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Categoria: favole scritte da voi

fiabe e favole scritte dagli amici di fabulinis

Il topo giramondo 🌍

A volte per viaggiare il mondo basta aprire un libro!

Il topolino Sam è un tipo curioso, molto curioso, e la sua amica Anna lo aiuterà insegnandogli un sacco di cose!

Il topo giramondo 🌍


Sam era un topolino di campagna, ma non uno qualunque, sapeva leggere e scrivere la lingua degli umani!
Ebbene sì, il topino era cresciuto insieme ad Anna, la figlia del contadino, una graziosa e vivace bambina di otto anni.

Anna conobbe Sam, quando dalla città’ si trasferirono in campagna, per aprire l’azienda agricola tanto sognata dal suo papà, Paolo. Sam si trovò subito a suo agio nella cameretta di Anna, ricca di scatole e scatoline di ogni genere. Potete immaginare che spasso per un topino giocare con tutti quei nascondigli!

Anna amava leggere libri di avventura e Sam
si incantava ascoltando quelle fantastiche storie.
Un giorno, Anna e Sam erano seduti in giardino alle prese con una nuova lettura avvincente, quando alla bimba venne in mente una bizzarra idea : “e se ti insegnassi a leggere e scrivere la mia lingua?” disse al topolino. Sam squittì e con un cenno del capo accettò la fantastica idea.

Anna nella notte prese una scatola e al suo interno costruì una mini scuola, con mini lavagna, mini banco e mini abbecedario, tutto a misura di Sam.
Al mattino il topino uscendo dal suo buchetto non poté credere ai suoi occhi, era entusiasmante sapere che Anna avesse fatto tutto quel lavoro per lui.

Con un gigantesco : ”squiittttt!!!” ringraziò Anna e lei ne fu molto felice. Iniziò così da quel giorno la loro avventura!
Anna cercava di far ripetere lettere e parole al topino che, a fatica, cercava di fare del suo meglio, pian piano con tanta pazienza riuscirono ad imparare l’intero alfabeto e il topolino passava la giornata a ripeterlo continuamente.

Nei giorni successivi, Anna insegnò a Sam moltissime parole come ad esempio abaco e lui scandendo bene tutte le lettere ripeteva: ”aaa-bbb-aaa-ccc-ooo” per essere sicuro di pronunciarle tutte. Non molto tempo dopo sapeva leggere delle piccole frasi e intrattenere brevi discorsi con la sua maestrina.

Sam era un topolino curiosissimo ed ogni passeggiata con Anna era accompagnata da:
“Anna, cos’è quello? – cos’è questo? – perché è così ?”
Lei rispondeva paziente e divertita da come Sam ripeteva le parole, la maggior parte delle volte storpiandole proprio come fanno i bambini piccoli. Anna pensò : ”chissà mamma e papà quanto si saranno divertiti a sentirmi pronunciare le parole storpiandole!”

Passò diverso tempo e ormai Sam e Anna intrattenevano discorsi, conversazioni e perché no anche discussioni su tutto quello che leggevano.
Sam adorava i libri di storia e di mitologia e amava far finta di essere lui il protagonista delle storie più avvincenti.
Anna crescendo si era appassionata ai romanzi e alle avventure fantastiche.

Nella stanza di Anna era appeso un planisfero dove Sam aveva messo una bandierina su ogni luogo da lui letto, nella speranza un giorno di poterlo visitare.
Un giorno decise che fosse giunto il momento di girare quel fantastico mondo di cui aveva tanto sognato.

Come fare per esplorare il mondo? si chiese il topolino. L’unico modo era chiedere l’aiuto della sua amica.
“Anna, vorrei girare il mondo e scoprire tutto quello che ancora non so”, Anna stupita ma non troppo rispose ”bene piccolo Sam, girare il mondo è anche il mio sogno, ma prima di visitare un posto così grande dovremmo studiarlo e conoscerlo, per poi assaporarne tutta la sua bellezza!” Per intraprendere questo “fantaviaggio” bisognava iniziare dal luogo che tutto sa… la biblioteca!

Scelsero la loro prima tappa, ed essendo italiani fu proprio l’Italia il paese da scoprire per primo!
I due non si limitarono solo a leggere il libro, si misero a fabbricare plastici delle città più importanti, cucirono i vestiti tradizionali dei luoghi e cucinarono piatti tipici di ogni paese da loro studiato.

Così facendo, “viaggiarono” in lungo e in largo sperimentando culture, tradizioni e tutto quello che poteva esserci scritto all’interno dei libri, vivendo con la fantasia e la creatività l’emozione di viaggiare con la mente.

Che splendida avventura la lettura!!!

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto, che fa parte di una raccolta con tante altre avventure del topolino Sam, le trovate qui sotto:

Fata Ortolina 🧚‍♀️

Una bella fiaba per aiutare i bimbi a mangiare le verdure

Chissà come mai i bambini non vogliono mangiare le verdure, eppure sono così colorate e si possono fare dei piatti deliziosi!
Meno male che ci pensa Fata Ortolina a fargli cambiare idea.

Fata Ortolina 🧚‍♀️


Una fatina bionda e piccina si aggira tra i pranzetti dei bambini.

Indossa un grembiule a quadretti rossi e vola da un piatto all’altro per controllare lo stato della verdura: deve essere fresca come appena raccolta, profumata e colorata, ma quanta fatica farla mangiare ai bimbi!

Si lamentano di continuo per assaggiarne un bocconcino, sbuffano, non hanno più fame, non la vogliono!

Fata Ortolina è arrivata da un pianeta lontano, chiamato Ortus, ed è qui sulla Terra per aiutare mamme, papà, nonne, cuoche, a preparare e cucinare nel miglior modo gli ortaggi, oltre dispensare consigli utilissimi.

“Così va bene! Taglia a fettine quei pomodorini rossi e aggiungici sopra del formaggio grattugiato. Vedrai che Laura li mangerà!” – dice la fatina rivolgendosi ad una mamma.

Ecco nel piatto di Giorgia il trenino di piselli verdi fare da contorno a succulente polpettine di carne.
Andrea guarda con timore il pasticcio di melanzane al forno.

“Prova ad assaggiarlo. Con la pasta sfoglia e la mozzarella, sentirai che gusto prelibato ” – sorride la fata.

Nel mentre un’emergenza: Luca fa i capricci e si nasconde sotto la tavola, mentre la mamma urla perché il suo bimbo rifiuta di mangiare almeno un pezzettino di torta alle carote, preparata da lei con tanto amore. Arriva puntuale fata Ortolina, con il suo grembiulino a quadretti, cercando di salvare la situazione.

“Ciao Luca! Sono la fatina delle verdure. Non essere arrabbiato, prova ad assaggiare un pochino di torta… anzi, lo faccio prima io! Mmmhhh, squisita!!! E poi le carote fanno così bene, così dolci, colorate, deliziose!”

Luca guarda perplesso la fatina, così piccina e sospesa a mezz’aria, che batte le alette.

“Va bene, mi hai convinto. Adesso ne prendo un pezzettino “- esclama il fanciullo sedendosi a tavola.

Anche questa volta fata Ortolina è riuscita nella difficile missione “S.O.S. bimbo mangia verdura”.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di educazione e rispetto per la natura da coltivare fin dalla tenera età.

www.ritabimbatti.it


Le avventure di fungo Cinello 🍄

Meno male che ad aiutare gli adulti a tenere il mondo pulito ci pensano i bambini…

Il funghetto Cinello e i suoi amici vivono dentro un bel parco, ma a fine giornata lo ritrovano sempre tutto sporco… ma con l’aiuto dei bambini riusciranno a trovare una bella soluzione!

Le avventure di fungo Cinello 🍄


Cinello è un piccolo funghetto prataiolo che vive insieme alla sua famiglia in un enorme giardino. Ogni giorno si diverte a rincorrere i piccoli scoiattoli fulvi che saltano da un ramo all’altro di grandi alberi verdi. Quando piove si ripara sotto il suo cappellino bianco, aspettando che esca il sole per scaldarsi tra l’erba.

Tra qualche giorno, il giardino verrà aperto anche alle tante persone che vogliono rilassarsi e godere del meraviglioso paesaggio. Cinello è felice, finalmente potrà conoscere da vicino qualche bimbo e giocarci insieme. Nel frattempo, fa un girotondo con le margherite e le violette.

«Che bello, amiche! Tra non molto arriverà tanta gente a farci compagnia!» esclama Cinello.
«Già, ma io non sono tranquilla, chissà come si comporteranno. La mamma mi ha raccontato certe storie tristi sul loro conto» dice una margherita.

«Anch’io sono tanto curiosa, vedremo!» urla una violetta.

Finalmente il grande momento: il bel giardino viene ufficialmente inaugurato e per l’occasione ci sarà una festa con bancarelle e tanti chioschi dove le persone potranno mangiare e dissetarsi. La giornata promette bene, il cielo è limpido e il sole splende.

«Ciao ragazzi, io sono Cinello!» dice il funghetto al passaggio di un’allegra famigliola con panini e bibite in mano, ma distratti dai colori di una bancarella di stoffe, per poco non calpestano il malcapitato.

«Salve, come va?» riprova Cinello rivolgendosi ad una signora dai capelli raccolti, intenta a divorare la sua ciambella con la crema. Per poco il fungo non rimane soffocato dal sacchettino della merendina che la donna ha gettato indisturbata a terra.

Alla fine della festa, al calar della sera, il parco viene chiuso.

Cinello e i suoi amici si guardano intorno: erba calpestata, fiori strappati dal suolo, rifiuti di ogni tipo sparsi ovunque, un vero disastro!

«Non posso crederci, in un solo pomeriggio hanno distrutto il nostro giardino!» si lamenta un piccolo stelo.

«Guardate che paesaggio, quanta immondizia abbandonata a terra e non dentro i cestini!» mormora una farfalla colorata.

«Ragazzi, non possiamo lasciare il parco in queste condizioni! Domani dobbiamo sistemare!» dice il piccolo fungo rivolgendosi ai compagni.

Il mattino seguente, Cinello, la sua famigliola, le margherite, le violette, gli amici scoiattoli, sono già al lavoro. Cominciano a sollevare le cartacce gettate a terra dai visitatori per riporle nei cestini. Arriva in aiuto anche qualche uccellino e gli insetti del giardino.

Nel mentre, passa un gruppo di alunni accompagnati dalle loro maestre. Un piccolo nota la scena, indicando il funghetto e i suoi compagni al lavoro.

«Guardate là!» urla.

Dopo un primo momento di stupore, tutti comprendono ciò che è successo nel giardino.

«Non possiamo lasciarli soli, anche noi dobbiamo contribuire alla salvaguardia dell’ambiente» dice un bambino con in testa un ciuffetto sbarazzino.

«Dobbiamo imparare a rispettare la natura!» esclama convinta una bimbetta con gli occhi azzurri.

In un attimo, le maestre e i bimbi sono all’interno del parco, ed insieme a Cinello, iniziano a ripulire il prato dalle tante cartacce. Vengono poi sistemati un paio di cartelli sui quali i piccoli hanno scritto: “SI PREGA DI TENERE PULITO E RISPETTARE L’ AMBIENTE”.

«Grazie amici, siete stati fantastici» esclama il funghetto.

Ora il giardino è finalmente in ordine. Cinello sorride, è felice.

Ah! Per fortuna gli adulti possono contare sull’aiuto dei bambini.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di educazione e rispetto per la natura da coltivare fin dalla tenera età.

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Maurino e il suo treno 🚂

Un racconto che parla della voglia di viaggiare verso posti lontani…

Maurino è un bambino incuriosito dai treni, li ammira alla stazione, e un giorno sa già che ne prenderà uno e andrà lontano, molto lontano.

Maurino e il suo treno 🚂


C’era una volta… Una storia che si rispetti deve sempre cominciare così: anche questa che sto per raccontare. E’ la storia di Maurino e della sua passione per i treni. I suoi treni, però, non erano dei modellini, bensì dei treni veri, compresi quelli a vapore.

C’era una volta – come dicevo – un bambino di nome Maurino. Egli abitava in una città ligure di mare, dove c’era la stazione ferroviaria. La sua vita trascorreva circondata dal mondo dei treni. Per cominciare, la prima casa in cui abitò, era un alloggio nelle “Case dei ferrovieri”. Queste case erano tre grandi palazzi, costruiti appositamente per i lavoratori delle ferrovie, ma dove abitavano – come il papà di Maurino – anche altri lavoratori. Bisogna aggiungere che Maurino aveva anche due zii, che lavoravano come ferrovieri nella stazione della stessa città. Gli zii erano degli esperti meccanici e Maurino, quando li incontrava, ascoltava i loro racconti sulle riparazioni che essi facevano ai treni, curioso e attento, come oggi lo è un bambino che si interessa a quello che accade all’automobile del suo papà.

La seconda casa dove abitò dall’età di otto anni, era quella dei nonni paterni. Nella loro casa, non solo era nato, ma era quella dove spesso era ospite. Lui voleva proprio bene ai quei due nonni. Non soltanto essi esaudivano molti dei suoi desideri, ai quali, invece, mamma e papà dicevano ‘no’, bensì con loro poteva trascorrere ore e ore ad osservare i treni che si muovevano nella sottostante ferrovia. Sì, l’appartamento dei nonni era al quarto piano e le finestre delle camere davano su un terrazzo grande il quale si affacciava proprio sui binari. Questi binari, da lì ad un chilometro avrebbero portato alla stazione della città.

Per Maurino era un gran divertimento star lì a guardare non solo i treni in arrivo da Torino e Genova, ma anche quelli che i ferrovieri addetti alle manovre, erano impegnati a comporre sui diversi binari morti. Questi ferrovieri, tra i loro compiti, avevano quello di agganciare alla locomotiva i differenti vagoni, sia quelli passeggeri sia quelli merci. Oppure, ovviamente, quello di sganciarli. I nonni di Maurino gli avevano spiegato che alcuni vagoni – quelli scoperti – erano destinati alle merci alla rinfusa (carbone o minerali); altri ancora, chiusi, avrebbero, ad esempio, contenuto sacchi di granaglie o rotoloni di carta o altri materiali, i quali dovevano essere protetti dalla pioggia; altri, infine, che erano vagoni-cisterna, servivano per il trasporto specialmente di prodotti chimici.

Come urlavano quei ferrovieri! Li udiva persino Maurino, che era distante una cinquantina di metri: “Dai, sgancia questo vagone” oppure “Piano con quella motrice”. Ma quello che colpiva di più Maurino, che era un bambino beneducato, erano le parolacce. Io non so se è mai capitato anche a voi, bambini, ma Maurino era molto imbarazzato: si rendeva conto che non avrebbe dovuto ascoltare quelle parole “sporche”, come pretendevano i suoi genitori; tuttavia, non poteva resistere alla tentazione di farsi – diciamo così – un’istruzione linguistica.

Piano piano, col passare degli anni, la sua curiosità per l’aspetto tecnico dei treni cominciò a diminuire. In Maurino comparve un nuovo modo di considerarli. Prima, quando era più piccolo, li guardava dal punto di vista di come erano fatti e di come funzionavano; ora, invece, che aveva otto anni, pensava ai treni soprattutto, come mezzo di trasporto di passeggeri; rifletteva, cioè, sul fatto che i treni trasferivano le persone da un luogo ad un altro.

Nacque, allora, in lui una nuova curiosità: dove andavano i treni che scavalcavano o attraversavano, in galleria, quelle montagne, che Maurino vedeva dal terrazzo dei nonni? Farsi una simile domanda era forse normale per un bambino come lui, che era abituato a stare per ore sulla spiaggia a guardare l’orizzonte del mare. Gli era stato detto dai suoi nonni, i quali avevano viaggiato sulle navi per lavoro, che al di là di quell’orizzonte c’erano altre terre, dove abitavano altri uomini, persino con la pelle di un colore diverso. Questi uomini, le loro mogli e i loro bambini parlavano anche una lingua differente dalla sua, che lui non avrebbe potuto capire se non studiando e viaggiando.

Quante volte si era domandato, allora, chi fossero questi uomini e come suonassero le lingue che parlavano! Adesso, quando era sul terrazzo e osservava le montagne, si chiedeva sempre se, al di là di esse ci fossero altre città come la sua. Si domandava anche che lingua parlassero i bambini che le abitavano. Non gli bastava che la nonna gli rispondesse: “Al di là delle nostre montagne, che si chiamano Appennini, c’è il Piemonte, dove le persone parlano il piemontese, una lingua un po’ diversa dalla nostra, ma che noi possiamo capire. In Piemonte – aggiungeva la nonna – ci sono altre montagne, le Alpi, che sono molto più alte di quelle che ci stanno di fronte. In Piemonte poi ci sono città molto più grandi della nostra, come quella di Torino”.

I nonni, la conoscevano questa città, perché vi erano andati molti anni prima, col treno, in viaggio di nozze. Maurino ora si spiegava la presenza di quel quadretto, sopra il comodino della nonna, nel quale era incorniciata una fotografia della basilica di Superga, una bellissima chiesa che era stata costruita sulla cima di una montagna! Allora si formò nella mente di Maurino un pensiero. Più che un pensiero, era un proposito. Se i suoi nonni, che egli amava tantissimo e dai quali tantissimo era amato, quando si erano sposati erano andati a Torino, anche lui, da grande, sarebbe andato a Torino con la donna che avrebbe sposata.

Come credete, che sia andata a finire per Maurino? Tanto per cominciare egli, un giorno, molti anni fa, quando era ormai un giovanotto, prese finalmente quel treno – simile ad uno di quelli aveva visto passare tante volte – diretto a Torino, dove andò a completare i suoi studi. Al termine di questi, si fermò in quella città, dove trovò un lavoro. La cosa più straordinaria, però, fu che, un bellissimo giorno, si innamorò di una ragazza che, un anno più tardi, egli sposò. Riuscite ad indovinare dove la portò, subito dopo che si erano sposati? Non ve lo dico, tanto lo avete già capito!

Un’ultima cosa da suggerire ad ogni giovane lettore: “Prendi sempre il tuo treno! Non dimenticare, però, che la tua fantasia arriverà sempre più lontana di esso e correrà sempre più veloce”.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Mauro Alfonso, nonno ed ex insegnante, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto dedicato alla voglia di scoprire il mondo!

La mensola vuota 🤖

Come mai la mensola dei giocattoli è vuota!?

Marco appena vede la mensola dei suoi giocattoli improvvisamente vuota, si preoccupa, ma poi capisce che, con i suoi giocattoli, può far felice chi è meno fortunato di lui.

Questa deliziosa fiaba ce l’ha inviata la piccola Miriam di 6 anni, che l’ha scritta ispirandosi a come Silvia racconta le storie nei suoi video ❤️

La mensola vuota


Cosa fa Marco Appena vede la mensola vuota?

Vediamo cosa succede in questa storia.
Ciao sono Miriam e oggi vi racconto questa storia la mensola vuota.

Marco era un bambino che aveva sempre la mensola piena di giocattoli. Un giorno mentre andava a scuola e studiava e studiava e studiava appena entrato nella sua stanza ha visto la mensola vuota e disse:
– Vediamo cosa dice mia mamma, perché c’è questa mensola vuota?

la mamma disse:
– Perché tu hai troppi giocattoli così li ho messi tutti uno scatolone e li do’ ai poveri.

Marco si decise che i giocattoli non li voleva mettere tutti là dentro in quello scatolone, soprattutto quelli preferiti. No no e no non voleva assolutamente.

Così la mamma disse:
– I giocattoli che non ti piacciono più come quelli per neonati li dai ai poveri.
Così Marco ha deciso di darli ai poveri.

– Questo per te amico povero, e questo amico per te.
Così ha fatto Marco fino a quando ha avuto una moglie e la moglie ha avuto il figlio.

Vi è piaciuta questa fiaba? Allora iscrivetevi al sito di Silvia e William ciaoooo

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia la piccola Miriam per aver condiviso con tutti noi questa fiaba, semplice ma molto profonda nel significato.

La grande diga 🌊

Il pianeta è ammalato, gli animali del mondo riusciranno a salvarlo?

In questa fiaba breve a sfondo ecologico, tutti gli animali riuniti prendono in mano le sorti del nostro pianeta, e decidono di trovare una “cura” ai danni prodotti dalla troppa plastica che ormai rischia di avvelenare tutti noi.

La grande diga 🌊 storia completa


Un giorno i rappresentanti di tutti gli animali del mondo decisero di riunirsi in una assemblea generale: il pianeta si era ammalato, e la malattia si chiamava “plastica”.
Naturalmente la causa della tragedia era la cattiva condotta dell’uomo, storicamente poco attento al rispetto della natura.
A sollevare la questione erano stati i pesci, poi gli uccelli marini, poi gli orsi polari, le foche, e in poco tempo tutte le specie capirono che dovevano lottare insieme per la sopravvivenza.

Un capodoglio che aveva ingerito grosse quantità di plastica, prima di morire, arenato in spiaggia, aveva sussurrato ad un gabbiano: “salvate il mondo”.
L’uccello, con il cuore spezzato, volò per giorni per diffondere il messaggio del povero cetaceo.
Tutti gli animali capirono che era tempo di unire le forze, e dai poli all’equatore ci fu un movimento epocale, alla ricerca di una misura straordinaria.

La plastica era ovunque, in frammenti, in agglomerati, in grosse isole galleggianti, e avanzava, minacciosa, letale.
Molte creature trovarono la morte in mezzo alla plastica: alcune mentre la combattevano, altre, ignare, mangiandola, altre ancora intrappolate nei sacchetti: era la fine.
Ci fu un grande scompiglio tra gli animali più astuti e intelligenti: i delfini cercarono di insegnare alle altre creature acquatiche a riconoscere il pericolo, gli albatros organizzarono squadre di soccorso e sulla terra, i lupi e le volpi, ormai alleati, pianificarono strategie difensive.

Ma non era sufficiente allearsi e combattere: bisognava estirpare il male.
Tutti i rappresentanti, durante l’assemblea generale, avevano proposto una soluzione.
Gli animali di grossa taglia avevano pensato di trasportare la plastica in un’isola deserta, ma anche quella era una soluzione temporanea, perché le maree avrebbero sparpagliato di nuovo l’immondizia in ogni luogo.
I pesci, rischiando la vita, volevano seppellire la plastica negli abissi, ma anche dal fondo sarebbe emersa, tornado a galla minacciosa.

Gli uccelli volevano impiegare la plastica per fare un enorme nido, ma il pericolo era evidente: i piccoli, una volta schiuse le uova, avrebbero mangiato i frammenti, e avrebbero fatto la stessa fine delle altre vittime.
Le povere tartarughe, con il guscio deformato dalle trappole di plastica, avevano proposto di formare una barriera tra la spiaggia e il mare, ma le onde, con il tempo, avrebbero distrutto tutto.
Le scimmie, ormai esperte nel riutilizzo dei rifiuti, avevano proposto di costruire delle città in plastica, ma anche in quel caso, molti animali potevano rimanere soffocati o intrappolati nelle strutture: del resto gli animali non sono esperti in opere ingegneristiche.

In realtà, come osservò un orso bruno attempato, un animale esperto in ingegneria poteva essere coinvolto: il castoro.
I castori non sono animali famosi per la loro astuzia, per cui non si erano pronunciati durante l’assemblea.
Timidi, simpatici e impacciati, i castori avevano già combattuto una guerra infinita contro il bracconaggio: infatti la loro pelliccia è molto pregiata.

Tuttavia i castori non si erano mai lasciati abbattere, e continuavano senza sosta a costruire dighe principalmente per due motivi: per proteggere le loro tane costruite sull’acqua e per difendersi dai predatori, grazie ai fossati che si formano dalla stagnazione dell’acqua intorno alle strutture.
Gli animali presenti in assemblea proposero di costruire le dighe in plastica non solo per formare una protezione efficiente per le tane che ospitano i castori, ma anche per impiegare tutto quel materiale sparso in ogni angolo della terra.

Il più anziano dei castori, convocato urgentemente in assemblea, abbozzò un progetto: formare una specie di stagno grazie a bottiglie e sacchetti di plastica, poi costruire una rete di canali molto fitta per conservare il cibo da consumare nel periodo invernale e infine articolare le vie di fuga e le varie tane.
Per realizzare un progetto così laborioso i castori avrebbero dovuto contare su tutti gli animali: gli elefanti per trasportare tutto il materiale, i pellicani e i cormorani per raccogliere i sacchetti, tutti i roditori per modellare la plastica cercando di non ingerirla, e tanti altri esemplari per coordinare i lavori in tutto il pianeta.

L’assemblea durò per giorni, fino a quando il re, il leone, che fino a quel momento era stato in silenzio, seduto sul trono, malinconico per quanto stava accadendo al regno animale, posò la sua corona e indossò un elmetto da operaio.
Ci fu un grande stupore per quell’insolito gesto, ma poi il leone sorrise, e con il cuore pieno di fiducia pose la sua grossa zampa sulla spalla del vecchio castoro e disse: “che tutti gli animali possano salvare il mondo, e che la diga sia l’opera più importante della storia”.

Passarono di lì alcuni uomini, minacciosi, con un fucile in mano: avevano visto tutti quegli animali e volevano portare a casa dei trofei.
Uno di loro, però, fece un passo indietro vedendo un leone con l’elmetto da operaio in compagnia di un vecchio castoro, e cercò di capire.

Per un uomo non è facile cogliere tanto amore in un solo gesto, riconoscere l’umiltà di un re che ripone la sua fiducia in un goffo roditore con la coda larga e piatta, notare che gli attriti tra creature diverse possono essere messe da parte per qualcosa di tanto importante come la sopravvivenza.

I suoi compagni alzarono il fucile, e allora il leone si mise davanti al castoro, per fare scudo con il suo corpo.
Solo allora gli uomini si fermarono, pronti ad ammirare tanto coraggio.
Faceva caldo, tanto caldo.
Prima di andare via, tirarono fuori dell’acqua dagli zaini, e una volta dissetati, consegnarono le bottiglie di plastica ai castori.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Rossana Costantino per aver condiviso con tutti noi questa bella fiaba a sfondo ecologico.

Il bambino che parlava con la Luna 🌙

Non si è mai veramente soli, basta alzare lo sguardo e usare la fantasia

Questo racconto notturno perfetto come fiaba della buonanotte, parla di un bimbo che guarda la luna fuori dalla finestra e inizia ad osservarla e parlare insieme a lei raccontandole una favola.

fabulinis ringrazia Armando e Paola (la maestra Paola) Goldin per aver condiviso con noi questo racconto, che speriamo vi piaccia tanto quanto è piaciuto a noi!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba del bambino che parlava con la luna:

Il bambino che parlava con la Luna 🌙 storia completa


In una città qualunque, in un palazzo qualunque, viveva un bambino che si sentiva solo perché non aveva fratelli e nel suo palazzo non vi erano bambini che lui conoscesse con cui giocare.
Così, una sera in cui si sentiva più solo del solito si mise a guardare fuori dalla finestra della sua camera e tutto ad un tratto fu attratto da una luce: quella della luna! Una falce di luna!

Incuriosito cominciò a fissarla e la luna gli tenne compagnia con la sua aura argentata.
Ad un certo punto un bruco fece capolino sulla luna e, strisciando, si acciambellò su se stesso formando un occhio (sembrava che la luna avesse un occhio solo) e tutto ciò fece sorridere il bambino.

Il giorno dopo e nei giorni successivi il bambino si mise sempre a guardare la luna dalla finestra e, a mano a mano che lei cresceva, sembrava quasi che venisse fuori un viso perché, ad un certo punto, invece che un bruco, se ne presentarono due che appallottolati diventarono due occhi e, poco dopo arrivò un terzo bruco che si mise per lungo formando una specie di sorriso nella luna e questo confortava il bambino che iniziava a sentirsi meno solo e, per ringraziare la grande luna, una sera decise di raccontarle una storia.

“Questa è la storia del treno dei desideri” iniziò il piccolo. “È un treno che fa un lungo viaggio e ogni paese che lui attraversa ha un nome speciale: felicita’, amicizia, amore, rispetto, condivisione, gioia…
Ad ogni stazione si può esaudire un desiderio.
Il capotreno quando il treno si ferma, consegna ai viaggiatori una busta contenente un desiderio, così, alla fine del viaggio, anziché essere triste sei felice perché ricco di desideri esauditi!”
“Sarebbe bello” disse il bambino sospirando “ che esistesse davvero un treno del genere”.

La luna , a quel punto, chiese al bambino quale fosse il suo più grande desiderio “Non essere mai più solo” rispose il piccolo e lei lo invitò a guardarsi intorno e… lui vide le luci delle camere da letto degli altri palazzi tutte accese e tanti bambini e bambine che lo salutavano .

Anche la luna ringraziò il bambino: “mi sentivo tanto sola anche io, non avevo le stelle vicino ed ero sempre triste; poi sei arrivato tu e mi hai fatto tornare il sorriso!”
Infatti i tre bruchi altro non erano che il risultato della fantasia del bambino! Lui aveva desiderato di poter parlare con la luna e il capotreno lo aveva sentito provvedendo ad esaurire i suoi desideri

La sera dopo la luna sorrideva:anche lei era felice perché il cielo era pieno di stelle e da allora non si sentì mai più sola e il bambino trovò tantissimi amici lungo il suo cammino e, diventato grande, diventò il capotreno più gentile al mondo.

⚜ Fine della fiaba ⚜
Ringraziamo Armando e Paola (la maestra Paola) Goldin per aver condiviso con noi questa tenera fiaba.


L’Uovo di gallina di Pasqua 🐔

A volte nelle uova di Pasqua c’è una sorpresa inaspettata!

Bastano dei piccoli e semplici gesti di condivisione per far felici i bambini, magari solo un po’ più sfortunati degli altri.

L’Uovo di gallina di Pasqua 🐔

C’era un uovo che era stato lasciato dalla gallina in una zona appartata del fienile. Lo aveva lasciato lì di proposito perché era straordinariamente grande, diverso dagli altri.
E sapeva che, come tutte le cose diverse doveva essere isolato, non far parte del gruppo.

Questo è quello che pensava la gallina. Non era poi successo così anche alla sua amica anatra? Non aveva uno degli anatroccoli, il più brutto, che aveva lasciato di proposito mamma e fratelli perchè lo insultavano sempre? Era troppo grosso e diverso. Proprio come il suo uovo!

E l’odiosa e dispettosa gatta, non aveva messo da parte un piccolo gattino perchè il suo istinto lo credeva malato?
E la coniglietta, che dopo aver partorito è stata con loro solo due minuti per allattarli. Eh sì, lei dice che lo ha fatto per proteggere i piccoli, così la tana resta segreta.  Ma a chi la vuole dare a bere?
E l’odiosa aquila, che ogni tanto arriva dalle montagne sorvolando sopra le loro teste facendole scappare tutte. A volte però riusciva ad afferrare al volo qualche animale e lo portava via con gli artigli: si dice che lasci che i figli si azzuffino tra di loro senza intervenire. Poverini!

