla porta.
La porta si aprì ed uscì la formica. Quella era la sua casetta costruita con fatica durante tutta l’estate, dall’interno si sentiva arrivare un bel calduccio e un odorino di cibo molto invitante.

– Buonasera signora cicala, cosa ti porta qui da me?
– Buonasera signora formica – rispose tutta infreddolita la cicala, tremando nel leggero cappottino che aveva addosso. – Ho freddo, ho fame e non ho un tetto dove passare la notte.

La formica guardò la cicala con compassione.
– Ah signora cicala, come ricordo bene le calde giornate d’estate in cui, mentre io faticavo per metter via provviste e costruirmi una casa, tu, beata sul tuo ramo al fresco e all’ombra, cantavi cantavi e cantavi… Beh, facciamo così: entra, per questa volta ti aiuterò e ti darò da mangiare e un letto per dormire. Tu però prometti che la prossima estate mi aiuterai a far provviste.

La cicala, imparata la lezione, promise che avrebbe fatto la brava e ringraziò di cuore la formica per l’aiuto.

Morale: chi non fa nulla, non ottiene niente, è per questo che bisogna impegnarsi.

⚜️ Fine della favola ⚜️

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Il pesciolino d’oro 🐟

Chi troppo vuole, nulla stringe! Dice il proverbio…

Il pesciolino d’oro è una fiaba di origini russe trascritta originariamente da Aleksandr Pushkin, e ci insegna ad essere contenti di ciò che si ha anche se si tratta di una vita povera e tranquilla, perché ad esagerare con le richieste spesso si rischia di rimanere solo con un pugno di mosche in mano.

Un avvertimento importante per i bimbi che magari fanno troppi capricci…


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Il pesciolino d’oro 🐟


Ivan era un vecchio pescatore che viveva in una capanna vicino al mare, con sua moglie. Ogni giorno andava a pescare, mentre la moglie restava a casa a filare la lana e fare tutte le faccende domestiche.

Un giorno, però, la pesca andò peggio del solito. Al primo tentativo trovò nella rete solo uno scarpone rotto, al secondo un po’ di fango. Al terzo c’era un unico pesce.
“Meglio che niente” pensò Ivan.
Guardandolo meglio, però, si accorse che quello era un pesce veramente strano, diverso da quelli che aveva sempre visto: era tutto dorato.

Stava cercando di liberarlo dalla rete quando sentì una voce dire: – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan si guardò intorno, cercando di capire chi avesse parlato, ma non vide nessuno. Allora tornò a girarsi verso il pesce, il quale ripeté – Se mi lasci andare esaudirò ogni tuo desiderio.
Ivan sobbalzò: un pesce parlante non l’aveva davvero mai visto!

Un po’ confuso riuscì solo a dire: – Non mi serve niente, caro pesciolino. Io e mia moglie stiamo bene così. Ti lascio andare senza chiederti in cambio niente.
Il pesce d’oro si rituffò in acqua con un gran salto, ma mentre si allontanava gridò al pescatore: – Grazie, Ivan, non dimenticherò il tuo gesto. Se ti dovesse servire qualcosa, devi solo venire a chiamarmi.

Ivan tornò a casa e raccontò alla moglie l’incontro insolito.
Quella, dopo averlo ascoltato, si arrabbiò moltissimo e lo sgridò: – Non hai chiesto niente? Guarda la nostra casa, è una capanna! Potevi almeno chiedere che fosse trasformata in una casetta di mattoni con dentro il camino. Torna al mare, chiama il pesce e chiedigli questo favore!

Ivan era frastornato: lui pensava di aver fatto una bella cosa a liberare il pesce, ma la moglie forse aveva ragione a volere una casa fatta di mattoni. Così andò a chiamare il pesce d’oro.
– Ciao pesciolino, scusa se ti disturbo, ma mia moglie vorrebbe una casetta di mattoni con dentro il camino. E’ troppo tardi per chiederti di esaudire questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Ivan tornò dalla moglie e trovò davvero una graziosa casa di mattoni.
Era tutto contento, ma pochi giorni dopo la moglie cominciò a lamentarsi: – Già che c’eri potevi chiedere di farci diventare dei nobili. Io sono stanca di essere la moglie di un povero pescatore, mi merito molto di più.
Ivan, pur di farla contenta, tornò a chiamare il pesce.

– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti. Mia moglie vorrebbe essere una nobildonna, è troppo tardi per chiederti anche questo favore?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi.
Gli fece l’occhiolino e scomparve in mare con un tuffo.

Una grossa sorpresa aspettava Ivan al suo ritorno a casa: la casetta di mattoni non c’era più, al suo posto c’era un palazzo e sua moglie, vestita tutta elegante, lo aspettava insieme a servi e maggiordomi.
Ivan era contento e voleva abbracciarla, ma lei lo cacciò via e lo fece mandare in cucina a pelare patate.

I giorni passavano, finché la moglie capricciosa non lo fece chiamare e gli disse:
– Devo assolutamente diventare regina. Non sopporto di essere una nobile qualunque, voglio che tutto il popolo si inchini quando passo per la strada, voglio viaggiare in carrozze con cavalli e partecipare a feste con tutti i sovrani d’Europa.
– Ma, cara, non stai forse esagerando? Non eri felice quando vivevamo nella nostra capanna? In fondo non ci è mai mancato nulla…
–Zitto! – gridò lei. – Sono sicura che sarei un’ottima regina, perciò vai dal pesce e digli di esaudire questo mio desiderio.

