La Regina delle Nevi ❄ CAPITOLO 1 – Lo specchio e le schegge
C’era una volta un perfido folletto che si dilettava a fare il mago e costruì uno specchio magico. Quel giorno era proprio di buon umore perchè aveva creato uno specchio capace di far sparire tutte le cose belle e buone che vi si specchiavano dentro.
Anche il paesaggio più incantevole, dentro lo specchio appariva come abbandonato e privo di bellezza. I volti delle persone venivano deformati e diventavano irriconoscibili, e anche le più belle persone apparivano repellenti.
E se lo specchio rifletteva qualcosa di brutto, lo rendeva persino orribile.
Il perfido folletto si divertiva un mondo a fare scherzi e a spaventare le persone, mostrando loro quello che lo specchio rifletteva.
E lui rideva, rideva così tanto che un giorno, per tenersi la pancia con le mani a causa delle troppe risate, fece scivolare lo specchio, che cadde a terra frantumandosi in mille pezzi.
Il perfido folletto gridò di rabbia. Il suo gioco preferito era ormai andato perduto.
Le schegge dello specchio erano così piccole e leggere che diventarono una piccola nuvola fatta di mille pezzettini scintillanti, grandi non più di un granello di sabbia, e il vento le sparse per tutto il mondo.
La più grande sfortuna era che ogni singola scheggia di specchio frantumato possedeva il medesimo malefico potere che aveva lo specchio intero.
Alcune schegge si conficcarono negli occhi delle persone, facendo sì che vedessero il mondo come un posto triste e insopportabile in cui dover vivere per forza. Altre schegge si posarono dentro i cuori, trasformando quelle povere persone in esseri privi di sentimenti e di amore.
Quando si rese conto di cosa i frammenti del suo specchio erano stati in grado di fare, il malefico folletto rise ancora di più e continuò a ridere per tutta la sua vita, perché sapeva che tutte quelle schegge sarebbero volate per il mondo e avrebbero portato la tristezza nelle persone per chissà quanto tempo ancora.
Ma non poteva immaginare l’avventura che i suoi frammenti di specchio avrebbero fatto affrontare a due bravi e cari bambini, il giovane Kay e la dolce Gerda…
… continua nel CAPITOLO 2: Kay e Gerda
I testi sono Copyright © di Silvia e William – fabulinis.com
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Note alla Regina delle Nevi
La Regina delle Nevi è forse il racconto più lungo e complesso scritto da Hans Christian Andersen.
Racconta la storia di crescita e maturità di due ragazzi, Kay e Gerda, che dovranno affrontare le loro paure più profonde per poter alla fine essere finalmente felici insieme.
Il significato profondo di questa storia lo si intuisce già daslla suddvisione in sette capitoli, che in realtà possono essere letti quasi come storie assolutamente indipendenti tra loro, ma che insieme formano una elaborata storia in cui Gerda dimostrerà di riuscire ad affrontare il mondo contando solo sulle proprie forze, e un pizzico di fortuna (che non guasta mai).
In fondo Gerda ha sempre avuto tutte le capacità di cui aveva bisogno, solo non sapeva ancora di possederle.
Mentre Kay, grazie all’amore di Gerda, solo alla fine si renderà conto di quanto illusorie e pericolose siano state le sue ambizioni.
Questo racconto è stato alla base dell’ispirazione per il famoso film della Disney “Frozen”.
Una precisazione, nel racconto originale di Andersen, Gerda incontra prima la donna di Lapponia e poi la donna di Finlandia, che però è un controsenso in quanto, ipotizzando un viaggio verso nord, si incontra prima la Finlandia e poi la Lapponia (che è una regione della stessa Finlandia).
Per essere il più coerenti possibile con la geografia, abbiamo volutamente scambiato i nomi dei due personaggi.
Speriamo che la nostra versione vi piaccia!
😊
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Il Principe Ranocchio: una fiaba di magia, trasformazione e promesse mantenute
Un ranocchio aiuta una principessa, ma lei non vuole ricambiare il favore. Questa antica fiaba, resa celebre dai fratelli Grimm, racconta di un incantesimo che può essere spezzato solo da un bacio.
Tra promesse infrante, magia e colpi di scena, il ranocchio dovrà conquistare la fiducia della principessa per tornare ad essere un principe.