Insomma, avrebbe potuto raccontarne tante altre di storie che aveva visto in prima persona in cascina, quindi anche lei doveva fare qualcosa.
E lo fece, aveva contribuito mettendo da parte il suo uovo diverso. Ma era in fin dei conti una buona mamma, quindi lo depose nella paglia, al morbido, in una zona più fresca, in alto, in modo che altri animali non se ne cibassero.
Di più non poteva fare, affidava tutto al destino. Il suo compito era finito.

Sta di fatto che quel giorno fosse Pasqua e, nel pomeriggio, tutti i bimbi del vicinato chiesero al padrone della cascina se potevano fare una festa nel fienile, portando tutte le uova ricevute in dono e giocando con le varie sorprese contenute. L’uomo acconsentì, ben sapendo che gli avrebbero lasciato tutte le carte e la paglia sparpagliata qua e là. Figuriamoci se non avessero giocato a buttarsela addosso. Ma In fin dei conti era Pasqua!

Al pomeriggio ecco che un frotta di bimbi arrivarono, chi con uno chi con due o più uova. Sarebbe stata una grande festa!
Il figlio del contadino non potette partecipare perché era povero, non aveva ricevuto nemmeno un uovo. Che figura avrebbe fatto ad entrare? Da mendicante, e lui non voleva questo. Stette in disparte a sbirciare e vide tirar fuori dalle uova tanti giochi. Ma lui avrebbe preferito prima mangiarsi un uovo di cioccolata intero, poi i giochi.

I ragazzi, una volta finito con le uova fecero quello che il padrone aveva pensato: giocare con la paglia. Ma mentre fecero questo chi trovarono? Il nostro grande uovo di gallina! Meravigliati dalla grossezza lo esaminarono tutti e a uno di loro, il più giudizioso, venne in mente che il figlio del contadino non era con loro, e sapevano che era molto orgoglioso per accettare di condividere con lui le uova di cioccolato ma…

In cerchio, perché lui non vedesse (lo avevano intravisto che sbirciava), presero dolcemente l’uovo di gallina, lo pulirono bene, e, con i pezzetti di cioccolato avanzati fecero un mosaico attorno al guscio: diventò così un bellissimo uovo di cioccolato variopinto. Cioccolato nero fondente, al latte, bianco, alla nocciola. Lo avvolsero nella carta più bella che avevano e lo chiamarono. Entrato gli diedero il suo uovo, visto che la gallina era sua. Non poteva così rifiutarlo!

Lo apri delicatamente, e, meraviglia, anche lui aveva il suo Uovo di Pasqua, molto particolare e dentro c’era un pulcino.
Che bellissimo regalo. Ma la sorpresa maggiore fu capire che aveva tanti amici e non lo immaginava.

Adesso anche lui e il suo pulcino potevano unirsi con loro a giocare.
Che bella Pasqua!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Copyright del Testo © Lulù Barabino

Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

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Il funghetto vanitoso 🍄

Essere troppo vanitosi può portare molto presto alla solitudine, così Funghetto ha deciso di cambiare…

C’è un bosco incantato dove vive un Funghetto molto vanitoso, ma nessuno dei suoi amici ormai lo sopporta più… per fortuna Funghetto si accorge che la sua vanità non lo rende migliore, anzi…

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba del funghetto vanitoso:

Il Funghetto vanitoso 🍄 storia completa


C’era laggiù, lontano nel bosco di Biù un Funghetto piccino e grazioso, col gambo bianco, il cappello marrone un po’ spiovente e la punta più chiara come se fosse stato intinto nel latte.
Funghetto però non era molto contento, poiché era talmente piccino da non essere mai notato dalle Fatine della Rugiada.

Anche lui avrebbe voluto avere il cappello adornato di perline luccicanti, come gli altri suoi compagni, loro erano più alti o avevano cappelli più grandi e colorati, e le fatine accorrevano leste leste a fare le loro meraviglie.

Un giorno Funghetto brontolò cosi tanto ma cosi tanto che la regina delle fate andò da lui e gli chiese cosa c’era che lo rendeva cosi scontento.
Funghetto le raccontò tutto, alla fine la regina tacque e rimase in silenzio.
Poi chiese a Funghetto se sarebbe stato disposto a cambiare per riuscire ad essere notato dalle Fatine della rugiada, subito questo rispose che si, era prontissimo!

E balibbalò, tira un po’ qui, alza un po’ lì, in una nuvola di brillante polvere magica il piccolo funghetto era divenuto un bel fungo alto, dal cappello rosso sgargiante, puntinato di macchioline bianche, lucido come le mele al sole!
Funghetto era talmente contento che non vedeva l’ora fosse il mattino seguente per avere le sue goccioline di rugiada.

Al sorgere del sole infatti, quando le fatine giunsero videro subito quel magnifico fungo rosso e accorsero, adornandolo con una miriade di piccole gocce risplendenti, dorate alla luce dell’aurora.

Funghetto si vedeva talmente bello che si pavoneggiava con tutti, mostrando a chiunque passasse di lì quanto fosse brillante il Suo colore, quanto fosse candido il gambo, oppure quanto perfette e lisce le lamelle sotto al cappello.
S’era gonfiato talmente tanto che… si era gonfiato veramente!

Era diventato Cicciotto e ingombrante.
Insomma tutti quelli che passavano di lì non ne poterono più, così cominciarono a cambiare strada: le sue amiche formichine che tutti i giorni in fila indiana gli passavano accanto si spostarono, anche le coccinelle, che si posavano sugli steli d’erba vicino per scambiare due chiacchiere non tornarono più, e cosi tutti gli altri.

Funghetto era rimasto solo.
Nessuno parlava più con lui perché aveva dimenticato quando un tempo chiacchierava con loro solo per il piacere di farlo, scambiandosi gentilezze e chiedendo anche solo semplicemente come andava la giornata.

Funghetto si disse che la sua vita di prima, in fondo in fondo non era poi così male, aveva avuto così tanti amici… che ora senza di loro si sentiva terribilmente solo.

Ma si vergognava a chiamare la regina e chiederle aiuto una seconda volta, quindi stette zitto in silenzio, cercando di farsi più piccolo e invisibile possibile, anche se sapeva che c’era ben poco da fare: ormai era talmente paffuto e gonfio che era impossibile non notarlo.
– Ah! Quanto mi manca essere un piccolo funghetto, dal cappelluccio spiovente e dalla punta color latte… – pensò.

Un giorno passò di li un’ape e si soffermò accanto a Funghetto per pulirsi le antenne.
Funghetto avrebbe voluto fare quattro chiacchiere ma non ne aveva più il coraggio, sicché l’ape visto che non parlava gli chiese perché fosse così silenzioso:
– Sei forse timido?

L’altro non rispose, ma quella era un’ape curiosa come se ne vedono in giro di solito e quindi non si arrese: come poteva lui, un bel fungo rigoglioso essere tanto modesto.

– Sei forse troppo bello per rispondere?
Alla fine Funghetto capitolò e spiegò a gran singhiozzi il perché fosse così taciturno … e non certo perché era troppo bello!
E ad ogni singhiozzo si faceva sempre più grassoccio, sempre giù tondo…
– Hic! Hic!

A quelle parole, vedendo il funghetto singhiozzare e rattristarsi come non mai, l’ape venne circondata da una nuvola di mille colori.
Quando la nube si dissipò ecco che al posto dell’ape c’era la bellissima Regina delle fate.

Funghetto rimase sbalordito, non si era proprio reso conto che era sempre stata lei fin dall‘inizio.
Si fece coraggio e con la sua vocina chiese scusa alla regina; le disse che non pensava gli sarebbe mancato così tanto essere quel piccolo funghetto marrone dal gambo bianco, e che forse, la rugiada come ornamento era davvero cosa di poco conio.

La regina rispose che lo aveva accontentato solo per mostrargli quanto fosse preso dal rendersi bello davanti a tutti, a tal punto che si era scordato degli amici.
Non avevano bisogno di vederlo impreziosito da alcun gioiello, per loro lui era bello e interessante al medesimo modo, forse anche di più!

– Le mie amiche formichine e le mie amiche coccinelle! – sospirò il Funghetto.
La Regina delle fate si intenerì, capì che Funghetto aveva imparato la lezione e quindi…
Balibbalo’, tira un po’ qui, tira un po’ lì, ecco che funghetto ritornò come prima!

Non esistono parole per descrivere quanto fosse felice, aveva ancora il suo corto gambo bianco e la punta del cappellino color latte.
Promise che mai e poi mai avrebbe più voluto essere ciò che non era.

Tutti i suoi amici ritornarono, risero e scherzarono ancora insieme, circondandolo di abbracci e affetto, e poté quasi toccare il cielo da tanto era felice.

Ma aspettate un po’… a toccare il cielo dalla felicità… Funghetto, più alto di un pollice si ritroverà.
Ogni Fatina Rugiada orbene lo vedrà e di goccine luccicanti Funghetto si rivestita.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Isabella Sanfilippo per aver condiviso qui con noi la sua bella fiaba.

La bacca dell’eternità 🌱

Perchè passare del tempo a litigare quando ci si può aiutare tutti quanti a vicenda?

L’insegnamento che ci vuole dare La bacca dell’eternità, scritta dal piccolo Marco, è molto chiaro: perdere tempo a litigare è assolutamente inutile, molto meglio parlarsi, fare pace e aiutarsi a vicenda.

Noi di fabulinis ringraziamo Marco e la sua mamma Luciana che hanno voluto condividere questa bellissima fiaba.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della bacca dell’eternità:

La bacca dell’eternità 🌱 storia completa


Tanto tempo fa, nella parte più fitta dei boschi dell’appennino Tosco-Emiliano, vivevano maghi, streghe, folletti e troll.
Questi purtroppo, vivevano sempre in lotta perché ognuno di loro voleva per sé l’unica bacca della grande quercia, che avrebbe dato la vita eterna a chiunque l’avesse mangiata in una notte di luna piena.

I maghi, che erano bravi e amavano la natura e tutti gli esseri viventi, erano aiutati dagli elfi e dai folletti.
Mentre le streghe, cattive, egoiste e che pensavano solo a sé stesse, erano aiutate dai trolls che le amavano perdutamente.

In una notte di luna piena, durante una delle battaglie che si svolgevano a colpi di bacchette magiche, spade, pugni e tranelli, scoppiò un terribile temporale, come non se ne vedeva da molto tempo.
Tuoni, fulmini, lampi e grandine, non si capiva più niente, il vento spazzava via ogni cosa, sembrava che la natura si fosse definitivamente stancata di quelle inutili battaglie.
Poi, un fulmine colpì la grande quercia, che prese fuoco e bruciò insieme alla sua bacca della vita eterna.

Tutti, maghi, streghe, folletti e troll si fermarono, finalmente capirono che non esisteva la vita eterna, ma che tutto ha una fine.
Da allora vissero in pace, aiutandosi a vicenda.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore il piccolo Marco, che ha scritto la fiaba, e la sua mamma Luciana per averla condivisa con noi.

Lola e Margherita 🌼


Lola è triste ma la sua nuova amica Margherita sa come fare per farla tornare felice!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Lola e Margherita 🌼


C’era un sole meraviglioso e caldo quella mattina, si sentivano voci di bambini e mamme allegre. Margherita uscì nel bosco.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Non era una una normale margherita con i petali bianchi, i suoi petali erano tutti colorati ed erano magici. La sua mamma le aveva infatti appena confidato che dai suoi petali Margherita poteva sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. Margherita non vedeva l’ora di provare!

C’era tranquillità nell’aria, una tranquillità che contagiò anche Margherita fino a che, però, vide una bimba un po’ triste che camminava. Aveva una bella maglia verde, pantaloni rosa, uno zaino tutto colorato e un paio d’occhiali verdi proprio come la sua maglietta. Margherita continuando ad osservarla pensò, tra sé e sé, che magari quella bambina così carina era un po’ triste perchè non aveva molta voglia di andare a scuola. Così decise che avrebbe aspettato prima di parlare con lei.

Passarono un po’ di giorni ed ecco che si ritrovò la stessa bimba davanti agli occhi ed era ancora triste.
Margherita pensò alle parole che le aveva detto la sua mamma e decise di far uscire la polverina magica. Incrociò subito lo sguardo della bimba. Lei incuriosita cercò di capire da dove venissero tutti quei puntini luminosi. Si guardò intorno e vide questo fiore bellissimo, tutto colorato, un po’ come i suoi vestiti. Decise di avvicinarsi per toccarlo e così “MAGIA!” il fiore iniziò a parlare.”Buongiorno bambina io mi chiamo Margherita e tu?”

“Ciao io sono Lola” rispose la bambina che non credeva ai suoi occhi
“Si lo so i fiori non parlano! Posso farti una domanda? Perchè la mattina vai a scuola sempre triste?”
“Odio i miei occhiali! Le altre bambine sono così belle senza!” Margherita si avvicinò a Lola e l’abbracciò forte, poi disse “Secondo me i tuoi occhiali sono molto belli! Me li presti?”

Lola era un po’ preoccupata, la mamma le diceva sempre che non erano un giocattolo.
“Dai prestameli solo per un pochino , voglio vedere come ci si vede!” disse Margherita.
A quel punto la bambina glieli porse e Margherita se li infilò. In quello stesso istante Lola iniziò a sentirsi strana: tutto ciò che la circondava era diventato appannato, i colori erano sbiaditi e, nonostante fosse tanto vicino a lei, non riusciva a vedere bene neanche Margherita.
La piccola scoppiò a piangere.

“Non posso stare senza i miei occhiali, non riuscirei nemmeno a giocare, a correre, restituiscimeli subito per favore” implorò Lola singhiozzando.
Margherita le restituì gli occhiali e cercò di spiegarle che c’erano dei bambini, proprio come lei, che avevano bisogno di quelle due piccole lenti per vedere meglio. “Non devi sentirti diversa o più brutta! Sei bellissima comunque!”

Lola asciugò le lacrime e riprese i suoi occhiali, se li mise e tutto tornò chiaro, bello com’era sempre. “Ora possiamo anche giocare: riesco a vedere anche te!” Tutte e due scoppiarono in una grande risata e trascorsero insieme tutto il pomeriggio, giocando e divertendosi.

Lola, da quel giorno capì, grazie a Margherita, che i suoi occhiali non la rendevano diversa, anzi! Grazie a loro, lei riusciva a fare tutto quello che facevano le altre bambine! Finalmente non era più triste!
La nostra Margherita era contentissima di aver aiutato Lola grazie alla sua magia e si incamminò in cerca di qualche altro bambino da rendere felice.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

Matteo e il fratellino dispettoso 😜

E’ nato un nuovo fratellino, e Matteo è un po’ triste…

Questo breve racconto è un valido aiuto per i genitori quando arriva un nuovo bimbo in famiglia e il fratellino più grande ha delle difficoltà con quello più piccolo.

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Matteo e il fratellino dispettoso 😜


Era un giorno di festa e nel bosco pioveva. Margherita si sentiva un po’ triste perché era sicura che nessun bambino sarebbe passato di lì.
Margherita era un fiore, proprio una margherita, ma era speciale: non aveva i soliti petali bianchi, i suoi erano tutti colorati, ma soprattutto erano magici. Grazie a loro, Margherita poteva sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. Ma se non ne incontrava nessuno, non poteva farlo, ed era per questo che la pioggia di quel giorno la rattristava.

Ad un tratto però smise di piovere e, come per magia, spuntò un grande e bellissimo arcobaleno.
Dopo poco iniziò a vedere i primi bambini arrivare felici con le biciclette, con il pallone in mano, pronti al divertimento!
Da lontano sentì un bambino piangere, ma non riusciva a capire dove fosse. Curiosando in giro si accorse che il pianto veniva da un bimbo piccolissimo dentro un passeggino. Pensò che questa volta sarebbe stato faticoso ridonargli il sorriso: piangeva disperato!

Si soffermò anche sul bambino un po’ più grande che gli era accanto e vide che anche lui era molto triste. Allora decise di sprigionare la polverina magica e cercare di capire cosa poteva renderli così desolati. In fondo era una giornata bellissima!

Il bambino grande fissava, incantato, lo spettacolo di colori creato da Margherita e rimase senza parole quando si sentì chiamare “Bambino sono qui, abbassa la testa.”
“Ciao mi chiamo Margherita e tu, credo di aver capito, Matteo vero?” “Sì”
“Vuoi giocare un po’ con me?”
Il bimbo, con la faccia un po’ triste ma ora anche meravigliata, le spiegò che non poteva perché il suo fratellino piccolo stava piangendo e lui con la sua famiglia sarebbero dovuti tornare a casa. Margherita prese coraggio e chiese a Matteo il motivo della sua tristezza.

“Il mio fratellino piccolo piange sempre e la mamma deve stare sempre con lui, così non possiamo stare mai insieme”.
“E che vorresti fare?” chiese Margherita curiosa della risposta.
“Venderlo” rispose serio Matteo. Il fiore scoppiò in una grande risata e spiegò a Matteo che i bambini non potevano essere venduti…
“Ma ti prometto che ti aiuterò a volergli bene” disse fiduciosa Margherita.

Matteo si mise a raccontare delle cose strane che faceva il suo fratellino: le pernacchie nella minestra quando non voleva più mangiare, oppure il bagnetto e l’acqua che finiva ovunque perché a Valerio non piaceva proprio lavarsi e poi di quella volta in cui la mamma gli stava cambiando il pannolino e lui le aveva fatto la pipì addosso. Margherita si accorse subito che mentre Matteo raccontava queste storie bizzarre rideva e allora gli disse “Io lo trovo divertente tutto questo, tu no?”

Matteo disse “Lui è un bambino simpatico mi fa ridere, ma la mamma, il papà e anche la nonna che prima giocavano sempre con me ora… ecco ora se la mamma mi sta raccontando una fiaba e Valerio inizia a piangere lei deve scappare da lui ed io rimango solo”. Margherita colpita da quelle parole suggerì a Matteo di chiudere gli occhi per un solo istante e di provare a pensare a come sarebbe stato se non ci fosse stato il suo fratellino. E poi di pensare a tutte le cose che potevano fare insieme quando Valerio sarebbe diventato un po’ più grande.

“Potrebbe essere bello giocare insieme a lui e fare castelli di sabbia al mare. Lui mi fa divertire molto. Io gli voglio bene. Però nessuno ha più tempo per me.” Disse Matteo un po’ preoccupato.
Margherita guardò il bimbo e gli disse: “La prossima volta che succede che Valerio piange e la mamma corre da lui ricordati di ciò che ti ho detto: voi da grandi sarete due fratelli fantastici e vi divertirete tantissimo. Poi mentre Valerio dorme tu cerca di stare con la mamma, o di giocare con papà, vedrai anche loro saranno felicissimi. La mamma e il papà hanno tempo per tutti e due bisogna solo organizzarsi, sono sicura che anche tu manchi a loro”

Così il bimbo prese i suoi giochi e corse verso casa felice, in fin dei conti aveva ragione Margherita: Valerio sarebbe diventato un fantastico compagno di marachelle.
Margherita guardò Matteo allontanarsi: era molto contenta di aver reso felice un altro bambino e non vedeva l’ora di aiutarne tanti altri!

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

Robertina e il suo disordine 😵

Ai bambini piace ritrovare le cose a cui sono tanto affezionati, ma se c’è tanto disordine e non si riesce a trovarle, come si fa?

Robertina è una bimba molto disordinata, ma Margherita che è un piccolo fiore le farà ritrovare l’allegria, aiutandola un po’ anche a crescere.

Questo racconto può dare una mano alle mamme e i papà che devono lottare quotidianamente con il disordine che i loro cuccioli lasciano costantemente in giro per casa.

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba di Robertina:

Robertina e il suo disordine 😵 storia completa


“Tutte le mattine la stessa storia, Robertina: la tua cameretta è sempre in disordine, oggetti sparsi in ogni posto, vestiti buttati sulla sedia, per non parlare poi dei tuoi giocattoli. Se quando torni non metti tutto in ordine puoi dimenticarti il tuo pomeriggio con Clara.” Questa era la storia che tutte le mattine la bimba, un po’ disordinata, ascoltava. Ogni volta pensava che la sua mamma aveva davvero ragione perché la sua camera era un disastro, ma mettere in ordine era veramente noioso per lei.

Quella mattina Margherita era un po’ assonnata.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Non era una una normale margherita con i petali bianchi, i suoi petali erano tutti colorati ed erano magici: potevano sprigionare una polvere magica per attirare l’attenzione dei bambini che incontrava e, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi.

Quella notte l’aveva passata a cercare di cambiare i colori della sua polverina magica, ma non era convinta del risultato. “Devo assolutamente provarla” pensò e proprio in quel momento notò Robertina che stava camminando tutta pensierosa. Appena la bimba fu sufficientemente vicina sprigionò la polverina e come sempre il risultato fu quello desiderato.
La bimba notò subito la nuvola di brillantini e a differenza di tanti altri bambini che all’inizio rimanevano sempre un po’ impauriti, ci si buttò dentro esclamando: “Che meraviglia, non avevo mai visto una cosa del genere”.
Margherita rimase in disparte a godersi lo spettacolo poi esclamò: “Ciao bambina io sono Margherita tu come ti chiami?”

“Sei tu che hai fatto questa nuvola di brillantini?”.”Sì, ti piace??”
“Tantissimo!! Io mi chiamo Robertina!”. Il fiore ringraziò e poi chiese subito a Robertina come mai fosse pensierosa. La bimba si mise seduta e raccontò tutta la storia del suo disordine in camera, del fatto che la mamma si arrabbiava, e che da giorni in quel disordine non riusciva a trovare la sua bacchetta magica.

Allora Margherita disse: “Beh cosa aspetti a mettere in ordine tutte le tue cose? Sono sicura che una volta messo in ordine che verrà fuori anche la tua bacchetta magica.”
“Hai ragione, ma è così noioso mettere in ordine!” disse la bambina.

“Mia mamma dice sempre che la musica aiuta quando devi fare qualcosa che non ti va! Chiedi alla tua mamma se ti accende la radio e poi fammi sapere se funziona!”
Robertina allora si avviò verso casa.

Una volta arrivata fece come aveva detto Margherita! Iniziò a mettere subito in ordine magliette, scarpe, giochi, peluche, con tanta musica a farle compagnia, ma della sua bacchetta magica nemmeno l’ombra. La mamma entrata in camera rimase a bocca aperta: “Tesoro cosa ti è successo? Hai sistemato tutto!”.
Robertina raccontò alla mamma che aveva messo in ordine per trovare la sua bacchetta magica da portare a casa di Clara il giorno dopo, ma non la trovava.

“Ti aiuto io a cercarla. Sei stata davvero brava a sistemare!!” e così tutte e due si misero alla ricerca, ma niente. Robertina si stava arrendendo quando sentì la mamma urlare dalla cucina: “Piccola: l’ho trovata, era nella lavastoviglie!!!!!!!!!!!!!”.
“Oh mamma grazie!!! Sono così felice..” e poi aggiunse “…ma secondo te come è arrivata nella lavastoviglie?”
“Potere del tuo disordine” rispose la mamma sorridendo e abbracciando felice Robertina. Anche lei era tornata a sorridere.

Il giorno dopo Robertina andò, insieme alla sua bacchetta magica, a giocare dalla sua amica Clara.
Fu un pomeriggio indimenticabile per le due bambine e anche per Margherita che le guardava da lontano: aveva il cuore pieno di gioia per aver aiutato Robertina e non vedeva l’ora di ridonare il sorriso anche a qualche altro bambino.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso la sua fiaba.

Riccardino impara a condividere 🎁

Condividere le cose tra bambini spesso è difficile, ma questo racconto li aiuterà.

In questa fiaba troviamo un bello spunto per aiutare i bambini a imparare a condividere i giocattoli e quindi le esperienze con gli amici.

Tutti i genitori sanno che prima o poi il piccolo imparerà a farlo, ma se lo (e ci) aiutiamo con un piccolo racconto, forse diventa un po’ più facile affrontare questo argomento, a volte così delicato.

Guarda la videofiaba raccontata da Cristina

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

Riccardino impara a condividere 🎁


Quella mattina splendeva un sole fantastico e Margherita decise di fare una passeggiata in tranquillità: a quell’ora tutti i bambini erano a scuola.
Dovete sapere che Margherita era un fiore speciale. Era sì una margherita ma i suoi petali erano tutti colorati e, soprattutto, erano magici. Potevano infatti sprigionare una polvere speciale che attirava l’attenzione dei bambini che incontrava. A quel punto lei, parlando con loro, avrebbe potuto rallegrarli se erano tristi. E Margherita era sempre entusiasta di ridare il sorriso a un bimbo!

Il nostro fiore iniziò a camminare e notò subito che dagli alberi cominciavano a cadere le foglie, l’autunno era alle porte.
In lontananza sentì le voci di un bimbo e di una mamma che sembravano discutere.
“Riccardo, devi imparare a condividere i tuoi giocattoli con gli amici altrimenti nessuno vorrà giocare più con te”.
Margherita guardò la scena da lontano, ma riuscì a vedere benissimo la faccia di quel bimbo che a dire la verità era proprio triste e pensieroso.

Il mattino seguente Margherita guardò attentamente tutti i bimbi che passavano fino a che notò il bimbo del giorno prima che camminava con un orsetto di peluche. Così si avvicinò piano piano e sprigionò la polverina magica dai suoi petali colorati, ma, a differenza di tutte le altre volte, questo bimbo si spaventò: “Ma che cos’è questa cosa??” e camminò più velocemente per allontanarsi dalla polverina. Margherita non poteva credere ai suoi occhi, in genere i bambini si facevano conquistare, questa volta no!

Il mattino seguente Riccardino ripassò di li sempre un po’ triste.
“Devo farmi venire in mente un’idea!” pensò Margherita e così più il bambino andava verso la sua direzione più lei si afflosciava. Ad un certo punto il bimbo si piegò verso il fiore e disse “Che strano! Le margherite hanno i petali bianchi, perché questa è così colorata??”. Proprio in quell’istante Margherita parlò: “Ciao”
Il bimbo indietreggiò spaventato: “I fiori non parlano, devi essere un mostro!”

“Ma quale mostro, vieni qui e parliamo un po’”. Il bimbo si lasciò convincere e si sedette vicino al fiore, che gli chiese subito il motivo della sua tristezza. Riccardo prese coraggio e raccontò allo strano fiore che lui quella mattina a scuola avrebbe voluto giocare con i suoi compagni, ma loro volevano il suo peluche. Lui ci teneva troppo e non voleva prestarlo a nessuno.

“Qualche giorno fa è stato il mio compleanno e i miei genitori mi hanno regalato questo morbido orsetto di stoffa! A me piace portarlo a scuola, ma non voglio prestarlo a nessuno! Ho paura che si possa rompere… e così finisce sempre che gioco da solo.”
“Ma a te piace più giocare con i tuoi amici o solo?”
“Con loro ma non voglio prestare a nessuno il mio gioco” rispose Riccardino.

Margherita allora disse: “Mmmmm… Provo a darti un piccolo consiglio: domani porta a scuola il tuo orsacchiotto, quando i bimbi si avvicineranno per giocare chiedendoti il peluche tu glielo darai dicendo però di fare attenzione a non romperlo”. Riccardo, un po’ incerto, guardò il bel fiore e promise di fare come gli aveva consigliato.

La mattina seguente Riccardo, come sempre, prese il suo orsacchiotto e andò a scuola. Arrivò, lo tirò fuori dallo zaino e subito il suo migliore amico Lorenzo si avvicinò dicendo: “Ehi Riccardo facciamo a scambio di giochi?”

Riccardo ricordando la promessa fatta a Margherita rispose: “Sì, ma per favore fai attenzione a non romperlo perché ci tengo molto”.
Lorenzo trattò molto bene l’orsacchiotto di Riccardo, il quale capì di aver fatto bene a seguire il consiglio di Margherita.

Fu così che Lorenzo e Riccardo finirono per passare tutta la mattinata a giocare insieme. Margherita li guardava da lontano, felicissima di aver aiutato un altro bambino.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️
fabulinis ringrazia di cuore l’amica Ilaria Pasquali per aver condiviso qui la sua fiaba.

Carlo impara a non arrabbiarsi 😡

Come mai Carlo si arrabbia sempre!?

Carlo si arrabbia per tutto, per la colazione troppo calda fatta dalla mamma, per gli amici che secondo lui non sanno giocare a pallone, per i sassi che gli entrano nelle scarpe ecc. ecc. senza mai godersi la vita per quella che è.

Ma ci penserà un fiore a fargli cambiare punto di vista…

Carlo impara a non arrabbiarsi 😡


C’era un tempo, al posto dei grandi edifici e delle strade trafficate, una bella e tranquilla campagna adornata da tanti fiori selvatici che ne profumavano l’aria; qui abitava Carlo, un ragazzino che, nonostante avesse per sé tanti docili animali, amici con cui giocare e la fortuna di vivere in quell’incantevole paesaggio bucolico, non riusciva mai ad arrivare a sera senza che qualcuno l’avesse fatto arrabbiare.

Sorse alto il sole in una mattina dal cielo limpido, e baciò tutti i terreni del paesino e infine un raggio, attraverso la finestra, carezzò il volto di Carlo, che piano aprì gli occhi.

Carlo, ancora un po’ intontito, si alzò e si diresse in cucina, dove la sua mamma gli servì la colazione.

“Questo latte scotta, non posso mica berlo!”, esclamò Carlo infastidito.
“Potresti soffiarci un po’ su. O più semplicemente, aspettare che si raffreddi”, gli rispose pacatamente la mamma, che ai capricci di Carlo ormai era abituata.

Ma Carlo non ne volle sapere nulla di aspettare, poiché fermamente convinto che la mamma avrebbe dovuto essere meno sbadata e preparare il latte come piace a lui. Così, con la sua lingua troppo lunga e ora anche bruciata, andò a prepararsi per uscire a giocare.

Durante la sua passeggiata, un cane che giocava in un laghetto, si scosse l’acqua da dosso e schizzò accidentalmente Carlo.

“Che cane stupido!”, ancora una volta, il ragazzino s’innervosì.

Queste cose accadevano proprio sempre a lui che non aveva nessuna colpa, e non ci volle molto prima che la prossima seccatura lo raggiungesse: una volta arrivato dai suoi amici iniziò a giocare con loro a calcio, ma Luca, con un tiro sbagliato, fece finire la palla accidentalmente in testa a Carlo.

“Hai idea di quanto mi sarei potuto far male se l’avessi tirata più forte?”
“Mi dispiace, non l’ho fatto apposta!” Provava a giustificarsi mortificato Luca.
“Se hai una mira così pessima, forse non dovresti proprio giocare col pallone!” Continuava Carlo, infuriato.

Luca provò a farsi perdonare, ma Carlo ormai non ne poteva più, non riusciva mai a trascorrere tranquillamente la sua giornata.

Anche nelle ore successive continuava a sembrargli che tutto gli si ritorcesse contro; durante il tragitto di ritorno un sassolino gli entrò nella scarpa, il vento gli spettinò i capelli, e stava perfino inciampando su un gradino.

“Stupido sasso, stupido vento e stupido gradino!” Carlo ancora non capiva cosa avesse fatto di male per meritarsele tutte.

Carlo tornò a casa spazientito, e inoltre non gradì nemmeno il pranzo: la mamma si ostinava a preparare le verdure, ma lui non le voleva proprio assaggiare.