Ivan era davvero perplesso, sua moglie stava esagerando secondo lui. Ma le voleva molto bene e tornò quindi a chiamare il pesce.
– Ciao pesciolino, scusami se torno di nuovo a disturbarti, ma mia moglie adesso vuole essere regina. Io gliel’ho detto che sta esagerando, ma lei è sicura che sia la cosa migliore…
– Davvero vuole essere regina? Non è un capriccio troppo grosso? – chiese il pesce.
– Secondo me sì, ma le voglio molto bene, perciò ti chiedo: è troppo tardi per esaudire anche questo desiderio?
– Non c’è problema, Ivan, quando arriverai a casa sarà tutto come chiedi. Però avvisala: se solo proverà a desiderare qualcosa di ancora più grande, si ritroverà in un batter d’occhio al punto di partenza, cioè nella capanna sulla spiaggia. Dille di fare attenzione…
Così detto, il pesce gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

Ivan questa volta trovò un castello al posto del palazzo. Servitori e dame di compagnia giravano dappertutto e lui non trovava il modo di parlare con sua moglie.
Lei era sempre troppo impegnata in feste e ricevimenti o in passeggiate a cavallo o in riunioni importanti riguardo le sorti del paese, e lo cacciava sempre via. Finalmente Ivan riuscì a riferirle l’avvertimento del pesce, ma lei lo liquidò con un – Sì, sì, figurati se è vero… – e tornò alla sua vita di regina, ogni giorno più capricciosa.

Finché un giorno lo mandò a chiamare e gli disse: – E’ ora che io sia imperatrice. Il mondo intero deve sapere che donna importante sono e mi deve rendere omaggio…
Ma non fece in tempo a finire la frase che… puff!
Tutto era scomparso e i due erano di nuovo nella capanna sulla spiaggia, con dentro solo le reti da pesca di Ivan e il pentolone per cucinare la minestra.

La moglie di Ivan andò su tutte le furie, già si immaginava imperatrice e invece era di nuovo la moglie di un povero pescatore. Piano piano, però, la rabbia le passò, capì di aver veramente esagerato e tornò alle sue normali faccende domestiche.

Ivan andò in riva al mare e ringraziò il pesce per avergli ridato la sua vita, povera ma tranquilla.
Il pesce non si avvicinò, ma da lontano gli gridò: – Hai visto? Tutto si è sistemato!
Gli fece l’occhiolino e scomparve nel mare con un tuffo.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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I giorni della merla 🐦‍⬛

I giorni più freddi di gennaio e la leggenda della merla

In molte regioni d’Italia, gli ultimi tre giorni di gennaio sono conosciuti come i “giorni della merla”.

Si racconta che siano i più freddi dell’anno, e proprio da questa credenza popolare nasce una leggenda antica, tramandata di generazione in generazione, che spiega l’origine del piumaggio nero dei merli.

Questa fiaba, ispirata alla tradizione, ci porta in un piccolo borgo di tanto tempo fa, dove l’inverno più rigido di sempre cambiò per sempre la storia di una piccola e coraggiosa merla.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “I giorni della merla 🐦‍⬛“!

Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

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I giorni della merla 🐦‍⬛



Tanto tempo fa, in un piccolo borgo nascosto tra le colline, viveva una merla dal piumaggio candido come la neve. Tutti la chiamavano Bianca, e il suo canto era così dolce da incantare chiunque lo ascoltasse. Ma quell’anno il freddo dell’inverno era arrivato prima del previsto, e iniziò a nevicare così tanto che sembrava non voler smettere mai.

Bianca osservava il cielo grigio dal suo nido su un vecchio albero e si chiedeva perché l’inverno fosse diventato così rigido. I suoi amici uccelli, che una volta riempivano il bosco di canti, erano partiti verso terre più calde. Ma lei, ostinata e curiosa, non voleva andarsene senza capire il mistero di quel gelo incessante.

“Forse qualcuno ha rubato il calore del sole…” pensava Bianca, mentre il vento freddo le scompigliava le piume. Decise quindi che avrebbe cercato di scoprire la verità.

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Le tre piume 🪶🪶🪶

Le Tre Piume: L’antica fiaba sul significato del destino e la sua saggezza nascosta

Una piuma che danza nel vento può decidere il destino di un regno.

Nell’antica fiaba germanica “Le tre piume” ripresa anche dai fratelli Grimm, un vecchio Re mette alla prova i suoi tre figli con una sfida insolita, e che rivelerà come la vera saggezza si nasconda spesso dietro le apparenze più semplici.

Una fiaba che simbolicamente suggerisce di entrare in contatto col proprio inconscio e affrontare le sfide che la vita ci mette davanti, invece che evitarle e cercare di risolverle con superficialità


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de “Le tre piume 🪶🪶🪶“!

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Le tre piume 🪶🪶🪶



C’era una volta un re che aveva tre figli, i primi due erano furbi e intelligenti. Il terzo invece non parlava molto, ragionava sempre in maniera molto semplice e le cose un po’ più complicate non le capiva proprio, tanto che nel regno tutti ormai lo chiamavano col soprannome di “Sempliciotto”.

Quando il re si sentì ormai vecchio e debole, tanto da pensare di essere vicino alla fine dei suoi giorni, decise che uno dei suoi figli avrebbe ereditato il regno. Ma non sapeva a quale dei tre darlo, perché amava ognuno di loro in egual modo.

Così decise di metterli alla prova, e disse:
– Andate per il mondo, e chi di voi mi porterà il tappeto più bello, sarà re dopo la mia morte.