Una storia che insegna il valore della parola data e dell’apparenza che spesso inganna.
Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Il principe ranocchio 🐸“!
Qui sotto trovi la
fiaba da leggere, ma se vuoi puoi
ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da William!
⚜️
Il principe ranocchio 🐸
C’era una volta un re che aveva tre figlie, tutte bellissime, ma la più giovane era la più bella e dolce di tutte.
La principessina passava le sue giornate vicino alla pozza d’acqua fresca che si trovava all’interno delle mura del castello.
Il suo passatempo preferito era giocare con una palla dorata: la lanciava in aria e la riprendeva, e pareva non si stancasse mai di questo divertimento.
Un giorno però la palla le scivolò di mano e finì proprio in mezzo alla pozza d’acqua lì vicino.
La principessina, non riuscendo a recuperarla, cominciò a piangere disperata perché era molto affezionata a quella palla.
Ad un tratto però sentì una voce:
– Come mai piangi, principessina mia?
La principessina si guardò intorno, per vedere da dove provenisse quella voce, ma vide solo la testa di un grosso ranocchio che spuntava dall’acqua.
– Sei tu che mi hai parlato? – chiese la principessina.
Il ranocchio annuì e le disse:
– Se vuoi posso aiutarti a recuperare la tua palla d’oro. Tu in cambio cosa mi dai?
– Tutto quello che vuoi, anche la mia corona d’oro, basta che me la riporti! – rispose la principessina.
– Del tuo oro non me ne faccio nulla, voglio piuttosto essere tuo amico, passare le giornate con te, mangiare alla tua tavola e dormire nella tua stanzetta – propose il ranocchio.
– Va bene! – esclamò la principessina, che però fra sé e sé pensava “che cosa passa per la testa a quel ranocchio? essere mio amico? Starà scherzando!”
Il ranocchio, con un tuffo, raggiunse la palla d’oro e la riportò alla principessina.
La principessina, piena di gioia, prese la palla fra le mani e corse via senza nemmeno ringraziare.
Il ranocchio le gridò:
– Aspettami! Se corri così veloce non riesco a starti dietro! – ma la principessina era ormai talmente lontana che nemmeno lo sentiva più.
Il giorno dopo, mentre la principessina era a tavola col re, la regina e le sue sorelle, si sentì battere forte al portone del palazzo, e una voce disse:
– Principessina, sono il ranocchio che ti ha recuperato la palla d’oro dalla pozza d’acqua, ora devi mantenere la tua promessa!
Il re guardò la figlioletta e le chiese di cosa si trattasse. La principessina raccontò quindi tutta la vicenda del giorno precedente, e alla fine il re sentenziò:
– Le promesse vanno mantenute figlia mia, fate entrare il ranocchio!
Così il ranocchio fu fatto sedere di fianco alla principessina, che lo guardava con disgusto.
– Avvicinami il tuo piattino d’oro, così che io possa mangiare assieme a te – disse il ranocchio, che mangiò tutto con buon appetito.
La principessina, arrabbiata, invece non mangiò nulla.
Dopo il pasto il ranocchio disse che era molto stanco e avrebbe gradito dormire nella stanzetta della principessina.
La principessina all’idea di dover dormire a fianco di un ranocchio freddo e viscido scoppiò a piangere disperata, ma il re la riprese:
– Non si deve disprezzare chi ti ha aiutato nel momento del bisogno!
Con due dita la principessina prese il ranocchio e lo portò in camera, ma quando furono in stanza il ranocchio disse:
– Sono molto stanco e ho deciso di dormire insieme a te. Se non lo farai, lo dirò a tuo padre.
La principessina, al colmo della collera, lo prese per le zampine e lo scagliò con forza contro la parete.
– Adesso tacerai, brutto ranocchio! – urlò.
Il ranocchio cadde a terra privo di sensi. Solo allora la principessina si rese conto di quello che aveva fatto; corse dal ranocchio, lo prese in braccio e lo strinse forte a sè.
– Oh no ranocchio mio, scusami tanto, non volevo… se potessi fare qualcosa per salvarti la vita…
La bocca del ranocchio sussurrò qualcosa, che però la principessina non riuscì ad udire, così accostò meglio l’orecchio alla sua bocca e alla fine riuscì a sentire le parole del ranocchio:
– … un bacio… solo un bacio… – diceva con un filo di voce.