Carlo riposò, e una volta alzatosi la rabbia per la sua sventurata mattinata era ormai sbollita, ed era deciso, una volta per tutte, ad arrivare al letto col sorriso. Dunque Carlo mise in atto una serie di precauzioni: disse alla mamma cosa avrebbe voluto mangiare a cena, indossò un impermeabile per non bagnarsi o sporcare i propri abiti, un casco per prevenire le pallonate maldestre di Luca e scarpe ben chiuse per evitare che qualche sassolino vi s’intrufolasse all’interno. In più, camminava guardando con la massima attenzione dove metteva i piedi, per evitare di inciampare.

Una volta arrivato dai suoi amici, tutti risero di come Carlo si fosse conciato, ma appena videro che ciò lo stava facendo infuriare per l’ennesima volta, decisero di assecondarlo per evitare inutili litigi.

Carlo, ben protetto, iniziò a giocare con gli altri bambini, ma dopo un po’ dovette fermarsi: faceva troppo caldo per l’impermeabile, il casco era ingombrante e scomodo, le scarpe gli stavano strette e, nel timore d’inciampare, non correva.

Ormai annoiato, Carlo andò via.

Calava uno spettacolare tramonto, ma Carlo non lo notò perché percorreva la strada verso casa a testa bassa e sconsolato, nulla riusciva a distrarlo dal pensare a tutto ciò che lo infastidiva, nemmeno quel bel quadro che i colori della natura stavano dipingendo sulle strade che percorreva.

La spina di una rosa graffiò la caviglia di Carlo, lì dove il suo impermeabile non arrivava.

“Stupida rosa!” Disse Carlo, con tono rassegnato, in quanto aveva constatato accettato di essere un bambino sfortunato.
“Stupida io?” Parlò con voce dolce la rosa. “Potrò non avere occhi e orecchie come le tue ma ci sento, e soprattutto, vedo più di te”

Carlo rimase stupido, ma incuriosito e anche un po’ scettico, si voltò e chiese alla rosa:

“Tu non hai occhi, come potresti vederci meglio di me?” chiese con aria di sfida.
“Sono più saggia di te.” Rispose fieramente la regina dei fiori.
“Io resto qui a testa alta, e accolgo tutto ciò che il cielo mi offre. Lascio che il sole mi scaldi e che la pioggia mi bagni, così ho imparato ad apprezzare il loro ciclico alternarsi e a giovare di entrambi, crescendo forte e bella” continuò la rosa.
“Ma io non ho bisogno ne di bagnarmi ne della luce del sole, non sono un fiore!” Disse un po’ deluso Carlo.
“Certo, ma ti sforzi tanto nel creare tua pace, non sarebbe più facile accettare che gli eventi indesiderate, che tu lo voglia o meno, a volte accadono? E se ti concentri solo su questi aspetti, non ammirerai mai ciò che invece di bello ti viene offerto, hai mai pensato a quanto sei fortunato per la tua mamma, i tuoi amici e l’incanto che ti circonda?

Carlo rimase in silenzio. Guardò il cielo, la rosa, e rimase a pensare.
“Dinanzi a ciò che ti ferisce, la pazienza e l’ottimismo sono disarmanti, e i tuoi problemi così non potranno farti alcun male se non farti crescere più forte, senza che tu abbia bisogno di ripararti tanto” disse per l’ultima volta la rosa, addormentandosi al primo accenno di luna.
Carlo percorse la strada di casa guardando ammaliato ciò che aveva intorno, salì di freneticamente i gradini e baciò la mamma, mangiò con gusto e infine andò a dormire col sorriso, nel suo letto che gli parve per la prima volta il più comodo del mondo.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Laura per aver condiviso con tutti noi questa fiaba, afficace per tutti quei bambini che molto spesso si arrabbiano per un non nulla.

Un ciuccio per Babbo Natale 🎅

Come faccio a togliere il ciuccio al mio bambino? Questa domanda tormenta tante mamme e papà, ma questa storia di Natale potrà venirvi in aiuto.

Per molti bambini, infatti, il ciuccio è un oggetto molto prezioso ed amato. Eppure per crescere bisogna lasciarlo andare…

Ma una bella storia con un po’ di magia può far superare al piccolo (e a te…) questa fase delicata: c’è chi lo regala a una fatina o chi lo regala ai delfini al mare.

Noi di fabulinis ti proponiamo questa bella fiaba in cui il ciuccio viene donato a Babbo Natale. L’ha scritta Gabriella Arcobello, psicopedagogista esperta di fiabe, e siamo sicuri che ti aiuterà in questo momento così delicato!


Alla fine del racconto troverai anche il 🎨 Disegno da colorare di “Un ciuccio per Babbo Natale 🎅“!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

Un ciuccio per Babbo Natale 🎅 storia completa


Qui sotto trovi la fiaba da leggere, ma se vuoi puoi ascoltare l’audiofiaba 🧸 raccontata da Silvia!

⚜️

Un ciuccio per Babbo Natale 🎅


Mancavano solo due giorni al Natale e nella casa di Leo era davvero tutto pronto: il presepe preparato nel camino e pieno di lucine; l’albero con le sue decorazioni scintillanti; il vischio verde, un po’ fatato…
Leo aveva quasi cinque anni e non vedeva l’ora che arrivasse il giorno di Natale.
L’attesa era stata lunga ma eccitante.

In quei giorni, alla scuola materna, spesso sognava ad occhi aperti l’arrivo di Babbo Natale con la sua slitta volante, tirata dalle amiche renne e stracolma di doni e pacchettini.
Con l’aiuto della mamma gli aveva scritto una letterina, chiedendogli un robot, una macchinina, un puzzle e un peluche.
Anche nel paese di Babbo Natale era ormai quasi tutto pronto.

Babbo Natale con i suoi folletti aveva lavorato tanto e a lungo per preparare e confezionare tutti i doni per tutti i bambini della terra. Ora stava facendo le ultime conte, perché guai a dimenticarsi di qualcosa e soprattutto di qualcuno.
Il pianto di un folletto piccolo piccolo però disturbava i suoi calcoli…
Conta e riconta, era costretto tutte le volte a rifare la somma. E questo era un bel problema.

Non la conta, ma quel tenero folletto di pochi mesi che piangeva così tanto: piangeva quando doveva addormentarsi; piangeva quando si svegliava; piangeva quando aveva freddo e piangeva quando aveva caldo; piangeva quando qualcuno gli si avvicinava e piangeva quando qualcuno se ne andava; piangeva, piangeva, piangeva!

Babbo Natale decise che era ora di fare qualcosa per aiutare il suo folletto più piccolo, che si chiamava Tendy.
Aveva sentito dire da qualche parte che, sul pianeta Terra, le mamme offrivano ai bambini un ciuccio per consolarli e per calmarli.
Doveva assolutamente chiedere aiuto a una mamma del pianeta Terra. E fu così che scelse proprio la mamma di Leo.

Questa gli spiegò che il ciuccio, per i bambini piccoli, è un oggetto morbido che li consola, li distrae e li aiuta ad addormentarsi.
Babbo Natale le disse: «Ora comprendo! Ne vorrei uno anch’io per regalare un po’ di serenità al mio folletto Tendy».
Pensa e ripensa, alla mamma venne un’idea:
– Stai tranquillo Babbo Natale. Chiederò a Leo, il mio bambino, e forse lui potrà aiutarti.

Il giorno dopo la mamma disse a Leo:
– Sai, Babbo Natale stanotte arriverà con i doni. Nel suo paese c’è un folletto piccolo piccolo che ha bisogno di un ciuccio. Che ne dici di offrirgli il tuo? Babbo Natale sarà contento e ti sarà grato per averlo aiutato!
Leo la guardò un po’ perplesso e molto indeciso, perché lui era davvero affezionato al suo ciuccio.

Ma alla fine accettò. La sera, prima di andare a letto, impacchettarono il ciuccio con una bella carta rossa e un fiocco dorato. Lo misero sotto l’ albero, insieme al latte per le renne e a qualche delizioso biscotto per Babbo Natale.
La mattina seguente il pacchettino che aveva preparato era sparito, insieme con il latte e i biscotti.

Leo trovò sotto l’ albero tutti i doni che aveva chiesto; anzi, c’era un pacchetto in più, proprio per lui.
Lo scarto per ultimo e dentro Vi trovò un grande lecca-lecca rosso a forma di cuore, al sapore di fragola.
C’era anche un bigliettino che diceva:
– Grazie Leo! Donando il tuo ciuccio hai fatto una cosa molto generosa. Tu hai un cuore grande grande. Per ringraziarti, io ti nomino mio FOLLETTO SPECIALE del pianeta Terra.
Firmato: Babbo Natale.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia la psicopedagogista Gabriella Arcobello per aver condiviso con noi questa fiaba molto educativa.

🖌 scarica il disegno da colorare di un ciuccio per Babbo Natale! 🎨

Clicca sull’immagine per scaricare il PDF pronto da stampare e colorare!

scarica il disegno da colorare di un ciuccio per Babbo Natale

Giacomino il piccolo elfo 🧝

Come si sente un elfo alla sua prima consegna dei regali di Natale?

Beatrice di 10 anni ha scritto questa dolce fiaba in cui parla dell’elfo Giacomino e delle sue emozioni nella prima notte in giro con Babbo Natale a consegnare regali

Giacomino il piccolo elfo 🧝


Tutti gli elfi e le fatine di Babbo Natale erano allegri e ubbidienti e non disubbidivano mai alle sue indicazioni.
Gli elfi erano di gran lunga più golosi delle loro amiche fate, ogni volta che si sedevano a tavola, divoravano tutto il cibo così in fretta, da non lasciare il tempo a Babbo Natale neanche di sedersi, a contrario delle fatine, che erano così educate da aspettare tutti prima di iniziare a mangiare.

Quando si trattava di costruire giocattoli, gli elfi erano precisi e ordinati nel loro lavoro, ad eccezione di uno, si chiamava Giacomino ed era il più piccolo.

La Vigilia di Natale, Babbo Natale, elencò i nomi degli elfi che lo avrebbero aiutato a consegnare tutti i doni a tutti i bambini, indovinate un po’?

Giacomino fu chiamato, era la prima volta per lui e non sapeva come comportarsi, cosa fare e dove andare, Babbo Natale gli disse che sarebbe andato insieme a lui a consegnare i doni, giusto per imparare.

Quella sera, Giacomino era super terrorizzato, aveva paura di fare qualcosa di sbagliato e di rallentare Babbo Natale, il quale in quel periodo, era un po’ stanco per l’enorme quantità di letterine con troppi desideri da parte dei bambini.

Dopo aver salutato i loro amici rimasti al Polo Nord, gli elfi partirono e furono impegnati tutta la notte, mentre Giacomino andò dalla nonna per farsi rassicurare. Appena giunto da lei, si vergognò a dire che aveva paura, poiché lo guardava orgogliosa e quindi, proprio non se la sentiva.

Arrivò il momento in cui Giacomino, con Babbo Natale, salì sulla loro slitta magica e gli altri elfi sulle loro.
Incominciarono dal Canada, Babbo Natale mostrò a Giacomino come infilare i pacchetti nei camini e come scendere giù senza farsi sentire e vedere.

Dopo toccò all’Alaska, Babbo Natale disse a Giacomino di infilare i pacchi nei caminetti e a entrare nelle case senza farsi scoprire, Giacomino si divertì nel farlo e nel riuscirci.

Andarono in tutti i Continenti insieme agli altri elfi e portarono i regali in tutto il mondo.

Quando tornarono al Polo Nord, la mamma, la nonna e gli amici di Giacomino lo applaudirono per aver consegnato i regali la prima volta e Babbo Natale gli disse che aveva sentito tutto quello che diceva nella sua mente, che non doveva agitarsi così tanto e che doveva avere più fiducia in sé stesso.

Giacomino annuì e gli chiese come facesse a sapere quello che stava pensando, allora Babbo Natale gli disse… beh… che lui era
Babbo Natale!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto sulla notte di Natale.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Lo scoiattolo Coda mozza 🐿️

Un racconto di Natale per imparare a essere più felici, anche quando ci manca qualcosa…

Capita nella vita di perdere qualcosa, e il nostro piccolo scoiattolo è tanto triste perché ha perso un pezzo di coda in un incidente… ma grazie a tutti gli amici che gli sono rimasti vicino, ritroverà il sorriso.

Lo scoiattolo Coda mozza 🐿️


C’era una volta uno scoiattolo molto triste perché, a differenza di tutti gli altri, compresi i suoi fratelli, aveva una coda cortissima, come se fosse stata mozzata a metà. Per questo era sempre deriso dagli altri animali del bosco e aveva pochi amici in quanto si isolava spesso, in seguito al suo problema.

Un giorno andò dalla sua mamma e gli chiese:
«Mamma, io voglio essere come tutti. Perché la mia coda non cresce più? Non mi piace e tutti mi prendono in giro per questo.»
«Figlio mio…» disse la mamma «lo sai che la tua bellissima coda alcuni mesi fa è rimasta incastrata tra i rami dell’albero da cui saltavi ogni giorno. Devi rassegnarti, hai un bellissimo pelo morbido e lucente, due stupendi occhi, delle forti zampette, sei molto agile e simpatico. Devi vedere quello che possiedi non quello che non hai.»

Il piccolo scoiattolo si rassegnò: la sua mamma proprio non lo capiva. Nessuno riusciva a comprendere il malessere che aveva dentro. I suoi numerosi fratelli erano orgogliosi della loro coda mentre lui si vergognava di farla vedere.

Si stava avvicinando il Natale e tutti gli animali del bosco avevano parlato con i loro amici gnomi perché comunicassero a Babbo Natale il regalo desiderato ma coda mozza, come lo soprannominavano tutti, non aveva richieste da fare. Nulla gli interessava.

Lo gnomo incaricato di portare tutte le richieste di doni si accorse che quest’anno, per la prima volta, il suo amico scoiattolo non era andato da lui come sempre aveva fatto.

Ma le voci nel bosco girano veloci e la storia di coda mozza la conoscevano tutti. Come poteva fare? La cosa più ovvia era parlarne con Babbo Natale che sicuramente avrebbe trovato una soluzione.

Era giunta la notte del Santo Natale e tutti gli animali andarono nelle loro tane appena si fece buio, in attesa di vedere il regalo richiesto alle prime luci dell’alba.

Il mattino dopo, il giorno di Natale, il bosco si animò velocemente. Tutti gli animali, grandi e piccoli, trovarono i loro doni: castagne, noci, bucce di banane, funghi, semi ma anche cappelli, bastoni, scope, ecc. Le richieste inviate erano varie.

Tutti si radunarono per fare festa ma coda mozza non uscì dal suo nido nell’albero. Era troppo triste per festeggiare. Fino a quando un pacchettino dal fiocco rosso attirò il suo sguardo. Cosa poteva contenere? Lui non aveva chiesto nulla. La curiosità prevalse per cui scartò il pacco e… sorpresa. Conteneva una coda! Ogni animale aveva donato alcuni dei suoi peli perché Babbo Natale potesse costruirgliene una.

Era troppo bello ed eccitante. Inserì l’elastico della nuova coda nel suo moncone e voilà, finalmente si sentiva di nuovo uno scoiattolo, e addirittura super dotato.

Saltò da un albero all’altro, saltellando in mezzo a tutti i suoi amici. Cosa poteva desiderare di più? Sentiva il calore della loro amicizia.

Era di nuovo, finalmente, felice!

⚜ Fine della fiaba ⚜

Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

www.tiraccontounastoriablog.com

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

Il Samsung e l’iPhone 📱

C’è una cosa meravigliosa che fa sorridere tutti i bambini, e L’astronave Ruggine lo scoprirà!

Ma è proprio vero che sulla terra ci sono solo guerre? L’astronave Ruggine non ne è proprio del tutto convinta, si ricorda che c’era anche qualcosa’altro di molto bello su quel lontano pianeta… scopriamolo insieme!

Il Samsung e l’iPhone 📱


Un telefono Samsung aveva come padrone la famiglia Rossi.

Un giorno cadde a terra e si ruppe e dovette lasciare la sua famiglia.

Andò nel giardino del loro vicino e incontrò un suo amico che si chiamava Iphone, ma appena lo vide cominciò a prenderlo in giro – sei vecchio e rotto che nessuno ti vorrà più AHAHAHAH.

Da allora, chiunque incontrava continuava a prenderlo in giro.

Si fece sera, e camminando e camminando arrivò fino alla tangenziale del suo paese dove finalmente incontrò un suo amico. ERA IL TELEFONO HUAWEI! Che gli disse: ciao, come va? Tutto ok?

Finalmente qualcuno che gli parlava senza prenderlo in giro: sono caduto e mi sono rotto, per favore mi aiuti?.
– Si – rispose, e insieme si incamminarono verso il centro assistenza.

Passarono i giorni e il Samsung finalmente guarì.

Una mattina, mentre passeggiava ai giardini pubblici, incontrò Iphone che gli disse:
– Ti trovo bene, come hai fatto? Chi ti Ha aiutato a tornare in forma?

E Samsung rispose:
– Ho incontrato il mio amico Huawei che mi ha a accompagnato in un centro assistenza e sono tornato come nuovo, forse non lo sai che nella vita è meglio aiutare gli altri invece che prenderli in giro?
MORALE: come dice Samsung, è meglio aiutare gli altri invece di prenderli in giro.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Flavio De Fazio per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il Lupo Sestante 🐺

L’amore vero non conosce limiti

Questo intenso racconto scritto sia in italiano che spagnolo racconta di come sia più importante ciò che sta dentro di noi piuttosto che l’aspetto esteriore.

Il lupo Sestante 🐺


C’era una volta, un lupo dagli occhi viola di nome Sestante.
Perduta una zampa, lui non si era mai perso d’animo, e pure se storpio e malfermo, obbligato a mangiare semi e bere tanta acqua, non aveva mai smesso di cantare la sua poesia alla luna, anche se con tono più basso, come la sua condizione gli imponeva, ugualmente orgoglioso di riempire coi suoi versi il creato.

“Però con quella zampa!” “Fa voltastomaco!” “Poverino!” giungevano di quando in quando, voci al suo orecchio “Non si può curare?”
“No! Ma si può continuare a vivere e a cantare!” asseriva lui per tutta risposta, levando in alto il muso, sorridente, un passo dietro gli altri.

“Acquazzone/dondola fra i rami/una piuma” cantava il lupo i suoi haiku, libero.
“In inverno i semi scarseggiano” “E se non ce la dovesse fare a trovarne sulla nuda pietra e dovesse cercarne altrove?” “Non sente la mancanza dell’altura?” “Non gli manca salire fin sullo sperone della montagna?”

E, Sestante per tutta risposta cantava, facendo risplendere il creato con la sua voce.
“Alla festa della primavera mi sembra, non sia mai stato invitato?!”.
E il lupo si destreggiava in gorgheggi ancora più brillanti.

“Come potrebbe mai riuscire ad arrivarci?” “Sestante?!” “Dovrebbe fermarsi troppo di frequente, dissetarsi in continuazione!” “Come farebbe ad affrontare un viaggio così lungo?” “Zoppo, brutto!”
“Ma se sei bellissimo!” sospirava Fersina, lupa dagli occhi d’ambra, per cui Sestante era perfetto: forte, coraggioso, l’unico in grado di guardarla facendola sentire amata, invincibile; lui, il suo gigante buono, con la massa del suo corpo a custodirla.
“Ma la mia zampa? Mi vedi bene?” guaiva lui “Pure se sono così brutto?”

E lei, tirandole giocosamente l’orecchio con le zanne, dinanzi alle sue paure sorrideva con dolcezza, scodinzolando. Facendogli dimenticare le malelingue.
“Sestante!” ululava lei, cuore nel cuore “Permettimi di partecipare alla tua Vita, di esserti al fianco. ‘Partecipazione’ è una parola importante, la più bella, dal latino tardo participatio-onis, indica il prendere parte, far parte. Ed è ciò che voglio. Sempre! Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia! Se tu sei Felice io sono Felice!”

“Eh, l’Amore!” balbettava commossa la lontra Penelope, seguita dall’usignolo Ovidio a zampettare tra le foglie “Animae duae, animus unus. Due vite, un’anima sola”.

“Oh, Fersina! Mia piccola strega! Cucciola!” la guardava lui innamorato.
“Dimmi?!” rideva lei conoscendo già la risposta, accostandosi con tenerezza.
“Che meraviglia! L’Amore universale è la magia di due anime che si carezzano, a dispetto dell’età, del sesso” sorrideva la tartaruga Pausania, avanzando retrocedendo in un tumulto di emozioni incontrollabli, col suo passo, lentamente, molto lentamente.

“Che incanto!” trillò l’albatros Amleto. “Amor Vincit Omnia. L’Amore Vince Tutto!” frullò le sue lunghe ali bianche la cicogna Adelaide.
“Fersina. Il cuore è il suo angolo di orientamento e non può sbagliare” balzò la lepre Castore “Orientamento: parola che deriva da “oriente”, dal latino oriens, voce del verbo “orirri” sorgere, volgere ad oriente, alla luce che permette di scegliere. E la lupa volge i suoi occhi alla luce: la luce dell’Amore, di ciò che è essenziale vedere”.

“Amor gignit amorem. L’Amore genera amore” saltò fra i rami dello stupendo abete rosso di risonanza stradivari, lo scoiattolo Avisio, librandosi fra gli innumerevoli picea abies “Amare significa avere cura”
“Ses- tan-te!” sussurrò la lupa.
“Fer-si-na!” mormorò il lupo.

“Il destino è quel filo rosso, quell’incontro voluto dalle anime, prima ancora che i corpi possano incontrarsi!” gonfiò il petto il suricato Cagliostro “Esso si allunga, si intreccia, ma non si spezza mai. I legami voluti dal destino sono indissolubili”.
“Ciò che è destinato a te troverà sempre il modo di raggiungerti!” fissò il merlo Javier il luccicore di Vega sopra le loro teste. “L’Amore non conosce restrizioni!” seguì l’allodola Ipazia.

“La tua zampa, Sestante, è il tuo sangue. E non si può cambiare!” soffiò la lupa “Ed io lo amo così com’è!” guaì “Senti come mi batte forte il cuore?”
“Fersina, il colore della tua voce quando pronunci, sussurri, scaldi (e talvolta anche sbraiti) il mio nome, dipinge i miei giorni di Gioia!” guaì il lupo “Il ricamo prezioso dei tuoi silenzi: è l’amore!” disse senza abbassare lo sguardo.

“L’Amor l’è tut. E’ qualcuno con cui correre (anche con una zampa rossa). Chest’è!” vibrò il cervo Ascanio “Nella buona come nella cattiva sorte, in salute ed in malattia!”.
E Sestante cantava allora ancora più forte, fino al cielo lassù: melodia d’amore d’impareggiabile bellezza “Sogno/s’apre di rugiada/una rosa”. Cuore nel cuore della sua Fersina, radioso.

El lobo Sestante 🐺


Érase una vez, un lobo de ojos  morados llamado Sestante.
A pesar de que había perdido una pata, el nunca perdió el ánimo, y además, aunque era deformado y enfermo, obligado a comer semillas y tomar mucha agua, nunca había dejado de cantar su poesìa a la luna, aunque lo hacía desde tonos bajas, tal como su condición lo obligaba, pero igualmente orgulloso de llenar con sus bellas notas la creación.

“¿Pero adónde va con esa pata?” “¡Da asco!” “¡Pobrecito!” les alcanzaban, de vez en cuando, las voces de otros aves a su oído “¿Pero no se puede curar?” “¿Nunca?”.
“¡No! ¡Pero puedes seguir viviendo y cantando!” devolvía él como respuesta, levantando hocico, sonriente, a un paso detrás de los otros.
“Chubascón/se balancea entre las ramas/una pluma” el lobo cantò sus haikus, libre.

“En el invierno las semillas son escasas” “¿Y si no las encuentras sobre las rocas desnudas, y tienes buscar en otras?” “¿Y en el terreno elevado nunca subes?” “¿No le echas de menos?” “¿No extraña subir al estribo de la montaña?”.
Y, por respuesta, Sestante cantaba, haciendo resplandecer la creación con su voz.
“¡¿A la fiesta de la primavera, me parece, nunca fue invitado?!”.

Y el lobo asintía con la cabeza, e se las apañaba con las palabras para cambiar discurso.
“¿Cómo podría alguna vez ser capaz de llegar?” “¿Sestante?” “¡Debería detenerse con demasiada frecuencia! ¡Entonces apaga tu sed todo el tiempo!” “¿Y luego cómo se enfrentan a un viaje tan largo?” “¡Cojear!¡El es tan feo!”.

“¡Pero si eres hermoso!” suspiraba Fersina, loba con ojos color ámbar. Para ella, Sestante era perfecto: fuerte, valiente, lo único capaz de mirarla haciéndola sentir amada, invencible; él, un gigante bueno con la masa de su cuerpo para protegerla.
“Pero, ¿y mi pata, me ves bien?” murmuraba èl “¿Incluso si soy tan fea?”.
Y ella, jugando, tirándo de su oreja con sus colmillos, viendo sus miedos sonriò dulcemente, meneando la cola.
Haciéndolo olvidar los chismes.

“¡Sestante!” aullaba ella, corazón en corazón “Permíteme participar en tu Vida, estar a tu lado. “Participación” es una palabra tan importante, la más hermosa, del latín tardío participatio-onis, indica participar, ser parte. Y eso es lo quiero. ¡Siempre! Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia: si tú si Feliz, yo soy Feliz!”.
“¡El amor!” tartamudeó de emoción la nutria Penelope, seguida por el ruiseñor Ovidio correteando entre las hojas “Animae duae, animus unus. Dos vidas, un alma”.

“¡Oh, Fersina! ¡Mi pequeña bruja! ¡Cachorrita!” la mirada èl, enamorado.
“¡¿Dígame?!” ella se rió, ya sabiendo la respuesta, acercándose con ternura.
“¡Maravilloso! El amor es universal, es la magia de dos almas que se acarician, sin importar de la edad, el sexo” la tortuga de Pausania sonreía, mientras avanzaba, retrocediendo en un tumulto de emociones incontrolables, con su paso lento, muy lento.

“¡Me encanta!” trinó el albatros Hamlet “¡Amor Vincit Omnia! ¡El amor lo gana todo!” la cigüeña Adelaide agitó sus largas alas blancas.
“Fersina. El corazón es su ángulo de orientación y no puede equivocarse” brotò la liebre Castore. “Orientación: palabra que deriva de “este”, del latín oriens, voz del verbo “orirri” surgir, girar hacia el este. Y la loba vuelve los ojos hacia la luz: la luz del Amor, de lo que es esencial ver”.

“Amor gignit amorem. ¡El amor genera amor!” la ardilla Avisio saltó entre las ramas del precioso abeto rojo de resonancia stradivarius, flotando entre las innumerables picea abies “Amar significa cuidar”.
“¡Ses-tan-te!” susurró la loba.
“¡Fer-si-na!” murmuró el lobo.

“El destino es ese hilo rojo, ese encuentro deseado por las almas, incluso antes de que los cuerpos puedan encontrarse” el suricato Cagliostro hinchó su pecho “Se estira, se entrelaza, pero nunca se rompe. Los lazos queridos por el destino son indestructibles”.
“¡Lo que está destinado a ti siempre encontrará la manera de llegar a ti!” el mirlo Javier miró fijamente el brillo de Vega sobre sus cabezas. “¡El amor no conoce restricciones!” siguiò la alondra Ipazia.

“Tu pata roja, Sestante, es tu sangre. ¡Y no puedes cambiar!” sopló la loba “¡Y lo amo como es!” grito “¿Sientes cómo mi corazón derrota rápido?” suspirò “¡Mi amor!”.
“Fersina, el color de tu voz cuando pronuncias, susurras, calientas (ya veces incluso gritas) mi nombre, ¡pinta mis días de Alegría!” gritó el lobo “¡El precioso bordado de tus silencios: es l’amor!” dijo, sin bajar la mirada.

“L’amor es todo. Es alguien con quien correr (incluso con una pata roja). ¡Cofre!” vibraba el ciervo Ascanio “¡En la buena suerte como en la mala suerte, en la salud y en la enfermedad!”
Sestante cantaba aún más fuerte, hacia el cielo: melodía de amor de incomparable belleza. “Sueño/se abre de rocìo/una rosa” corazón en el corazón de sus Fersina, radiantes.

Traducción del Cuento al español por Fabio Pierri

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Monica Fiorentino per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto pieno d’amore in italiano e spagnolo.

Ruggine l’astronave e il pianeta terra 🚀

C’è una cosa meravigliosa che fa sorridere tutti i bambini, e L’astronave Ruggine lo scoprirà!

Ma è proprio vero che sulla terra ci sono solo guerre? L’astronave Ruggine non ne è proprio del tutto convinta, si ricorda che c’era anche qualcosa’altro di molto bello su quel lontano pianeta… scopriamolo insieme!

Ruggine l’astronave e il pianeta terra 🚀


Da dove vengono le astronavi?
In un posto sopra le nuvole e oltre il cielo…c’è il pianeta delle astronavi: ci vivono quelle più coraggiose di tutte le galassie che vanno a visitare pianeti conosciuti e a scoprire quelli nuovi.

Ogni sera, l’astronave più saggia di tutte, la numero 001 chiede: “chi è che stasera va sulla terra?”
Le astronavi tutte in coro, senza pensarci gridano: “Sulla terra c’è la guerra!”
Nessuna vuole mai andarci.
Finché una notte..

“Aspettate! Vado io sulla terra!”
“Ma chi è che parla?” si chiedono tutti…
Viene avanti un’astronave tutta ammaccata e arrugginita…
Ma è Ruggine! l’astronave più anziana che c’è.

“Ci sono stata tanti anni fa. Sono sicura che non ci sia solo la guerra c’è un’altra cosa…solo che non mi ricordo cosa sia.”
Le astronavi si guardano tra loro un po’ sollevate ed un pò in pensiero, così si riuniscono nel cerchio galattico per parlarne. Dopo un po’ di tempo annunciano il verdetto: “Bene Ruggine, andrai tu sulla terra”!

1..
2..
3..
Ruggine parte e durante il viaggio, dopo due tempeste di asteroidi, perde un’antenna.
Infine, riesce ad arrivare sul pianeta che non piace a nessuno. Diventa invisibile ed inizia a visitare la terra in lungo e in largo.
In molti paesi Ruggine trova la guerra e dove non c’è, i terrestri non vanno molto d’accordo.

“Forse questo pianeta ha perso la cosa bella che aveva” – pensa tra se’- si ricorda allora degli esseri più antichi che vivono sulla terra e decide di andare a trovarli.
Gli alberi.

Arriva nel bosco più grande del pianeta e sceglie di rendersi visibile per poter dialogare con loro.
“Cari amici boscosi io sono ruggine un’astronave che viene dal pianeta delle navicelle esploratrici, sono qui perchè voglio sapere quale è la cosa più bella che c’è… potete aiutarmi?”
Un vento forte fa oscillare i rami degli alberi…

“Ma certo che ti aiutiamo strano oggetto che viene dal cielo! La cosa più bella che c’è su questo pianeta è la luce del sole che ci nutre e ci riscalda!” Risponde una acero alto e robusto.
Proprio in quel momento sta ronzando incuriosita un‘ape, che ha sentito tutto quanto…“No non è vero! Vieni con me strano essere volante…ti porto dalle mie amiche.”