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Gli gnomi e il calzolaio 👞

Una magica fiaba dei fratelli Grimm sulla povertà e la fortuna

La fiaba “Gli gnomi e il calzolaio” dei fratelli Grimm è uno dei racconti più amati della tradizione popolare europea.

Questa storia magica narra le vicende di un umile calzolaio che, grazie all’aiuto di due misteriosi gnomi notturni, riesce a superare la povertà e a trasformare la sua bottega in un’attività di successo.

Un racconto senza tempo che insegna ai lettori di tutte le età l’importanza della gratitudine, del lavoro ben fatto e della gentilezza, valori che vengono sempre ricompensati.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare de Gli gnomi e il calzolaio 👞!

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Gli gnomi e il calzolaio 👞



C’era una volta un calzolaio che, senza averne colpa, era diventato così povero che un giorno rimase con il cuoio sufficiente per realizzare un solo paio di scarpe.

Così quella sera ritagliò con cura tutti i pezzi di cuoio con cui il mattino seguente avrebbe realizzato un ultimo paio di scarpe.
Sistemò tutto per bene sul tavolo da lavoro, si tolse il grembiule e si accostò alla finestra guardando una stella nel cielo.
– Sarebbe bello avere un po’ di fortuna… – sospirò il calzolaio, parlando alla stellina.

Poi spense la candela, diede un bacio a sua moglie e si coricò nel letto, dove si addormentò profondamente.

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Le tre meraviglie 🧺

La Principessa che sfidò la Montagna Maledetta: Un Racconto dalle Mille e una Notte

Un misterioso abbandono, tre neonati reali scomparsi nelle acque del palazzo, e due sorelle consumate dall’invidia.

Questa affascinante fiaba orientale svela il destino di Bahman, Perviz e la coraggiosa Parizade, cresciuti ignari della loro vera identità. Ma cosa si nasconde dietro la visita di una misteriosa vecchina che parla di tre oggetti magici?

Dalla tradizione delle Mille e una Notte, un racconto dove il destino di un regno intero dipende dalla determinazione di una giovane ragazza, pronta a sfidare una montagna maledetta per salvare i suoi fratelli e scoprire una verità sepolta nel tempo…


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Le tre meraviglie 🧺


C’era una volta un Sultano che amava passeggiare per le vie della sua capitale indossando semplici abiti da privato cittadino.

Passando per una stradina solitaria, il Sultano udì delle donne che discutevano ad alta voce e, sbirciando dalla fessura della porta, vide tre splendide sorelle che parlavano animatamente su quale fosse il loro marito ideale.

– Non chiedo altro che avere per marito il fornaio del Sultano – esclamò la maggiore,
– Io potrei accontentarmi del cuoco del Sultano – rispose la seconda sorella.
– Quanto a me – disse la più giovane – se debbo desiderare un marito, vorrei che fosse il Sultano stesso!

Il Sultano fu così divertito dalla conversazione che decise di soddisfare i loro desideri e, rivolto al gran Visir, gli ordinò di portare le ragazze al palazzo reale.

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I tre porcellini 🐷🐷🐷

I Tre Porcellini: la fiaba classica che insegna a costruire con saggezza

La fiaba dei Tre Porcellini è una delle storie più amate dai bambini, perché unisce avventura e insegnamenti preziosi.

Per sfuggire al lupo cattivo, non basta essere veloci, bisogna essere furbi e impegnarsi a costruire qualcosa di solido!

Solo la casa di mattoni resiste al soffio del lupo, dimostrando che il lavoro ben fatto ripaga sempre.

Questa fiaba educativa aiuta i più piccoli a capire l’importanza della pazienza e dell’impegno, divertendosi con una storia senza tempo.


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I tre porcellini 🐷🐷🐷


C’erano una volta tre porcellini, Timmy, Tommy e Gimmy che abitavano tutti ancora nella casa della mamma.

Un giorno la mamma disse loro – siete ormai grandicelli ragazzi miei, penso sia ora che prendiate ognuno di voi la vostra strada e costruiate ognuno la propria casetta!

I tre porcellini, seppur a malincuore, sapevano che era la cosa giusta da fare, erano diventati finalmente grandi e così si fecero forza e prepararono ognuno il proprio bagaglio.

Timmy fece un fagotto con tutti i suoi dolci e il flauto che amava tanto suonare.
Tommy riempì di giocattoli una borsa assieme al suo caro violino.
Gimmy invece preparò la sua cassetta degli attrezzi con tutto ciò che gli sarebbe servito per costruire una solida casetta.

Così si prepararono, salutarono la mamma che augurò loro buona fortuna, e si incamminarono allegri e felici per il sentiero.
– Fate attenzione al lupo cattivo! – si raccomandò tanto la mamma mentre li salutava con una lacrimuccia agli occhi.

I tre porcellini sorrisero, la salutarono ancora e proseguirono nel loro cammino.
Ma dalla collina, nascosto tra i cespugli, qualcuno stava osservando la scena, qualcuno a cui piacevano tanto i porcellini, soprattutto con contorno di patate arrosto… era il Lupo Cattivo!

Dopo un po’ che i tre porcellini camminavano allegramente Gimmy disse:
– Io mi fermerò qui per costruire la mia casetta, qui vicino c’è un ruscello e questi begli alberi mi faranno ombra nei mesi caldi.
– Va bene – risposero gli altri due – noi continuiamo a camminare!
Gimmy li salutò e cominciò a costruire la sua casetta.

Poco dopo Anche Tommy decise di fermarsi – io costruirò la mia casetta qui, dove ci sono tutti questi rami di legno già pronti per essere tagliati, così costruirò la mia casetta di legno!
– Va bene fratellino mio, io proseguo sul sentiero, a presto!