La principessina, spinta dal rimorso di aver fatto del male ad una povera creatura, sconfisse il disgusto per il freddo e viscido rospo, chiuse gli occhi e gli diede un bacio.
Un istante dopo, nella stanza ci fu un caldo bagliore e, quando la principessina riaprì gli occhi, davanti a lei c’era un bel ragazzo che si sfregava un grosso bernoccolo sulla testa.
– E tu chi sei?! – esclamò la principessina.
– Sono il ranocchio, ma il mio vero nome è principe Enrico! Sono stato vittima di un incantesimo di una strega e solo il bacio di una principessa avrebbe potuto spezzarlo… grazie!
La principessina, ancora attonita per lo stupore, gli sorrise e corse a medicargli la ferita.
I due ragazzi iniziarono così una bella amicizia, che nel tempo si tramutò in amore. E un bel giorno si sposarono, proprio di fronte alla pozza d’acqua dove tanto tempo prima si erano incontrati.
E vissero tutti felici e contenti.
⚜️ Fine della fiaba ⚜️
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Pollicino: una fiaba di astuzia, coraggio e avventura
Piccolo ma ingegnoso, Pollicino riesce a sfuggire ai pericoli e a salvare i suoi fratelli dall’orco cattivo.
Questa fiaba classica di Charles Perrault, tradotta anche da Carlo Collodi, racconta la difficile avventura di sette fratelli abbandonati nel bosco, costretti ad affrontare insidie e pericoli.
Grazie all’astuzia di Pollicino e agli stivali magici delle sette leghe, i bambini riusciranno a tornare sani e salvi a casa, dimostrando che l’intelligenza è più forte della forza.
Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Pollicino 👦⚪⚪⚪“!
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Pollicino 👦⚪⚪⚪
C’era una volta, tanto tempo fa, un casotto isolato e vicino alla Foresta Nera, dove vivevano un povero boscaiolo, sua moglie e i loro sette figli, tutti maschi.
Era stato un anno di carestia e ultimamente il boscaiolo non riusciva a guadagnare abbastanza da portare cibo a sufficienza per sfamare tutta la famiglia.
Il boscaiolo era un uomo rude e molto irascibile. Una sera, capendo che il giorno successivo non avrebbe avuto di che sfamare se stesso e di conseguenza tutta la famiglia, prese la moglie e le disse:
– Non abbiamo in casa più cibo nemmeno per arrivare a sera. Ho deciso che domani porteremo nel bosco i bambini e li abbandoneremo, così almeno noi due ce la caveremo.
La moglie inorridita per quella dura e crudele sentenza si mise a piangere disperata, cercò di convincere il marito a non abbandonare i loro figli, ma l’uomo fu irremovibile.
I due non si accorsero però che, sotto al tavolo della misera cucina, stava rannicchiato Pollicino, il più piccolo dei loro figli che era talmente minuscolo da potersi nascondere ovunque senza essere scoperto. Pollicino sentendo discutere animatamente i genitori volle scoprire di cosa stavano parlando.
Nel sentire quelle terribili parole, Pollicino che era tanto piccolo quanto intelligente, capì che doveva fare qualcosa per salvare se stesso e i suoi fratelli.
Corse fuori di casa fino al vicino ruscello e iniziò a prendere tanti piccoli sassolini bianchi fino a riempire il tascapane che portava sempre con sé, poi tornò a casa e si mise a dormire nel suo lettino.
Il mattino seguente il boscaiolo e la moglie, presero tutti i loro bambini e li portarono nel bosco con la scusa di farsi aiutare a raccogliere della legna.
I bambini, che non immaginavano le reali intenzioni dei genitori, partirono entusiasti. Tutti tranne Pollicino, che si mise in coda al gruppo.
Pollicino, senza farsi vedere, ogni tanto lasciava cadere sul sentiero uno dei piccoli sassolini bianchi raccolti sul greto del fiume, certo che l’avrebbero aiutato a ritrovare la strada di casa una volta abbandonati nel bosco.
Dopo una lunga camminata fin dentro il cuore della Foresta Nera, il boscaiolo e la moglie dissero ai bambini di fermarsi a raccogliere tutte le frasche e rametti che potevano, mentre loro sarebbero andati a raccogliere legna lì vicino.