Allora Ruggine va insieme all’ape in un prato pieno di fiori dove vivono migliaia di api.
“Care amiche api, sono Ruggine una navicella che viene da lontano, sono qui per sapere cos’ha di bello il vostro pianeta?”
Tutte le api regine si riuniscono in un cerchio di polline: “Cara Ruggine, sicuramente la cosa più bella e buona che ci sia… e’ il miele, così dolce e profumato!”

In quel momento, un cane tutto nero con lo sguardo giocherellone che sta inseguendo una farfalla, nel sentire le parole delle api si ferma. “Ma no, che state dicendo… la cosa più bella sono i grattini dietro le orecchie! Quelli che mi fa sempre la mia Umana!”
Allora Ruggine incuriosita, segue il cane per andare a conoscere i grattini dietro le orecchie. Cosa saranno?

Poco lontano ad est, su di una collina, vede un piccolo essere umano femmina che fa le capriole avanti e indietro.
Il cane tutto nero va dalla sua padrona e si fa fare le coccole: soprattutto i grattini dietro le orecchie.
Ruggine che ha visto tutto da lontano, si avvicina cercando di non spaventare la bambina ma è pur sempre un’astronave e i suoi motori a propulsione fanno rumore.

La bambina ha un po’ paura, fa due passi indietro, ma il cane nero la spinge con il muso verso lo strano aggeggio, così prendendo coraggio, tuttodiunfiato la piccola umana si presenta: “Ciao io mi chiamo Sonia sono una bambina, chi sei tu? Che cosa ci fai qui?”

“Ruggine” io mi chiamo ruggine… sono tanto contenta di conoscerti. Sono una navicella esploratrice, vengo dallo spazio lontano e vivo in un pianeta pieno di astronavi come me… sono venuta qui per dimostrare alle altre amiche mie, che qui sulla terra non c’è solo la guerra, c’è una cosa davvero bella ma non mi ricordo cosa è, mi puoi aiutare?”

“Le pernacchie sulla pancia!” -urla Sonia-
“La mia mamma, il mio papà e la mia nonna mi fanno sempre le pernacchie sulla pancia e se sono triste, inizio a ridere e mi torna il buon umore!”

Da quel giorno le due creature così diverse si incontrano sulla collina tutti i giorni e diventano grandi amiche finchè un giorno Ruggine decide di tornare sul suo pianeta. La sua missione è compiuta.
Ruggine parte perdendo un po’ di olio galattico che tradotto in termini spaziali significa che sta piangendo.
Arrivata sul suo pianeta inizia a raccontare alle compagne la sua avventura.

Le astronavi ascoltano con molta attenzione ma alla fine non sembrano averci capito molto e così 001 rompe il silenzio: “quindi perchè dovremmo andare sulla terra?”
Ruggine sorride nel modo in cui lo fanno le astronavi, poi sussurra in segreto alle amiche stelle di mettersi in cielo per formare una parola…

Tutte leggono la parola:
A-M-O-R-E.
“In effetti… non ci sarebbero le pernacchie, i grattini, il miele e neppure gli alberi senza quella parola lì”. Dice 001 sapendo che da quel giorno molte di loro si sarebbero offerte per andare sul pianeta dove esiste la cosa più bella e rara che c’è.

⚜️ Fine della fiaba ⚜️

fabulinis ringrazia Valeria Maraldi per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.


La vita Ateniese

Come vivevano i bimbi nell’antica Grecia?

Beatrice di 10 anni ci descrive la vita di Iris, una bambina ateniese della Grecia antica.

La vita Ateniese


Ciao a tutti, il mio nome è Iris e come avrete già capito dal titolo, sono una bambina Ateniese.

Vivo ad Atene con mia madre, che mentre cucina squisite pietanze come zuppe di orzo, legumi e olio, ci sforna anche buonissime focacce aromatizzate con miele e sesamo e beve del vino con mio papà, poi bada a me e a mia sorella Eleni, la quale adora cucire e filare stoffe di tutti i tipi e aiutare la serva Agape (che è la sua migliore amica) a modellare i vasi con l’argilla e decorarli con ricamini di vita quotidiana fatti da loro.

Nella nostra città, i bambini vengono accolti dal padre a cinque giorni dalla nascita.

Mio padre di mestiere fa l’“amanuense”, cioè colui che trascrive testi o documenti di autori, copiando i manoscritti a servizio di privati o per la vendita al pubblico (prima dell’invenzione e diffusione della stampa era l’unico modo per pubblicarli). Il suo maestro privato, quand’era piccolo, gli insegnò a leggere e scrivere e da allora gli è sempre piaciuta molto sia la letteratura che la filosofia.

Ma ora parliamo un po’ di me. La mia passione l’ho ereditata da mio nonno, al quale piaceva molto navigare per i mari. Io vado a pesca con una barca che mio padre ha costruito per il mio compleanno, avvenuto pochi giorni fa. La mia barca viene chiamata “Galea o Galera”, una nave da commercio che sicuramente mi sarà molto utile quando dovrò andare nell’Agorà delle varie città, a vendere i vasi che Agape ed Eleni hanno preparato.

Dimenticavo! Se non lo sapete, l’Agorà è la piazza principale di ogni poleis (città indipendente) della Grecia, un vero centro di commercio dove si discute anche dei problemi della poleis e si trova a nord-ovest dell’Acropoli, ovvero la parte più alta della città.
Io non vado a scuola, le femmine non possono, però siamo comunque in grado di imparare a leggere e scrivere in casa, nostro padre può insegnarci, in più impariamo anche a filare, tessere, cucire, cucinare e pulire la casa.

Noi bambini e bambine Ateniesi, ci divertiamo a giocare con giocattoli che costruiamo (ad esempio bambole in legno, trottole, cavalli in terracotta, yo-yo o barchette di legno) o giochi che inventiamo, tra cui:

• l’AKINE TINDA, un gioco dove occorre stare immobili sopportando le spinte degli avversari, e resistendo senza muoversi
• il GIROTONDO, un gioco dove cantiamo delle canzoni e ci teniamo tutti per mano e alla fine delle cantate ci buttiamo tutti a terra
• il COCCIO, noi bambini ci separiamo in due gruppi, divisi da una linea tracciata sul terreno: una squadra si posiziona dalla parte dove sorge il Sole e l’altra dalla parte opposta. Uno di noi lancia una conchiglia o un coccio tinto di nero da una parte e di bianco dall’altra, gridando: “Giorno o notte”. Se la conchiglia cade dalla parte bianca, l’altra squadra insegue gli avversari che devono cercare di non farsi prendere. Chi viene preso, è deriso dai suoi compagni.
• PARI O DISPARI, si nascondono nella mano un certo numero di noci, sassi o mandorle ed il compagno deve indovinare se il numero è pari o dispari.

Come tante popolazioni, anche noi Ateniesi abbiamo molte danze, che balliamo in situazioni particolari, sono tutte in onore del dio Apollo, del Sole, della giovinezza, della bellezza e dell’arte. Tra le più famose troviamo: l’Emmèleia, danza usata nella tragedia, il Peana, danza magica eseguita dal coro, e infine la danza Ipochermatica, un abbinamento perfetto per la vivacità del ritmo.

La nostra scala sociale è divisa in tre categorie:

• gli Eupàtridi sono i nobili di nascita ed infatti il termine significa uomini ben nati. Essi sono grossi proprietari terrieri.
• i Geòmori sono i piccoli proprietari terrieri ed i lavoratori della terra.
• i Demiurgi sono piccoli artigiani e operai

I Geòmori e i Demiurgi sono esclusi da ogni carica pubblica, però fanno parte dell’Ecclesia, cioè una riunione di aristocratici politici.

Le abitazioni private dei Greci sono semplici, senza decorazioni. Normalmente hanno un solo piano o al massimo due, nel caso delle abitazioni delle famiglie più ricche. Al loro interno le case hanno un cortile, su cui si affacciano tutte le stanze. Nella casa, ci sono tante stanze, tra cui quella degli uomini, e quella delle donne, chiamata gineceo. Nelle case dei ricchi o degli aristocratici, il gineceo si trova al piano superiore e lì le donne tessono, filano.

I letti con i materassi si trovavano solo nelle case dei ricchi; le persone comuni dormono per terra, su sacchi riempiti di foglie secche o paglia. Per riscaldarsi c’è un braciere, mentre l’illuminazione è costituita da torce. Le nostre abitazioni sono fatte di mattoni.

Penso di avervi raccontato abbastanza cose su di me e credo che vi siate fatti un’idea di chi siamo io, la mia famiglia, noi Ateniesi e di come sia il posto in cui abito, ora però devo andare a letto e la mia giornata finisce qui…

Un’ultima cosa, io vivo in una famiglia di benestanti, quindi come sarà il mio letto?
Se siete stati attenti al mio racconto, lo avrete già capito, buona notte.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato ad Atene nella Grecia antica.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Tala e la festa della primavera alla Tschalvrina 🧚‍♀️

Ritornare nelle terre natali è sempre una festa!

La primavera sta arrivando e Tala ha nostalgia dei Boschi della Tschalvrina dove si sta preparando una grande festa.

Tala e la festa della primavera alla Tschalvrina


Fra poco arriverà la Primavera e Tala è impaziente di tornare nei Boschi della Tschalvrina e incontrare tutti i suoi Amici.
Una sera, mentre contemplava la Luna e le confidava la sua profonda nostalgia per il Bosco della Tschalvrina e dei suoi Abitanti, la Fanciulla vide al bagliore argentato della Luna la sagoma della sua fedele amica Lupa Naira.

Piena di gioia aprì la finestra e balzo` sulla sua schiena e, senza indugio, si lasciò trasportare verso le sue amate Montagne.
Nel frattempo la Luna aveva incaricato le sue fidate Fatine, Alleni e Aponia, di provvedere ai preparativi per una grande festa di benvenuto alla Primavera nei boschi della Tschalvrina.

Le due Fatine chiamarono a raccolta tutte le Tschalvrine, le creature del Bosco, e tutti gli Abitanti dei dintorni.
Giunsero alla dimora delle Tschalvrina il Saggio del Bettaforca, il Pastore Manuel, il Custode del villaggio dell’Alpenzug e tutti gli Abitanti della valle, portando doni di ogni genere: il latte delle caprette, le uova, squisite marmellate, biscotti, frutti dai colori intensi e dal profumo inebriante.

Mentre tutti si davano un gran da fare, il Signore delle Montagne richiamò tutti i Lupi e li invitò a radunarsi nei dintorni della Tschalvrina e di accogliere Tala con un meraviglioso coro di benvenuto.

Intanto anche gli Abitanti dei Boschi della Tschalvrina stavano preparando una sorpresa per la Fanciulla. Infatti ad attenderla non vi erano solo i suoi Amici, ma anche i suoi compagni di giochi a quattro zampe, la meravigliosa Tschalvrina’s Band.

Essa è composta dalla Bassottina Sati, dall’Asinello Pinfi, da Duke e da Lella, due vivaci e affettuosi cani dal pelo nero come la pece.
Tutto era ormai pronto e tutti erano ansiosi di rivedere Tala dopo lungo tempo.

Quando cominciò ad albeggiare, Naira e Tala giunsero al cospetto del Signore delle Montagne, che con grande gioia si illumino` di una luce radiosa e manifestò loro la sua benevolenza e la sua gioia.

Tala lo ringraziò e insieme a Naira si avviarono verso la Tschalvrina, ove già a distanza si udiva l’ululato melodioso dei suoi amati Lupi e le voci di tutti i suoi amici: le Tschalvrine, la Fata Nuna, le Fatine e tutti gli abitanti.

Alla Tschalvrina era tornata la gioia: tutti ridevano, cantavano, danzavano e si cibavano con tutte le delizie a loro disposizione. Anche i Lupi furono premiati con del buon cibo.

Per concludere i festeggiamenti, la Tschalvrina’s Band allieto` tutti i presenti con un’esibizione canora memorabile, ma allo stesso tempo alquanto inconsueta e molto divertente.

Fra i “ bau, bau” di Duke e Lella e il ragliare ritmato di Pinfi, la Bassottina Sati diede il suo meglio improvvisando una danza sfrenata, intervallata da balzi e scodinzolii velocissimi.

Le sue orecchie accompagnavano le sue acrobazie e più lei si lanciava in evoluzioni straordinarie, più incoraggiava a unirsi ai suoi giochi anche Duke e Lella. Invece l’Asinello Pinfi preferì soddisfare il suo appettito e cercarsi un angolo tranquillo, dove gustare tutto quelle delizie cosi invitanti.

Tala era felicissima di essere tornata fra le sue Montagne e fra i suoi Amici e, ascoltando il suo cuore volse lo sguardo verso il Signore delle Montagne e si accorse, che Lui e la Luna la stavano osservando con dolcezza. Lei si sentì il cuore pieno di gioia e di pace, ma soprattutto rassicurata, perché era sotto la loro protezione.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Klara Greschen per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto di fate, boschi e magia delle montagne.

Il buon falegname

Donare quel poco che si ha, porta sempre a grandi ricompense!

Beatrice di 10 anni ha scritto questo bel racconto natalizio in cui si parla di generosità e buon cuore, anche se si ha poco da dare.

Il buon falegname


C’era una volta un anziano falegname molto solo, abitava in un paesino di montagna, vicino ad una grande foresta dove andava ogni mattina all’alba.

Il falegname non incontrava mai nessuno con cui poteva scambiare, anche solo uno sguardo, le uniche volte in cui aveva contatti con le persone, era quando andava a comprare del vino o del pane.

La sua casetta, si trovava in un piccolo prato in montagna, da cui si poteva vedere il paese.
La casa del vecchietto, profumava di legna, aveva tende di puro lino, c’era un tappetino di lana vicino a un caminetto al centro del salotto. Vedere le sue fiamme scoppiettare, la legna bruciare e le sfumature dal rosso all’arancione, erano l’unica cosa che dava calore al cuore dell’anziano signore.

Era la settimana prima di Natale, tutte le famiglie si stavano già preparando alla festa tanto attesa, solo il falegname sarebbe rimasto tutto solo nella magica notte.

Una sera, un uomo con la barba bianca più della neve, si presentò alla porta del falegname, era vestito con un abito un po’strappato e rattoppato, aveva degli stivali sporchi di fango e con sé, c’erano due cagnoloni di nome Stella e Fulmine.

Il falegname lo guardò un attimo, pensando cosa ci facesse una persona davanti alla sua porta, erano passati anni da quando qualcuno andava a casa sua.


Il signore gli chiese se avesse del latte e dei biscotti, il falegname rispose che aveva solo il latte, ma non i biscotti, allora l’uomo gli disse che la sera dopo si sarebbe ripresentato alla sua porta e gli avrebbe richiesto le stesse cose e che se lui avesse detto che non ce le aveva, non si sarebbe mai più presentato.

Il falegname non capiva, nessuno lo andava a trovare da anni e solo per dei biscotti e del latte si era presentato un uomo alla sua porta.

Quella notte, dopo che il falegname si fu addormentato, magicamente, nella sua casa apparve un albero addobbato con oro e argento. La mattina seguente, il falegname si stupì nel vedere l’albero tutto agghindato e sopra il camino, vide del latte e dei biscotti.

Quella sera, si ripresentò il signore povero, bussò alla porta e il falegname gli aprì, l’uomo gli chiese se avesse del latte e dei biscotti, allora il falegname gli diede ciò che aveva chiesto.

Gli chiese se volesse entrare dentro la sua casa, l’uomo entrò, si tolse le scarpe e vedendo che erano rotte, il falegname provò ad aggiustargliele come poteva, per i vestiti strappati non c’era molto da fare, quindi gli regalò una coperta di lana che usava d’inverno quando doveva andare a tagliare la legna.

L’uomo lo ringraziò e gli disse che era una brava persona.
Uscì dalla casa e rientrò con due renne, giubbotto e cappello rossi e un pacco regalo.

Il falegname, stupito, accettò il dono e gli chiese perché avesse finto di essere povero, l’uomo rispose di averlo fatto per sapere se fosse una persona generosa, che dava il poco che aveva a una persona che ne aveva più bisogno, o se fosse una persona avara che pensava solo a sé stessa.

Allora il falegname, gli domandò chi fosse veramente, l’uomo rispose di essere Babbo Natale…

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto di Natale.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Continua la magia del Natale con un altro bel racconto! 🎅🎄

Un mondo a metà 🧱

Cosa succede se con la curiosità si oltrepassa il muro di una zona a noi sconosciuta?

Una fiaba tutta in rima per scoprire che in fondo i muri servono solo a dividere i cuori delle persone ❤

Un mondo a metà 🧱


Da qualche parte nella scura e stellata immensità,
c’era una volta un pianeta diviso a metà.
Di qua, vivevano gli Sciortini,
piccoli, scattanti e tutti peperini.
Di là, stavano i Talleroni,
altissimi, flemmatici e con degli enormi piedoni.

Li separava un muro alto quasi fino al cielo,
che nessuno aveva mai sormontato, nemmeno col pensiero.
Tra i due popoli esisteva infatti una diffidenza secolare,
solida come il muro e altrettanto difficile da scavalcare.

“Hanno la testa tra le nuvole”, dicevano gli Sciortini dei Talleroni,
“sono proprio una bella banda di pigroni”.
“Quante arie si danno”, pensavano i Talleroni degli Sciortini,
“e quanto sono presuntosi e perfettini”.

C’era però una bimba, tra gli Sciortini, con una grande curiosità
di scoprire come fosse il mondo, davvero, nell’altra metà.
Si chiamava Scheggia e il suo passatempo preferito
era andare in cerca di avventure all’infinito.

Girovagando, raggiunse un giorno per caso il muro,
dove tutto era tranquillo, perché lì non andava mai nessuno.
Subito si entusiasmò capendo di essere arrivata
a pochi passi dal confine con una terra inesplorata.

Si mise allora a correre con le gambe e con l’immaginazione,
fino a quando si accorse che al muro mancava un mattone.
A quel varco inaspettato la bambina si avvicinò trepidante,
e si trovò davanti un paio di piedi dalla grandezza strabiliante!

Dall’altra parte c’era infatti in quel momento un Tallerone
e Scheggia lo intuì, dopo un attimo di esitazione.
Il buco era grande abbastanza per la bambina,
che passò dall’altro lato facendosi ancora più piccina.

Al suo “Ciao!” squillante, il Tallerone si guardò intorno smarrito,
così Scheggia gli punzecchiò un piede con il dito.
Spilungo, era questo il nome del bambino, abbassò gli occhi e la vide,
e superata l’iniziale timidezza si chinò e sorrise.

Chiacchierando i due divennero amici per la pelle
e le giornate passate insieme erano per entrambi le più belle.
Nascosta nello zaino di Spilungo, sbirciando da una fessura,
Scheggia conobbe il mondo dei Talleroni, come in un’avventura!

E se Spilungo era troppo alto per intrufolarsi di là,
ci pensava la sua amica a raccontargli come fosse la vita nell’altra metà.
Finché un giorno agli Sciortini accadde un fatto eccezionale,
un fenomeno che secondo alcuni aveva del soprannaturale.
Dalla mattina alla sera gli alberi crebbero infatti a dismisura
e divenne impossibile raggiungere i rami carichi di frutta matura.

Fu deciso allora di organizzare una grande riunione
per risolvere quella spinosa situazione.
Si ragionò e si discusse con passione,
ma non si riuscì a prendere nessuna decisione.

Alla confusione seguì un silenzio profondo come il mare,
da cui si levò una voce argentina che disse: “Io sono come fare!”.
Armandosi di coraggio, con sguardo speranzoso e piglio sicuro,
Scheggia spiegò che la risposta stava dall’altra parte del muro.

Da principio, a tutti quella parve un’idea strampalata
e la proposta venne unanimemente rifiutata.
Quando fu chiaro, però, che non c’erano altre soluzioni,
Scheggia fu mandata in missione dai Talleroni.

Le altissime e flemmatiche creature reagirono con sconcerto,
quando l’amicizia tra Scheggia e Spilungo venne allo scoperto.
Con la promessa che il raccolto sarebbe stato diviso a metà, tuttavia,
i Talleroni accettarono di aiutare gli Sciortini nella loro traversia.

Prima di procedere all’azione c’era un grosso problema a cui pensare:
dal buco nel muro Spilungo e i suoi conterranei non potevano passare!
Per fortuna tra i Talleroni c’erano ingegneri sopraffini,
e gli Sciortini contavano tra le loro fila operai certosini.

In un battibaleno lo stretto passaggio venne allargato,
e fu possibile per tutti mettersi all’opera come concordato.
Appollaiati sulle spalle dei loro aiutanti,
gli Sciortini colsero la frutta dagli alberi svettanti.

Ogni Tallerone teneva tra le mani un grande cestino,
dove scivolava quel dolce e profumato bottino.
Il lavoro di squadra e quell’inaspettata esperienza
indebolirono piano piano la reciproca diffidenza.

Gli Sciortini scoprirono che la calma dei Talleroni era rassicurante,
e i Talleroni che l’energia degli Sciortini era galvanizzante.
Tanto che, portata a termine la raccolta brillantemente,
i due popoli presero a farsi visita di frequente.

Quell’andirivieni giorno dopo giorno diventò abituale,
e ampliare il passaggio tra i due mondi sembrò la cosa più naturale da fare.
Col tempo, il varco nel muro si allargò sempre di più,
fino a quando anche l’ultimo mattone cadde giù.
Perché era cambiato qualcosa nel cuore di tutti, in fondo in fondo,
e dalle due metà era nato un nuovo bellissimo mondo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Giulia Scianna per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto scritto tutto in rima 😊

La vita sumera

Come vivevano i sumeri più di 4000 anni fa?

Beatrice di 10 anni ci descrive uno spaccato di vita quotidiana degli antichi sumeri immaginando di essere un’artigiana dell’epoca 😊

La vita sumera


Io sono un’artigiana sumera, vivo con mia madre e mio padre.
Mia madre si occupa di lavorare l’argilla sopra il tetto con una sua amica (il tetto è piatto per permettere alle donne di lavorare con più spazio), mentre mio padre è il comandante dell’esercito, per ordine del re va a ispezionare i vari prodotti che propongono i mercanti. Le case qui a Uruk non sono tanto ampie e per salire sul tetto bisogna aprire una botola e tirare giù la scala. Un edificio che mi piace in particolare è la “ziggurat”, un grande palazzo costruito con mattoni d’argilla e formato da
lunghe terrazze (che sono) collegate l’una all’altra da scalinate.

Per tenere uniti i mattoni i Sumeri utilizzano il petrolio. Io so che nella parte bassa della ziggurat ci sono i magazzini, dove vengono conservati prodotti di ogni tipo, nella parte più alta della ziggurat si trova il tempio che è dedicato al dio che protegge la città, è lì che si svolgono i riti. Un altro edificio importante è il palazzo del re, all’interno del quale egli vive con la sua famiglia e i funzionari.

La “piramide sociale” è formata da diversi ruoli, quelli dei Sumeri sono:
a capo della società c’è il re o sovrano, lui dirige l’esercito e stabilisce le leggi, il sommo
sacerdote è la persona più importante dopo il re, egli si occupa di svolgere i riti in onore
degli Dèi, poi ci sono i comandanti dell’esercito e i funzionari che organizzano per ordine
del re il lavoro nei campi e controllano i prodotti; gli scribi si occupano di scrivere tutto ciò che riguarda la città.

I soldati vigilano alle mura della città-stato se ci sono nemici in vista.
La ruota dei carri dei soldati è la ruota che usano i vasai; proseguendo la scala sociale, ci sono gli artigiani che come me producono oggetti per la vita quotidiana e i mercanti che si occupano di scambiare oggetti grazie al sistema del “baratto”.

I contadini e i pastori costituiscono la maggior parte della popolazione, una volta finito il loro lavoro consegnano i loro prodotti al tempio dove verranno ripagati con risorse utili alla loro sopravvivenza; infine ci sono gli schiavi che si trovano all’inizio della piramide sociale, essi sono uomini prigionieri di guerra o che non sono riusciti a pagare i propri debiti.

Adesso parlo un po’ di me e vi racconto la mia vita quotidiana…allora, questa mattina mi sono svegliata presto perché dovevo preparare i vasi con l’argilla che mia mamma aveva preso, ho modellato l’argilla con il tornio fino a farle prendere forma, poi l’ho messa a
cuocere nel forno.

Dopo di che sono andata col carro al “mercato” o, come lo chiamo io, centro di commercio e ho venduto i miei vasi a un mercante che li venderà a sua volta.
Dato che a Uruk gli alberi sono pochissimi, il legno vale quasi più dell’oro, ma siccome nella mia famiglia lavoriamo tutti, sono riuscita a barattare un carro, sfortunatamente per tutte le scorte di latte che il mio asino aveva fatto, ma non era un problema, si potevano sempre comprare.

Noi Sumeri siamo politeisti, cioè crediamo in tanti Dèi, uno dei Dèi più importanti è il mito di “Gilgamesh” l’eroe sumero che come ogni dio ha sembianze umane ma è in grado di compiere missioni straordinarie, si vocifera che egli compì un incredibile missione per
raggiungere Utnapishtim l’unico umano sopravvissuto al diluvio. Altri Dèi conosciuti dai Sumeri sono Inanna dea della terra, Enlil dio dell’aria, Enki dio delle acque ed Anu dio del cielo.

La scrittura dei Sumeri è cuneiforme cioè ha forme triangolari e cunei. Dato che noi Sumeri abbiamo la necessità di “registrare” i prodotti avevamo inventato la scrittura numerica, per ogni oggetto corrispondeva un gettone d’argilla, essa fu poi rinvenuta su dei sigilli che utilizzavamo per sigillare i vasi che contenevano i prodotti e su ogni sigillo era impresso un semplice simbolo.

Poi vennero i pittogrammi, difficili da scrivere e da imparare, quindi i saggi e i sacerdoti li semplificarono fino a farli diventare ideogrammi. Gli ideogrammi indicavano idee e azioni. Con il tempo la scrittura si facilitò, gli ideogrammi diventarono trattini con una forma simile ai triangoli e ai cunei: da allora la scrittura fu chiamata “cuneiforme”, costituita da seicento segni.

Con l’invenzione della scrittura nacque il lavoro dello “scriba”, per andare a scuola ci sono degli scribi a insegnare e gli assistenti hanno la frusta, siccome i bambini che disattendono alle regole o si fanno i fatti loro devono essere puniti. Ai Sumeri piace imparare sempre cose nuove, è per questo motivo che ci siamo specializzati in diversi campi:

in matematica abbiamo introdotto l’abaco, uno strumento capace di indicare le unità, le decine e le centinaia con semplici calchi paralleli, ogni solco contiene piccoli sassolini detti calcoli, questi ultimi servono per fare le operazioni aritmetiche.

Ora arriva la parte che preferisco: l’astronomia. I sacerdoti conoscono i cinque pianeti visibili a occhio nudo: Venere, Marte, Mercurio, Saturno e Giove.

Noi Sumeri, siamo molto intelligenti ed esigenti ed è proprio grazie a queste qualità che siamo riusciti a prevedere l’andamento delle stagioni e delle piene improvvise del Tigri e dell’Eufrate (le piene sono le fuoriuscite dagli argini).

In realtà siamo riusciti a prevedere queste cose grazie alla nostra capacità di osservazione notturna del cielo e dei fiumi. Abbiamo diviso (da poco) il tempo in unità di sessanta minuti e oltre tutto abbiamo inventato un calendario formato da dodici mesi, quindi che comodità le persone del futuro con tutte queste invenzioni… le abbiamo create noi!

In medicina, i medici, per curarci quando stiamo male usano rimedi e miscugli a base di erbe medicinali, nella speranza di guarire i pazienti.
I medici per curarci a volte usano una sostanza minerale come “l’ametista”, che può servire per esempio per curare forti mal di testa come l’emicrania.
Oltre all’ametista i Sumeri utilizzavano anche l’aloe vera per i benefici alla pelle, per disinfettare le ferite e per preparare
cibi genuini.

Adesso vi saluto, la mia giornata è finita. Vi ho descritto la mia giornata e il mio popolo, ma adesso è arrivato il momento di salutarci e per me di prepararmi per andare a letto, oh è vero, mi sono dimenticata di dirvi che il mio letto è un tappetino di pelle di
animale che si stende a terra e adesso con il riposo, mi preparo ad affrontare una nuova giornata…

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato nell’antica Mesopotamia.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Fingo di essere una bambina egizia

Hai mai immaginato di essere la figlia del faraone?

Beatrice ci propone questo racconto ambientato nell’antico egitto, in cui immagina di essere la figlia del faraone 😊

Fingo di essere una bambina egizia


Ciao a tutti, io sono la figlia del Faraone, il mio nome è Samira. Mio padre si chiama Akhenaton ed è simpatico con chi rispetta gli ordini, ma chi non li rispetta, non fa una bella fine…
I servi sono coloro che non hanno rispettato le leggi, che non sono riusciti a pagare i propri debiti e le persone schiave di guerra.
Mia madre era una nobile promessa sposa a mio padre, così è diventata regina: lei si chiama Nefrite ed è la donna più bella di tutto
l’Egitto.

Infine c’è mio fratello, il più piccolo della famiglia, si chiama Tutankhamon e sarà il prossimo Faraone dopo mio padre.
Io ho 6 anni, mentre mio fratello ne ha 5.

Mio fratello frequenta la scuola da quando aveva quattro anni, così hanno voluto i miei genitori. Lui ci ha raccontato che se qualcuno
disubbidiva alle regole, non venivano frustati, perché erano piccoli, però davano loro punizioni supplementari come rimanere fino alla
sera a scuola, oppure rimanere finché non avevano finito di pulire la classe.

Agli insegnanti non importava se i genitori dei bambini fossero il re e la regina, oppure nobili e funzionari: il compito dei bambini di quella età era andare a scuola dall’alba al tramonto.

Io durante la giornata vado a vedere che cosa fanno la mamma e il papà. La mamma chiacchiera con le donne nobili. Lei ha anche qualche amica artigiana che conosce da quando era piccola (essendo amiche, non le dava ordini). Il papà ordina ai funzionari di andare con il capo dell’esercito e agli scriba di controllare e a provare i prodotti artigianali, agricoli e via dicendo (perché dà qualche vizio ? anche a loro).

Dal momento che a casa non ho nessuno con cui giocare, vado a “spiare” mio fratello a scuola, per vedere cosa fa e vedo sempre qualcuno che si distrae. Siccome non ho voglia di vedere un bimbo che deve pulire tutta la classe dall’alba al tramonto, poiché sicuramente saranno puniti per la distrazione, me ne vado dalle mie amiche.

Quando qualche bambino mi fa pena, vado a chiedere a mio papà se può fare qualcosa, lui mi accontenta sempre (forse ispiro tenerezza, questa è una qualità da sfruttare).