Timmy quindì salutò Tommy e continuò a camminare, finché non vide un bel covone di paglia dorata essiccata al sole.
– Potrei costruire la mia casetta con quella paglia, ci metterei pochissimo così poi potrei subito andare a giocare! – disse, e così fece.

In quattro e quattr’otto, con qualche rametto qua e là, la casetta di paglia era pronta, così potè subito uscire in giardino e mettersi a suonare il suo amato flauto.

Anche Tommy ormai aveva ultimato la sua casetta. Non era molto robusta perché per fare presto e poter andare a divertirsi nei prati, aveva deciso di inchiodare le assi di legna in fretta e furia, giusto per arrivare al tetto e ripararsi dalla pioggia in caso di intemperie.
Non appena finì, prese il violino e cominciò a suonare.

L’ultimo a finire il suo lavoro fu Gimmy, che lavorò fino a sera per costruirsi la sua robusta casetta di mattoni con una bella porta in legno e una grossa serratura.
Ci fece perfino un bel caminetto, per non patire il freddo nelle lunghe giornate invernali.
Solo allora si godette il meritato riposo.

Il giorno seguente, il Lupo Cattivo, che aveva spiato i tre porcellini per tutto il giorno precedente, si presentò alla casetta di paglia di Timmy e disse con la sua vociona:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?

Ma Timmy, che si ricordava bene delle parole della mamma guardò fuori dalla finestra e disse:
– Non sono mica matto! Tu sei il Lupo Cattivo! – e chiuse anche la finestra pensando così di essere al sicuro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e preso un gran respiro si mise a soffiare così forte sulla casetta di Timmy, che la paglia volò via, e della casetta non rimase nulla…
Timmy corse via più forte che poteva e raggiunse Tommy nella sua casetta di legno.

– Il Lupo Cattivo con un gran soffio ha fatto volar via la mia casetta!
– Non ti preoccupare – rispose Tommy – puoi rimanere nella mia casetta di legno.

Ma poco dopo il Lupo bussò anche lì:
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
I due capirono subito che si trattava del Lupo Cattivo e risposero in coro:
– Non siamo mica matti! Tu sei il Lupo Cattivo!

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare così forte che anche la casetta di Tommy, con le assi di legno inchiodate in tutta velocità, volò via…

Timmy e Tommy corsero via a perdifiato e andarono da Gimmy, che li accolse subito.
– Tranquilli fratellini miei, questa è una solida casa di mattoni, e il Lupo non riuscirà a spazzarla via.

Infatti poco dopo arrivò il Lupo Cattivo.
– Porcellino, porcellino, posso entrare un momentino?
– Non siamo mica matti! – risposero i tre in coro.

Ma il Lupo Cattivo si mise a ridere e, preso un gran respiro, si mise a soffiare forte, ma così forte che… non successe nulla.
La casetta di mattoni era ancora lì.

Il lupo allora provò e riprovò, ma niente, neanche uno scricchiolio.
– Entrerò dal camino! – disse, e con un balzo era già sul tetto.
Gimmy capì cosa aveva in mente di fare il Lupo e quindi preparò un gran pentolone di acqua bollente sul fuoco del camino, così quando il Lupo Cattivo si calò giù dal camino finì dritto in pentola!

Il Lupo gridò dal dolore e scappò via su per la canna fumaria del camino con la coda tutta scottata!

Da quel giorno nessuno dei 3 porcellini vide mai più il Lupo Cattivo. Anche Timmy e Tommy decisero di rimboccarsi le maniche e costruire ognuno una bella casa di mattoni proprio accanto a quella di Gimmy, così tutti i giorni potevano suonare e ballare:

“Siam tre piccoli porcellini
siamo tre fratellini.
Mai nessuno ci dividerà
tra-lalla-la-là”

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

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Canto di Natale 🕯️ di Charles Dickens

Lo Spritito del Natale vive in ognuno di noi, basta saperlo ascoltare.

Canto di Natale di Charles Dickens è uno dei racconti di Natale tra i più famosi e commoventi, incentrato sulla conversione dell’arcigno Ebeneezer Scrooge da vecchio avaro ed egoista a uomo generoso e altruista pronto ad aiutare il prossimo.

Ci penserano lo spirito del suo ex socio in affari e tre bei fantasmi a riportarlo sulla retta via.


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Canto di Natale 🕯️ di Charles Dickens“!

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Canto di Natale 🕯️ di Charles Dickens


Indice dei capitoli

  1. Primo canto: il fantasma di Marley
  2. Secondo canto: il fantasma del Natale passato
  3. Terzo canto: il fantasma del Natale presente
  4. Quarto canto: il fantasma del Natale futuro
  5. Quinto canto: lo spirito del Natale

Canto di Natale 🕯️ PRIMO CANTO:
Il fantasma di Marley


Sette anni erano passati da quando Jacob Marley era morto, eppure il suo socio in affari Ebeneezer Scrooge non era per nulla cambiato. L’unica cosa a cui teneva per davvero erano i soldi.

Anche nel giorno della vigilia di Natale, il vecchio e avaro Scrooge se ne stava seduto nell’ufficio della “Scrooge & Marley”, una ditta di cambi e prestiti, tutto preso dai suoi affari.

Era una giornata nebbiosa e cupa, fuori faceva molto freddo e nell’ufficio di Scrooge non faceva molto più caldo rispetto all’esterno.
Scrooge teneva sempre un occhio sul suo commesso, Bob Cratchit, che era intento a copiare delle lettere, riscaldato da un unico pezzo di carbone che ardeva nella stufa. La cassetta del carbone era nell’ufficio di Scrooge, e lui non avrebbe dato al commesso un altro pezzo per tutto il resto della giornata.