– Non muovetevi da qui – disse con voce ferma il loro padre – noi torneremo presto a prendervi.
E così il boscaiolo e la moglie sparirono tra gli alberi della foresta.
I bambini che non sospettavano nulla iniziarono felici a fare il loro dovere, finchè non arrivò quasi sera, e i loro genitori non si erano ancora fatti vivi…
Tutti i fratellini a poco a poco iniziarono ad avere paura, poi alcuni di loro iniziarono a piangere, finché non intervenne Pollicino:
– Fratelli miei, non preoccupatevi, io so come riportarvi tutti a casa, seguitemi! – e con sicurezza iniziò a camminare spedito nel bosco seguendo la traccia dei sassolini lasciati a terra.
Prima che il buio impedisse loro di vedere il sentiero, furono di nuovo a casa.
La madre, non appena li vide, corse ad abbracciarli tutti, piena di gioia. Il padre invece sbuffò e inventò la scusa che si erano persi pure loro nella foresta, e non erano più riusciti a ritrovarli.
Ma dopo aver aspettato che tutti i bambini fossero a letto a dormire, il boscaiolo riprese la moglie e le disse nuovamente:
– Non possiamo assolutamente permetterci di mantenere tutti quei bambini, domani li porteremo in un’altro punto della foresta, più lontano ancora, e li abbandoneremo!
La donna spense tutta la gioia che aveva provato nel riabbracciare i suoi piccoli e, chinando il capo, cercò di nascondere le lacrime che scendevano sul suo viso.
Pollicino, che aveva sospettato una nuova decisione del genere da parte del padre, era rimasto sveglio e si era messo ad origliare dall’altra parte della stanza.
Sentendo quelle parole, decise di ritornare al fiume a riempire il tascapane di sassolini, ma purtroppo trovò la porta di casa sprangata e non poté uscire. L’unica cosa che trovò fu un piccolo pezzo di pane raffermo, con quello poteva fare piccole briciole per segnare il sentiero.
Il mattino seguente, con un’altra scusa i genitori presero i loro figli e li portarono ancora più in fondo nella Foresta Nera, in un punto in cui anche la luce faceva fatica a passare tra le fronde degli alberi. E li abbandonarono di nuovo.
Come il giorno precedente, i bambini in un primo momento rimasero sereni, ma non ci misero molto a comprendere che erano stati di nuovo lasciati soli.
Pollicino, sicuro di sé, li radunò tutti e li tranquillizzò dicendo che li avrebbe ricondotti a casa, e si mise a cercare le bricioline che aveva lasciato sul sentiero.
Ma non riuscì a trovarle perché gli uccellini si erano mangiati tutte le bricioline di pane!
Impauriti e disperati i sette fratelli iniziarono a vagare per la foresta.
Stava arrivando la sera, quando a Pollicino venne un’idea. Si arrampicò fino in cima ad un albero per vedere meglio la direzione da prendere.
Con sorpresa, vide che poco distante c’era una casa con le luci accese e il comignolo fumante.
– Ho trovato una casa fratelli! Andiamo a chiedere ospitalità per la notte! – esclamò Pollicino.
E così si incamminarono.
Giunti alla casa, Pollicino bussò. Poco dopo aprì la porta un’orchessa che guardandoli con meraviglia chiese:
– Cosa ci fate qui bambini?!
– Ci siamo persi nel bosco, abbiamo freddo e fame e non sappiamo dove passare la notte… – rispose Pollicino.
– Ma questa è la casa di un orco ghiotto di bambini, se vi trova vi mangia! – disse preoccupata l’orchessa.
– Moriremo comunque di stenti qui nel bosco se lei non ci aiuta… a questo punto meglio essere mangiati da un orco… – concluse Pollicino.
L’orchessa, impietosita dagli sguardi spauriti dei bambini disse:
– …e va bene, entrate, svelti, vi darò da mangiare e vi nasconderò – e così fece.
Poco dopo l’orco rientrò a casa annusando l’aria con soddisfazione:
– Senti senti che bell’odorino di bambini paffuti e grassottelli che c’è nell’aria… moglie, volevi farmi una sorpresa? – e si precipitò subito ad aprire la porta del ripostiglio dove erano nascosti tutti i fratellini.