Le mie migliori amiche sono Shira e Gohar. Shira è la figlia di due funzionari e Gohar di due contadini. Anche se apparteniamo a famiglie di livello sociale differente, siamo comunque amiche.

Quando mi annoio, gioco a palla con Gohar perché a lei piacciono molto gli sport La palla con cui giochiamo è fatta di cuoio con qualche disegnino ricamato sopra.

Con Shira, invece, giochiamo con bambole di pezza o di legno coi capelli di paglia, ma soprattutto di legno. Quando io, Shira e Gohar siamo tutte insieme ci divertiamo giocando con la corda: la nostra corda è fatta di filamenti di paglia intrecciati da tessuti
abbastanza resistenti come il “lino”, un tessuto usato anche per fare i vestiti o per mummificare i corpi dei defunti detti… mhmm…
credo che le persone li chiamino “mummie”.

Per essere così piccola sono orgogliosa di me stessa, io so scrivere i temi e adoro quello che faccio durante la mia giornata. Dato che mi piace molto scrivere, quando sarò grande il mio sogno nel cassetto è diventare la prima donna scriba di tutto l’Egitto, poter dire alla fine della mia giornata: “Bene per oggi è tutto”.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Beatrice Bonizzoni di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo racconto ambientato nell’antico egitto.
Beatrice ha anche un canale youtube in cui racconta le sue storie.

Il pozzo dei sogni ✨

Da dove nascono le leggende?

Quasi sempre da una storia pregressa, il cui fondo di verità viene impreziosito dalla umana fantasia, che rende una storia banale, degna di essere tramandata.
Cosa sono le fiabe se non che delle leggende articolate?
Spesso sono storie d’amore! Questa è una tenera storia d’amore. Che nasce da una leggenda!

Il pozzo dei sogni ✨


Un giorno, prima della storia, in un paese più lontano dell’oltre, viveva una principessa che tutti chiamavano, Cuor di miele.

La bella principessa era sempre buona e gentile con tutti e tutti la ricambiavano con infinito Amore e riconoscenza.
Ella viveva in uno splendido castello con il suo principe William che adorava. Il principe, innamorato come pochi altri al mondo, la ricopriva di attenzioni.

Ma accadde, e accade ancora, che talune sventurate persone, oppresse dall’invidia, interpretano l’altrui felicità come la possibile causa della propria infelice condizione. Tanto li arrovella il tarlo da convincerli che, minando la felicità dell’altro, possano in qualche modo trovare la strada per la loro.

Così credeva una perfida strega maligna, di nome Mefista!
Mal tollerando la raggiante principessa, decise di farla vittima di un incantesimo.

Chiusa nella più profonda segreta del suo inquietante castello, la strega chiamò a raccolta tutte le sue conoscenze nelle magiche arti. Consultò antichissimi testi. Compose misteriose pozioni. Pronunciò incomprensibili formule e, infine, mise in atto il suo piano diabolico.

Curva, davanti al fetido stagno antistante il suo maniero, in una fredda e buia notte di novembre, diede inizio al rito magico. Tutto era stato preparato con cura e meticolosa pazienza.
Sulla superficie delle nere acque, la figura della principessa venne misteriosamente riflessa.

Poco dopo, si poteva distinguere nitidamente anche un cortile con un bel salice, un enorme e bellissimo pozzo e una coppia di splendidi pavoni. Un posto che Mefista conosce molto bene, poiché si tratta del cortile interno del castello reale, ove ella prestò la sua opera come veggente al servizio del Re, finché non venne cacciata per sospetta stregoneria.

Improvvisamente, una sfera luminosa sembrò fuoriuscire dalla testa della principessa. Lei sembrava non avvedersene ma, quella sfera luminosa era formata dall’energia di tutti i suoi sogni più belli e, la perfida Mefista, li stava nascondendo nel fondo del pozzo. Luogo da cui sperava non sarebbero mai più usciti.

Da quella notte, la principessa non poté più dormire senza avere degli incubi terribili, che sovente la destavano e rendevano sempre più difficile il suo riposo. Il tempo passava e sempre più spesso si svegliava urlando di notte, madida di sudore vittima, Dio solo sa, di quale terrificante demone.

Il principe, che l’adorava più della sua stessa vita, dopo aver consultato tutti i più eminenti studiosi del regno, in preda alla disperazione, decise di rivolgersi a colei che più esecrava tra tutti i suoi sudditi. La strega Mefista. Personaggio che egli stesso, aveva anni addietro esiliato nel bosco dove avrebbe dovuto meditare sulle sue nefandezze.

Era disposto a concederle qualunque cosa, pur di rendere la serenità e il sonno alla sua adorata compagna.
Così, prese un forziere d’oro, ben conoscendo la sua avidità, e si avventurò all’interno del bosco. Giunto al cospetto della strega, la pregò di intervenire con una pozione o quant’altro di magico, ma questa prese il forziere e, promettendo che avrebbe fatto qualcosa nei giorni successivi, lo cacciò in malo modo.

Il principe rientrò alla reggia, deluso e sconfitto, non confidando affatto nelle parole della strega. Appena varcate le alte mura di cinta, il suo udito, ormai avvezzo ai lamenti della sua amata, non gli risparmiò la conferma che ancora un incubo, la stava torturando.

Sciolse la fascia che teneva avvolta intorno alla vita e si approssimò al pozzo con l’intenzione di bagnare la stoffa, con la quale detergere poi la fronte della sua compagna, certamente imperlata di sudore. Ben sapendo, ormai per esperienza, che la qual cosa le avrebbe dato sollievo!

Giunto davanti al pozzo, si concentrò in una preghiera e, quando si chinò sul bordo per attingere dell’acqua, ebbe l’impressione di intravedere sul fondo, sotto la superficie dell’acqua, uno strano baluginio.

Sulle prime, pensò che si trattasse di uno scherzo della luna, il cui riflesso sull’acqua del pozzo creava sovente curiosi giochi di luce. Quando però realizzò che la sua ombra non sembrava rappresentare un ostacolo alla luce nel pozzo, trasalì!

Quella luce, non proveniva da fuori ma, sembrava scaturire dal fondo stesso del pozzo. Allora il principe, trasse una moneta dalla tasca della sua giacca e la gettò giù, come per saggiare l’effettiva profondità del pozzo, e verificare nello stesso tempo come ciò avrebbe influenzato quel curioso riflesso. Con sua meraviglia, vide la moneta brillare in modo innaturale per tutto il suo percorso fino a scomparire nell’acqua. Quella cosa, qualunque essa fosse, non era nell’acqua, ma al di sopra di essa.

William chiamò il suo scudiero e gli ordinò di aiutarlo a calarsi nel pozzo. Questi, da principio pensò che il principe fosse impazzito ma poi, di fronte alla sua determinazione obbedì.

Il principe, saldamente legato ad una corda fissata alla sella del suo cavallo cominciò a scendere nel pozzo. Più scendeva più il suo corpo sembrava emettere una tenue luce azzurrognola. Quando fu sul punto di toccare l’acqua, i suoi occhi si erano ormai abituati a quella strana luce. Guardò verso l’alto e rimase esterrefatto!

Come dei fantasmi, interi villaggi, persone, animali e cose, galleggiavano nell’aria fatti di sola luce! Inizialmente, il terrore sembrò pervadere tutto il suo corpo. Ebbe l’impulso di tornare in superficie in tutta fretta ma, si trattenne da questo proposito quando gli sembrò di scorgere, nelle immagini davanti a lui, qualcosa di famigliare. Inoltre, guardandole bene, quelle scene erano così serene da infondere un piacevole senso di pace!

Istintivamente William, comprese che non aveva nulla da temere da quella situazione e, cancellata la paura iniziale, riconobbe con facilità la tenuta dei genitori di Cuor di miele. La casa dove era cresciuta da bambina. Anzi, la bimba che ora si vedeva proprio nel mezzo della scena, con i capelli raccolti in una bella treccia nera, non poteva che essere lei!

Il signore, che dolcemente l’ accompagnava tenendola per mano era certamente il padre, suo suocero. Certo, molto più giovane, ma era senz’altro lui! Quelle due figure eteree, passeggiarono sul Prato fino a raggiungere un grazioso pergolato che, il principe William non aveva mai visto prima ma, ne era certo, doveva essere il pergolato estivo che tante volte Cuor di miele gli aveva descritto, andato poi distrutto a causa di un incendio. Giunti al pergolato, era possibile vedere ora una piccola tavola imbandita con dei vassoi, sui quali erano disposti con cura, dei piccoli, variegati panini.

Ma certo!
Il principe William stava assistendo ad uno di quei giorni di festa che tanto erano rimasti nel cuore della principessa al punto che spesso tornavano nei suoi sogni. Giorni quelli, in cui il padre le dedicava il suo tempo e le offriva dei panini farciti di cui tanto era golosa, il cui sapore non ritrovò mai più!

La scena, cambiò di colpo. William sembrò improvvisamente circondato da un lussureggiante bosco, fitto come non ne aveva mai visti ma, inspiegabilmente luminoso.

Ecco che, all’improvviso, da una siepe saltò fuori una lepre dal muso incredibilmente espressivo. Lo fissò a lungo con i suoi inquietanti occhi gialli, prima di mettersi a recitare, con buffa espressione saccente, alcuni versi di un classico della letteratura. William, non seppe trattenere una sonora risata. Proprio come avvenne quando la Principessa gli aveva raccontato, nei minimi dettagli, ciò che lui stava vedendo ora!

Lo scudiero, in cima al pozzo, udite le risa del principe, si preoccupò e diede una voce. Il Principe lo tranquillizzò e lo pregò di farlo risalire. Aveva capito cosa stava osservando! Anche se non sapeva spiegarselo! Evidentemente, nel pozzo, vi erano i sogni della principessa. Quei sogni che non sembrava più in grado di fare!

Di certo, sapeva però, che questo prodigio doveva essere la causa del malessere della principessa. Era inoltre, altrettanto certo che un simile maleficio non poteva che essere opera di Mefista!

Una volta fuori dal pozzo indossò la sua armatura, l’elmo, la spada, prese il più veloce dei suoi cavalli e, correndo più veloce del vento, tornò sulla strada che conduceva alla magione della perfida Mefista.

Lungo la strada, di tanto in tanto, portava la mano sull’elsa della spada, in collera con se stesso al pensiero che solo poche ore prima, si era recato da lei con dei doni.

Irruppe nel castello con la violenza di un animale feroce.
La strega, vista la sua determinazione trasformò i pipistrelli del castello in tre draghi, che il principe sconfisse uno dietro l’altro, sorprendendosi egli stesso di come vi riuscì!

Salì i gradini della torre, dove nel frattempo si era barricata la strega, quattro alla volta.
Giunto davanti alla pesante porta chiusa dall’interno, estrasse dalla sua borsa la ghiandola di drago, asportata all’ultimo dei tre draghi uccisi e ricolma di liquido altamente infiammabile prodotto da quell’animale. La ruppe davanti alla porta, spingendo il liquido sotto la stessa. Mefista dall’interno, vide il liquido entrare da sotto la porta e, riconosciutone il tipico odore, intuì immediatamente le intenzioni di William e scoppiò in un pianto irrefrenabile.

Il principe, le intimò di aprire la porta senza indugio alcuno e, la strega, spaventata dalla prospettiva delle fiamme obbedì.
William spalancò la porta, entrò nella stanza, ed afferrò Mefista per i capelli in un unico fluido movimento.

Sguainata la spada, ne accostò la lama alla gola della strega, che ora aveva perso tutta la sua arroganza. William esercitò sulla spada una pressione sufficiente da evocare il pensiero della morte, e con esso il doveroso rispetto che la triste mietitrice incute anche e soprattutto nelle streghe.

Con esasperante lentezza, il principe, avvicinò il suo viso all’orecchio di Mefista, trattenendola sempre saldamente per i capelli. La sua voce, tremante di rabbia, risuonò come un sibilo roco nella testa di Mefista. Quella voce, le spiegava cosa aveva scoperto e non avendo bisogno di conferma alcuna, sentenziava la sua condanna a morte. Ma ciò che terrorizzò definitivamente la strega, fu la promessa che l’avrebbe tenuta in vita finché non avesse tolto l’incantesimo alla principessa. Il tono della voce di William, lasciava intendere che questo sarebbe stato persino peggio della morte per lei!

Così la strega confessò di essere l’artefice del sortilegio, e spiegò tra le lacrime che lei stessa non poteva far nulla per ridare alla Principessa i suoi sogni. Solo il “libro bianco dei buoni propositi” conteneva la formula che avrebbe infranto l’incantesimo. Purtroppo questa da sola non sarebbe bastata, se a leggerla non fosse stato un uomo dal cuore sinceramente innamorato. La pena, per chi avesse osato leggerne i contenuti, senza essere sinceramente innamorato, sarebbe stata quella di cadere anch’egli nel limbo del perpetuo incubo.

Il libro era nascosto nella parte più profonda del bosco e cercarlo, significava dover affrontare i peggiori personaggi generati dalle tenebre.

Il principe, trascinò allora Mefista con se all’interno del bosco, e con l’aiuto della strega, combattendo contro indicibili difficoltà, trovarono “il libro bianco dei buoni propositi”.

Il volume sembrò enorme agli occhi del principe che, rimase invece decisamente meravigliato nello scoprire quanto fosse sorprendentemente, leggero!

Tanto leggero, da rimanere sospeso a mezz’aria, come se volasse. Con estrema delicatezza il principe lo aprì e con suo grande stupore, scoprì che nulla vi era scritto. Tutte le pagine erano bianche. Si voltò inferocito verso Mefista, pretendendo una spiegazione e questa arrivò prontamente. Nessuno può leggere il libro bianco! Esso si svela di volta in volta che lo si interpella, generando l’incantesimo necessario.

William non ne aveva bisogno per se ma per la sua principessa! Era quindi necessaria la sua presenza per poterlo leggere.
William rientrò alla reggia. Fece rinchiudere Mefista in attesa della sua sorte e corse dalla sua principessa.
Sicuro del suo Amore, non temeva per se alcun male! Scese da cavallo, con il libro sottobraccio, più per trattenerlo dal volar via che per sostenerlo.

Si adagiò affianco alla sua principessa, la prese per mano, la baciò con tenerezza, e aprì il libro che teneva sulle sue ginocchia. Per incanto le parole cominciarono a comparire sul libro, come vergate da una mano invisibile. Dopo un breve momento di meraviglia, il principe cominciò a recitare le belle parole scritte nel libro.

Amore mio!
Adesso, Amore mio,
Chiudi gli occhi piano piano
E immergiti nel sonno, così come si entra nell’acqua,
Il più bello dei sogni ti accoglierà!
Chiudi gli occhi e abbandonati tra le mie braccia, nel tuo sonno non dimenticarmi mai!
Amore mio!
Io sarò sempre al tuo fianco, a difenderti, ad Amarti.
Ascolta il mio cuore!
Ti accompagnerà nel tuo sereno viaggio.
Chiudi i tuoi occhi scuri, nei quali io mi perdo.
Chiudi quegli occhi, ove arde una
fiamma che illumina la mia vita.
Lascia che il caldo abbraccio del sonno
Sfiori la tua pelle così morbida e profumata.
Lascia che le mie carezze giungano a te anche
attraverso il sonno così da avvertire la mia presenza.
Ricorda che nulla hai da temere,
poiché nulla può spegnere il nostro
Amore.
Amore mio!

La principessa, chiuse gli occhi e si lasciò finalmente rapire da un sonno, tranquillo e profondo tra le braccia del suo principe. Ricco di sogni bellissimi.
William era, stordito!

Non solo la sua principessa dormiva tranquilla, come ormai non faceva più da tempo, ma le parole che aveva appena letto nel libro, erano si apparse nel libro stesso ma, lui le aveva sentite uscire dal suo cuore!
Era dunque questo il potere del libro! Trasformare i buoni propositi in concrete realtà, usando l’Amore come magica fonte d’energia?

Trascorsero molti anni felici.
La grazia fu concessa alla perfida strega Mefista che, per mezzo del libro bianco dei buoni propositi, fu privata di tutti i suoi poteri è rispedita in esilio nel bosco.

Da allora, i sudditi del regno, si recano di frequente al pozzo che sorge al centro del cortile, dove si narra che, lanciandovi una moneta all’interno, esso possa esaudire i desideri di chi la moneta avesse lanciato!
Molti, sono infatti disposti a giurare che fu così, che la loro Principessa, per mano del suo Principe, ottenne il ritorno della serenità!

Da allora poi, tutti vissero felici e contenti!
Ogni volta in cui, il sonno della Principessa fosse minimamente turbato, il suo Principe si sdraia affianco a lei, le accarezza i capelli, e con infinita dolcezza, le sussurra.
Amore mio!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Guglielmo Morelli per aver condiviso con tutti noi questa bella fiaba. Illustrazioni di Fabio Faneschi.

Fiaba in rima 🏰

La cioccolata può essere un’arma molto potente…

Fiaba in rima 🏰


In un castello,
chiamato Bello,
viveva una principessina, piccina, piccina.
Quel castello era circondato da un ruscello,
un alberello,
fiori colorati
e muri di cioccolati!
I cuochi, a corte, come ne erano addolorati!
Ogni giorno dovevano preparare chili e chili di quel mangiare, perché, ahimè!
non si formava da sé.
I soldati nemici, diretti ad attaccare quel castello, si portavano non armi ormai, ma un cestello
e riempivano di cioccolato tutto quello.
Questa la tattica della principessina,
per assicurarsi pace vicina.
Tutti i nemici si lamentavano: “Ohibò! Che male che ho!” – un mal di pancia coi fiocchi,
che la principessina vedeva con gli occhi.
Questa tradizione tramandata le fu dal suo Re Padrone,
che con un aquilone
un giorno volò via in qualche direzione.
Invano la principessina tese la sua manina, pronunciando quella magia
che si sentiva in tutta la via:
“Abbullu! Ubballa! Fa che torni qua! “.
Sparito,
ma il suo Re Padrone
in quale cittadone
aveva posato il suo aquilone?
Questa volta con quale altra ideina salvava il castello di qualche regina?
Non più muri di cioccolato,
ma montagne di gelato?
La principessina trovò il suo coraggio
e si avventurò in un viaggio.
Ogni notte nella cabina della sua dorata nave,
domandava ad Ave, la fata in cui confidava,
dove il Re si trovava.
– Siamo troppo lontane, nulla sento se non del vento. –
La principessina si disperava
e intanto vagava.
Un giorno pensava al castello chiamato Bello,
alla felicità che sta là e al re lontano;
quando vide un nano,
che camminava sull’acqua, con un naso strano.
– Questo naso, per un caso sembra di raso! –
La principessina chiese: “Quelle botte come le hai prese?”
– E’ solo uno sfogo, che come un rogo, brucia, a me goloso.
Vicino al castello di quel paesello,
(con un dito indicò la costa)
ci sono montagne di castagne zuccherate e caramellate.
I nemici e non solo, cha altro fare se non mangiare ed abbuffare?
E in questo modo si tiene distante il brutto, il cattivo e il furfante! –
“Ecco perché il mio Re, ohimè, è volato lontano da me.
Questa è la sua missione:
portare al massimo mal di pancia, ma non battaglione!”

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Cristina Mori per aver condiviso con tutti noi questa fiaba scritta in rima.

La tartaruga contadina 🐢

La verdura meglio non cercarla in spaggia!

La tartaruga contadina 🐢


C’era una volta una tartaruga di nome Titti.

Titti era piccola e aveva tanti puntini sul guscio, trascorreva la maggior parte del tempo a piantare dei semini piccolissimi che riuscivano a vedere soltanto le aquile!

Come creava questi semini? Accanto alla sua tana c’era un orto di un contadino ed ogni tanto Titti andava a raccogliere i semi che lui piantava, li sminuzzava nella bocca e li portava nella sua tana.

Nel suo piccolo orto c’erano pomodori, carote e tante altre verdure minuscole.

Un giorno la sua amica Scrash l’aveva invitata al mare (Scrash viveva sulla spiaggia!!!! ). Titti si preparò per andare in spiaggia ma non portò nessuna verdura e quando arrivò se ne pentì perché si accorse che in spiaggia non crescevano carote e pomodori ma c’era una cosa che era ovunque …. SABBIA!

Scrash le andò incontro e le disse: “Ciao Titti! Vieni a fare un bagno?”.
“Ciao a te Scrash! Io però non so nuotare!”
“Dai che è facile”. “Ma io…”.
“Vuoi le verdure si o no? E allora andiamo”.

Scrash fece aggrappare Titti ad un pezzo di gommone che era stato abbandonato sulla spiaggia e le insegnò a nuotare.

Ma a Titti aspettava una brutta sorpresa…le verdure erano:
1 appiccicose come colla,
2 viscide come un’anguilla,
3 la cosa che disgustava Titti era che avevano un colore sgradevole!

Titti tornò a casa felice di aver trascorso un giorno con la sua amica e di aver imparato un po’ a nuotare.

Sarebbe tornata in spiaggia ma portandosi le sue deliziose verdure!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia Venturi di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il bambino che voleva fare tutti gli sport ⚽🏀🎾🏐

E’ bello voler fare tutti gli sport, ma a volte bisogna saper scegliere!

Il bambino che voleva fare tutti gli sport ⚽🏀🎾🏐


C’era una volta in un piccolo paese della città di Cleda, Simone.

Simone voleva fare tutti gli sport che conosceva ed erano tanti.

Voleva fare Calcio, voleva fare Basket, voleva fare Tennis, voleva fare Pallavolo e tanti altri.

Glie lo diceva ogni giorno a sua madre ma lei naturalmente diceva sempre no. Ma Simone insisteva.

Sua mamma si era stancata che Simone ogni giorno glielo chiedeva e quindi un giorno lo fece iscrivere a tutti questi sport per far capire a Simone che non era bello fare tutti questi sport.

Simone cominció il primo giorno di Calcio. Finí alle 4:30 e lui era già molto stanco ma alle 5:00 aveva Basket e alle 6:30 aveva Pallavolo.

Simone andò a tutto gli allenamenti e quando tornò a casa era cosí stanco che si buttò sul letto e si addormentò subito senza neanche cenare e fu cosí tante altre volte.

Poi a volte aveva le partite di Calcio e di Tennis allo stesso orario e doveva decidere che lezione saltare.

Dopo 2 mesi che continuava cosí decise di smettere e scelse di fare solo gli allenamenti di Basket che era il suo sport preferito.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Antony di 12 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La bambina che non voleva andare a scuola 🎒

Non si inventano scuse per non andare a scuola…

La bambina che non voleva andare a scuola 🎒


C’era una bambina che si chiamava Diana e non voleva mai andare a scuola.

Inventava sempre scuse, una volta si sentiva male una volta aveva dormito poco, e inventava molte altre scuse ma in nessun modo voleva andare a scuola!

Ma dopo più di due mesi che lei inventava sempre scuse una sera la mamma sentì Diana dire dire tra sè e sè:

“la mia mamma ci casca sempre e da più di due mesi che invento sempre scuse”.

La mamma per punizione non la fece uscire più per due mesi, a parte per andare a scuola.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Lisa di 9 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Di pesce in pesce… 🐠

Bisogna sempre capire quando è il momento giusto per agire!

Di pesce in pesce… 🐠


C’era una volta un pesce di nome Mao.

Mao era piccolo piccolo, rosso, con due strisce viola.

Un giorno mentre nuotava tranquillo vide un pesciolone che gli stava dietro, dopo un po’ vide che c’erano altri 3 pesci, uno più grande dell’altro, alla fine erano 5.

Il piccolo Mao decise che era ora di agire. Andò dove un galeone navigava e c’era rimasto un minuscolo spazio dove entrava solo lui ed entrò, gli altri invece:

1. Andarono a sbattere come una frittata di pesce!
2. Si ruppero tutti i denti!
3. Vennero pescati!

E il pesciolino vedeva tutto e ritornò a casa sano e salvo!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La scarpa imbrogliona 🥾

Meno male che a volte le scarpe hanno i buchi nella suola!

La scarpa imbrogliona 🥾


C’era una volta un gatto di nome Piripì.

Piripì aveva 12 anni e mezzo e non andava mai a scuola.

Era magro, sempre affamato, con poco pelo e la sua caratteristica era di avere una coda a strisce bianche e nere.

Un giorno mentre passeggiava vide un topolone che mangiava una fetta di fontina, Piripì si accovacciò dietro un masso verde, però non si era accorto che il topo Michelangelo aveva una scarpa a pochi metri di distanza, e lì cominciò l’inseguimento.

Finalmente il topino riuscì ad entrare dentro la scarpa, il gatto mise la testa dentro e per quanto spinse la testa gli si ruppero i pantaloni, il gatto Piripì si mise in piedi e aprì la bocca.

Il topo Michelangelo però era riuscito a trovare un buco nella suola e ci si infilò dentro e scappò.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Giulia di 7 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

La storia del principe azzurro 🤴

Da un piccolo seme, e dal buon cuore, può anche nascere la vita!

La storia del principe azzurro 🤴


C’era una volta, sulla strada, un piccolo semino tutto blu. Di lì passò un signore molto bello e ricco, ma avido e cattivo. Quando vide il semino gli diede un calcio e se ne andò via.

Poco dopo passò un povero contadino dal cuore puro e gentile, che quando vide il semino decise di raccoglierlo e di piantarlo nel suo giardino.

Passarono molti anni e il contadino morì; il piccolo seme era diventato un grosso e bellissimo albero dalle foglie blu; la moglie del contadino decise di mettere in vendita la casa, e di andarsene ad abitare con suo figlio.

Dopo un po’ di giorni, passò di lì il ricco signore che col tempo era diventato buono! Capì subito che quell’albero era il piccolo seme che aveva calciato per strada tanto tempo prima, decise di comprare la casa e la trasformò in un castello.

Curò l’albero come se fosse stato un figlio; poi un giorno, quando il signore ricco era da tempo molto vecchio, si mise a pregare e disse:

– Oh Dio, lo so che non sono stato un buon uomo, ma ti prego regala a questo albero vita umana.

Dopo di ciò le radici dell’albero iniziarono ad avvolgere l’albero, e da lì spuntò un bambino bellissimo, dai capelli castano chiaro e gli occhi di un blu come il mare, aveva anche un cuore buono, e così nacque il principe azzurro.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Arianna Bossi di 10 anni per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Il talent del mare 🌊

L’unione fa la forza, e a volte si trovano anche degli amici per tutta la vita!

Il talent del mare 🌊


C’erano, una volta, in un fondale marino incantevole, un polpo danzatore di colore viola intenso e una pesciolina pagliaccio dalle sfumature arancioni molto abile nel canto.

Un giorno i due amici decisero di unire le loro passioni e partecipare insieme al “Talent del Mare”.

Si prepararono con impegno ma vincere non era facile perché gli altri partecipanti erano tutti molto bravi. Decisero allora di unirsi a un musicista.

Chiesero in giro agli amici pesci fin quando trovarono il candidato perfetto: un verde cavalluccio marino grande suonatore di tromba.

Era proprio il musicista ideale e il trio divenne perfetto: il polpo danzava muovendo con grazia i suoi tentacoli al ritmo della musica suonata dal cavalluccio marino mentre la pesciolina pagliaccio cantava soavemente.

Il giorno del “Talent” i tre emozionatissi, riuscirono a vincere la competizione tra gli applausi di tutti i partecipanti e rimasero grandi amici per sempre!

disegno di Ginevra
disegno di Ginevra

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia la piccola Ginevra Russotto da Agrigento, di 1^ elementare, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Samuele il bambino Bugiardo 🙄

A dire sempre le bugie poi si finisce per non essere più creduti, nemmeno quando si ha ragione!

Samuele il bambino Bugiardo 🙄


C’era una volta un bambino di nome Samuele.
Sua madre si chiamava Cristina, suo padre si chiamava Daniele e poi il suo fratellino di 5 anni che si chiamava Davide. Samuele aveva 8 anni, diceva sempre bugie, e quando succedeva qualcosa che aveva causato lui incolpava sempre il suo fratellino Davide.

Davide si era stancato delle sue bugie e cosí andó a dirlo ai suo genitori, ma Daniele e Cristina sapevano già tutto e quindi Davide gli chiese perché lo sapevano ma non facevano niente, loro gli dissero che volevano vedere se Samuele avrebbe continuato a dire sempre bugie o prima o poi avrebbe smesso.

Ma i genitori dissero a Davide: abbiamo capito che Samuele non avrebbe mai smesso ma infatti come vedi non ti stiamo mettendo più in punizione visto che da qualche mese sapevano che non eri stato tu.

Ma poi un giorno quando Daniele e Cristina videro che un vaso era rotto allora sono andati da Samuele a chiedergli chi era stato e come sempre Samuele disse che era stato il suo fratellino ma questa volta era vero!

I genitori però non lo credettero, Samuele provava a dirgli che non era stato lui ma Davide ma loro non lo ascoltarono e lo misero in punizione per tutta la vita per tutte le bugie che aveva detto.

Morale: Devi sempre dire la verità, se dici sempre bugie nessuno ti crederà più!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Antony di 12 anni e la sua mamma Cinzia per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto.

Vale il coraggioso 🧙‍♂️

Vale è un bambino coraggioso, e salverà il suo villaggio da un malvagio incantesimo.

Vale il coraggioso 🧙‍♂️


In un paese lontano lontano, abitava Vale, un bambino vivace e molto attento a quanto accadeva intorno a se, era sempre disponibile ad aiutare gli altri e la sua curiosità lo spingeva sempre a vivere nuove avventure. Verso la fine dell’inverno, proprio quando sarebbe iniziata timidamente la primavera, si verificarono fatti strani…

Molte delle persone che Vale conosceva, cadevano come per magia in un sonno profondo e nessuno riusciva a risvegliarsi. Preoccupato, decise prima che la magia facesse addormentare anche lui di chiedere aiuto al mago Salus, il saggio del villaggio, colui che tutto sa.

Preso lo stretto necessario Vale si incamminò alla ricerca della casa del mago, gli era stato detto dai suoi genitori che lo stregone viveva nella parte più fitta del bosco così, il bambino, deciso a risolvere quella situazione raccolse tutto il suo coraggio e camminò a lungo. All’imbrunire scorse in lontananza una lucina provenire da una piccola casa. L’abitazione era di pietra, dalla particolare forma leggermente arrotondata. Il tetto era nascosto dalla vegetazione molto fitta e la porta era priva della maniglia.

Vale bussò e ad aprirgli fu proprio il mago Salus, era altissimo e con una lunga barba bianca, si chiese come un uomo di quelle dimensioni potesse vivere in una casa così piccola, la risposta gli arrivò non appena entrò, da fuori poteva pur essere una piccola dimora ma dentro era enorme! Vedendo lo stupore sul volto del ragazzo, il mago gli disse che quella era una magia chiamata extendom, aveva il potere di far apparire le cose piccole all’esterno ma gigantesche all’interno.