– Buon Natale, zio! Un allegro Natale! Dio vi benedica! – gridò una voce allegra.
Era la voce di Fred, nipote di Scrooge, piombato nell’ufficio così all’improvviso che lo zio non lo aveva sentito arrivare.
– Bah! – disse Scrooge – sciocchezze!
– Come, zio, Natale sarebbe una sciocchezza?! – esclamò Fred.
– Al diavolo il Natale con tutta l’allegria! – ribatté Scrooge – Cos’altro è il Natale se non un giorno in cui ci si trova più vecchi di un anno e nemmeno di un’ora più ricchi?!

– Ma perchè siete così amaro, ricco come siete? – continuò il nipote.
– E che ragione hai tu di esser così felice, povero come sei?! – lo zittì Scrooge.
– Ma zio, il Natale… – lo pregò Fred.
– Nipote! – lo rimbeccò Scrooge – Tu festeggia il Natale come vuoi tu, che io lo festeggio come voglio io! – sentenziò Scrooge.
Fred non si perse d’animo e per rallegrare lo zio lo invitò a cena il giorno di Natale, come aveva fatto per tutti i Natali precedenti.
Ma Scrooge rispose di no a tutte le suppliche di suo nipote e infine lo salutò facendogli capire che la conversazione era finita. Così Fred se ne andò, scambiandosi gli auguri con Bob Cratchit.

Poco dopo, entrarono nell’ufficio due distinti signori per raccogliere denaro da dare ai poveri che non avevano un posto dove andare in quel freddo inverno.
Scrooge li accolse in malo modo, non diede loro nemmeno un soldo bucato e anzi, chiese sarcasticamente ai due gentiluomini di lasciare l’ufficio. I due, capito che non avrebbero ricavato nulla, se ne andarono.

Quando fu il momento di chiudere l’ufficio, Scrooge si rivolse al suo impiegato, Bob Cratchit:
– Vuoi tutto il giorno libero domani, vero?
– Se per lei va bene, signore – rispose l’impiegato.
– Non va bene e non è giusto – disse Scrooge – dopotutto, devo pagarti la giornata anche se non lavori. Ma se così deve essere, vedi di iniziare a lavorare molto presto la mattina seguente…
Cratchit promise che l’avrebbe fatto e i due tornarono ognuno a casa propria.

Scrooge viveva tutto solo in una casa vecchia e decrepita. Quella sera il cortile sembrava più buio e scuro del solito e, quando Scrooge cercò di aprire la porta, ebbe l’impressione di vedere nel battiporta dell’ingresso il viso del suo vecchio socio in affari Marley, morto sette anni prima.

La cosa lo scosse per un attimo, ma Scrooge non si lasciava spaventare facilmente e, strizzati gli occhi, si accertò che il battiporta fosse tornato quello di sempre. Ripresosi da quella singolare visione, aprì ed entrò chiudendo a chiave la porta, cosa che di solito non faceva.
Ancora sgomento per l’accaduto, Scrooge fece il giro delle stanze per controllare che tutto fosse a posto.

Non trovò nulla di diverso dal normale, perciò si infilò la camicia da notte e le pantofole e si mise seduto comodo davanti al fuoco del camino a sorseggiare una tisana.
Improvvisamente, proprio quando stava iniziando a rilassarsi, Scrooge udì un rumore cupo, come se qualcuno stesse trascinando delle pesanti catene.

Il rumore saliva per le scale di casa e si faceva sempre più vicino, fino a sembrare appena dietro la porta della stanza, dove cessò di colpo. Scrooge si voltò. Uno spettro stava attraversando la porta e, per la paura, il suo viso diventò bianco tanto quanto lo spettro.
– Ma io ti conosco! Sei il fantasma di Marley! – esclamò Scrooge.
Era proprio lo spettro del suo vecchio socio in affari.

– Cosa vuoi da me? – continuò Scrooge con tono di freddo distacco.
– Sono Marley, e sono venuto per darti un avvertimento… le vedi queste pesanti catene che mi cingono il corpo? Me le sono fabbricate io in vita grazie alla mia avarizia e taccagneria. Non ho mai pensato ad altro se non al mio tornaconto, e questo è il peso che debbo pagare per la mia misera vita egoista.

Scrooge tremava mentre il fantasma continuava a parlare.
– Ora sono qui per avvertirti: tu hai ancora una possibilità, Ebenezer. Questa notte, già dal primo rintocco delle campane, tre spiriti verranno a farti visita. Se non vuoi fare la mia stessa fine, seguili e ascoltali.
Non appena ebbe detto queste parole, il fantasma di Marley scomparve, e la notte tornò tranquilla.

Scrooge andò subito a letto, e forse per la stanchezza della giornata e le troppe emozioni appena vissute, cadde subito in un sonno profondo.

… continua nel SECONDO CANTO

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Il pesce nel bosco 🐟

Il silenzio è d’oro…

Per scrivere questa breve storia per bambini, noi di fabulinis ci siamo ispirati a quello che spesso succede ai piccoli: quando accade qualcosa di bello, sono così entusiasti che lo racconterebbero a tutto il mondo, anche se hanno promesso di mantenere il segreto.

E questo è meraviglioso! Purtroppo però, a volte, devono scontrarsi con l’invidia o la prepotenza di chi vuole portar loro via questa felicità.
Lo stesso accade alla moglie del contadino protagonista, ma lui, furbo, difende il tesoro che hanno trovato e insegna alla moglie ad essere un po’ più prudente e soprattutto a mantenere i segreti. Anche se lì per lì la prende un po’ in giro…

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🔊 Audiofiaba 😴

Nella pagina delle Audiofiabe, puoi ascoltare il pesce nel bosco raccontata da Silvia!