L’orchessa tentennante rispose:
– … sì caro mio, ma li mangerai domani, per stasera ti ho già preparato un’abbondante cena…
L’orco sorrise beffardo e si mise a cenare.
L’orchessa prese Pollicino e i suoi fratelli e li accompagnò a dormire.
Nella camera erano presenti due enormi letti, in uno stavano dormendo le sette figlie degli orchi, nell’altro avrebbero dormito i sette fratelli.
Le piccole figlie degli orchi erano amate dal loro padre come fossero principesse, tanto che ognuna di loro aveva in testa una graziosa coroncina intrecciata. Pollicino notò la cosa e la tenne a mente.
Dopo averli messi tutti a letto l’orchessa chiuse la porta della stanza. Pollicino aveva un brutto presentimento e chiese ai suoi fratelli di scambiare i loro berretti con le coroncine delle piccole orchette.
Le preoccupazioni di Pollicino erano ben fondate perchè, quando ormai stavano tutti dormendo, sentì aprirsi piano la porta della stanza. Era l’orco che nel buio era venuto a prenderli!
L’orco ben sapeva che le sue bimbe portavano una coroncina in testa, quindi nel buio si mise a tastare le testoline dei sette fratelli, e sentendo le coroncine si spostò spedito verso l’altro letto, aprì un sacco e credendo di prendere i bambini, vi gettò dentro invece tutte le sue figlie. Poi uscì dalla stanza.
Pollicino svegliò i suoi fratelli.
– Svelti! Svelti! E’ il momento di scappare!
I bimbi fuggirono via dalla finestra, per fortuna c’era la luna piena ad illuminare il sentiero nella foresta.
Non passò molto tempo che l’orco, aprendo il sacco, si accorse di aver preso per sbaglio le sue bambine. Infuriato come non mai si infilò i magici stivali delle sette leghe e partì all’inseguimento di Pollicino e i suoi fratelli.
Gli stivali delle sette leghe consentivano di fare decine di metri per ogni passo fatto, e in breve l’orco si era avvicinato moltissimo a Pollicino e i suoi fratelli senza però raggiungerli.
Purtroppo gli stivali erano tanto portentosi quanto stancanti e l’orco, dopo aver corso per alcuni minuti, si fermò stremato a riposare appoggiato al tronco di un albero, e siccome era notte fonda, si addormentò.
Pollicino, sentendo russare sonoramente l’orco, decise di rubargli gli enormi stivali e indossarli. Siccome erano stivali magici si adattarono subito ai piccoli piedi di Pollicino.
– Fratelli ho avuto un’idea, aspettatemi qui! – disse, e poi si precipitò a casa dell’orchessa.
– Signora orchessa, è successa una disgrazia! – gridò Pollicino – suo marito l’orco è stato rapito dai banditi, e se non avranno tutto il vostro oro, lo uccideranno!
L’orchessa senza farselo ripetere due volte prese tutto quello che aveva in casa e lo consegnò a Pollicino, che corse di nuovo dai suoi fratelli.
– Con tutto quest’oro e con questi stivali non avremo più preoccupazioni fratelli miei! – disse entusiasta Pollicino. Tutti i suoi fratelli gli fecero festa.
Ripresero il cammino verso casa, dove arrivarono alle prime luci dell’alba.
Entrando Pollicino trovò la loro madre che piangeva disperata.
– Mamma, siamo tornati! – esclamò.
La madre si voltò e corse ad abbracciarli tutti quanti, riempiendoli di baci.
Pollicino chiese dov’era il loro padre e la madre raccontò loro che avevano litigato furiosamente a causa del loro abbandono, così lui aveva deciso di andarsene via per sempre, in cerca di fortuna da qualche altra parte.
I bambini mostrarono alla madre tutto l’oro sottratto agli orchi e Pollicino, il giorno stesso, si presentò dal re, ottenendo un incarico come messaggero privato grazie agli stivali delle sette leghe.
La madre era incredula che le loro sorti potessero essere cambiate così tanto in così poco tempo, ma era felice di poter essere riunita ai suoi bambini, e la loro famiglia visse per sempre felice e contenta.
⚜️ Fine della fiaba ⚜️
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