La dimora del mago era semplice, con pochissimi mobili ma davvero tantissimi oggetti, c’erano centinaia di ampolle di tutte le forme e dimensioni, boccette con liquidi di ogni colore disposte di qua e di la e moltissime pentole dalle quali uscivano odori disgustosi. In un angolo vicino alla finestra il mago aveva una bellissima pianta luminescente, Vale incuriosito si avvicinò e vide appoggiato ad essa un carinissimo camaleonte, il mago avvicinandosi gli disse che si chiamava mug ed era il suo fedelissimo aiutante.

Dopo essersi guardato attorno per un po’, Vale iniziò a raccontare al grande mago ciò che succedeva al villaggio nella speranza che avesse una soluzione per lui.

Salus ascoltò con attenzione e quando Vale ebbe terminato il racconto si precipitò a rovistare in tutta la casa, lo stregone era saggio e molto esperto ma estremamente disordinato.

Un urlo proveniente dalla cantina fece sobbalzare Vale dalla sedia, era il mago che probabilmente aveva trovato qualcosa.
Entrando in cucina mise su di un grande tavolone un libro polveroso e ricco di misteriose scritte, dopo averlo sfogliato disse a Vale che sapeva perfettamente di chi fosse la colpa…

Del malefico Proteus, un mago malvagio dal potere di mutare forma in un battito di ciglia. Nessuno era in grado di riconoscerlo e scovarlo era impossibile, era conosciuto anche come un vero esperto di sortilegi del sonno che lui era solito fare per il puro gusto di fermare le persone felici.

Mago Salus però aveva una soluzione che nessuno aveva mai messo in atto.
Guardando Vale il mago ebbe la sensazione, quasi una premonizione, che sarebbe stato proprio lui che avrebbe sconfitto definitivamente Proteus, così iniziò ad illustrare al bambino lo stratagemma per la cattura del mago malvagio.

Innanzi tutto bisognava trovare il luogo dove Proteus si nascondeva dopo aver fatto la magia, poichè essendo sortilegi molto potenti aveva bisogno di riprendere energie.

Come tutti i maghi le energie gli venivano date dalla terra, quindi sicuramente aveva un nascondiglio nel bosco e Salus aveva un sistema veloce per trovarlo, una pietra scova maghi oscuri che aveva il potere di indicarti la posizione di qualsiasi mago. Dopodichè con molta astuzia e senza farsi sentire si sarebbe dovuto avvicinare e catturarlo con il lazo che tutto può e contemporaneamente pronunciare questo incantesimo.

“Orsù orsù d’ora in poi non muterai più!”. In questo modo se tutto coincideva con gli studi fatti da Salus, il mago sarebbe dovuto svanire come d’incanto.

Vale ascoltò e si annotò su di un taccuino l’esatta procedura per essere sicuro di non sbagliare e far dissolvere quel maleficio per sempre. Il bambino si sentiva pronto ad affrontare l’avventura ma aveva bisogno di un mezzo di trasporto per il viaggio che lo attendeva, così Salus portò Vale nel retro della casetta e gli presentò Cino un bellissimo destriero nero dal manto brillante.

Era il cavallo più veloce e coraggioso della terra, sarebbe stato un validissimo compagno per Vale che subito ci fece amicizia. Caricando tutto l’occorrente dentro lo zaino ringraziò il mago Salus e con la speranza di riuscire nell’impresa, i due partirono verso il fitto del bosco.

Camminarono per circa due giorni e ad un certo punto la pietra magica iniziò a lampeggiare ripetutamente con molta velocità, erano sicuramente vicini a Proteus! Dovevano essere cauti poichè anche se privo di energie era pur sempre un mago potentissimo.

Dopo pochi minuti la pietra si illuminò definitivamente e smise di lampeggiare, Vale si guardò attorno ma non vide nessuna casa e tanto meno alcun nascondiglio così, pensando alle parole di Salus immaginò le forme che avrebbe potuto assumere lui nel caso fosse stato nei suoi panni.

Il bambino pensò che l’unico modo fosse arrampicarsi su di un albero e prendere le sembianze di un animale temibile… sicuramente si era trasformato in un serpente di quelli velenosi e se ne stava tutto arrotolato su di un ramo!

Convinto della sua idea Vale iniziò con molta cautela a guardare ogni albero nelle vicinanze, senza allontanarsi troppo perchè la pietra aveva esattamente indicato quel luogo. Ad un certo punto scovò un albero ricco di rami e foglie e belli arrotolati su di esso c’erano una dozzina di serpenti, uno differente dall’altro e tutti molto grossi.

Vale deglutì ma si avvicinò comunque e guardò silenziosamente tutte le serpi. Il bambino essendo molto attento a tutto ciò che faceva, teneva già in mano il lazo che tutto può pronto a catturare immediatamente il mago qualora lo avesse individuato.

Purtroppo Vale non era un esperto di serpenti e non riusciva a trovare nessuna differenza tra loro che potesse fargli pensare che uno di essi fosse Proteus, così pensò che forse aveva avuto l’intuizione sbagliata, magari il mago si era trasformato in un altro animale o forse la pietra data dal mago non funzionava e il mago malvagio era da tutt’altra parte. Ebbe un attimo di sconforto e non si rese conto che qualcosa gli stava strisciando sui piedi…

In un batter di ciglio si sentì stritolare, aveva le caviglie bloccate, si guardò bene i piedi e vide una grossa radice che lo stringeva e immobilizzava! Il mago Proteus si era trasformato in un albero, la scelta più astuta che potesse fare!

Iniziò a ridere di gusto e strinse ancora più forte ma la sua forza era al limite, aveva utilizzato tutte le sue energie per addormentare gli abitanti del villaggio e gli serviva molto tempo per ritrovare tutta la sua potenza.

Vale aveva tutta la parte inferiore del corpo immobilizzata, cercò di prendere il lazo dalla tasca ma quando Proteus se ne accorse gli scagliò contro un ramo che gli immobilizzò anche il braccio, il bambino era allo stremo delle forze ma ad un certo punto vide un ramo diverso da tutti gli altri, guardò con più attenzione e si rese conto che non era un ramo bensì Mug che li aveva seguiti dalla casa del mago e per ordine suo sarebbe dovuto intervenire in caso di necessità.

Mug cercò di prendere il lazo dalla tasca ma non ci riuscì perchè Proteus iniziò ad oscillare talmente forte che lo fece cadere, ma il piccolo camaleonte velocemente riuscì a risalire sulle gambe del bambino e prese il lazo dalla tasca e subito lo scagliò sull’albero e contemporaneamente Vale gridò con tutte le sue forze: “orsù orsù d’ora in poi non muterai più!”.

Forti boati e accecanti fulmini seguirono le parole del ragazzo e poco dopo l’albero scomparve ed al suo posto apparve Proteus che si dissolse nel vento…

Vale provato dall’accaduto si stese a terra protetto dal possente corpo di Cino e si addormentò vicino al piccolo Mug che gli aveva salvato la vita.

All’alba i tre si svegliarono e si incamminarono verso la strada del ritorno con la sola speranza che aver sconfitto il mago oscuro avesse spezzato il maleficio.

Passati due giorni il bambino arrivò davanti alla casetta del mago che lo stava attendendo alla porta, scese da cavallo e gli corse in contro. Lo ringraziò per avergli mandato Mug perchè senza di lui non ce l’avrebbe fatta. Salus sorrise e gli disse che gli abitanti del villaggio si erano da poco svegliati e non ricordavano nulla dell’accaduto.

Vale felice e fiero di essere riuscito nell’impresa, restituì al mago la pietra cerca maghi oscuri, il lazo che tutto può ed infine con tristezza le redini di Cino… in quei giorni Vale e Cino si erano uniti molto, sembravano fatti l’uno per l’altro e Salus vedendoli insieme lo capì immediatamente, così disse a Vale che come ricompensa del lavoro svolto con coraggio e vista l’amicizia nata tra di loro, Cino poteva andar al villaggio con lui.

Il bambino felicissimo ringraziò il mago Salus con la promessa di tornare a trovarlo ogni settimana assieme a Cino e salutandolo un’ ultima volta si incamminò per la strada di casa.

Arrivato al villaggio vide che tutto era immutato, erano tutti svegli e tutti allegri come sempre. In lontananza vide la sua casa e la sua mamma che coglieva alcuni fiori dal giardino.

Scese dal destriero e corse tra le braccia della mamma che felice di quel gesto lo ricambiò con affetto. Vedendo il cavallo la mamma chiese a Vale dove lo avesse trovato e il bambino disse che era un regalo datogli per aver compiuto bene un lavoro, la mamma non chiese di più e Vale tenne per se la sua avventura. Era talmente felice che tutti stessero bene che quello gli bastava.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

Il gatto magico 🐱✨

L’avidità non porta mai a nulla di buono…

Quando si pensa solo ai soldi, dimenticando i sentimenti e la gentilezza, si finisce sempre per fare una brutta fine… meno male che Beatrice ha gatto magico!

Il gatto magico 🐱✨


Miele non era un qualsiasi gatto domestico, aveva una caratteristica in più, possedeva un potere speciale; di qualsiasi cosa avesse bisogno bastava che si concentrasse e il suo manto color dell’ambra si illuminava ed emanava un fascio di luce potentissimo che faceva comparire esattamente quello che il gatto aveva pensato, nessuno sapeva della sua magia, neppure la sua piccola padroncina Beatrice, una bambina di sei anni dolcissima.

Miele e Beatrice vivevano in un’elegante casa molto grande con la governante, la signora Eco, i genitori della bimba erano spesso via per lavoro e Miele era come un fratellino peloso per lei, con lui giocava, passeggiava e si scambiavano moltissime coccole.

Beatrice era una bimba indipendente e solare ma come ogni bambino sentiva la mancanza dei genitori e quando non erano a casa, la piccola stringeva a se la foto di mamma e papà che aveva sul comodino per sentirli più vicini, ma una sera la cornice le scivolò di mano e si ruppe in mille pezzi rovinando anche la fotografia.

Beatrice iniziò a piangere, nessuno riusciva a consolare quel pianto, neppure la signora Eco che di solito ci riusciva sempre. la bimba volle restare sola nella sua cameretta, insieme a lei rimase solo Miele che le stava accoccolato in grembo, il gatto sapeva che avrebbe potuto aiutare la piccola ma così avrebbe svelato il suo segreto. Era indeciso ma pensò a tutto l’affetto che la bimba gli donava ogni giorno ed era tempo di ripagarla. lei meritava di essere felice, così il gatto prese coraggio, scese sul pavimento e chiudendo gli occhi
pensò intensamente alla cornice, non passò che un’ istante e la stanza della bambina fu invasa da una luce accecante e.. puff! la cornice apparve nelle mani di Beatrice nuova nuova senza un graffio.

la bimba non credeva ai suoi occhi, era successo davvero o era uno dei suoi bizzarri sogni? si pizzicò il braccio e si accorse che tutto era reale… Attirato e seccato dal pianto della bambina il vicino di casa, il signor Money, si era affacciato alla finestra e fu spettatore di tutta la magia.

Essendo un uomo cinico, avido e senza scrupoli, pensò che con quel gatto tra le mani sarebbe divenuto ricchissimo!
il malefico Money aspettò il momento perfetto per entrare furtivamente nella casa di Beatrice e rubare Miele, così non appena la bimba uscì per recarsi a scuola, arrampicandosi dalla grondaia entrò nella stanza di Beatrice e in uno battito di ciglia Miele era finito dritto in un sacco e portato via alla velocità della luce, il gatto miagolava a si divincolava ma senza risultati.

Arrivato nella sua casa il signor Money scese in tavernetta e rinchiuse il gatto in una gabbia e senza perdere altro tempo ordino’ al gatto di pensare intensamente al denaro e fargliene comparire una lauta somma sotto gli occhi. il gatto impaurito obbedì e esaudì il suo desiderio.

Alla vista di tutto quel denaro il volto del signor Money si illuminò e come tutte le persone avide ne volle sempre di più, quindi ogni giorno fece ripetere la magia a Miele per ottenere e stipare sempre più denaro.

Nel frattempo Beatrice era disperata senza il suo Miele, non si era mai separata da lui da quando era entrato nella sua vita e non passava giorno che insieme alla signora Eco provava a cercarlo ovunque in città, passando anche davanti alla casa di Money, senza sentire che Miele miagolava disperatamente, perché dalla taverna non fuoriusciva alcun suono essendo insonorizzata.

Di giorno in giorno il signor Money diventava sempre più ricco, la taverna era ormai stracolma di soldi e la casa ricca di oggetti, ma si sentiva stranamente stanco, così un pomeriggio si sdraiò sul divano e per la prima volta osservò le sue mani con attenzione, erano rugose e macchiate, non le aveva mai viste così… corse in bagno si guardò e vide il suo riflesso, era invecchiato, aveva un
colorito grigiastro, si vedeva consumato ma non gli diede molto peso, la sua voglia di ricchezza era più forte di qualsiasi altra cosa.

Giorno dopo giorno peggiorava sempre di più, le forze erano allo stremo e con lui anche Miele si stava consumando, le energie erano sempre meno.

Un pomeriggio Beatrice, sconfortata dalle quotidiane ricerche del gatto, decise di passare di porta in porta a chiedere a tutto il vicinato notizie sul suo Miele. bussando alla porta del signor Money si accorse che era aperta e la bimba entrando chiamò il suo vicino. nessuno rispondeva ma un suono labile proveniva dalla taverna, la bimba spinta dalla curiosità scese le scale e non appena arrivò nella stanza trovò un vecchietto malconcio seduto a terra e girando lo sguardo vide nella gabbia il suo Miele, stanco e provato dallo
sfruttamento di quei giorni.

La bimba chiese al vecchietto dove fosse finito il suo vicino e con le poche forze rimaste il signor Money spiegò alla bambina ciò che aveva fatto. Le disse di aver rapito giorni prima il gatto dopo aver visto alla finestra il prodigio e lo aveva sfruttato giornalmente per la sua sete di denaro, senza accorgersi però di come quotidianamente si stesse consumando e così anche le energie del gatto, era disperato al pensiero della morte e avrebbe fatto di tutto per vivere ancora.

Beatrice che nel frattempo aveva liberato Miele e lo teneva in grembo, ascoltò con attenzione il vecchio signor Money e pensandoci attentamente capì di cosa avrebbe avuto davvero bisogno, guardando Miele si rese conto che il gatto era sfinito ma sapeva di dover chiedere un ultimo sforzo alla bestiola, così si chinò sul gatto e gli sussurrò qualcosa all’orecchio…

Con le ultime energie che gli restavano, il gatto fece ciò che la sua padroncina gli aveva chiesto e dal fascio di luce comparve un piccolo grazioso cucciolo di cane che corse verso il signor Money e gli si tuffò nelle braccia. immediatamente la luce emanata dal gatto si affievolì per sparire completamente, con lei sparirono anche i soldi ammucchiati nella taverna e la vecchiaia di Money.

Beatrice e Miele andarono a casa sicuri di aver donato al signor Money una seconda possibilità.
la vita pian piano tornò alla normalità e di tanto in tanto il gatto e la bambina sbirciavano il vicino dalla finestra, il signor Money era finalmente un uomo felice, l’affetto del cagnolino gli aveva insegnato ciò che nella vita era davvero importante.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

La volpe e le crostate 🥧

Le bugie hanno le gambe corte e, a quanto pare, pure il mal di pancia!

A Melania piace fare le crostate per mangiarle a colazione, ma quando al mattino si alza dal letto, qualcuno se le è già mangiate…

La volpe e le crostate 🥧


Melania era una giovane fanciulla che abitava in una piccola casetta in mezzo al bosco, circondata da altissimi alberi e bellissimi fiori.
Ella viveva da sola e trascorreva le sue giornate dedicandosi al suo hobby preferito: cucinare buonissime crostate.
Un bel giorno passo’ di li’ una volpe che, attirata dal profumino di una crostata di more appena sfornata, non ci penso’ due volte e si mise a bussare:

“buongiorno signorina, non ti voglio certo disturbare, ma c’e’ un lupo grosso e cattivo da queste parti, mi domandavo se da te potessi stare!” Disse, con aria da furbetta.
“ma certo, bella volpe, a farmi compagnia puoi rimanere, mi farebbe un gran piacere!”

La volpe si sistemo’ in un angolo della piccola cucina, tenendo sempre lo sguardo su quella succulenta crostatina.
“sai, ho sentito che il lupo mangia tutto cio’ che trova, ma non ti preoccupare, difendero’ io questa dimora!” Si rivolse a melania, che si tranquillizzo’ e lo zucchero a velo sulla crostata spolvero’.

“domattina con quel dolce faremo una bella colazione!”
Cosi’ melania saluto’ la volpe, che sembrava gia’ dormire e se ne ando’ a letto soddisfatta.
Ma non appena svolto’ l’angolo, la volpe si fece largo in cucina e in un sol boccone si mangio’ tutta la crostata.

Cosi’ la mattina seguente, grande fu la delusione quando melania si alzo’ per fare colazione.
“povera me, dov’e’ finita la crostata?” Chiese disperata; la volpe rispose, pronta e ridestata:
“non hai sentito alcun rumore? Non sai che gran spavento, e’ arrivato il lupo stanotte e se l’e’ divorata! Per fortuna sono riuscita a farlo allontanare!” Racconto’ quella tipetta, facendo credere a melania la storiella.

“e adesso cosa posso fare? Un’altra crostata per domani dovro’ preparare!” E cosi’, passo’ il pomeriggio a sfornare un’altra deliziosa crostata, questa volta alle fragole…ancora piu’ delicata.
Intanto la volpe, che si offri’ persino di aiutare, gia’ si immaginava il pasto da gustare.

Come il giorno prima, anche quella sera, la volpe e melania si salutarono prima di dormire.
La furbetta, aspetto’ che si fosse addormentata l’amichetta, si fece largo in cucina e in un sol boccone divoro’ la crostatina.
Il mattino seguente si ripresento’ la stessa scena; nuovamente grande fu la meraviglia quando melania trovo’ sopra la credenza solo le briciole e della torta alle fragole…era rimasta senza.

“quel cattivone e’ ritornato anche stanotte e stavolta l’ho cacciato col bastone, a suon di botte!”
“ti ringrazio mia cara amica volpe, ma di nuovo e’ sparita la crostata! Vorra’ dire che ne faro’ un’altra e pure la marmellata!”
Ando’ cosi’ per qualche giorno, melania che a sfornar crostate trascorreva il giorno e di notte queste sparivano inghiottite da un misterioso lupo che gironzolava li’ intorno.

“meno male che ci sei te, cara volpe, che difendi la mia casetta!”
“altrimenti a che servirebbe un’amichetta” rispose quella, sempre piu’ furba ed affamata.
Tuttavia a melania questa storia cominciava a non piacere ed a fondo voleva indagare.

Al pomeriggio preparo’ un’ennesima crostata, ma quando fu il momento di andare a dormire, lascio’ socchiusa la porta e si mise a sbirciare.
Non credeva ai suoi occhi! Quella volpe di nascosto mangiava le sue crostate e lasciava pure le briciole sparpagliate! E soprattutto, ironia della sorte, del lupo nessuna traccia quella notte.

Ma guarda un po’, diceva pure di essere amica…qui bisognava passare all’azione e dare alla volpe un’esemplare punizione.
Ci penso’ e ripenso’ finche’ le venne l’idea geniale! Preparo’ una crostata di lamponi, modificando un po la ricetta, l’avrebbe vista bella la sua amichetta!

“buonanotte, cara mia, come sempre sto a vegliare se per caso il lupo dovesse ritornare!”
“ma certo, so che di te mi posso fidare!” E, come la sera prima, socchiuse appena la porta e se ne stette buona in sordina a gustarsi la scena ben preparata, proprio come quella crostata.

Come previsto, l’astuto animale non si mise certo ad aspettare, si fece largo in cucina e con un sol boccone divoro’ anche quella deliziosa crostatina.
Solo che la mattina seguente la volpe appariva alquanto appesantita; questa volta non l’aveva mica digerita.

“ti e’ piaciuta?” Chiese melania, apparendo improvvisamente.
La volpe balbettava palesemente, sentiva di essere stata scoperta e non sapeva proprio che dire: “forse un po’ indigesta!”

“bene, almeno cosi’ sia a te che al lupo posso fare la festa”.
La volpe capi’ di aver sbagliato ad imbrogliare e a gambe levate e pure con il mal di pancia se ne dovette andare.

Morale della favola: le bugie hanno le gambe corte e, a quanto pare, pure il mal di pancia!
Non serve a molto fare i furbetti, tanto alla fine si viene sempre scoperti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Arianna Citron per aver condiviso con tutti noi questa bella favola.

Il carnevale è finito 🎉

Un racconto per comprendere le risorse dentro noi stessi ai tempi del Coronavirus

Il carnevale è finito 🎉


Il Carnevale è finito,è arrivata la primavera però per YOGHINO è tutto un pò strano. Ecco cosa pensa: nuova stagione e ho pure ancora i super poteri del carnevale ma non capisco come mai non riesco ad usarli, sono chiuso in casa e non posso uscire e correre incontro a tutti!

E poi non solo lui è in queste condizioni ma anche i grandi, i suoi genitori, quelli ancora più grandi i super genitori (nonni) e i suoi amichetti. Oramai è un pò di tempo che la gente si veste in modo strano, mascherine in viso, tute strane che certe persone indossano….

Dopo molti pensieri arriva un’idea a YOGHINO “Certo ho capito” dice a voce alta da solo davanti alla finestra della sua cameretta, “sono questi i momenti in cui invece devo mettere
in moto i miei super poteri e riuscirci. E’ un lungo Carnevale siiii è proprio cosi!”

YOGHINO come sempre capisce che tutto è molto semplice, basta pensare a ciò che lui è ed ha in quel momento in casa e cioè esattamente tutto il mondo e l affetto, i giochi e
le persone che ci sono fuori. Questo è il suo super potere, finalmente può usarlo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Sonia Fiscaletti, insegnante di Yoga, per aver cndiviso con tutti noi il suo racconto

Il nostro personaggio si chiama YOGHINO 🧎

Un racconto per esprimere la propria fantasia

Il nostro personaggio si chiama YOGHINO 🧎


Il nostro personaggio si chiama YOGHINO,immaginatelo come volete,alto, basso, piccolo, grande, magro, paffutello,biondo,moro,rosso,nero,giallo,potrebbe essere uno di voi e potresti essere proprio TU…

C’era una volta,anzi c’era,anzi c’è una città magnifica dove tutto è come si desidera.

Il sole? Tanto sole, i giochi? Tanti… palloni, biciclette, fiori, prati, insomma tutto ciò che si può non solo volere ma anche immaginare.

Ogni giorno il nostro caro piccolo YOGHINO guarda tutte queste meraviglie dalla sua città che invece è grigia e vuota… è meno… meno tutto ahimè!

Come arrivare di là? Come raggiungere quel posto così felice e colorato?

C’è una montagna altissima e una più piccola che lo separano da quell’incantevole paesaggio.

E allora tanti pensieri idee e progetti nella testa del nostro piccolo per poter superare la distanza che appare insormontabile tra le due città.

Ma guardando meglio e con più attenzione ecco che gli occhi del nostro piccolo YOGHINO sono attratti da un pezzettino di legno, si, si, proprio così è proprio un ponte un ponticiattolo!

Uaooo tutto diventa semplice, un passaggio e potrà sempre andare tornare e riandare nella sua città fantastica ogni volta che vorrà!

E così sole, si tanto sole e giochi, si tanti… e tutto ciò che si può non solo volere ma anche immaginare.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Sonia Fiscaletti, insegnante di Yoga, per aver cndiviso con tutti noi il suo racconto

Sofia e la ninna nanna della luna 🌙

Una dolce fiaba per aiutare i bimbi ad addormentarsi

La piccola Sofia non riesce proprio ad addormentarsi, meno male che la Luna, con la sua magia, riuscirà ad aiutare lei e i suoi genitori a farle prendere sonno serenamente.

Sofia e la ninna nanna della luna 🌙


Ogni sera Sofia proprio non ne voleva sapere di fare la nanna, la sua mamma impazziva per cercare di farla addormentare, tra pannolini e biberon: iniziava a strillare, il suo visino diventava rosso rosso, i sottili capelli neri le si scompigliavano.

Tutte le notti la stessa storia, ore ed ore per tentare di farle prendere sonno nel caldo lettino.

Fino a che, la notizia, giunse all’orecchio della luna.

Preoccupata, decise di andare in soccorso ai genitori di Sofia e portare un po’ di serenità alla piccola.

Una notte, mentre intorno tutto taceva, la luna entrò con luminosi raggi all’interno della stanza, sfiorò delicatamente le paffute guance di Sofia, con grandi braccia l’avvolse nella coperta di polvere di stelle iniziandola a cullare e cantandole una ninna nanna.

La bimba aprì gli occhi e le fece un grande sorriso.

“Dolce amica, vieni, ti farò conoscere il mio mondo incantato” disse la luna.

Prese Sofia per mano e insieme attraversarono una porta ricoperta di diamanti e pietre preziose. Improvvisamente comparvero tante fate vestite di azzurro, buffi maghetti con lunghi cappelli, piccoli gnomi intenti a raccogliere pezzettini di stelle cadenti.

La bambina si guardava intorno meravigliata.

Poi le strane creature lunari, si misero a cantare con voce soave.

Dormi dormi piccina mia
fai la nanna insieme a noi
noi che ti porteremo in posti incantati
andremo per mari blu
arriveremo piano lassù
lassù cavalcando le stelline
volando più in alto del cielo
affinché questa notte
tu sognerai serena.

Per un mese, la luna andò a fare visita alla sua amica Sofia, cantando questa ninna nanna.

Ora la bambina non fa più i capricci per andare a dormire e la mamma finalmente può riposare tranquilla.

Sofia sa che prima o poi, la luna ritornerà a farle compagnia e chiude gli occhietti, felice.

⚜ Fine della fiaba ⚜
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di educazione e rispetto per la natura da coltivare fin dalla tenera età.

www.ritabimbatti.it


La storia del signor Tempo 🕑

Come spiegare il concetto di tempo e il passare delle stagioni ai bambini

Con il passare delle stagioni, il mondo si trasforma e scatena la curiosità dei bambini. Questo racconto può aiutarti a rispondere a domande sul come e il perché i periodi dell’anno sono diversi tra loro. E non c’è risposta migliore di una fiaba, visto che ti permette di spiegare al tuo bimbo la realtà e aiutarlo a crescere e comprendere il mondo, senza però allontanarlo dalla sua fantasia.
Qui sotto trovi sia il video che il testo, buon divertimento!

Guarda la videofiaba raccontata da Silvia

🔊 Ascolta qui l’audiofiaba della storia del signor tempo:

La storia del signor Tempo 🕑 storia completa


– Mamma, quanto è lunga un’ora?
– Mamma, quante sono cento ore?
– Ma quando finisce il tempo?…
Chiedeva spesso Dino alla sua mamma.
La mamma, un giorno, decise di rispondergli raccontando la storia del signor Tempo.

C’era una volta, tanto tanto tempo fa, in un paese molto molto lontano, il Signor Tempo. Era un uomo buono ma girava per le vie sempre imbronciato e scontento perché, a suo dire, i giorni trascorrevano tutti uguali. Il suo sogno era quello di creare nelle giornate cambiamenti e varietà, per stupire gli uomini ma soprattutto i bambini.

Decise allora di rivolgersi ai suoi quattro cari amici poiché lo aiutassero a realizzare questo suo grande desiderio. Cosi tutto sarebbe diventato più bello e vivace. Bastò chiamarli a gran voce una volta per vederli arrivare immediatamente: il Vecchio Soffione, il Mago Nevoso, la Strega Terriccia e la Fata Ondina. Lo ascoltarono attentamente mentre esponeva il suo problema e al volo ciascuno di loro aveva già trovato la soluzione.

– Io sono il Vecchio Soffione e la cosa che so fare meglio, come dice il mio nome, è soffiare per far arrivare il vento. Il vento porterà le nuvole in cielo, farà cadere le foglie degli alberi e i ricci con le castagne. I bambini si divertiranno a raccoglierle! Così facendo porterò l’autunno, la stagione delle foglie rosse, gialle e arancioni, della ripresa della scuola e degli animali che vanno in letargo.


– Io sono il Mago Nevoso e porterò ; con me il freddo e la neve. Arriverà l’inverno, la stagione in cui tutti dovranno coprirsi ben bene. I bambini potranno giocare a palle di neve aspettando l’arrivo di Babbo Natale!

– Eccomi qua, è arrivato il mio turno! Sono la Strega Terriccia, una strega buona s’intende. .. Io gironzolo qua e là sussurrando alla terra, ai fiori, agli alberi e alle tartarughe: “Sveglia. .. sveglia… sveglia”. Tutta la natura, ascoltando il mio richiamo, si risveglia con gioia perché è in arrivo la primavera. La stagione dove tutto rifiorisce, dove tutto si colora! Dove tutti i bambini possono finalmente tornare a giocare nei prati e nei parchi.

– Ora tocca a me! Sono la Fata Ondina. Dopo la primavera io porterò l’estate, la stagione del sole, del mare e del gelato. È il tempo più spensierato e allegro, con i bambini che si godono la vacanza e il caldo.
Il Signor Tempo accolse tutte queste idee e con aria soddisfatta disse:

– Bene, bene. Faremo proprio come voi proponete. Arriverà l’autunno e poi l’inverno. Dopo sarà il tempo della primavera a cui seguirà l’estate. E così Via, in un susseguirsi senza fine. Allora, amici miei, mettiamoci al lavoro! Uno per tutti e tutti per uno!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia la psicopedagogista Gabriella Arcobello per aver condiviso con noi questa fiaba molto educativa.

L’orso e il cupcake 🐻🧁

Fidarsi è bene ma fare attenzione è meglio!

Fare gli scherzi ai propri amici è molto divertente, però bisogna sempre ricordarsi di fare scherzi che non siano pericolosi per gli altri.

L’orso e il cupcake 🐻🧁

C’era una volta un orso che cercava cibo.

Lungo la strada incontrò un baule. L’orso in quel momento pensó che dentro il baule ci fosse qualcosa da mangiare. Così, decise di aprirlo e dentro trovò un piccolo regalino . All’interno del pacchetto c’era un piccolo cupcake; l’orso aveva così tanta fame che se lo mangiò.

Il suo amico riccio gli aveva fatto uno scherzo: il cupckake non era normale, era diverso, perchè era avvelenato con una pianta particolare che però non era velenosa. L’orso, pensando che il suo amico fosse un po’ birichino era sicuro che il riccio gli avesse fatto uno scherzo. Il riccio se la rideva del fatto che il suo amico orso avesse mangiato questa tortina speciale.

L’orso, vedendo passare il suo amico riccio tutto contento, capì che era tutto uno scherzo.

Morale della favola: se trovi qualcosa da mangiare per la strada non fidarti perchè può essere pericoloso, anche se in questo caso tutto è bene quel che finisce bene.

— Fine della fiaba —

fabulinis ringrazia la piccola Clarissa e il suo papà Jacopo che, dal Perù, hanno voluto condividere con noi questa bella fiaba 🤗

Il topolino ingenuo 🐭

Basta poco per sentirsi più grandi, basta sentirlo dentro di noi.