Il pesce nel bosco 🐟 storia completa


C’era una volta un contadino che lavorava alle dipendenze del signore del castello.
Un giorno tornando dal bosco dove aveva preso un po’ di legna per il camino, trovò sul sentiero un sacchetto, lo aprì e dentro vi trovò alcune monete d’oro.
Subito corse a casa da sua moglie a farle vedere le monete, non erano molte ma con quelle non avrebbero avuto più problemi per un bel po’.

– Dobbiamo nasconderle – disse il contadino – se il signore del castello lo viene a sapere dirà sicuramente che sono sue e ce le toglierà.
– Si si – rispose sua moglie – nascondiamole sotto il letto!
E così fecero, nascondendo le monete sotto il letto.
La moglie del contadino non stava più in sé dalla felicità, e al contadino venne in mente che con tutta questa foga le sarebbe potuto sfuggire, con qualche sua amica, quello che era accaduto.
Esattamente come aveva intuito il contadino, il giorno stesso sua moglie raccontò alle amiche della fortuna che stavano avendo, grazie anche ad alcune monete d’oro trovate per caso…

Il contadino capì che doveva doveva inventarsi qualcosa per non farsi prendere le monete. Non appena la donna uscì di casa per andare al pozzo a prendere un po’ d’acqua, il contadino prese subito le monete e le nascose in soffitta e, quando sua moglie tornò, esclamò:
– Domani andiamo a pesca nel bosco!
– Ma nel bosco non c’è nemmeno un ruscello… – rispose la donna.
– Tu fidati, domani troveremo un sacco di pesce nel bosco.

La moglie lo guardò stranita, ma si fidava e non aggiunse nulla.
Il giorno dopo il contadino si alzò molto presto senza svegliare la moglie, e andò al mercato a comprare del pesce e delle ciambelle. Poi corse nel bosco e lasciò per terra i pesci un po’ lì e un po’ là, e appese le ciambelle ad un albero.

Riuscì a tornare in casa appena in tempo prima che la moglie si svegliasse.
Fatta la colazione il contadino prese sua moglie e la portò nel bosco, e subito trovarono un pesce per terra.
– Ma qui c’è un pesce! – esclamò la donna – e qui un altro!
– Cosa ti avevo detto? È un ottimo periodo per cacciare pesce nel bosco! – rispose il contadino.
– E guarda qui marito mio, un albero pieno di ciambelle!!

Il contadino sorrise ma non si sorprese, anzi, disse alla moglie che in quel periodo era normalissimo trovare alberi pieni di ciambelle. I due ne fecero scorta e tornarono a casa felici e contenti.
Ma il giorno dopo, le voci sulla fortuna dei due contadini arrivarono anche al signore del castello, che incuriosito li chiamò a corte.

– Voci dicono che avete trovato delle monete d’oro nel bosco – li interrogò il signore del castello.
– Non è assolutamente vero signore… – rispose il contadino.
– Non ci credo, tua moglie lo ha raccontato a tutti! E so anche che le tenete nascoste sotto il letto!
Il contadino sospirando e scuotendo la testa rispose:
– Scusatela mio signore, ma mia moglie ultimamente è un po’ matta, non c’è da credere alle sue parole.
– Matta io?! – si infuriò la moglie – io non sono matta! Tu sei tornato a casa con le monete d’oro il giorno prima di andare a caccia di pesci nel bosco!

– A caccia di pesci nel bosco? – chiese il signore.
– Si, si, a caccia di pesci nel bosco, ne abbiamo trovati un sacco, e poi abbiamo anche trovato un albero pieno di ciambelle!
Il signore del castello guardò il contadino che si stava stringendo nelle spalle scuotendo tristemente la testa, e pensò anche lui che sua moglie era proprio un po’ matta.

Il signore fece comunque controllare dalle guardie sotto il letto dei contadini, dove ovviamente non c’era nulla nulla.
Il contadino così poté tenersi le monete d’oro che usò poco a poco e senza dare troppo nell’occhio. E sua moglie, come lezione, imparò a non confidare più segreti preziosi alle sue amiche, e anzi, si godette insieme a suo marito una vita serena e tranquilla.

Questa favola ci insegna che, non mantenere un segreto per far bella figura con gli altri, spesso può essere molto controproducente.

⚜ Fine della fiaba ⚜

La principessa triste 👸

la semplicità di alcuni gesti arriva dritta al cuore, fa passare la tristezza e ritornare il sorriso.

La principessa triste ci racconta come la felicità va cercata nei gesti semplici che vengono dal cuore, a volte anche involorontariamente, perchè sono quelli che ci faranno sempre sorridere.

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La principessa triste 👸 storia completa


C’era una volta, nella terra delle Torri, la Principessa Priscilla, una ragazza sempre triste che viveva, guarda un po’, proprio in una torre.

Suo padre Re Garbuglio non sapeva più cosa fare per tirarle su il morale, e aveva promesso di ricoprire d’oro fino all’ultimo capello chiunque fosse riuscito a strapparle anche un solo sorriso.
Da quel giorno una lunga fila di giocolieri, giullari, saltimbanchi e pagliacci provenienti da ogni dove, si era creata ai piedi della torre, ma nessuno era riuscito a far sorridere Priscilla…

Dall’altra parte del regno viveva Fulvio, un bravo ragazzo ma sfortunato con i soldi: ogni volta che riceveva una moneta per i lavoretti che faceva, la perdeva da qualche parte.
E quando succedeva, non si dava pace! Prima dava la colpa alla sfortuna, poi agli gnomi cattivi che gliela sfilava dalle tasche, poi ai lupi magici che abitavano nella foresta, poi alla vicina di casa poco simpatica, ed infine anche al commesso del negozio di alimentari del quartiere.