Sentirsi più grandi per i nostri piccoli è un bisogno da ascoltare e aiutare, e con un briciolo di astuzia, anche mamma topina riuscirà a far felice il suo topino.

Il topolino ingenuo 🐭

C’era una volta un topolino che viveva, con la sua famiglia, in una grande casa. In questa abitazione abitava anche un bellissimo gatto nero con i suoi cinque piccoli gattini.

Un giorno il topolino andò dalla sua mamma e le disse:
«Mamma, io voglio diventare grande, non voglio rimanere sempre così piccolo.»
«Figlio mio» gli disse la mamma, «ma noi topolini siamo piccini… perché tu vuoi essere diverso da tutti gli altri tuoi fratelli?»
«Io voglio diventare grande come il gatto, in modo da non avere più paura di lui. Tutte le volte che si avvicina mi spavento perché è enorme e io, piccolino, mi sento proprio inerme.»

Allora la mamma, con la dolcezza che hanno tutte le mamme, gli disse:
«Piccolo mio, stasera andrai nel tuo lettino e fare la nanna e vedrai che domani mattina il tuo desiderio sarà esaudito.»
Il piccolo Topino non se lo fece dire due volte e andò a dormire.
La mamma, però, doveva essere ben sveglia per poter escogitare un sistema per far sì che, al mattino, il desiderio del suo piccolo si esaudisse.

Pensa e ripensa le venne una bellissima idea. Andò da mamma gatta che ormai, dopo tanti anni era diventata una sua amica, e le chiese se poteva imprestarle uno dei suoi piccoli gattini per quella notte, dopo che si erano addormentati. Le spiegò il motivo di tale richiesta e, così, mamma gatta acconsentì.

Quando i gattini si furono addormentati, la gatta prese un piccolo per la collottola e dolcemente lo portò fino alla tana della famiglia dei topi. Non poteva però fare di più, perché non entrava nel buco.

Mamma topo faticò molto per spostare il piccolo micetto fino al lettino del suo adorato topolino, ma non si arrese e ci riuscì. Quando il suo piccolo, svegliandosi si ritrovò delle stesse dimensioni del gatto su felicissimo, e saltellò di qua e di là dalla gioia.

La mamma accorse accanto a lui e gli disse che tutte le cose belle non durano per sempre, per cui di godere questo momento che poi magari tutto sarebbe cambiato.

Ma al topolino questo non importava: a lui interessava solo essere più grande, fosse stato anche per un solo giorno. Dalla felicità corse fuori dalla sua tana, andò in giardino, radunò tutti i suoi amici topolini e raccontò quello che gli era successo: in una notte era diventato grande come un gatto. Tutti rimasero a bocca aperta, non capivano che cosa dicesse perché, effettivamente non trovavano nessun cambiamento in lui però non riuscivano a dirglielo talmente lo vedevano felice, così stettero al suo gioco.

Quando rientrò in casa era quasi sera, si avvicinò pian piano alla mamma gatto e vide che in realtà era di nuovo diventato piccolo, ma non importava: anche solo per poco tempo era riuscito a diventare come voleva, grande come un gatto.

Ora non aveva più paura perché sapeva che, se solo avesse voluto, sarebbe potuto di nuovo diventare grande come lui.

— Fine della fiaba —

Copyright del Testo © Lulù Barabino


Chi sono

Lulù - fabulinis.com

Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

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La fantasia ⛵

Per viaggiare davvero la cosa più importante da fare, è usare la fantasia…

Non sempre abbiamo la possibilità di realizzare appieno i nostri sogni, ma c’è una cosa che nessuno mai ci potrà impedire di usare: la fantasia, grazie alla quale nessun desiderio è impossibile.

La fantasia ⛵

C’era una volta un bambino molto povero che viveva con la sua famiglia ai margini di un bosco. Il papà Jerry era un falegname, mentre la mamma Emily badava ai figli.
Tommy, il protagonista, era il terzo di cinque figli.

La mamma aveva il suo bel da fare per stare dietro a tutti loro, così aveva dato a ognuno dei figli un compito giornaliero da eseguire: chi andava alla fontana a prendere l’acqua, chi si interessava della legna per il camino, chi dava una mano a governare la casa, ecc. ecc.

La giornata passava velocemente tra una incombenza e l’altra, ma lo loro era una famiglia felice molto unita.
I bambini avevano anche molto tempo per giocare e la vita all’aria aperta gli concedeva molte possibilità.
I giocattoli invece erano pochi, solo quelli che il papà, tra un lavoro e l’altro, riusciva a costruire.

Con il legno che gli avanzava costruiva trenini, carriole, macchinine, bambole a cui poi la mamma metteva dei piccoli straccetti a mo’ di vestito.
La famiglia era unita e felice. Erano tutti in buona salute e con il lavoro del papà potevano acquistare il cibo necessario per tutti.
Ma il piccolo Tommy aveva un sogno: voleva vedere il mare.

Ne aveva sentito parlare spesso e aveva fantasticato su di esso. Sapeva che era immenso, che conteneva molte varietà di pesci, che potevi approdare su isole deserte. Ma questo per lui poteva essere solo un sogno perché non avrebbe mai potuto realizzarlo visto che i suoi genitori erano poveri.

La sua famiglia conosceva questo suo desiderio e una sera, mentre Tommy era fuori a guardare la luna, si riunirono per vedere cosa potevano fare, così nacque un’idea.
Il giorno del suo compleanno gli regalarono un piccolo veliero e tutta la famiglia aveva collaborato nella realizzazione. Il papà aveva costruito la barca, la mamma aveva cucito le vele da un lenzuolo, tutti i fratelli si erano adoperati per addobbarla.
Era magnifica.

Quando Tommy aprì il piccolo pacchetto avvolto in carta di giornale restò meravigliato.
Era bellissima. Ma sapeva che con quella non avrebbe mai raggiunto il mare, perché rimaneva pur sempre un giocattolo.
Il suo papà, vedendo la sua perplessità lo prese sulle ginocchia e gli disse:

«Caro Tommy, noi abbiamo lavorato per realizzare questo tuo sogno. Ora tocca a te darti da fare. Hai dentro di te la cosa più importante che possa esistere e che ognuno di noi ha: la fantasia.»
E questo consiglio servì al piccolo Tommy.

Da allora, alla sera prima di andare a dormire, guardava la sua barca e fantasticava. E nel sonno si vedeva viaggiare nel mare al timone della sua barca, al suo fianco i delfini si alzavano in volo, i gabbiani lo accompagnavano nella sua rotta, piccole isole piene di alberi e di frutti lo affiancavano e lui, solo in mezzo all’oceano, si sentiva felice.

— Fine della fiaba —

Copyright del Testo © Lulù Barabino


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Ciao sono Lulù, sono una nonna con molteplici passioni fra cui quella di attingere da esperienze quotidiane spunti per scrivere una fiaba o una filastrocca. Sono appassionata di tutto ciò che è bello. Non mi pongo obiettivi ma mi piacerebbe un giorno riuscire a pubblicare un libretto con i miei racconti. 😊

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Il fantasma distratto 👻

A volte i fantasmi non ululano solo per far paura…

Questo racconto ci insegna che a volte basta chiedere alle persone cos’è che non va, e magari tutto si può risolvere più facilmente.

Il fantasma distratto 👻


C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un castello nei cui bellissimi giardini I bambini giocavano tutti I giorni, e in estate fino anche a notte fonda.

Ma ogni notte a Mezzanotte un fantasma usciva dal castello e …..aaaaauuuuuuuuuhhhhhh…. ululava all’impazzata spaventando I bambini che fuggivano terrorizzati.

Leopoldino il bambino più temerario del gruppo un giorno chiese agli altri:
“ma perché scappiamo ? Magari vuole solo fare amicizia oppure vuole dirci qualcosa! Perché non glielo chiediamo?”.
Gli altri bambini lo presero per matto, chiedere al fantasma perché ulula?

Ma Leopoldino non si lasció scoraggiare dagli amici, e la sera dopo quando al rintocco della mezzanotte il fantasma usci dal castello ululando, mentre tutti scappavano lui si fermò e chiese al fantasma:
“Ehi fantasma, ma perché spaventi tutti I bambini con I tuoi ululati?”.

Il fantasma rispose triste e sconsolato:
“Io non voglio spaventare nessuno, è solo che tutte le sere io cerco di appendere un quadro e con il martello mi martello le dita, e quindi auuuuuuuuhhhhhh… esco dal castello ad ululare!”

Il bambino ebbe un’idea entrò nel castello alla ricerca di qualcosa, e il fantasma non aveva proprio idea di cosa, ma… eccolo di ritorno con in mando un guanto di ferro preso da una armatura del castello.

“Prendi questo guanto di ferro” disse il bambino.
“Vedrai con questo domani quando apprenderai il quadro non ti farai male!”.

Il fantasma lo ringrazio e il giorno dopo, al rintocco della mezzanotte oltre al suono delle campane si sentiva :
Steng!!! steng!!! il suono del martello sopra la mano!

Il fantasma finalmente non si faceva più male e riuscì ad appendere il quadro e I bambini poterono continuare a giocare felici.

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Massimiliano e Giada, papà e figlia dalla provincia di Brescia, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto sui fantasmi 👻

Dal diario di Linda 📓

Essere presi di mira dai bulli non è mai bello..

Queste sono le pagine di diario di un’adolescente, che racconta con estrema amarezza gli episodi di bullismo subiti dal suo più caro amico; per sensibilizzare chi legge, una storia per dire “basta al bullismo”!

Dal diario di Linda 📓

Salve caro diario e buongiorno a tutti voi, amici lettori. Ho deciso di rendere pubbliche queste pagine per raccontare la mia storia.
Mi presento brevemente: mi chiamo Linda, ho undici anni e frequento la classe prima media. Abito con i miei genitori in un grande palazzo, alle porte di Milano. Sono un tipetto solare ed energico, vado volentieri a scuola, ho molti amici con i quali condivido numerosi interessi, come ascoltare musica, pattinare, fare passeggiate e collezionare adesivi dei cantanti preferiti.

Voglio presentarvi il mio migliore amico: si chiama Carlo e ha dieci anni. E’ un ragazzino molto dolce, un po’ timido, con due bellissimi occhi azzurri nascosti dietro un grande paio di occhiali. Lo scorso anno, su indicazione del dentista, ha inserito un apparecchio ai denti, con tanto di scure placchette.

Fino a pochi mesi fa, abitavamo nello stesso palazzo. Trascorrevamo interi pomeriggi a parlare e a confidarci segreti.
Con il passare del tempo, ho visto Carlo farsi sempre più triste, senza più voglia né di andare a scuola, né di studiare. Mi aveva confidato di essere diventato la “mira preferita” di un gruppo di bulletti che stavano nella sua classe. All’inizio, Carlo non faceva molto caso a loro, ma con il percorrere dei giorni la faccenda era divenuta insopportabile. Lo chiamavano “quattrocchi” e “denti di ferro”, per via degli occhiali e dell’apparecchio che portava.

Aggiungo che ciò fosse principalmente dovuto alla sua timidezza, al suo andamento un po’ goffo (anche se io lo trovavo irresistibile!).
I compagni trovavano cento occasioni per schernirlo: prima di entrare in classe, durante la ricreazione, ai giardinetti della scuola.
I suoi genitori, molto preoccupati, si recarono immediatamente a colloquio con i docenti, i quali, a detta di Carlo, minimizzarono l’accaduto.

Frequentavamo due istituti diversi, se avessi potuto sarei andata io a scuola per prendere a schiaffi quei mocciosi insolenti, pure se sono una ragazza!
Poi un giorno, la doccia fredda: il mio caro amico, in accordo con la famiglia, si sarebbe trasferito lontano da qui, complice il cambio di sede lavorativa del padre.

Da allora sono passati un paio di mesi: non l’ho più rivisto, anche se ogni settimana ci sentiamo telefonicamente. Ho sentito Carlo più felice e sereno, mi ha detto che nella nuova scuola si trova molto bene; inoltre, ha esclamato con sollievo che nella classe nessuno fa caso al suo “sguardo da talpa” e ai suoi “denti di ferro”, poiché la maggior parte dei compagni porta gli occhiali e l’apparecchio!
Sono sicura che crescendo, Carlo diventerà un bellissimo ragazzo: quei grandi occhiali lasceranno il posto a lenti a contatto e i suoi occhioni azzurri finalmente brilleranno, mentre l’apparecchio sparirà e si vedrà solo una fila di denti dritti e bianchissimi.

Ora aspetto con ansia le vacanze estive: insieme ai miei genitori andremo finalmente a fargli visita.
Sono contenta che la vicenda sia evoluta in modo positivo, ma trovo tutto questo assurdo e senza significato.

Ho deciso di rendere pubblica questa storia per far comprendere a tutti i ragazzi quanto sia inutile, stupido e dannoso il fenomeno del bullismo, di quanto possa creare malessere ed allontanare, purtroppo, le persone alle quali si vuole bene.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia contro il bullismo

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Trottolino 🏃

Un racconto per bambini che non stanno mai fermi…

Se avete un bimbo “incontenibile”, molto vivace e che non riesce a stare fermo, non colpevolizzatelo, forse deve solo incanalare tutte le sue energie sfogandole magari con dello sport.

Trottolino 🏃

Questa è la storia di Enrichetto, sei anni, due occhioni scuri e una testolina di capelli neri, molto intelligente ma un po’ troppo vivace.

Una disperazione per mamma e papà e anche per le maestre: non riesce a stare seduto in classe o a tavola per più di un minuto! Sempre in movimento, questo è il motivo per il quale è stato affettuosamente soprannominato Trottolino.

«Ora basta Enrichetto! Siediti e mangia la minestra, altrimenti diventa fredda!» urla la mamma.
«Stai fermo Trottolino! Non riesco a capire una sola parola del telegiornale!» tuona il papà.
«Enrichetto! Stai seduto al tuo posto e termina il compito assegnato!» dice la maestra.

Lui non lo fa per capriccio o per dispetto, proprio non ci riesce. A volte diventa triste, perché non si sente all’altezza dei suoi compagni di scuola e vorrebbe dare più soddisfazioni ai suoi genitori. Una sera d’estate, durante le tanto attese vacanze scolastiche, Enrichetto insieme ai suoi amici passano davanti un magnifico boschetto. Uno di loro, però, vede in lontananza del fumo.

«Aiuto! Aiutateci! Qui è scoppiato l’inferno!» urlano le farfalle.
«Aiuto, aiuto! Un incendio sta distruggendo le nostre tane!» squittiscono alcuni topolini.
Gli amici di Trottolino, tanto bravi con penne, libri e quaderni, non se la sentono di avanzare, hanno paura.

Enrichetto non aspetta un secondo e si precipita in soccorso dei poveri animaletti. Nelle vicinanze, per fortuna c’è un fiumiciattolo: stacca con forza il cestino della sua bicicletta, lo riempie d’acqua e uno alla volta lo versa sulle fiamme per scongiurare un pericolo ancora maggiore. Sembra veramente una trottola, velocissimo e fulmineo. Alla fine l’incendio è domato. I suoi amici sono rimasti tutto il tempo a guardarlo a bocca aperta, ed ora è il loro campione.

«Bravissimo Enrichetto! Sei una forza della natura!» urlano a gran voce gli animaletti del bosco, consegnandogli una targa con dedica “Al nostro salvatore, con affetto”.
Enrichetto è felicissimo, finalmente è riuscito a dimostrare quanto vale. Da pochi giorni, intanto, sono ricominciate le scuole; Trottolino ha promesso a mamma e papà di muoversi “solo un pochino” tra i banchi…

Inoltre si è iscritto al gruppo locale podistico, per incanalare la sua energia vulcanica, vincendo già tre gare, tra la soddisfazione di tutti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia in cui un aspetto negativo, può diventare una potenzialità del bambino, tra la gioia dei suoi genitori e dei suoi amici più cari.

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Fiammiferino 😡

Ad essere sempre arrabbiati a volte si rimane senza amici…

Questa è la storia di un bambino sempre arrabbiato, ma grazie ad un “folletto magico”, il piccolo riesce a superare le sue difficoltà imparando a gestire l’emozione a volte incontrollabile

Fiammiferino 😡

C’era una volta un bambino di nome Michele, ma tutti nel paesello lo chiamavano simpaticamente “Fiammiferino”.
Michele aveva sette anni, era biondo con due occhioni azzurri e un grande difetto: si arrabbiava per un nonnulla…

Si arrabbiava con la mamma se dimenticava di comprare le sue merendine preferite, si arrabbiava con il papà se tardava due minuti a riprenderlo all’uscita della scuola, si arrabbiava con la nonna se la domenica non preparava le solite lasagne al ragù, si arrabbiava con la maestra se invece di otto in matematica prendeva sette.

Per questi motivi si meritò il soprannome di Fiammiferino: ogni volta che qualcosa non andava come voleva, andava su tutte le furie e s’incendiava come la capocchia di un fiammifero, quelli che noi usiamo per accendere il fuoco in cucina. Michele non aveva molti amici, riusciva a litigare sempre con tutti per i motivi più banali.

Un giorno, mentre giocava da solo nel giardino, vide vicino il grande albero verde una strana creatura. Si avvicinò incuriosito. Era un omino grande quanto una mano, che stava raccogliendo le foglie.

-Ehi tu! Cosa ci fai qui? – tuonò il piccolo.
L’omino lo guardò perplesso.
-Mi chiamo Calmino, sono il folletto del tuo albero. Sono venuto a farti visita, mi hanno detto che qui abita un bambino sempre arrabbiato e senza amici – disse il folletto.
-Come osi parlare così di me? – urlò corrucciato Michele. Poi si fermò un attimo, guardò Calmino, abbassò lo sguardo e diventò triste.

-Hai ragione, sono sempre arrabbiato. Specie con le persone che mi vogliono tanto bene, come i miei genitori e i miei nonnini. Se qualcosa non va come dico io me la prendo così tanto che non riesco a trattenermi. Cosa posso fare, caro il mio folletto, per riuscire a stare tranquillo senza farmi assalire da questi scatti d’ira? Per questo non ho amici e mi sento tanto triste – dichiarò il bambino.

-Capisco, capisco. Voglio farti un bel regalo! – disse il folletto.
Il viso di Michele si illuminò, sperava che Calmino potesse aiutarlo a risolvere questo problema. Lo vide allontanarsi, andare dentro il grande albero ed uscire con in mano una piccola scatolina rossa.

-Tieni, questo è il mio regalo: una scatolina magica! Ogni volta che ne hai bisogno, aprila e urlaci forte dentro. Ti sentirai meglio e non sarai più un bambino arrabbiato – fece pacatamente il folletto.
Grazie Calmino, grazie mille! Non voglio più litigare e voglio avere tantissimi amici – proferì il bimbo sorridendo.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia che può aiutare i bambini a gestire la rabbia.

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La piccola ladra di stelle 🌟

Per vincere la paura del buio, una stella magica può aiutare.

La paura del buio è uno dei grandi problemi che hanno i bimbi piccoli, ma con un po’ di magia e una buona stella, Amelia riuscirà a superarla e dormire serena.

La piccola ladra di stelle 🌟


La piccola Amelia era terrorizzata dal buio, una paura così non si
era mai vista.
I suoi genitori non avevano più idee per tranquillizzarla.
Si erano inventati di tutto, dal tenere le luci accese a stare accanto a lei tutta la notte, ma erano più le notti insonni per tutti e tre che quelle di sonno, pertanto i genitori decisero a malincuore che tutto avrebbe dovuto tornare alla normalità:
LUCE SPENTA E OGNUNO NELLA SUA STANZA.

Fu una decisione dura per tutti, poiché la mamma e il papà sapevano che Amelia aveva davvero molta paura ma l’unica alternativa possibile fu quella, papà diceva: “crescerai Amelia, il tempo ti aiuterà a superare le tue paure, ne sono certo”. La mamma era d’accordo e Amelia, che era una bambina molto obbediente, con il cuore in gola e con un filino di voce rispose:” sicuramente sarà come dici tu papà”.

Le notti passavano e passavano, sempre insonni e ricche di terrore, poi si sa, nel buio tutto prende un aspetto diverso in base alla nostra fantasia. Amelia vedeva di tutto, dal mostro tentacoloso al posto dell’attaccapanni, ai rumori peggiori che nessuno vorrebbe mai udire.
Una notte, stanca di stare a letto con la sua paura, decise di alzarsi e sedersi sul divanetto sotto la finestra e guardando il cielo disse:” come vorrei essere una stella, loro non hanno paura del buio, anzi brillano in esso e io vorrei luccicare come loro”.

Ancora con gli occhi sognanti, Amelia sentì bussare alla finestra, toc toc… alzando lo sguardo la bambina rimase stupita:” una stella sta bussando alla mia finestra?”. Senza pensarci troppo, nonostante lo shock, la bimba aprì la finestra e fece entrare la stella, che subito si posò sul cuscino di Amelia.

La piccola si sdraiò accanto a lei e con il bagliore e la sicurezza che emanava, dormì beata tutta la notte.
Al mattino sul cuscino non trovò più la stella ma un piccolo lazo, tanto fine che era quasi invisibile ma anche brillante come un mare di glitter argentati.
Amelia si domandò a cosa le sarebbe servito un lazo così piccolo, ma non aveva modo di provarlo né di fare altro, perché era ora di andare a scuola.

Nel tragitto, i genitori videro la bambina riposata e serena e fieri di loro si inviarono uno sguardo soddisfatto di chi pensa d’aver fatto una buona cosa. Ovviamente la realtà era un’altra ma Amelia si guardava bene dal dirla in giro…
La notte seguente la bambina tornò a guardar fuori ma non vide nessuna stella far capolino alla sua finestra. Amelia le chiamava e le pregava ma non succedeva nulla, pensò allora che probabilmente quella della sera prima, fosse solo una sua profonda fantasia. A causa dell’agitazione però, aveva dimenticato il lazo luccicoso, che iniziò a brillare a intermittenza per farsi vedere dalla piccola.

“Avevo dimenticato il lazo, allora ho ancora speranza di riavere la stella con me questa notte!” disse emozionata ad alta voce.
Provò a lanciare il lazo come un cowboy verso il cielo e magicamente si allungò talmente tanto da raggiungere il manto luminoso della notte e acchiappare la stella più vicina. La bambina iniziò a tirare verso di lei e la stellina pian piano si avvicinò così tanto da poterla cogliere e appoggiarla sul cuscino.

Come per incanto il lazo tornò minuscolo e la stella fece compagnia per tutta la notte alla bambina con la sua magica luce.
Ogni sera un sorriso le affiorava in viso, perché sapeva che avrebbe avuto un’amica luminosa a farle compagnia. Di notte in notte la magia la rassicurava e in questo modo la paura del buio le passò del tutto.

Con sua grande sorpresa una sera, il lazo smise di allungarsi fino al cielo. La delusione durò pochissimo perché subito una vocina dentro di lei disse: “decisamente ora sei pronta per dormire tranquilla, senza paura”.

Passarono gli anni e la bambina, ormai donna, continuò a conservare il lazo come un tesoro, ricordandosi di quanta paura possono avere i bimbi del buio. Lo custodì con cura, cosicché anche altri bambini avrebbero potuto usarlo per avere la loro stellina della notte e così fu.

Amelia consegnò il lazo a sua figlia e sua figlia lo consegnò a suo figlio e così, da generazioni, il lazo continua a passare di madre in figlio e di padre in figlia e chissà… magari una stella farà capolino anche alla nostra finestra una notte o l’altra.

“Ogni notte, fino a quando non fu abbastanza grande da non avere più paura, Amelia si trasformava in una ladra di stelle.”

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto. Federica ha scritto anche una serie di fiabe con protagonista il topolino Sam, le trovate in vendita su Amazon al link qui sotto:

Cappuccetto Rosso tecnologica 📱

A volte la tecnologia ci aiuta per davvero…

In questo racconto Cappuccetto Rosso è una bimbetta dei giorni d’oggi, pronta a farsi i selfie anche col lupo!

Cappuccetto Rosso tecnologica 📱


Cari bambini, sicuramente la maggior parte di voi conoscerà la fiaba di Cappuccetto Rosso. In questa versione più moderna, la bambina utilizza perfino il cellulare! Ma andiamo con ordine…

C’era una volta una dolce bimbetta, chiamata Cappuccetto Rosso per via di un cappuccetto di velluto che portava sempre. Un giorno la mamma la chiamò e le disse:

– Vieni, piccola mia, eccoti una focaccia, un panetto di burro, un po’ di ciambelle e una bottiglia di latte da portare alla nonna; è debole ed ammalata e si ristorerà. Vai e segui la strada principale. Mi raccomando, non passare per il sentiero del bosco, è pericoloso.
– Si mammina, porterò alla nonna questo buon cestino e la saluterò da parte tua – disse la bambina.

A questo punto, tutti sappiamo che Cappuccetto Rosso disubbidisce alla mamma, e prosegue il cammino passando per il bosco. Nel mentre, due farfalle colorate si posano sui fiori. La bambina rimane incantata, poi inizia a rincorrerle. Improvvisamente si guarda intorno, forse ha smarrito il sentiero. Guarda l’orologio che ha al polso: sono già le cinque del pomeriggio. Deve sbrigarsi, tra poco scenderà la sera. La casa della nonna dovrebbe essere nei paraggi.

-Oh! Lo sapevo! Per giocare con le farfalle ho dimenticato il cestino con le delizie! Dove l’avrò lasciato? Forse vicino a quel pino? – mormora Cappuccetto Rosso.
Ad un certo momento, vede sbucare da un cespuglio un brutto muso. E’ il lupo cattivo che si avvicina piano:

– Ciao bella bambina! Dove stai andando? – fa il lupo con il suo vocione.
– Sto andando dalla nonna. Vieni qui un attimo… che pelo folto che hai! Possiamo farci una foto insieme? – esclama Cappuccetto Rosso.

Poi estrae dalla tasca del giacchino un cellulare, si mette in posa vicino al lupo, scatta e pubblica la foto con tanto di tag sui suoi social network. Si rende conto di avere incorporato il geo-localizzatore e in un attimo, recupera anche il cestino che aveva smarrito.

Saluta il lupo e si avvia alla casa della nonnina saltellando felice. Nel frattempo, la foto della bimba con il suo “nuovo amico” ha già fatto il giro di Facebook. Ad aspettare il lupo, mentre la nonna di Cappuccetto Rosso ignara di tutto russa beatamente nel soffice letto, ci sono la Polizia, i Vigili del Fuoco e la Lega antivivisezione per controllare che l’animale non venga ferito.

Al lupo, dopo aver visionato la situazione, non resta altro che mettere la coda tra le gambe.
– Acc! Queste nuove tecnologie! Oggi mi hanno fatto perdere un bel pranzetto! – esclama infuriato.

Già, ma tutto sommato è ancora vivo e in pochi secondi, sparisce all’interno del grande bosco.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questo simpatico racconto dove la tecnologia diventa nostra alleata e ci viene in aiuto.

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La storia di Raggio di Sole 🌞

Non si è mai soli se attorno a sè si hanno persone che ci vogliono bene!

Essere adottati o affidati, per un bambino, è sempre una cosa difficile da affrontare. Questo racconto può aiutare a comprendere che quello che conta di più sono le persone che ci amano e ci stanno accanto tutti i giorni.

La storia di Raggio di Sole 🌞


Un tempo, il magnifico Sole ebbe una relazione con una stella tra le più luminose in cielo: dalla passione tra i due nacque un bellissimo fanciullo, con grandi occhi color del mare e capelli sottili color biondo oro e riflessi striati di tramonto.

Il Sole fu molto orgoglioso di essere diventato padre; impiegava le ore a cullare tra i suoi raggi quel figlio adorato.
Un giorno, sbirciando sulla Terra, si rese conto che restando tra le sue calde braccia, il piccolo non sarebbe potuto crescere come tutti i bambini.

Amareggiato, decise di donare il suo pargolo alla specie umana.
Da lassù, vide un uomo e una donna piangere e disperarsi per non aver potuto concepire figli.

Durante il tramonto, sempre più vicino alla Terra, da un suo raggio rosso dorato, fece scivolare dolcemente la culla con dentro il piccino fino all’ingresso della porta di casa della coppia: quando questi si accorsero di ciò, presero il bambino e lo strinsero forte a sé, chiamandolo Raggio di Sole.

Passarono gli anni, Raggio di Sole cresceva felice e sereno, insieme ad una mamma ed un papà meravigliosi e tanti amichetti con il quale giocare.
Un bel giorno, rovistando nella soffitta polverosa in cerca di vecchi giocattoli, il bimbo trovò invece strani effetti personali, tra cui un medaglione con incise sopra le iniziali del suo nome: curioso, chiese ai genitori cosa fossero e perché erano stati nascosti.

Con estrema delicatezza, il padre confidò al suo piccino la verità, di averlo trovato in una culla davanti alla soglia di casa, sul far sera di una giornata di mezza estate.
A questa notizia sconvolgente, Raggio di Sole iniziò a singhiozzare, divenne rosso in viso e cominciò a girovagare disperato tra l’immensa campagna.

Dopo un po’, stanco ed affannato, si sedette sotto i rami rigogliosi di un grande albero, volgendo gli occhi al cielo.
In quel preciso istante, il sole lo vide e si commosse.
Improvvisamente, tutt’intorno, una forte luce illuminò il bambino.

«Io, il Sole, sono il tuo grande padre. Non ti ho abbandonato, piccolo mio… volevo tu potessi vivere felice, qui, sulla Terra… Resterò sempre al tuo fianco, ti sorveglierò da quassù… Ora vai, la tua famiglia ti aspetta, ha bisogno di te!».

Raggio di Sole capì e fece un profondo sospiro asciugandosi le lacrime con la mano.
Piano si alzò e imbocco la strada del ritorno mentre mamma e papà lo attendevano vicini al cancello di casa.

Si abbracciarono forte forte e non si lasciarono mai più.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, dedicata principalmente a bambini che sono stati adottati oppure affidati, e per aiutare i piccoli a superare la difficoltà e comprendere che intorno a loro ci sono e ci saranno sempre persone che li amano e li aiutarenno a crescere.

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Gli Acciacchi della vecchia Befana 🧦

Più aumenta l’età, più la Befana ha problemi di salute. Riuscirà a consegnare in tempo i regali ai bambini?

Se avete fatto i bravi la Befana non vi porterà il carbone, ma delle buone caramelle, e per ringraziarla basteranno una minestra calda e un buon bicchier di vino.

Gli Acciacchi della vecchia Befana 🧦


Anche quest’anno l’anziana Befana sta sistemando le ultime cosette all’interno del sacco ed eseguito la revisione alla scopa volante, visto i migliaia di chilometri percorsi nel cielo.

Per lei l’età sta diventando un problema: è ingrassata una decina di chili per via di un’alimentazione troppo ricca di grassi, ha sviluppato un leggero diabete, un’artrosi importante a piedi e mani, una gobba ancor più pronunciata e dolorante, oltre un perenne raffreddore dovuto all’aria gelida sul viso durante le consegne dei regali.

Quest’estate è stata dal medico, che le ha prescritto una cura a base di farmaci antinfiammatori.
Ora deve ricominciare il giro del globo per lasciare caramelle e regali ai bambini. Ma non crediate sia semplice, le insidie sono all’ordine del giorno!

Le case moderne non hanno più i camini e bisogna stare attenti a non finire risucchiati nei termosifoni, o peggio ancora, far scattare improbabili allarmi antifurto e finire scambiati per ladruncoli.
Lo scorso anno poi, durante l’atterraggio sul tetto di una casa di un bambino meritevole, la Befana si è slogata una caviglia.

Per fortuna Babbo Natale si trovava nei paraggi: è andato in suo soccorso cercando di aiutarla a rialzarsi, tra le urla della poveretta.
Gli ultimi regali ai bimbi sono stati recapitati i primi giorni di Marzo: un notevole ritardo!
Quest’anno, i “grandi supervisori del cielo” le hanno consigliato di trovarsi un’aiutante, magari più giovane e magra.

Quindi, miei cari fanciulli, prepariamoci ad accoglierla nel miglior modo possibile la notte tra il cinque e sei Gennaio: sistemiamo la tavola, stendiamo il tovagliolo con sopra un piatto di minestra calda (visto che non ha più denti), un bicchiere di buon vino, qualche dolcetto, mandarini e magari un’aspirina, visto i suoi innumerevoli acciacchi!
Appendiamo le calze e se la nostra casa è provvista di camino, cerchiamo di pulire bene la cappa prima della sua discesa.

Buon lavoro, mia cara Befana!

⚜ Fine della fiaba ⚜

fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa simpatica storia sulla Befana.

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Topolino Sam e lo spazio 🚀

A volte per viaggiare nello spazio basta chiudere gli occhi!

Il topolino Sam ha deciso di esplorare lo spazio, e preparata una navicella spaziale, è pronto per partire!

Topolino Sam e lo spazio 🚀


Ma guarda, guarda chi si rivede! Ma è Sam!
Dopo tanto girovagare rieccolo alla scoperta di un nuovo mondo… lo spazio!
Ebbene sì, dopo il tanto sapere del mondo, decise che fosse tempo di visitare un nuovo luogo, vasto e speciale come lo SPAZIO!

Intanto cominciò con il procurarsi tutto il necessario per allenarsi all’assenza di gravità che, come tutti sanno, nello spazio non esiste. Pensò che sarebbe stato impossibile creare nella stanzetta un posto privo di gravità, allora decise che l’unico modo fosse “fare
finta” di viaggiare nella navicella a gravità zero appendendosi con una corda legata in vita ad un binario che girava sotto la scrivania di Anna.

Wwowwww, sembrava di essere su di uno shuttle! Il topino volteggiava di qua e di la e si divertiva molto. Dopo essersi allenato, era l’ora di creare la tuta spaziale, prese un tessuto bianco, cannucce, il tappo trasparente del deodorante di Anna e con tutti questi oggetti cucì una fantastica tuta da astronauta.

E ora il pezzo forte della missione, la navicella! Una scatola cilindrica con un tappo sul fondo era lo shuttle perfetto, con l’aiuto di Anna, scotch, colla, colori e qualche pezzo di carta d’alluminio presto Sam presentò al mondo intero il… GROVIERATTHLE!!!

Un tributo al cibo preferito del topino, il Groviera. Il conto alla rovescia stava per cominciare, giusto il tempo per gli ultimi saluti e il grovieratthle fu pronto per il decoll o… tutti pronti?

Dieci…nove…otto…sette…sei…cinque…quattro…tre…due…uno.. partenza!!!

Scintille, rumori, fumo, esplosioni e chi più ne ha più ne metta, la stanza di Anna era un tremendo caos, ma per un fine ben speciale.
Dopo un decollo un po’ traballante, il topolino si trovò nell’immenso e silenzioso Spazio… era davvero senza parole.

Il primo pianeta che Sam decise di visitare fu la mitica e fantastica LUNA. Il topolino sbarcò e scoprì l’immensità del pianeta, era
grande tanto grande ed era pieno di buchi ma tanti buchi… caspita! Era un groviera! Dopo aver visitato la Luna Sam risalì sul
Groveratthle e si diresse verso il pianeta rosso.

Marte! Rosso, sabbioso, simile alla terra, lo trovò divertente ma la curiosità era troppa e i pianeti altrettanto, quindi decise di salire sulla navicella e ripartire.

Attraversò lo spazio in lungo e in largo, da Giove il più grande, a Saturno che lo fece girare talmente tanto che non riusciva più a
fermarsi, da Venere il più affascinante, a Nettuno e Plutone, insomma tutto quello che poteva vedere lo ha visto.

Ma gira, gira, si imbatte’ in un piccolo pianeta che non aveva mai visto prima… il pianeta era bianco, ma talmente bianco che brillava.
Sam non ci pensò due volte e si diresse verso il pianetino, ma più si avvicinava e più il bagliore era forte, ma talmente forte che dovette chiudere gli occhi.

Quando li aprì, con moooolto stupore si trovò in camera di Anna, dentro una scatola e vestito da astronauta. Sam pensò : ”non ero nello spazio? Non mi sono avvicinato ad un piccolo pianeta bianco? Come mai sono qui?”.

Mentre si faceva mille domande senza trovare risposta, entrò Anna che gli disse: ”oohh Sam, era ora che ti svegliassi è già ora
di cenare!” Sam la guardò stranito: ”svegliarsi? Tardi? Ma, ma stavo dormendo?”

Il topolino raccontò ad Anna di aver creduto fermamente di essere nello spazio e di aver visitato moltissimi pianeti e che ne stava
scoprendo uno nuovo bianco e accecante! Anna lo guardò ammirata ma un po’ perplessa: “Sam, il pianeta bianco era piccolo e molto vicino a te?”

e Sam rispose : ”si Anna, vicinissimo. Ma più mi avvicinavo e più diventava accecante.” In quel momento Anna scoppiò a ridere
rumorosamente, rideva talmente tanto che non riusciva a dire a Sam che il suo misterioso pianeta bianco non era altro che la Lampadina della abatjour accesa da Anna essendosi fatta sera.

Quando riuscì a dirglielo il topolino si azzittì, ma poco dopo scoppiò a ridere anche lui e insieme risero talmente tanto che si
addormentarono stremati.

A volte i sogni ci portano lontano, così lontano da farci vivere fantastiche avventure.

Per questo non dobbiamo mai smettere di
“SOGNARE”!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Federica Bertone per aver condiviso con tutti noi questo racconto, che fa parte di una raccolta con tante altre avventure del topolino Sam, le trovate qui sotto:

Lallasagna e la ciambella al cioccolato 🍩

La matematica serve anche in cucina!

Le equivalenze matematiche sono molto utili, anche dove meno te lo aspetti.. quanto sarà 10hg di farina? 1kg? 10kg? Meglio chiedere ai bambini…

Lallasagna e la ciambella al cioccolato 🍩


Ci risiamo! Anche oggi la cuoca Lallasagna ha combinato il solito pasticcio.
Dopo aver rovistato tutto il mattino nella soffitta ammuffita, finalmente ha ritrovato il vecchio libro di ricette “La regina della cucina”.

– Allora…ciambella alla vaniglia…ciambella all’arancia…no…ciambella al cioccolato, eccola! – esclama Lallasagna felice.
Domani è domenica, andranno a trovarla sua figlia con i nipotini Dora e Matteo: sono molto ghiotti di dolci e la torta sarà una vera sorpresa. Lallasagna mette gli occhiali e comincia a leggere a voce alta.

– Di facile preparazione…ingredienti: farina 0,3 Kg, cioccolato fondente 20000 cg, zucchero 2000 dg, 26 dag di uova a temperatura ambiente, 1,85 hg di olio di semi di girasole, latte intero 13500 cg, lievito in polvere 8000 mg, 1000 mg di sale. Che strane dosature…ero solita vederle in grammi… – borbotta la cuoca, leggermente confusa.

Ma oramai è decisa: la ciambella si farà.
Comincia a vagare in cucina alla ricerca delle pentole, degli ingredienti e soprattutto della bilancia, altrimenti come peserà i componenti?

– 0,3 Kg di farina… quanto sarà? 3 Kg forse? Ok…poi cioccolato fondente 20000 cg? Vorrà dire 2 Kg, certamente! Quante uova? 26? Mi sembrano tantine, comunque le dovrei tenere in cantina. Uno strano libro…uno strano libro… – pronuncia Lallasagna scuotendo continuamente la testa.

Nel frattempo suonano alla porta. E’ il postino Ugo che ha un pacco da consegnare.
Subito la cuoca ne approfitta per chiedere informazioni.

– Ugo, scusa, sto preparando una torta per i miei nipotini golosi, ma il ricettario è datato, sicuramente ha utilizzato una terminologia diversa per ciò che riguarda gli ingredienti… qui per esempio dice… 1,85 hg di olio di semi di girasole… secondo te, quanto potrà essere ad occhio e croce (sigh!)? – chiede Lallasagna.

– Beh, io non sono un grande intenditore, ma presumo all’incirca 1 litro e mezzo… poi non so se l’olio di semi di girasole è pesante come quello di oliva che uso per condire… magari pesa il doppio… o il triplo… oppure no… magari è vero il contrario… dai, fai 2 litri e non se ne parla più – risponde Ugo.

La cuoca ringrazia il postino e prosegue la preparazione del dolce.
– Latte intero 13500 cg …che vorrà dire? Boh… – e comincia a versare il latte a caso.
– Lievito in polvere 8000 mg …a mio avviso sono 8 etti – e giù con il lievito.
– Infine 1000 mg di sale… Ovvero 1 etto? Non sarà troppo? Ma se lo dice il ricettario… – pensa Lallasagna.

Comincia ad impastare fra loro tutti gli ingredienti nel grande pentolone.
Ben presto capisce che qualcosa non ha funzionato. La matematica, specie le equivalenze, non sono mai state il suo forte. Cuoca Lallasagna scoppia a piangere: domani cosa presenterà ai suoi nipotini Dora e Matteo?

Ci vorrebbe l’aiuto di qualche bambino…
Volete provare a risolvere le equivalenze e trasformare correttamente in grammi tutti gli ingredienti del ricettario? Forse Lallasagna è ancora in tempo per rimediare al danno culinario!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che serve per introdurre e chiarire alcuni concetti matematici, rendendoli protagonisti attivi di ciò che stanno ascoltando.

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La bambina che imparò a volare 🦋

La bellezza la si può trovare in un battito d’ali.

Questo racconto parla delle difficoltà che a volte incontrano quelle bambine che non sono proprio filiformi, ma racconta anche di come cercando di superare l’aspetto fisico si possa trovare le risorse per diventare più sicuri di sè.

La bambina che imparò a volare 🦋


Anna era una bella bimba di nove anni, con guance rosse e paffute, due grandi occhi azzurri e biondi capelli che le scendevano dolcemente sulle spalle.

Andava volentieri a scuola ed era molto brava, specie in matematica. Con le sue due migliori amiche, Gaia e Caterina, si divertiva a fare lunghe passeggiate in bicicletta, quando la stagione lo permetteva. Insieme frequentavano da poco un corso di danza, ma Anna non si sentiva per nulla a suo agio; un po’ invidiava le altre bambine, così magre, così aggraziate sulle punte dei piedi che parevano farfalle aleggiare sui fiori.

Già, perché Anna non era proprio filiforme e questo la faceva sentire goffa ed impacciata. I maschietti ogni tanto le lanciavano qualche battutina, mentre lei si sentiva sempre più a disagio. A danza era andata per fare compagnia alle sue due amiche del cuore, nonostante fosse un’impresa restare sulle punte e indossare quel buffo vestitino rosa che la faceva assomigliare ad un confetto. La mamma cercava di rassicurarla.

«Non farti problemi, amore. Quando crescerai diventerai una ragazza bellissima!» le diceva.
Ma Anna non si piaceva: quando lo specchio della stanza rifletteva la sua immagine, le spuntavano due lacrimoni.

«Quando diventerò grande! Voglio essere bella come la mia mammina!» singhiozzava la bimba.
Intanto, sognava ad occhi aperti di trasformarsi in una principessa magnifica.

Un giorno, mentre guardava fuori dalla finestra di casa e i suoi pensieri vagavano nel vuoto, passarono due grandi farfalle colorate. Così leggiadre, così belle, volteggiavano nel cielo limpido.

«Come siete belle, farfalline! Vorrei tanto anch’io imparare a volare e sentirmi leggera leggera» fece Anna.
«Veramente?» rispose una delle due farfalle.
La bambina rimase stupita, non credeva che gli insetti parlassero e ascoltassero quello che le persone dicevano. Le guardava meravigliata.

«Vieni con noi! Ti divertirai!» disse la seconda farfalla.
Ad un certo punto, dal cielo scese una polvere di stelle che andò ad appoggiarsi sulle spalle di Anna. La bimba cominciò a provare proprio lì un certo prurito: le stavano spuntando le ali!

«Adesso puoi volare insieme a noi! Dai!» fecero in coro le farfalle.
Anna iniziò a muovere le ali piano piano, fino a spiccare il volo. E via insieme alle due nuove amiche in alto nel cielo blu. Sorvolarono il piccolo paese, la chiesa, la scuola, la sua casa.

Non si era mai sentita così bene, così leggera, così felice. Venne l’ora di salutarsi, stava per arrivare la sera. Ogni giorno, per una settimana, le farfalle passavano a prenderla, attendendo la bimba vicino alla finestra della sua stanza. Questi voli resero Anna più graziosa, più sicura, più radiosa. Con il tempo divenne una bellissima ragazza e non dimenticò mai le sue amiche colorate, che l’avevano aiutata a realizzare un grande sogno.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che aiuta i piccoli ad apprezzarsi maggiormente, aumentando la loro autostima.

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La SuperMobile di Alessio 🦽

A volte la sfortuna capita, ma reagire e trovare le risorse per tornare felici si può, sempre.

Questo è un racconto per parlare ai bambini di amicizia e diversità, insegna ad apprezzare le persone per la propria unicità, valorizzando le differenze personali

La SuperMobile di Alessio 🦽


Quasi ogni pomeriggio, un gruppetto di bimbetti delle scuole primarie si riunisce nel parco adiacente il municipio del piccolo paese per giocare insieme.

C’è Federico, la mascotte; c’è Giacomo, il secchione; c’è Mattia, lo scatenato; c’è Alberto, il ghiottone; c’è Alessio, un sorriso contagioso, con la sua inseparabile SuperMobile. Già, perché Alessio, ha subito un incidente: da allora, non potendo più camminare, è costretto a vivere e spostarsi su una sedia a rotelle.

Certo, in un primo tempo è stata dura, vedere gli altri bambini correre, arrampicarsi, pedalare veloci come il vento sulla sella della loro bicicletta, mentre lui seduto su una carrozzina, impossibilitato a muovere le gambe. Dopo lunghi pomeriggi trascorsi tra lamenti e pianti, i famigliari, ma soprattutto, i cari amici, hanno dato ad Alessio la forza di reagire.

«Tu resterai per sempre Alessio il gran simpaticone, anche su una seggiola!» dice sorridendo Mattia.

«Siamo stanchi di vederti triste, vogliamo vederti sorridere, vogliamo ancora la tua allegria contagiosa!» esclama Giacomo.

«Da oggi in poi verrai con noi al parco, ti accompagneremo e ti staremo vicini» dice Alberto il ghiottone, masticando poi voracemente un pezzo di merendina al cioccolato.

«A pensarci bene…questa sedia con le ruote può fare di te un supereroe… se impari ad usarla nel modo giusto, sai cosa puoi farci! Cavolo! Può diventare la tua…SuperMobile!» urla Federico.

Ora Alessio non è più solo, può contare sui suoi SuperAmici.

Con la sua SuperMobile, al parco si diverte un mondo. Tra urla e schiamazzi, la sedia a rotelle si trasforma nell’arma del supereroe: accelera e frena sul sentiero di ghiaia alzando dietro sé una nuvola di polvere, piroetta sulle ruote creando un vortice, scende veloce come il vento attraversando il lungo viale alberato, sotto gli occhi degli amici inseparabili.

A volte, quando rientra nel tardo pomeriggio, mamma non può fare a meno di emettere qualche urlo disperato: la carrozzina è ricoperta da uno strato grigiastro di polvere e le rotelle ripiene di sassolini.

Ma ne vale la pena. Supereroe Alessio è ritornato il simpaticone del gruppo!

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di rispetto, amicizia e tanta voglia di divertirsi tutti insieme.

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Curiosina, storia di una virtù 🔍

Un bel racconto che fa capire ai bimbi, ma anche ai genitori, come la curiosità sia una cosa preziosa e da coltivare con passione.

Non sempre è semplice rispondere a tutti i “perché, come mai, cos’è” eccetera che ogni giorno i nostri bimbi, spesso con incredibile insistenza,ci domandano. Ma se leggete questo racconto capirete che se i bimbi sono curiosi vuol dire che stanno cercando di crescere nel miglior modo possibile, non solo di statura, ma di testa!

Curiosina, storia di una virtù 🔍


Vi racconto la storia di una bambina speciale, che tutti, parenti e conoscenti, avevano finito per chiamare ‘Curiosina’. Quando, ad esempio, i nonni la incontravano, volevano sapere: “Come sta la nostra Curiosina?”. Lei aveva meritato quel soprannome perché non si vergognava di fare domande di ogni genere, delle quali alcune erano a volte imbarazzanti.

Se un’anziana signora le domandava: “Quanti anni hai, bella bambina ricciolina?”. Lei con le dita mostrava la sua età, ma subito dopo, a sua volta, era capace di chiedere: “E tu, vecchia signora, quanti ne hai?”. Se, poi, qualcuno voleva sapere il suo nome, lei non si nascondeva, come fanno tanti bambini, dietro la gonna della mamma o i pantaloni del papà, ma tranquillamente lo diceva e subito dopo domandava: “E tu come ti chiami?”.

Vedete, quello che lei aveva di speciale non era la curiosità, che non manca a nessun bambino, ma erano la sua mamma e il suo papà che rispondevano sempre alle sue domande, senza perdere la pazienza, anche alle più difficili, ad esempio come quella: “Che lingua parlano i pesci?”. Quanti di noi saprebbero dare una risposta?

I suoi genitori avevano, però, capito una cosa che molti adulti sembrano trascurare: i bambini sono nati da pochissimi anni e non conoscono il mondo che li circonda. E’ quindi normale che un bambino di due, tre, cinque od otto anni non sappia chi siano o come possano comportarsi tutte le persone che lo circondano o lo incontrano; oppure non sappia che cosa siano e come funzionino tutte le cose con le quali egli ha a che fare ogni giorno.

Non c’è nulla di strano che una bambina di tre anni, come Curiosina, possa domandare come facciano a muoversi, senza gambe, quelle cose bianche o grigie che si rincorrono nel cielo e che ogni tanto piangono lacrime dalle quali la mamma e il papa si riparano e lo riparano con gli ombrelli? Non parliamo poi dei bambini piccoli che vedono la loro cacca, depositata nel vasetto, la quale viene poi scaricata nel gabinetto, dove sparisce. Non pensate che sia un diritto del bambino informarsi dove vada a finire quel suo tesoretto?

Il fatto è che, in certi casi, i grandi sembrano non sapere che il mondo dei bambini è diverso dal loro. Bambini, fate come Curiosina, la quale, quando qualcuno le voleva far credere che i regali non li porta Babbo Natale, ma il papà e la mamma, si ribellava pestando i piedi e subito ribatteva: “Non è così, Babbo Natale esiste davvero!” Ricordate anche ai grandi che ogni risposta data ad un bambino, anche ad una che sembra assurda, aumenta la sua fiducia non solo nell’adulto, ma anche in se stesso. Ditelo ai grandi: “Chi dà risposte alle mie curiosità, mi rende più forte e coraggioso”. E verrà, allora, un giorno in cui quel bambino – come capitò a Curiosina – si sentirà tanto coraggioso che sarà capace di sfidare il buio e di entrare da solo in una camera dove la luce non è accesa, senza essere soffocato dalla paura.

Cari bambini, vi svelo adesso un segreto: non dimenticate neppure che non solo Curiosina aveva avuto paura dei tuoni o dei brutti sogni, ma anche i vostri genitori, quando erano piccoli. Domandateglielo se non è vero! E lo sapete perché ci sono anche dei grandi che soffrono di quelle due paure che ho appena nominato? Lo sapete? No? Ve lo dico io. Perché i loro papà e le loro mamme, non gli davano quelle risposte consolatorie di cui avevano bisogno; anzi, spesso, li prendevano in giro, ridendo delle loro paure. Anche Curiosina, si aspettava sempre una risposta: se non le rispondevano non si sentiva più sicura: si sentiva come abbandonata. Per questo, Lei voleva ad ogni costo una risposta. E per ottenerla si era inventata un trucchetto: ripeteva la domanda con voce piagnucolosa e aggiungeva: “Dai, tu sai tutto, dimmelo!”.

Il papà e la mamma di Curiosina non subito, ma dopo un po’, capirono che se non rispondevano alle curiosità della loro ricciolina, ella si rattristava come se fosse rimasta sola. Essi, allora impararono a rispondere sempre. Se poi non conoscevano la risposta esatta, non importava: la risposta se la inventavano come se questa fosse stata una fiaba. Curiosina si rassicurava subito e si rasserenava. A lei non importava che la risposta fosse giusta o sbagliata; lei voleva una risposta qualsiasi, come prova dell’attenzione della mamma e del papà verso di lei. Tutto questo non la faceva più sentire sola.

Quello di cui, Curiosina, come ogni bambino, aveva continuo bisogno, era la presenza rassicurante della mamma e del papà. Un modo per ottenerla è quello di domandare continuamente. Bambini non abbiate paura di domandare! Più avrete domandato più diventerete forti e più sarete capaci, quando sarete grandi, di soddisfare le vostre curiosità infantili.

Da quello che vi ho appena detto, cari bambini, sembra che il contenuto delle risposte che vi vengono date non sia molto importante. Non è proprio così. Adesso dovete stare attentissimi poiché sto per spiegarvi una cosa interessante.

Questa volta sono io a fare a voi una domanda. Dove credete che siano finite tutte le domande che voi avete fatte e le risposte che avete ricevute? Credete forse che siano volate in cielo subito dopo che la vostra curiosità è stata soddisfatta? No, miei cari! No, no! Esse sono rimaste tutte nella vostra testolina. Nel cassetto della vostra memoria. E li rimangono, finché, dopo qualche anno, quando non sarete più bambini piccoli, escono dal cassetto e si trasformano in desideri di controllare se vi era stata detta la verità. Volete un paio di esempi, che riguardano ancora una volta la storia di Curiosina?

La prima esperienza è legata a quando Curiosina, fin da bambina piccola, andava al mare durante le vacanze estive. Come tutti i bambini giocava con la paletta e il secchiello. Ma a lei piaceva, soprattutto, giocare a farsi rincorrere dalle onde che si frangevano sulla spiaggia. Grazie a questo gioco, prese una tale confidenza con il mare che ben presto imparò a nuotare senza paura. Quante volte, però, il pranzo e la cena con papà e mamma si trasformarono in un interrogatorio su che cosa fosse il mare! Non c’era risposta che potesse accontentarla. Ebbene, sapete come andò a finire? Quando ebbe compiuto quattordici anni, durante le vacanze estive al mare, Curiosina chiese ed ottenne – non senza qualche apprensione da parte dei suoi genitori – di poter fare un corso individuale di immersione subacquea nel quale, dopo aver minuziosamente interrogato il suo istruttore, poté spingersi ad esplorare i fondali della costa fino a trenta metri di profondità. Curiosina era entusiasta per il fatto di vedere dal vivo tante cose meravigliose. Finalmente tutte le sue domande avevano una risposta.

La seconda impresa di Curiosina, che segnò la sua vita e che creò più difficoltà a suoi genitori, mettendoli contro i pareri di familiari e conoscenti, ci riporta alla sua prima cena in un ristorante cinese, all’età di sette anni. Riuscite a vedere Curiosina che tempesta di domande non solo il papà e la mamma, ma anche tutto il personale del ristorante stesso, composto da quelle persone con gli occhi così strani e che parlavano fra loro in una lingua incomprensibile? La sua curiosità, anche per quei cibi così diversi dai suoi, non fu mai così grande come quella sera. Alla fine della cena, fece persino scrivere il suo nome in caratteri cinesi, sopra un foglio che volle incorniciato in un quadretto che poi appese alla parete vicina al suo letto.

Come credete che sia andata a finire questa volta? Sono sicuro che lo avete immaginato. Voglio, però confermarvelo. Sì, Curiosina, quando ebbe terminato le scuole superiori, decise di studiare la lingua cinese all’università. Ma c’è di più. Al termine del primo anno di studi, all’età di 19 anni, partì da sola per la Cina. Ce ne voleva di coraggio e di fiducia in se stessa! Ma ci voleva anche… un po’ di curiosità.

— Fine della fiaba —

fabulinis ringrazia Mauro Alfonso, nonno ed ex insegnante, per aver condiviso con tutti noi questo bel racconto dedicato ad uno dei doni più belli che si possa avere, la curiosità!

Il bosco degli alberi parlanti 🌲🌳

Lo sai che esiste un bosco dove gli alberi parlano tra loro?!

Se ascolti bene in silenzio e cerchi dentro al tuo cuore siamo sicuri che prima o poi anche tu troverai il bosco degli alberi parlanti.

Il bosco degli alberi parlanti 🌲🌳


Pochi bambini lo sanno, ma non molto lontano da qui, esiste un bosco dove crescono alberi particolari, dai grossi tronchi e ricoperti da rigogliose chiome di un verde brillante: sono alberi che parlano…

Alberi parlanti?

Si, ma bisogna ascoltare con attenzione e senza fare rumore, altrimenti non si sentirà nulla.

Appena arrivati, ci si deve addentrare lentamente nel bosco percorrendo i minuscoli sentieri. Durante il giorno, il sole penetra fra i rami degli alti alberi, illuminando di fili dorati il sottobosco.

A terra, tra la soffice e fresca erbetta, si possono scorgere le testine dei funghi, fiori colorati e piantine robuste cariche di mirtilli di un color nero bluastro; qui e là, cespugli rampicanti dove crescono succose more e rossi lamponi.

Al calar della sera, gli alberi parlano tra loro, parlano agli uccelli, agli scoiattoli, a tutti gli animaletti che popolano il bosco.

Mentre una dolce melodia si propaga tutt’intorno nell’aria e una leggera brezza muove le foglie, gli alberi parlano sottovoce.

Discutono dei tanti disastri che affliggono l’ambiente e la natura: dall’inquinamento atmosferico, dovuto alle emissioni di gas nocivi, all’abbattimento degli alberi per motivi di consumo, alla carenza idrica e siccità, poiché l’acqua è vita e oramai risorsa limitata, all’aumento dei rifiuti a causa del crescente progresso della civiltà. Gli alberi hanno paura…

Qualcuno dice che non esiste questo bosco, qualche altro, camminando tra i sentieri in silenzio e munito solamente di una torcia dalla luce fioca per non disturbare gli animaletti che dormono, sembra sia riuscito a sentire le voci di questi alberi.

Da tempo ho chiesto indicazioni su questo luogo magico, ma pare che nessuno lo conosca.

Io ho fiducia. Prima o poi lo troverò e potrò finalmente sentire le voci degli alberi parlanti.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di ecologia e rispetto per l’ambiente.

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Carlotta e la rondine Maia 👧

Una bella fiaba per aiutare i bimbi a capire come le vere amicizie durano al di là del tempo e dello spazio che li separano.

Non sempre è semplice spiegare ai bambini, specie ai più piccoli, una perdita e/o una separazione; questo racconto ci viene in aiuto in maniera delicata.

Carlotta e la rondine Maia 👧


C’era una volta una bambina di nome Carlotta, che aveva la fortuna di abitare in campagna, immersa nel verde di prati e alberi, fiori e tanta aria sana.

Una calda giornata di primavera, mentre il sole brillava alto nel cielo, Carlotta vide passare sopra la sua testolina un gruppo di rondini. Rimase un attimo incantata, con la boccuccia aperta e il nasino all’insù. Poi iniziò a salutarle con la manina.

«Ciao belle rondini! Dove state andando?» domandò a voce alta.

Il gruppetto iniziò a volare sempre più in basso, fino a che una rondine, vedendo la bimba, si fermò vicino a lei, accomodandosi sul ramo di un gigantesco albero.

«Ciao bambina! Io mi chiamo Maia e vengo da molto lontano. Io e le mie compagne abbiamo dovuto andarcene, perché in quel luogo iniziava a fare freddo! Tu come ti chiami?» chiese la rondine.

L’un l’altra si guardavano con ammirazione e iniziarono a fare amicizia, raccontandosi tante belle storie. Ben presto Carlotta e Maia divennero inseparabili. Ogni giorno, la piccina attendeva l’amica rondine sotto l’ombra del maestoso albero carico di foglie, all’inizio del viale che conduceva alla sua casa di campagna.

Puntualmente Maia arrivava.
Passavano insieme tutta la giornata, rincorrendosi allegre lungo il viale polveroso. Prima di sera, la bambina faceva ritorno a casa e la rondine al suo nido. Il tempo scorreva e le giornate piano piano si accorciavano. Il caldo sole si era come assopito.

Un freddo giorno d’autunno, Carlotta attese invano la sua amica Maia e il giorno dopo pure. Della rondine nemmeno l’ombra.

Arrivò l’inverno e la bambina, nonostante la compagnia di tanti amici, pensava spesso a Maia, sentiva la sua nostalgia. A volte Carlotta passava interi pomeriggi a guardare fuori dalla finestra, con il nasino appiccicato al vetro, speranzosa di rivedere la sua rondine.

Cessò l’inverno e ritornò la primavera. Altre rondini arrivarono da paesi lontani. Carlotta riprese a passeggiare sul viale vicino a casa, aspettando, aspettando. Un mattino, una rondine vide la bimba da lassù e si avvicinò con prudenza.

«Ciao, tu devi essere Carlotta, giusto?» domandò.
Carlotta annuì.

«Sono Bella, un’amica di Maia. Maia quel giorno ha dovuto partire, all’improvviso, poiché qui cominciava a fare freddo. Non è fuggita, anzi, era molto triste per non averti potuto salutare. Quest’anno la sua famiglia ha cambiato destinazione… Mi ha parlato molto di te, Carlotta. Ti vuole un mondo di bene» spiegò la rondine.

A quelle parole, la bimba tirò un sospiro di sollievo. Dopo molti mesi, capì che Maia non l’aveva abbandonata, ma era stata costretta a migrare altrove con la sua famiglia.

«Grazie Bella! Quando rivedrai Maia, salutala tanto. Dille che mi manca. Nemmeno io la dimenticherò e la porterò sempre nel mio cuore» disse Carlotta alla nuova amica rondine
«Certamente» fece Bella alzandosi in volo.

Raggiunse le sue compagne e piano scomparì all’orizzonte, tra l’azzurro del cielo e i dorati raggi del sole.

— Fine della fiaba —
fabulinis ringrazia Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico e autrice di racconti per l’infanzia, per aver condiviso con tutti noi questa storia, che parla di come essere lontani non vuol dire volersi meno bene o non essere più amici.

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