Un bel giorno Fulvio, disperato e senza più un soldo, si sedette sul ciglio della strada con le mani fra i capelli.
– Povero me, come posso fare? Ogni volta che guadagno una moneta me la rubano sempre… forse è solo colpa mia che sono uno sbadato incredibile ed in realtà le perdo tutte…

Non appena disse quelle parole, e compreso che forse era solo sua la colpa di tanta sbadataggine, sentì cadere qualcosa: era una moneta!
– E questa da dove salta fuori?
La prese subito in mano e se la mise in tasca. In quel momento si accorse che lì aveva un bel buco da cui molto probabilmente erano uscite tante altre monete, e lui non se ne era mai accorto!
– Ecco come mai perdevo sempre le monete… adesso vado a casa e chiudo questo buco nella tasca.

Appena tornato a casa, Fulvio si mise a cercare ago e filo per cucire la tasca bucata. Aprì tutti i cassetti ma non trovò niente. Allora gli venne in mente che forse li aveva messi in una scatolina dimenticata da tanto tempo sotto al letto. Si chinò per guardare lì sotto e cosa trovò? Altre due monete, proprio accanto alla sedia dove ogni sera riponeva piegati i pantaloni con la tasca bucata!

– Lo sapevo io che erano gli gnomi cattivi che mi sfilavano le monete di tasca! O forse mentre piegavo i pantaloni cadevano da sole, e io sbadato non ci ho mai fatto caso… mmh, mi sa che è andata così…
Fulvio, tutto felice per aver ritrovato le tre monete, decise che era meglio andare in città a comprare un paio di pantaloni nuovi, così uscì di casa e si mise in cammino.

Lungo la strada, vicino ad una cascina, incontrò un topino.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno topino, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
Il topino lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo, io posso esserti molto utile giù in città, ma dovrai darmi una moneta.

Fulvio rimase un poco stupito dalla richiesta. Gli occhietti del topino sembravano sinceri e, siccome era di buon cuore, gli diede una moneta. “Per un paio di pantaloni due monete possono bastare”, pensò.
Il topolino prese la moneta, ringraziò e sparì nel campo di grano.
Fulvio, vedendolo sparire, si sentì imbrogliato, ma capì che era stata solo colpa sua se aveva dato ascolto ad un topino sconosciuto. Senza perdersi d’animo continuò il cammino.

Attraversò una radura e poi un frutteto, dove sopra un ramo stava un uccellino.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno uccellino, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
L’uccellino lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo, se mi darai una moneta posso esserti molto utile giù in città.

Fulvio che era di buon cuore, e soprattutto uno smemorato, guardò l’uccellino. I suoi occhietti sembravano sinceri e gli diede una moneta. “Tanto per un paio di pantaloni una moneta può bastare”, pensò.
L’uccellino prese la moneta, ringraziò e volò via nel cielo azzurro.
Fulvio, vedendolo sparire, si sentì imbrogliato, ma capì che era stata solo colpa sua se aveva dato ascolto ad un uccellino sconosciuto. Senza perdersi d’animo continuò il cammino.

Cammina cammina, arriva alle porte della città. Doveva solo attraversare il ponte sul fiume, dove una volpe rossa stava bevendo tutta tranquilla.
– Buongiorno ragazzo mio, dove vai?
– Buongiorno volpe, sto andando in città, devo comprare dei pantaloni nuovi perché questi hanno le tasche bucate e perdo continuamente le monete.
La volpe lo osservò con occhietti curiosi, poi gli disse:
– Ragazzo mio, io so che un topino ed un uccellino ti hanno chiesto una moneta ciascuno per aiutarti giù in città. Voglio aiutarti anch’io, e soprattutto farti riavere quelle due monete e molte altre. Mi accontento di una moneta, un prezzo onesto per un buon guadagno, non credi?

Fulvio ci pensò un attimo. Guardò bene la volpe: aveva gli occhietti furbi ma allo stesso tempo sinceri, e decise che sì, valeva la pena dare una moneta alla volpe.
La volpe prese la moneta, ringraziò e corse dentro le mura della città, facendogli cenno di seguirlo.
– Eh no, non mi farò imbrogliare ancora una volta! – esclamò Fulvio, e si mise a rincorrere la volpe.

La volpe correva veloce, ma ogni tanto si fermava per essere sicura che Fulvio la stesse seguendo e scattava via di nuovo non appena lui era abbastanza vicino.
Fulvio ormai era senza fiato, ma non si dava per vinto. Corri e corri, arrivò sotto la torre dove passava le sue giornate la Principessa Priscilla, che guardava giù verso tutti i giocolieri, giullari, saltimbanchi e pagliacci che inutilmente cercavano di farla ridere.

Fulvio fu colpito da tutta quella ressa attorno alla torre e si distrasse per guardarla. Così non si accorse di una enorme pozzanghera di fango proprio di fronte a sé. E… badabum! Inciampò e ci scivolò dentro con tutta la faccia!
Quando riuscì a risollevarsi dal fango disse:
– Povero me! Adesso dovrò comprarmi tutti i vestiti nuovi, e non ho una sola moneta!

La Principessa Priscilla, che stava alla finestra, fu colpita dalla scena e si soffermò a guardare cosa succedeva.
Fulvio si alzò cercando di pulirsi come poteva, ma da un angolo della strada comparve la volpe che come un turbine gli girò intorno levandogli tutto il fango dai vestiti. Poi dal cielo azzurro scese in picchiata l’uccellino che gli ripulì il viso e gli risistemò i capelli, ed infine arrivò il topino che con le manine veloci gli lucidò le scarpe.
Fulvio, incredulo, rimase in mezzo alla strada come uno spaventapasseri, e la Principessa Priscilla che aveva assistito a tutta la buffa scena si portò le mani alla bocca e cominciò a… ridere!

Re Garbuglio fu prontamente informato del miracolo finalmente accaduto alla figlia, e ordinò di portare a palazzo il ragazzo che era riuscito nell’impresa.
Fulvio stava già lasciando la città in compagnia della volpe, dell’uccellino e del topino (che nel frattempo gli avevano restituito le monete) che quasi non credeva a quello che le guardie del Re gli chiedevano: andare a corte per essere ricoperto d’oro fino all’ultimo capello!

E fu così che Fulvio si ritrovò molto più ricco di prima, con tre nuovi amici, e con un lavoretto che non gli dispiaceva affatto: continuare a far ridere la Principessa Priscilla!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Lo sposo di Topina 🐭

Quale sarà lo sposo migliore per la piccola Topina?

Questo racconto breve e divertente racchiude un insegnamento importante, forse più per i genitori che per i piccoli: a volte, nella foga di volere il meglio per i nostri figli, noi genitori dimentichiamo di ascoltare il loro parere. Lo si fa in buona fede, ma ogni tanto forse è meglio fermarsi e rifletterci sopra.

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Lo sposo di Topina 🐭 storia completa


C’era una volta una Topina che viveva ancora coi genitori. Per loro era la miglior Topina del mondo, e adesso che si era fatta grande avrebbe dovuto meritare un marito speciale.
Se per il papà di Topina bastava un bravo e gentile topino come marito, per la mamma invece un topo non era abbastanza, lei voleva di più.
La mamma di Topina non voleva che cercasse come marito un topo qualunque, per lei voleva il meglio del meglio! Così iniziò a discuter col papà, e furono urla e grida.

– Ma cosa hai contro un bel topino giovanotto, onesto e lavoratore? – chiedeva il papà alla mamma.
– Mia figlia è troppo bella e intelligente e non sposerà mai un topo! Per lei esigo qualcuno di eccezionale! – rispondeva lei.
– E allora se vuoi qualcuno di eccezionale perché non chiedi al Sole!?
La mamma di Topina ci pensò su e disse:
– Sì, credo che il Sole sia un marito all’altezza della mia piccola.
– Allora andiamo a chiedere al Sole – rispose sconsolato il papà.
– Andiamo!

Peccato che nessuno dei due chiese il parere a Topina, che sospirò e li seguì senza dire nulla.
Andarono quindi dal Sole.
– Signor Sole – disse la mamma – guarda la nostra piccola, non pensi che sia una ragazza degna di sposare una persona eccezionale e forte come te?
Il Sole, che di sposarsi non aveva nessuna intenzione, rispose:
– Vedo, la piccola Topina è sicuramente una delle più belle che io abbia mai visto, però vi devo deludere, c’è qualcuno che è più forte di me ed è…

Proprio in quel momento un Nuvolone coprì il Sole, che non riuscì a finire la frase.
Mamma e papà topo capirono che il Nuvolone era più forte del Sole, e gli chiesero se voleva sposare la Topina.
– Io non mi merito la vostra splendida figliola – rispose il Nuvolone – c’è qualcuno che è più forte di me ed è il vento!

All’istante iniziò a soffiare un forte vento che spazzò via il Nuvolone e fece rotolare tutti i topini fino a fermarsi contro un muro poco più in là.
La famiglia dei topini si rialzò pulendosi i vestiti e ricomponendosi i capelli scompigliati dal vento, e mamma e papà topo gli chiesero se voleva sposare la loro Topina.

– Veramente io non sono all’altezza di sposare la vostra incantevole Topina, c’è qualcuno che è ancora più forte di me, ed è il muro contro cui siete andati a sbattere, nemmeno io posso far nulla per abbatterlo.
Mamma e papà topo si girarono allora verso il Muro. Era un muro umido, fatto di pietre e mattoni tutto coperto di muschio.

La mamma di Topina stava per chiedergli se voleva sposarla quando Topina, che fino ad allora era rimasta zitta e tranquilla, esplose dicendo:
– Eh no! Un vecchio e ammuffito muro no! Va bene il Sole, va bene il Nuvolone e va bene anche il Vento, ma un umido muro fatto di pietre e mattoni non lo sposerò mai!

Il povero Muro, che era lì da secoli ed aveva resistito a qualsiasi tipo di intemperia, ci rimase un poco male a vedersi descritto così, ma disse:
– Vostra figlia ha ragione, è vero che io son più forte del vento impetuoso, ma c’è qualcuno che è ancora più forte di me!
– E chi sarebbe? – chiesero in coro mamma e papà topo.
– Un topolino! – rispose il muro.

Mamma e papà topo si guardarono in faccia increduli.
– Solo un topolino può scavare dentro di me e passarmi attraverso – continuò il muro.

Il papà di topina sorrise e anche la mamma fu finalmente convinta che un bel topino era lo sposo migliore per Topina.
I tre tornarono a casa felici e contenti, e così Topina fu libera di scegliersi come sposo il topino che più le piaceva.

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